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Full text of "Il Morgante maggiore di Luigi Pulci 2"

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IL 

MORGANTK \IA(R110HE. 



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IL 

MOHGANTE MArilìlOUE 



liUlCil PL’liC'l, 

CON NOTE ElLOLOGICHE DI PIETHO SEKMOLLI. 



VOLUME SECONDO. 




FIRENZE. 

FELICE LE MONNIEIL 

1855 . 



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IL MORGANTE MAGGIORE. 



CAIVTO DECmOTTAVO. 



Rìoaldo assente , condanna il Soidano 
Alla forca Ulivierì e Ricciardetto. 

S’arrosta Orlando, e non s’arrosta invano, 

Perchè in aria non facciano un balletto. 

Rinaldo arriva, ed il Veglio montano 
Ai Soldan che basisce ammacca il petto. 

Morgante s’accompagna con Margotte, 

Gran professor di cose inique e brutte. 

1 Magnifica, Signor, l’anima mia 
E lo spirilo mio di tua salute : 

E tu, per cui fu dello Ave Maria, 

Esaltata con grazia e con virlute, 

O gloriosa Madre, o Virgo pia. 

Coir altre grazie che ni’ hai concedute , 

Aiuta ancor con tue virtù divine 

La nostra storia, infin ch’io giunga al fine. * 

2 lo dissi che ’l Soldan mandato avea 
Al re Goslanzo, e scritto che venisse 
A veder la giustizia che facea; 

Ma come il messo par che comparisse. 

Subito il re la lettera leggea, 

E ’ntese quel che ’l traditore scrisse : 

La lettera ad Orlando pose in mano. 

Dicendo : Questo ha scritto il tuo Soidano. 

3 Quando ebbe tutto inteso il conte Orlando, 
Si volse al re Gostanzo sbigottito, 

E disse: A Dio e a te mi raccomando : 

Vedi come il Soldan m’ba qui tradito; 

Aiuto in questo caso ti domando. 

Rispose il re : Tu non arai servito 
A questa volta ingrato. Orlando mio, 

Ch’io ti darò soccorso, pel mio Dio. 

li. 1 




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IL HORGANTE MAGGIORE. 

4 Io farò centomila in nn momento 
Gavalier della tavola ritonda : 

E se più ne volessi anche altri cento, 

Gente e tesoro il mio reame abbonda: 

Non dubitar, tu sarai ben contento, 

E vo’ che quel ribaldo si sconfonda; 

E mandò bandi, e messattgieri e scorte, 
Ch’ ognun venissi presto armato a corte. 

6 In pochi giorni furono a cavallo, 

E ordinati stendardi e bandiere: 

Il suo bel gonfalone è nero e giallo; 

Mai non si vide meglio in punto schiere; 

E scrisse al gran Soldan, che sanza fallo 
Fra pochi giorni il verrebbe a vedere; 

Che r aspettassi, e i prigion soprattenga, 
Tanto che lui, che già s’ è mosso, venga. 

6 Orlando aveva le squadre ordinale 
Colle sue mani, e pieno è d’ allegrezza, 

E riguardava qnelle gente armate. 

Che gli parevan di somma prodezza; 

Quella fanciolla con parole ornale 
Mostrava di ciò aver molla dolcezza, 

Ch’ Orlando ristorato sia da quella ; 

E vuol con esso andar la damigella. 

7 11 re Gostanzo anco v’andò in persona, 
E vanno giorno e notte cavalcando. 

Tanto che son condotti a Babiilona : 

Quivi di fuor si vennono accampando, 

E flngendo amicizia intera e buona. 

Il re Gostanzo insieme con Orlando 
Vanno al Soldan con molti caporali , 
Uomini degni, e tolti i principali. 

8 Quando il Soldan costar vedo venire, 

E vede tanta gente alla pianura. 

Sente stormenti, sentiva anitrire. 

Comincia a sospettar con gran paura , 

E come savio nel suo core a dire : 

Questa è troppa gran gente alle mie mura. 
Pur si mostrava allegro, eh’ era saggio, 

E manda a Salincorno nn suo messaggio ; 




C^NTO DECIHOTTAVO. 3 

9 Quel eh’ avea con Orlando corabatlato, 

E che volea combatter con Rinaldo ; 

Che venga presto in là ben provveduto. 

E Salincorno mai non si fu saldo, 

Che diecimila ordinava in suo qiulo : 

Ed eron, perch’ e’ son di luogo caldo, 

Uomini neri e di statura giusti, 

E portan per ispade mazzafrusti. 

10 Rap(Nfesentossi con questi al Snidano.'^ 

Or ritorniamo a Rinaldo, eh’ avea 

Già vinto il V’^eglio: un giorno, quel Pagano . 
Ch’ avea con lui mandato prima Antea, ’ 

Vide venir gran gente per un piano ; 

E con Rinaldo e col Veglio dicea ; 

Che gente è questa, che di qua ne viene? . 
Non si conosce a’ contrassegni bene. 

11 Rinaldo, come e’ furono appressati. 

S’accosta, e domandava uno scudiere: 

Chi son costoro? ove siete avviati ? 

Costui rispose: $ il mastro giustiziere, 

Ch’a due Cristian, che sono imprigionati 
In Rabillona, va a fare il dovere: 

Son paladini, e l’un di lor marchese, 

Ch’ una figliuola del Soldan già prese. 

12 In questo che Rinaldo domandava. 

Giungeva il giustizier sopra Raiardo ; 

Quando Rinaldo il cavai suo guardava , 

E’ diventò come un lion gagliardo : 

E ’l giustizier per la briglia pigliava. 

Disse il Pagan : Se non eh’ io ti riguardo, 

Che qualche bestia nell’ aspetto parmi, 

T’ insegnerei per la briglia pigliarmi. 

13 Rinaldo trasse Frusberta per dargli. 

Poi dubitava a Raiardo non dare: 

In questo il Veglio che vide appiccargli, 

Subito corre Rinaldo aiutare : 

Cominciò colla mazza a tramezzargli. 

Il giustizier non si potè parare, 

Chè con un colpo la testa gli spezza; 

E cascò giù come una pera mezza. 



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‘ IL HOBGANtÈ MAGGIORE. 

■14 Allor Rinaldo in sù Baiardo salta ; ' 

E come fa sopra il cavai salito, 

Presto levava Frusberta su alta, 

£ un Pagano in sul capo ha ferito. 

Che del suo sangue la terra si smalta , 

E morto appiè del cavallo è giù ito : 

Il Veglio presto salì in sul destriere 
Di quel Pagan, come il vide cadere. 

15 E tra la turba si mette pagana, 

Tanto che molto Rinaldo il commenda : 

Quanti ne giugne la sua mazza strana. 

Tanti convien che morti giù ne scenda. 

Il mamalucco, ch’aveva l’alfana, 

Non si stava anco, chè v’ era faccenda ; 

E tutta quella gente si sbaraglia. 

Che, più che gente, era o ciurma o canaglia. 

16 II Veglio por colla mazza di ferro 
Ritocca e suona, e martella e forbotta, 

Cb’ era più dura cbe quercia o che ceno : 
Alcuna volta n’ uccide una frotta. 

Rinaldo si scagliava come un verro 
Dove e’ vedeva la gente ridotta ; 

E rompe, e urta, e taglia, e straccia, e spezza 
Ciò che trovava, per la sua Gerezza. 

17 Chi fuggì prima se n’ andò col meglio ; 

Ch’ a tutti il segno faceva Frusberta, 

E ogni volta colla mazza il Veglio 
Diceva a molti che dava l’ offerta: 

A questo modo, chi dormissi, sveglio. 

E rilevava la mazza su all’ erta : 

E tutti in volta rotta si fuggieno, 

Anzi sparivan come fa il baleno. 

18 Poi cominciò Rinaldo al Veglio a dire : 

Io vo’ eh’ a Babillona presto andiamo. 

Perchè il Soldan farà color morire. 

Rispose il Veglio : Tuo servo mi chiamo ; 

Però comanda, ch’io voglio ubbidire, 

E vo’ che sempre insieme noi viviamo : 

Dove tu andrai, io sarò sempre teco, 

E basti solo un cenno, o — Vienne meco. 



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CANTO DECIHOTTAVO. 

19 Missonsi latti a tre presto in cammino, 

Il Veglio con Rinaldo e ’l mamalucco : 
Rinaldo, come al campo fu vicino, 

Dicea : Se del veder non son ristucco 

lo veggo tanto popol saracino. 

Che non fu più al tempo di Nabucco : 
D’insegne e padiglion coperto è il piano; 
Non so se amici si son del Snidano. 

20 Ma ’l campo, ch’assediò Troia la grande 
Non ebbe la metà di questa gente, 

Tante trabacche e padiglion si spande ; 
Forse il Soldan vorrà fare al presente 
A que’ prigion gustar triste vivande ; 

Ma pel mio Dio eh’ io lo farò dolente I 
Questo con seco diceva Rinaldo , 

E venia lutto furioso e caldo. 

21 Orlando disse un giorno a Spinellone > 

Io vo’ che noi veggiamo i prigion nostri ; 
Ch’era col re Gostanzo un gran barone : 
Andiamo, e pregherrem che ce gli mostri, 
Sanza cavargli fuor della prigione. 

Disse il Pagan ; Sempre a’ comandi vostri 
Sarò paralo, e se non c’è d’avanzo. 
Sarebbe da menarvi il re Gostanzo; 

22 Chè so che gli fia caro di vedere 
Due paladin di tanto pregio e fama. 

Orlando disse : Troppo m’è in piacere. 

E Spinellone il re Gostanzo chiama : 

Nella città ne vanno’, a non tenere • 
Più che bisogni lunga questa trama : *■ 

E la licenza lor dette il Snidano, 

E pon le chiavi al re Gostanzo in mano. 

23 Alla prigion se n’ andorno costoro : 

Come Ulivier sentiva aprir la porta, 

A Ricciardetto disse: Ecco coloro 

Che vengono a recarci altro che torta : • 

Questo sarà per l’ ultimo martoro ; 

E molto ognun di lor se ne sconforta. 
Orlando, quando Ulivier suo vedea 
E Ricciardetto, parlar non potea. 

• 1 * 



IL MORGANTE MAGGIORE. 

24 II re Gostanzo disse : Or m’ intendete, 

Se voi volete adorar Macometto, 

Della prigione scampati sarete ; 

Se non, che domattina, io. vi prometto, 

Ch’ al vento insieme de’ calci darete. 

Rispose alle parole Ricciardetto : 

Se ci darà pur morte il Soldan vostro. 
Contenti siam morir pel Signor nostro. 

25 E se ci fusai il mio caro fratello 
Rinaldo, non saremmo a questo porto, 

O ’l conte Orlando eh’ ^ cugino a quello; 

Ma spero, poi eh’ ognun di noi fìa morto. 
Contro a questo crudel signore e felle 
Vendicheranno ancor si fatto torto; * 

E piangeranne Bahlllona tutta, 

Chè so per le lor man sarà distrutta. 

2$. Ma ben mi duol, eh’ innanzi al mio morire 
Non vegga il mio fratello e 'I cugin mio ; 

E tuttavolta me gli par sentire. 

Come forse spirato dal mio Dio. 

Orlando non potè più solferire, 

Chè d’ abbracciarli avea troppo disio : 

E mentre che ciò dice Ricciardetto, 

Alzava la visiera dell’ elmetto. 

27 E disse : Tu di’ il ver eh’ egli è qui presso 
Orlando, che non t’ ha mai abbandonato. 
Ulivier guarda, e dice: Egli è pur desso. 

E Ricciardetto 1’ ha raffigurato ; 

Subito il braccio al collo gli ebbe messo, 

Ed Ulivieri abbraccia il car cognato. 

Per tenerezza gran pianto facevano , 

.E Spinellone e ’l re con lor piangevano. 

28 Poi molte cose insieme ragionare: 

Orlando disse, ignun non dubitassi, 

Ch’a ogni cosa ordinato ha riparo; 

• Ch’ ognun di buona voglia si posassi : 

E cosi insieme al Soldan riportaro 
Le chiavi, che sospetto non pigliassi, 

E ringraziorno la sua signoria 
Della sua gentilezza e cortesia. 



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CANTO DECIMOTTATO. 



♦ 



31 



29 Orlando non s’avea mai l’elmo tratto, 
Onde il Snidano un giorno gli ebbe detto : 
Deh dimmi, cavalier, che stai di piatto. 

Per che cagion tu tien sempre l’elmetto? 
Ch’io non posso comprender questo fatto; 

Tu mi faresti pigliarne sospetto: 

lo vo’ che tu mel dica a ogni modo, 

. Se non, eh’ io crederò che ci sia frodo. 

30 Diceva Orlando : Certa nimicizia 

Fa che questo elmo tengo cosi in testa. 

Acciò che non pigliassi ignun malizia 
Di farmi a tradimento un di la festa. 

Disse il Snidano : Qui è sotto tristizia ; 

Non si riscontra ben la cosa a sesia : 

Sempre color che sconosciuti vanno, 

O per paura o per malizia il fanno. 

Io ho disposto in viso di vederti, 

Se non, che mal te ne potrebbe incórre. 
Diceva Orlando : In ciò non vo’ piacerti , 

D’ ogni altra cosa puoi di me disporre. 

Disse il Snidano : E’ convien eh’ io m’ accerti. 
E vollegli la mano al viso porre : 

Orlando gli menava una gotata, 

Che in sul viso la man riman segnata. 

32 Quivi il Soldan con gran furor si rizza, 

E grida a’ mamalucchi: Su, poltroni. 

Orlando fuor la spada non isgaizza, • 
Che conosciuta non sia da’ baroni : * 

Ri voltassi a costor con molta stizza,» 

E da lor si difende co’ punzoni ; * 

£ pèsche sanza nocciolo appiccava, * 

Che si ritrasse ognun che n’ assaggiava. 

33 E Spinellon, come fedel compagno. 

Subito pose la spada alla mano, 

E fe di sangue con essa un rigagno. 

Che nessun colpo non medava invano. 

Ma poi 'che vide,' e’ non Wera guadagno,' 

Si fuggi in una camera il Snidano, 

E per paura si serrava d rènio :■ 

Orlando si ritrasse a salvamento. 



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IL MOBGANTB MAGGIORR. 



34 £ Spìnellone e ’l re Goslanzo è intorno 

Con lui ristretti, e son di fuori usciti 

. Di fiabillona, e nel campo tornorno: 

I baron del Soldano sbigottiti, 

Chi qua chi là, tutti si scompigliorno. 
Maravigliati di que’ tanto arditi : 

E fu per la città mollo romore. 

Che cosi fussi fatto al lor signore. 

36 Quando il Soldan rassicuralo fue, 

Fece venir tutta la baronia, 

E nella sedia si levava sue. 

Nè mai si fe si bella diceria ; 

E cominciò colle parole sue: 

Mai più fu tocca la persona mia. 

Ma a ogni cosa apparecchiato sono , ' 

E, come piace a voi, cosi perdono. 

36 II re Costanzo ha tanti cavalieri , 

Che cuopron, voi vedete, il piano e ’l monte 
Non ào qual si sien drento i suoi pensieri ; 
Ma, per fuggir sospetto e maggior onte, 
Mostrato ho di vederlo volentieri : 

Or con colui che mi battè la fronte 
Credo che buon sarà forse far triegoa. 

Acciò che maggior mal di ciò non segna. 

37 E dare alla giustizia esecuzione 
Intanto di que’ due eh’ io tengo presi, 

• Acciò che il re Costanzo e Spinellone 

* Ritornin con lor gente in lor paesi ; 

Morti questi baron eh’ abbiam prigione. 

Noi sarem poi da tanti meno offesi : 

Che s’io mi fo nimico al re Costanzo, 

Per al presente non ci veggo avanzo. 

38 In questo mezzo. Antea polre’ pigliare 
Quel Monlalban che Gano ha consiglialo : 

* Rinaldo so che. non dee mai tornare. 

Credo che '1 Veglio 1’ abbia ora ammazzato: 
‘,A luogo e tempo si potrà mostrare * 

Al re Costanzo che m’ abbi ingiuriato, 

Ch’ io non vo’ far vendetta con mio danno, 
Ma aspettar tempo, come i savi fanno. 



4 



•CANTO DECIMOTTAVO. 

S9 Salincorno riprese le parole : 
v/ £’ non ha tempo mai chi tempo aspetta ; 

‘ ' Per nessun modo triegua non si vuole : 

10 vo’con queste man farne vendetta, 

Prima che molli dì ritorni il sole: 

Della giustizia che in punto si metta, 

Questo mi piace, e facciasi pur presto. ' 

E tutti in fine s’ accordano a questo. 

40 Al re Gostanzo va tosto una spia, 

E dice ciò che ordina il Soldano ; 

11 re Gostanzo ad Orlando il dicia ; 

Orlando disse: In punto ci metliano, 

Ch’ a’ prigion fatto non sia villania ; 

E tutti si schierorno a mano a mano. 

In questo tempo il Soldano ordinava 

Ciò che bisogna, e ’l giustizier chiamava. 

41 E messe bandi per le sue città, 

Ch’ ognun eh’ avessi armadura o cavallo 
Venga a veder la giustizia che fa. 

Che si farà il tal giorno sanza fallo : 

Un giovane, ch’avea molla bontà. 

Sentendo questo, venne a vicilallo, 

Chiamato Mariotlo, un gran signore, 

Ch’ era fìgliuol del loro imperadore. , 

42 Trentamila menò quel Mariolto, ■< 
Onde al Soldan fu questo molto caro. 

Armali stranamente a cuoio cotto: 

Ben centomila a cavai ragunaro • 

In punto a modo lor di lutto botto, 

E di mandar la giustizia ordinaro: , • 

Il giustizier con molta gente andoe ^ 

Alla prigione, e’ due baron legoe. * 

43 Poi gli legò a cavallo in sulla sella 

Por sopra i lor destrier colle lor armi ; , 

Perchè il Soldano in tal modo favella : 

Che tu gli meni amendue armati parmi. 

Il giustizier, ch’ai suo dir non appella. 
Rispose : Cosi avea pensalo farmi. 
f Questo non era il giustiziere usalo, 

Chè ’l Veglio, com’ io dissi, l’ ha ammazzato. 



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IL HORGANTE MAGGIORE. 

44 Di nuovo un’allra spia ne va volando, 
Che la giustizia uscirà presto fore; 

£ Spiuellone insieme con Orlando 
Rassetton le lor genti a gran furore. 

Il re Costanzo al Conte vien parlando : 

E’ ci sarà fatica, car signore-, 

Racquistar questi con ispads^ o lancia. 
Tanto in sul crollo son della bilancia. 

45 Era a veder molla compassione, 

I due haron, come ciascun si lagna: 

O conte Orlando, o Rinaldo d’Amone, 
Dov’ è la tua possanza tanto magna? 

Non as|)ettar più, vien col gonfalone. 
Però che noi darem tosto alla ragna. 

. Quesle parole van dicendo forte, 

Chò gran paura avevon della morte. 

46 Già eron gli stendardi apparecchiati, 

E Mariotto è innanzi alla giustizia; 

Già fuor della città son capitati : 

Evvi il Soldan cb’avea molta letizia, 

E sempre per la via gli ha svergognali: 
Ribaldi, traditor, pien di malizia 1 
Ala Ricciardetto a ogni sua parola 
Diceva : Tu ne menti per la gola. 

47 Chè tu se’ tu ribaldo e traditore; 

Ma ne verrà Rinaldo in qualche modo, 

E caveratti con sue mani il core, 

Chè promettesti, e rimanesti in sodo, 
Renderci a lui, crudele e peccatore. 

Dicea il Soldano : Tu arai presto un nodo 
Che li richiuderà cotesta strozza ; 

Ma prima ti sarà la lingua mozza. 

48 Orlando e ’l re Costanze hanno veduto 
E Spinclloti, che la giustizia viene, 

E che ’l Soldan con essa è fuor venuto; 
Ognun la lancia in sulla coscia tiene: 
rannosi incontro, e Spincllon saputo 
Verso quel Mariotlo: E’ non è bene, 
Dicea, che questa giustizia si faccia. 
Acciò eh’ al nostro Dio non si dispiaccia. 



CANTO DECmOTTAVO. 



11 



49 Perchè il Soldan, secondo intender posso, 
Promisse pace a Rinaldo aspettarlo ; 

E or che cosi a furia si sia mosso, 

Troppo mi par che sia da biasimarlo: 

E olir’ a questo, e’ vi verrà qua addosso. 
Come questo saprà, subito Carlo, 

E ne verrà Rinaldo e ’l suo fratello, 

E gran vendetta far vorrà di quello. 

fio Ma pur, se non venissi mai persona, 

Pàrti che questo al Soldan si convenga? 
Dove è la fede della sua corona. 

Che par che sotto sè qua il mondo tenga? 
Ritorna, Mariotto, in Bahillona, 

Acciò che scandol di ciò non avvenga. 
Diceva Spincllone iratamente, 

Che ’l re Costanzo non vuol per niente.'^ 

fil Rispose Mariotto: Tu se’ errato : 

Se ci fussi al presente Carlo Mano, 

Orlando, e ’l suo cugin c’ hai nominato, 

O se ci fussi il grande Ettor troiano, 

O colla scure il possente Barrato, ^ 

Non s’opporrebbe di questo al Soldano: 

E se tu se’ in cotesta opinione. 

Io ti disfido, e g^rti, Spinellone. 

fi2 ispinellon non istelte a dir più: \ • 

A drieto col cavai presto si scosta. 

Poi si rivolge, e 1’ aste abbassa in giù; 

• Sicché del |)clto passava ogni costa 
A Mariotto, si gran colpo fu : 

La turba, ch’era dal lato, si scosta, 

E Spincllon cacciava mano al brando; 

Allor si mosse il re presto ed Orlando. 

63 Orlando Veglianlin per modo serra, ,• 
Che ’l primo Saracin, che vien davante. 
Coir urlo e colla lancia abbatte in terra; 

Poi messe mano alla spada pesante, 

E colpo che menassi mai non erra; 

Convien che chi ras|>ella alzi lo piante: 

E ’l re Costanzo è nella zuffa entrato, 

E lutto il campo già s’ è sbaraglialo. • 



* r 

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12 



IL MOBGiNTB MAGGIOBB. 



64 Qaando il Soldano il romore ha sentilo, 
Subito disse : Quel eh’ io mi pensai 

Sarà por vero al fin, ch’io son tradito 
Dal re Goslanzo, com’ io dubitai. 

Vede già il popol lutto sbigottito, 

Di questo caso dubitava assai: 

Pur si fe innanzi, e colia spada in mano 
Va confortando ogni suo capitano. 

65 Orlando or qua or là si scaglia e getta , 

E dove e’ vede la gente calcata. 

Subito si metteva in quella stretta, 

£ colla spada I’ aveva allargala ; 

£ tristo a quel che Durlindana aspetta, 

^ Chè gli facea sentir s’ ella è afiìlala : 

Quanti ne giugne, riscontra, o rinloppa, 

\ Faceva a lutti la barba di stoppa. 

66 Or diciam di Rinaldo, eh’ è già presso 
, Al campo, e vede quel rabbaruffalo 

Per la battaglia, e dice fra sé stesso; 

O Ricciardetto mio, tu se’ S|)acciato ; 

Ov’è, Soldati, quel che tu m’hai promesso? 
Poi disse al Veglio : lo son suto ingannalo, 

10 veggo segno assai tristo di, questo ; 

■ ^ Però quanto possiam corriam là presto. 

67 Fumo in un tratto nella zuffa questi: 
Rinaldo non sapea quel eh’ abbia a farsi : 

Un Saracin pregò che manifesti 

Per che cagione il campo abbia azzuffarsi. 
Colui rispose : Il Soldati ci ha richiesti 
Per due baron che doven giustiziarsi ; 

11 re Goslanzo non vuol che gli uccida. 

Per questo il campo sol combatte e grida. 

,68 Intanto Spinellon, ch’era caduto 
D’un colpo che gli avea dato il gigante. 

Vede Rinaldo ch’é sopravvenuto, 

E che del caso pareva ignorante ; 

Disse: Baron, come tu hai saputo, 

Vedi che va sozzopra qua Levante 
Per due Cristian, che il gran Soldano a torto 
, Yolea eh’ ognun di lor fossi oggi morto. 






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CANTO DBCIMOTTAVÓ. 



13 



59 11 mio signor Goslanzo re non vuole, 

E siam qui tulli a lor difensione, 

Perchè di que’baron troppo ci duole, 

Ghè l’un fratel di Rinaldo è d’ Amone; 

£ perch’ io non ti tenga più a parole. 

Nella battaglia è il figliuol di Milane, 

£ fa gran cose per campar costoro. 

Ed io combatto qui pedon per loro. 

60 Nè posso ancor rimontare a cavallo, 

Dond’ io fu’ tratto da un Salincorno: 

Tutti color del contrassegno giallo i ^ 

Pel mio signor comballon questo giorno. 
Disse Rinaldo : Io vorrei senza fallo 

Sapere il nome tuo, barone adorno. ' 

Disse il Pagano: Spinellon mi chiamo, 

E mollo Orlando e Rinaldo suo amo. 

61 Allor gridò Rinaldo: O Saracino, 
lo son Rinaldo, e soh qui capitato 
Per ritrovare Orlando mio cugino ; 

Monta a cavallo: e ’l Pagano è montato: 
Menami ove combatte il paladino. 

E Spinellon fu tutto consolalo, 

E disse : Vincilor saremo ornai, 

Andianne dovejOrlando tuo lasciai. ^ 

62 E tanto per lo campo insieme vanno. 

Che lo condusse ove combatte Orlando, 

Gh’ era pien lutto di sangue e d’ affanno. 

> Disse Rinaldo: Posa un poco il brando. 

Dimmi, i prigion, cugin mio, come stanno? 
Allora Orlando il vien ralTigurando, ^ 
Abbracciò questo, e pianse per letizia, . 

E del Soldan contoe la sua tristizia. 

63 Poi disse: Tempo non è farsi festa, ^ 

Qui si conviene i prigioni aiutare. 

Non va lion per fame per foresta, 

Gome Rinaldo cominciò a mugghiare, , 

A questo e quello spezzando la testa. 

Le strette schiere facendo allargare: 

Qui il Veglio e Spinelione e ’l Gonte sono, * 

£ paioD lutti a quattro insieme un tuono, 
n. , i 



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IL HOKGANTE MAGGIORE. 



64 Né prima detton Ira le schiere drento, 

Che si vedeva sbaragliar la gente; 

Ch’egli cran quattro lupi in un armento, 

E pur s’ alcun non fogge, se ne pente. 
Ch’ogni cosa abbattevan come un vento: 

E ’nverso il aonfalon subitamente, 

Dov’è il Soldan, con gran furor n’ andorno; 
Or qui le spade ben s’ insanguinorno. 

66 Era il Soldan sopra un cavai morello, 
Co’mamalucchi suoi quivi ristretto; 

Giunson costoro insieme a un drappello. 
Gridando : Muoia il Soldan maladetto ! 

Ma come il Veglio ha conosciuto quello. 
Prese una lancia, e posesela al petto, 

E disse : Io vo’ veder se la tua morte 
Si serba a me per destino o per sorte. 

66 Quando il Soblan vide abbassar la lancia 
•Subito anch’ egli il suo cavai moveva, 
Perch’ e’ vedeva che costui non ciancia, 

E nello scudo del Veglio giusneva : 

Pensò passargli la falda e la pancia: 

L’ aste si ruppe, come il ciel voleva, 

E in molti pezzi per l’aria trovossi, 

Chè quel eh’ è destinalo tòr non puossi. 

67 Ebbe pur luogo alfin la visione, 

eh’ una montagna gli cadeva addosso; 
Chè, come il Veglio allo scudo gli pone. 
Subito lo passò, ch’era por grosso, 

E la corazza, e lo sbergo, e ’l giubbone 
Ch’è di catarzo, e poi la carne e l’osso ; 

. E colla furia del cavai l’urtoe, 

. Tanto eh’ addosso al Soldan rovinoe. 

68 Ma ’l cavai si rizzò del Veglio tosto; 
Quel del Soldan col suo signore è in terra 
E morto 1’ uno e 1’ altro a giacer posto: 

i Così il g^iudizio del ciel mai non erra ; 

^ Era cosi ^Éxtvvedulo e disposto. 

Or qui fif quasi finita la guerra : 

’ Morto il Soldano, ognun verso le porlo 
Correva sbigolUlo di tal morte. 



CANTO DECIHOTTAVO. 



15 



69 Rinaldo, che ’l Soldan vide cadere, 

/ Diceva al Veglio: Per la fede mia, 

/ Che non era di mallo il suo temere; 

Vedi che luogo ha pur la profezia 1 
' Or oltre in rolla si fuggon le schiere. 

Dunque moslriam la nostra gagiiardia. 

E vanno trascorrendo ove e’ vedieno 
1 Saracin, che in drielo si fuggieno. 

70 Rinaldo il giuslizier trasse per morto 
Di sella con un colpo con Frusberta, 

Ond’cgli disse: Tu m’ hai fallo torlo; 

A questo modo il mio ben far non morta, 

C’ ho dato aiuto a’ prigioni e conforto. 

Disse Rinaldo: Dove e’ sien m’accerta, 

£ in questo modo camperai la vita. 

Se no, tu non farai da me parlila. 

71 II giustiziere allor Rinaldo mena. 

Dove i prigion si stavan dall’ un canto 
Adlilli, dolorosi, con gran pena, 

Ed avéan fatto quel giorno gran pianto ; 

Tanto che più gli riconosce appena: 

Che pagheresti voi) ditemi il quanto, 

Dicca Rinaldo, allor che vi scampassi? 

Ed Ulivier, come o’ suol, cheto slassi. 

73l Ma Ricciardetto rispose : Niente ; 
j Noi non abbiam danar nè cosa alcuna; 

Siam qui condotti si miseramente, 

Sanza speranza, come vuol fortuna: 

Ma se qui fussi Rinaldo al presento, 

Non temeremmo di cosa nessuna ; 

O se ci fussi il conte Orlando appresso, 

Che di camparci pur ci avea promesso. ^ 

73 Disse Rinaldo: Siete voi Cristiani? 

Rispose Ricciardetto: Si, messere, 

E paladin già fummo alti e sovrani. • 

Rinaldo più non si polea tenere : 

Alla visiera si pose le mani, 

Acciò che in viso il potessin vedere ; 

D’ onde ciascun lo riconobbe presto. 

Ma, volendo, abbracciar non posson questo. 



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IL MORGANTB MAGGIORE. 



74 Allor Rinaldo gli scioglie ed abbraccia, 
E dice : Non sapete voi eh’ Orlando 

E qui nel campo, e questa gente scaccia, 
l’er venir voi da morte liberando? 

Per mio consiglio mi par che si faccia. 
Acciò che vi vegnate riposando: 

Col giustizier qui ve n’ andrete vostro 
Al padiglion del re Gostanzo nostro. 

75 E tutti tre n’andorno al padiglione; 

Ma in questo tempo quel gigante forte 
Uccise il re Gostanzo in sull’ arcione , 

Che molto pianse Orlando cotal morte ; 
Poi abbattè d’ un colpo Spinellone : 

Qui sopravvenne Orlando a caso e sorte , 
E tanto fe , che si fece cristiano, 

E battezzollo con sua propria mano. 

76 E fu cosa mirabii quel che disse 
Ispinellone in questo suo morire; 

Credo che ’l ciel per grazia se gli aprisse. 
Dove l’ anima presto dovea gire ; 

Perch’ e’ teneva in su le luce fisse. 

Che gli pareva gli Angioli sentire, 

E disse con Orlando : Orlando , certo 
Io veggo il paradiso tutto aperto. 

77 Non* vedi tu lassù quel che vegg’ io? 

Chi è colui eh’ ognuno onora e teme, 

;In sedia coronato, e giusto e pio, 

' Tra mille lumi e mille diademe? 

Rispose Orlando : È Gesù nostro Iddio, 

'k Che pasce tutti di gaudio e di speme, 

* Colui eh’ adora ogni fedel Cristiano. 
lAllor gli fe reverenzia il Pagano. 

78j Chi è colei che siede allato a quello. 

Che sopra tulle par donna serena, 

E presso a lei un Angel cosi bello? 

È la sua Madre Vergin Nazzarena : 

E r Angel che gli è presso, è Gabrielloy 
Colui che gli disse : A ve^ arat ia plei^ J 
' Allor le braccia il Saracino stende, 

E umilmente grazia a quella rende. 

A • . • 



CANTO DECmOTTAVO. 



79 E poi diceva : Io veggo intorno a qneila 
Dodici in sedia lutti coronati. 

Rispose Orlando : Questa brigatella 
Son gli apostoli suoi glorifìcati. 
j Queir altro colla croce in man si bella, 

I Che par cbe molto fìsso Gesù guati, 

E non si sazi di veder sua vista ? 

Rispose Orlando: È il suo cugin Battista. 

8U Quelle tre donne accosto si al Signore ? 
Rispose Orlando: Son le tre Marie , 

Ch’ al suo sepolcro andàr con tanto amore 
Poi che fu crocefìsso il terzo die. 

Chi è a colui che guarda il suo Fattore, 
Quasi dicessi : Io ti disubbidie ? 

'Rispose Orlando : Sarà il nostro Adamo, 
Pel cui peccato dannali savamo. 

«y Chi è quel vecchierei con tanta fede, 

^ Che non si sazia di cantare Osanna, 
i E par che di Maria si goda al piede ? 
Colui che fu con lei nella ca|>anna. 

Queir altro vecchio eh’ appresso si vede 
Colla sua sposa? è Giovacchino ed Anna, 
Rispose Orlando, il padre di Maria, 

E la sua madre gloriosa e pia. 

82 Color che paion si giusti c discreti 
Co’ libri in man, sai tu quel che si sia? 
Rispose Orlando: Saranno i profeti. 

Che predisson l’annunzio di Maria: 

Quivi è Davidde, e gli altri sempre lieti, 

'£ Moisè legista, e Geremia. 

I L’ altre corone eh’ io vi veggo tante ? 

I Rispose Orlando : Gli altri santi e sante, 

83 E marlir, patriarchi, e confessori. 

. Tante altre cose eh’ io vi veggo belle ? 
i Rispose Orlando : Celesti splendori, 

I Come i pianeti, e sole, e luna, e stelle. 
j Qiic’ dolci gaudi, e que’ soavi odori. 

Tante dolce armonie, tante fiammelle? 
Rispose Orlando: È il gaudio sempiterno, 
£’l sommo ben di quel Signore eterno. 



11. UOBGANTE MAGGIOBE. 



84 Color che canlan, che paion di foco, 

Coir alie intorno alla sedia vicini ? 

Rispose Orlando: Qui ti ferma un poco, 
Sono altre spezie di spirti divini. 

Ed ha ciascuno ordinalo il suo loco : 

Que’ primi, Cherubini e Serafini; 

/ E gli altri, Troni , che si presso stanno. 
Sicché tre gerarchie que’ curi fanno. 

86 Gii altri che seguou questo primo coro 
De’Serafin, Cherubini e de’ Troni, 

Yirluti e Potestà son con costoro; 

Ma innanzi a questi le Dominazioni, 

Poi Principati, e gli Arcangel con loro, 

E Angel par che d’ un canto risuoni. 

"Disse il Pagan : Come tu m’ hai diviso 
Costor, cosi gli veggo in paradiso. 

86 Ahi disse Orlando, e’ non passerà multo. 
Che tu gli potrai me’ vedere in cielo ; 
Dirizza i tuoi pensier, la mente, e ’l volto 
A quel Signor con puro amore e zeb, 

E ’ncréscati di me, che resto involto 
In questo cieco mondo al caldo e al gielo. 

E poi gli diè la sua benedizione, 

^ E l’anima spirò di Spinellone. 

87 Rimase Orlando tutto consolalo 
Del dolce fin che Spinellone ha fatto, 

E tutto collo spirilo elevato. 

Tanto che Paol pareva al ciel ratto , 
Chiamando naorto chi in vita è restato : 
Intanto Salincorno è quivi tratto, 

E scaccia ognun che innanzi se gli affronta*: 
Orlando in sul cavai presto rimonta, 

88 E grida: A drieto tornale, canaglia, 

* È altro che un Pagan quel che vi caccia? 

E’ rispondieno: Egli è nella battaglia 
Questo gigante, che Giove minaccia; 

E’ ci divora, non ferisce o taglia, 

Tanto eh’ ognuno ha rivolta la faccia. 
Orlando pur gli sgrida e svergognava, 

E in questo quivi Rinaldo arrivava. 




CANTO DECIMOTTAVO. 



19 



S9 E Salincorno avea già domandato : 

^ Dov'è Rinaldo? io vorrei pur trovarlo. 
Orlando, come lo vide appressato, 

Diceva: 0 Salincorno, or puoi provarlo: 
Ecco colui, c’hai tanto minacciato : 

Questo, è Rinaldo tuo,* col quale io parlo. 

E volsesi a Rinaldo, e disse seco: 

Questo gigante vuol provarsi teco. 

90 Quando il gigante vedeva Rinaldo, 
Parvegli un oom nell’aspetto gagliardo, 

E tutto stupefatto stava saldo : 

Guarda il Cristiano, e guardava Baiardo, 

E ralTreddossi, che parea si caldo; 

Disse: Baron, s’ogni tuo elTetto guardo. 
Non vidi usai il più bel combattitore, 

Ma tu se’ il capo d’ ogni traditore. 

91 Tu uccidesti già de’ miei consorti 
Quel Cbiariel, che fu tanto nomato. 

De’ miei frategli due n’avete morti, 

E Brunamente sai che 1’ hai ammazzato 
Con mille tradimenti e mille torti ; 

E Mambrin eh’ era del mio sangue nato , 

E Goslanlin con inganno uccidesti, 

E meritalo hai già mille ca presti. 

92 Noi siam rimasi^! fralei carnali. 

Ma punirolti io sol, Iraditor fello. 

Rinaldo slava tuttavia in sull’ ali, 

Come il lerzuol, per Sibiillcrsi a quello ; 

E disse : Badalon, se tanto vali. 

Come li fe cader qui il mio fratello ? 
Dunque tu chiami traditor Rinaldo, 

Che sai che tu se’ il fior d’ ogni ribaldo ? 

93 Disse il gigante : Orlando, io mi ti scuso, 
Non può ciò comportar nostra natura ; 
Costui mi par co’ giganti poco uso : 

Chè s’ io comincio per la sua sciagura, 

Gli forbirò col mazzafrusto il muso. 
Rinaldo, che smarrita ha la paura. 

Gli volle dar col guanto nel mostaccio. 

Se non che Orlando gli pigliava il braccio. 



I 



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20 



IL MORGANTB HAGGIORB. 



9A E disse : Fate battaglia reale. 

Rispose Salincorno : 1’ ho combattuto 
Tutto di oggi, e fatto tanto male, 

E Spinellane e Gostanzo abbattuto. 

Che far con esso or battaglia campale 
O in altro modo non sare’ dovuto ; 

Ma domattina in sul campo saremo ; 
s E so che ’l lume e’ dadi pagheremo. 

95 Rinaldo fu contento: e Salincorno 
In Babillona si tornava drento, 

E cosi i nostri al padiglion tornorno: 
Diceva il Veglio: ignun mio guernimento 
Non mi trarrò, Rinaldo, insino al giorno: 
Cosi li priego che tu sia contento. 

Rispose Orlando : Il tuo consiglio parmi 
Di savio. E non si vollon cavar l’ armi. 

96 II Veglio, come pratico, in aguato 
Con una schiera quella notte sta. 

Or Salincorno , come addormentato 
Crede sia il campo, usci della città; 

Verso Rinaldo n’andava affilato. 

Che di tradirlo pensato seco ha ; 

Ma nell’ uscir nella schiera scontrossi 
Del savio Veglio, e la zutTa appiccassi. 

97 E cominciassi la gente a ferire: 

Questo romor ne va pel campo presto ; 

Ma pur Rinaldo sostava a dormire: 
Boiardo che la notte slava desto. 

Comincia presso Rinaldo anitrire; 

Non Io sentendo, spezzava il capresto, 

E corse senza sella cosi ignudo, 

E dettegli del piè drento allo scudo. 

98 Rinaldo allor si fu pur risentito, 

E Ricciardetto e Ulivier desloe; 

Ognun s’ armava tutto sbalordito; 

Orlando in sul cavai presto montoe, 

Dove combatte il Veglio ne fu ilo, 

E tutto il campo in là presto n’ andoe : 

*A Salincorno par la cosa guasta, 

E pentesi aver messo mano in pasta. 



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CANTO DECIHOTTAVO. 



21 



99 Pur con Rinaldo domandò battaglia : 
Rinaldo disse del campo pigliasse; 

E par con gran furor l’un l’altro assaglia : 
Subito fumo le lor lance basse: 

Era a veder la pagana canaglia, 

Che si petisorno il mondo rovinasse, 
Quando Rinaldo s’accosta al gigante, 
Perch’ e’ tremava la terra^e le piante. 

100 E Salincorno la lancia spezzava. 

Cosi Rinaldo, e’ lor destrier passorno, 

E quasi il colpo di lor s’ agguagliava ; 
Sicché di nuovo due lance pigliorno, 

E r uno inverso l’ altro ritornava : 

Trovò Rinaldo al cimier Salincorno, 

E con quel colpo dislacciò l’elmetto, 

E '1 suo pennacchio gli spiccò di netto. 

101 Rinaldo nello scudo pose a lui 
Un colpo, che gli arebbe traboccato 
Se fussin tutti insieme i frate’ sui, 

E ’n sulla groppa all’ alfana è cascato. 
Gridava Salincorno : Mai non fui 
A questo modo più vituperato : 

O Macomcito, becco can ribaldo, 

«Tu hai pagata la balia a Rinaldo: 

102 Credo che tu t’ intenda co’ Cristiani ! 

E ’l me’ che può sopra l’ arcion si rizza , 

E prese il mazzafrusto con due mani; 
Verso Rinaldo va con molta stizza 
Gridando: Tu n’andrai cogli altri cani. 

Se questa mazza di man non mi schizza : 
Che se tu scampi da me questa notte. 

Non tornerò mai più nelle mie grotte. 

103 £ d’ una punta gli dette nel fianco. 

Che gli fe rimbalzar l’elmetto in testa; 

E benché fussi il paladin si franco. 

Per la percossa ebbe tanta molesta. 

Che poco men che non si venne manco, 

E non volea la seconda richiesta ; 

E Frusberta di man gli era caduta. 

So non che la catena l’ ha tenuta. 



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22 



IL MOHGANTE MAGGIOIIE. 



104 £ r elraelto pel colpo gli era uscito : 

11 Saracin se gli scagliava intanto 
Addosso, che pensò che sia fornito. 

Orlando, eh’ a veder era da canto, 

Gridò : Pagati, se’ tu del senno uscito ? 

Or che non ha più Telmo, o ’l brando, o ’l guanto, 
Gli credi addosso andar co’ mazzafrusti. 

Come un gaglioffo vii che sempre fusti? 

105 E volle dargli un colpo colla spada. 

Quando il gigante Orlando irato vide. 

Diceva: E’ non è buon che innanzi, vada, 

Chè questa spada il porlìro divide.^ 

Quando Rinaldo a queste cose bada. 

Per la vergogna il cuor se gli conquide, 

E ripigliato alquanto di vigore, 

Verso il Pagano andò con gran furore. 

106 Rizzossi in sulle staffe, e ’l brando strinse, 

. E Salincorno trovò in sul cappello; 

E fu tanta la rabbia ebe lo vinse. 

Che lo tagliò come latte il coltello ; 

Non domandar quanto sdegno il sospinse; 

E spezza il teschio duro, e poi il cervello, 

E ’l collo e ’l petto, e focene due parti. 

Che cosi appunto non tagliano i sarti. . 

(, 107 Cadde il gigante dell’ altana in terra : 

Fece un fracasso, come quando taglia 
Il montanaro e qualche faggio atterra. 

I Saracin che son nella battaglia. 

Chi qua chi là per le fosse al buio erra ; 

Ognuno in verso le porle si scaglia, 

Veggendo Salincorno giù cadere, 

Chè lo senti chi noi potea vedere. 

lOS Combattevon a lumi di lanterne 
Coslor la notte, e Gaccole di pino ; 

Sicché molti reslàr per le caverne. 

Chi morto, e chi ferito, e chi meschino: 

Nostri Cristian quanti (wlien vederne. 

Tanti uccidien del popol saracino: 

Buon per colui che fu prima alle porto, 

Chè tulli que’ da sezzo ebbon la morte. 



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CANTO DBCIMOTTAVO. 



23 



■109 Nella ciUà chi paò si fa^gi drento, 

E furon presto le porle serrate, 

E cominciorno a far provveilimenlo , 

Come le mura lor fussin euarlale; 

Chè d’uscir fuor non avean più ardimento. 
Lasciara costoro e l’ altre gente armate: 

E’ ci convien tornare un poco a Carlo, 

Che non si vuol però dimenticarlo. 

ito Carlo in Parigi nella sua tornata 
Meridiana volse rimandare 
A Carador, che l’ha tanto aspettata, 

E lei più in Francia nomvolca già stare. 
Da poi eh’ Ulivier suo l’ avea lasciata : 
Morgante volle questa accomfiagnare, 

E finalmente dopo alcun dimoro 
Rappresenlolla al gran re Caradoro. 




■Ili E pochi giorni con lei dimoroe, 
Perch’ e’ voleva andar verso Soria, 
Dov’ era Orlando, e licenzia pigline, 
E sol soletto si messe per via : 
Meridiana al partir lo pregne,. 

Che ravvisassi d’ Ulivier che sia, 

E ritornassi qualche volta a quella. 
Che rimanca scontenta e meschinella. 




Giunto Morgante un di sur un crocicchio. 
Uscito d’ una valle e d’ un gran bosco. 

Vide venir di lungi per ispicchio 
Un uom che in volto parca lutto fosco. 

Dette del capo del battaglio un picebio 
In terra, e disse: Costui non conosco; 

E poscsi a sedere in su ’n un sasso. 

Tanto che questo capitoe al passo. 

Morgante guata le sue membra tutte 
Più e più volle dal capo alle piante. 

Che gli pareano strane, orride e bruite: 
Dimmi il tuo nome, dicea, viandante: 

Colui rispose : Il mio nome è Margulle, 

Ed ebbi voglia anch’ io d’ esser gigante. 

Poi mi penti’ quand’a mezzo fu’ giunto; 
Vedi che selle braccia sono appunto. « 



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IL MOBGANTE MAGGIORE. 



114 Disse Morganle : Tu sia il ben venuto ; 

Ecco eh’ io arò por un fiaschello allato. 

Che da due giorni in qua non ho bevuto; 

E se con meco sarai accom|>agnalo, 
lo li farò a cammin quel eh’ è dovuto. 

Dimmi più oltre: io non I’ ho domandato. 

Se se’ Cristiano, o se se’ Saracino, 

O se tu credi in Cristo o in Ap|>ollino. 

-^116 Rispose allor Margulle: A dirlel tosto. 

Io non credo più al nero eh’ all! azzurro, 

V Ma nel cappone, o lesso, o vuogli arrosto, 

J £ credo alcuna volta anche nel burro; 
c" Nella cervogia, e quando io n’ho, nel mosto, 
y : jE molto più nell’aspro che il mangurro; 

dJMa sopra tutto nel buon vino ho fede, 
credo che sia salvo chi gli crede. 

■116 E credo nella torta e nel tortello, 

^ L’ uno è la madre, e 1’ altro è il suo figliuolo ; 

X II vero paternostro è il fegatello, 

^ j E possono esser tre, e due, ed un solo, 
t' E diriva dal fegato almen quello : 



E perdi’ io vorrei ber con un ghiaccinolo, 
^ Se Macometto il mosto vieta e biasima; 

cr Credo che sia il sogno o la fantasima, 
c 

yll7 Ed Appollin debb’ esser il farnetico, 

E Trivigante è forse la tregenda; 



La fede è fatta, come fa il solletico : 

Per discrczion mi credo che tu intenda : 
Or tu potresti dir eh’ io fussi eretico : 
Acciò che invan parola non ci spenda , 
Vedrai che la mia schiatta non traligna, 

E eh’ io non son terreo da porvi vigna. 

118 Questa fede è come l’ uom se l’ arreca : 
Vuoi tu veder che fede sia la mia? 

Che nato son d' una monaca greca, 

E d’un papasso in Bursia là in Turchia; 
E nel principio sonar la ribeca^ 

Mi dilettai, perdi’ avea fantasia 
Cantar di Troia, e d’ Etlorre e d’Achille, 
Non una volta già, ma mille e mille. 




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CANTO DECIMOTTAVO. 



25 



^v'ri 

•ìs^i 

I 



dia 



che m’ increbbe sonar la chitarra, 

Io cominciai a portar l’ arco e ’l turcasso : 
Un di eh’ io fe’ nella moschea poi sciarra, 
£ eh’ io uccisi il mio vecchio papasso, 

Mi posi allato questa scimitarra, 

E cominciai pel mondo andare a spasso ; 
E per compagni ne menai con meco 
Tutl’i peccati o di turco o di greco. 



120 



r 












Anzi quanti ne son giù nello inferno: 
lo n’ hi^ettanta e sette de’ mortali. 

Che non mi lascian mai la stale o ’l verno ; 
Pensa quanti io n’ ho poi de’ veniali : 

Non credo, se durassi il mondo eterno. 

Si potessi commetter tanti mali 
Quanl’ ho commessi io solo alla mia vita. 

Ed ho per alfabeto ogni partila. 






.4 




Non ti rincresca l’ ascollarmi un poco. 

Tu udirai per ordine la trama: 

Mentre eh’ i’ ho danar, s’ io sono a giuoco. 
Rispondo come amico a chiunque chiama; 
£ giuoco d’ ogni tempo e in ogni loco. 
Tanto eh’ al tutto la roba e la fama 
lo m’ ho giucali, e’ pel già della barba ; 
Guarda se questo pel primo ti garba. 



<1. 



Non domandar quel eh’ io so far d’un dado, 
O fiamma, o Iraversin, testa o galluccia, 

O lo spuntone ; e va per parentado , 

Chè lutti siam d’un p^o e d’una buccia: 

£ forse al cgmutTarc inciampo o bado, 

O non so far la berla o la bertuccia, 

O in furba, o in calca, o in bestrica mi lodo: 
Io so di questo ogni malizia e frodo. 



123 La gola ne vien poi drielo a quest’ arte. 
Qui si conviene aver gran discrezione. 
Saper tulli i segreti, a quante carte. 

Del fagian, della starna, e del cappone; 
Di tutte le vivande a parte a parte. 

Dove si truovi morbido il boccone : 

E non li fallirei di ciò parola. 

Come tener si debbe unta la gola. 

3 



i 



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26 



IL MORQANTE MAGGIORE. 



124 S’ io ti dicessi in che modo io pillotto, 

O tu vedessi com’io fo col braccio, 

. Tu mi diresti certo eh’ io sia ghiotto ; 

O quante parte aver vuole un migliaccio. 

Che non vuol esser arso, ma ben colto. 

Non mollo caldo, e non anco di ghiaccio. 
Anzi in quel mezzo, e unto, ma non grasso ; 
Parti che il sappi ? e non troppo allo o basso. 

125 Del fegatel non li dico niente : 

Vuol cinque parli : fa eh’ alla n^n tenga ; 
Vuol esser tondo, nota sanamente. 

Acciò che ’l fuoco egual per lutto venga , 

E perchè non ne caggia, tieni a mente. 

La gocciola che morbido il mantenga : 
Dunque in due parte dividiam la prima, 

Ghè r una e l’ altra si vuol farne stima. 

126 Piccol sia questo, ed è proverbio antico, 

E fa che non sia povero di panni *,v 

Però che questo importa eh’ io li dico; 

Non molto cotto, guarda non t’inganni, 

Chè così verdemezzo come un fico. 

Par che si strugga quando tu l’azzanni; 

Fa che sia caldo; e puoi sonar le nacchere. 
Con spezie e melarance e altre zacchere. 

127 Io li darei qui cento colpi netti. 

Ma le cose sotlil vo’ che tu creda 
Consiston nelle torte e ne’ locchetli , 

E ti fare’ paura una lampreda, 

In quanti modi si fanno ì guazzetti : 

E pur chi l’ode poi convien che ceda. 

Perchè la gola ha sellantaduc punti, 

Sanza moli’ altri poi eh’ io ve n’ ho aggiunti. 

.,.128 Uno che manchi, guasta la cucina; 

Non vi potrebbe il ciel poi rimediare: 

Quanti segreti insino a domattina 
Ti potrei di quest’arte rivelare 1 
Io fui ostiere alcun tempo in Egina, 

E volli queste cose disputare. 

Or lasciam questo, e d’ udir non l’ incresca 
Un’ altra mia virtù cardinalesca. 



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CANTO DECIMOTTAVO. 



27 



429 Ciò ch’io ti dico non va insino all’ene, 

Pensa quand'io sarò condoUo al rue: 

Sappi eh’ io |po, e non dico da bofle, 

Col caramello, e coll’asino, e col bue; 

E mille capannucci e mille guelTe / 

Ho merilato già per questo, o piue: 

Dove il capo non va, metto la coda,* 

E quel che più mi piace è eh’ ognun l’ oda. 

130 Mettimi in ballo, mettimi in convito, 

Ch’ io fo il dover co’ piedi e colle mani ; 

Io son prosontuoso, impronto, ardito. 

Non guardo più i parenti, che gli strani ; 

Della vergogna io n’ ho preso partito, ^ 

E torno a chi mi caccia, come i cani; 

E dico ciò ch'io fo per ognun sette, 

E poi v'aggiungo mille novellette. 

131 S’ io ho tenute dell* oche in pastura * » 

Non domandar, eh’ io non te lo direi; 

S’ io li dicessi mille alla ventura, 

Di poche credo eh’ io ti fallirei : 

S’ io uso fra le donne per sciagura, 

S’elle son cinque, io ne corrompo sei, 

Ch’io le fo in modo diventar galante. 

Che non vi campa nò balia nè fante. 

432 Or queste son le mie virtù morale. 

La gola, e ’l bere, e ’l dado eh’ io 1’ ho dello; “ 
Odi la quarta, eh’ è la principale, .• 

Acciò che ben si sgoccioli il barletlo : 

Non vi bisogna uncin nè porro scam. 

Dove con mano aggiungo, ti prometto ; ^ 

E mil^re da papi ho già portale. 

Col segno in testa, e drielo le granate. 

433 E trapani, e paletti, e lime sorde, 

E succhi d’ogni fatta, e grimaldelli, 

E scale o vuoi di legno o vuoi di corde, 

E levane, e calcetti di feltrelli 

Che fanno, quand’io vo’, eh’ ognuno assordo. 

Lavoro di mia man puliti e belli: 

E fuoco che per sè lume non rende. 

Ma collo spulo a mia posta s’ accende. 



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28 



IL MORGA^TE MAGGIORE. 

iu Sia mi vedessi in una chiesa solo, 

Io son più vago di spogliar gli allari, 

Che ’l messo di contado dd paiuolo: 

Poi corro alla cassetta de’ danari; 

Ma sempre in sagrestia fo il primo volo, 

E se v’ è croce o calici, io gli ho cari, 
E’wcruciGssi scuopro tulli quanti, 

Poi vo spogliando le nunziale e santi. 

136 Io ho scopato già forse un pollaio : 

Slu mi vedessi stendere un bucato , 

Diresti che non è donna o massaio 
Che r abbi cosi presto rassettalo : 

S’io dovessi spiccar, Morgante, il maio, 

Io rubo sempre, dov’ io sono usalo ; 

Ch’ io non islò a guardar più tuo che mi , 
Perch’ ogni cosa al principio è di Uio. 

136 , Ma innanzi eh’ io rubassi di nascoso. 

Io fui prima alfe strade malandrino . 

Arei spogliato un santo il più famoso. 

Se santi son nel ciel, per un quattrino; 

Ma per islarmi in pace e ’n più riposo , 

Non volli poi più essere assassino ; 

Non che la voglia non vi fussi pronta, 

Ma perchè il furto spesso vi si scopla. 

137 Le virtù teologiche ci resta : 

S’ io so falsare un libro, Dio tei dica, 

D’ un iccasse farolli un fio, che a sesta 
Non si farebbe più bello a fatica; 

E ira’ggone ogni carta, e poi con questa 
Raccordo l’alfabeto e la rubrica, 

E scambieréli, e non vedresti come. 

Il lilol, la coverta, il segno e 1 nom . 

138 1 sacramenti falsi e gli 

Mi sdrucciolan giù proprio per la bocca. 
Come i fichi sampier que ben maturi, 

0 le lasagne, o qualche cosa ««‘occa. 

Nè vo’ che tu credessi eh io ^ 

Contro a questo o colui; zara a chi tocca. 

" Ed ho commesso già scompiglio e secolo , 
Che mai non s’ è poi ravvialo il bandolo. 



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CANTO DECmOTTAVO. 



29 



139 Sempre le brighe compero a conlanli: 
Beslemmiator, non vi fo ignun divario 
Di bestemmiar più uomini che santi, 

£ tutti appunto gli ho sul calendario: 

Delle bugie ignun non se ne vanti, 

Chè ciò eh’ io dico fia sempre il contrario: 

Vorrei veder più fuoco, ch’acqua o terra, 

E ’l mondo e ’l cielo in peste, e ’n fame e ’n guerra. 

140 E carità, limosina, o digiuno, 

O orazion non creder eh’ io ne faccia ; 

Per non parer provano, chieggo a ognuno, 

E sempre dico cosa che dispiaccia; 

■^Superbo, invidioso e importuno: 

Questo si scrisse nella prima faccia : 

Che i peccati mortai meco eran tutti, 

E gli altri vizj scellerati e brutti. 

141 Tanto eh’ io posso andar per tutto il mondo 
Col cappello in su gli occhi com’io voglio: 

Com’ una schianceria son netto e mondo: 
Dovunque io vo, lasciarvi il segno soglio. 

Come fa la lumaca, e noi nascondo; 

E muto fede e legge, amici e scoglio. 

Di terra in terra, com’ io veggo o truovo, 

Però eh’ io fu’ cattivo insin nell’ uovo. 

— •• 

142 Io l’ ho lasciato in drieto un gran capitolo 
Di mille altri peccati in guazzabuglio; 

Che s’ io volessi leggerti ogni titolo , 

E’ ti parrebbe troppo gran mescuglio; 

E cominciando a sciorre ora il gomitolo, 

Ci sarebbe faccenda insino a luglio : 

Salvo che questo alla fine udirai. 

Che tradimento ignun non feci mai. 

143 Morgante alle parole è stato attento 
Un’ora o più, che mai non mosse il volto ; 
Rispose, e disse: In fuor che tradimento. 

Per quel eh’ i’ ho. Margotte i#^raccolto. 

Non vidi uom mai più tristo a compimento; 

E di’ che ’l sacco non hai tutto sciolto: 

Non crederei con ogni sua misura 

Ti rifacessi appunto più natura, 

s* 



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IL MOBGAMTB MAGGIORE. 



144 Nè tanto accomodato al voler mio : 

Noi starem bene insieme in un guinzaglio : 
Di tradimento guardati , perch’ io 
Yo’ che tu creda in questo mio battaglio, 
Da poi che tu non credi in cielo a Dio, 
Ch'io so domar le bestie nel travaglio: 

Del resto, come vuoi te ne governa; 

Co’ santi in chie^aj è co’ ghiotti in taverna. 



145 Io vo’ con meco no venga, Margutte, 

E che di compagnia sempre viviamo; 

Io so per ogni parie le vie tutte: 

Ver è che pochi danar ne portiamo; 

Ma mio costume all’oste è dar le frutte « 
Sempre al partir, quando il conto facciamo 
E ’nfino a qui sempre all’ oste ov’ io fusse, 
Io gli ho pagato lo scotto di busse. 



14$ Disse Margotte: Tu mi piaci troppo. 

Ma resti tu contento a questo solo: 
lo rubo sempre ciò eh’ i’ do d’ intoppo, 

S’ io ne dovessi portare un orciuolo; 

Poi al partir son mutol, ma non zoppo: 
Se tu dovessi tórre un fusaio olo. 

Dove tu vai, to’ sempre qualche cosa, 

Ch’ io tirerei 1’ aiuolo a una chiosa. 

147 Io ho cercato diversi paesi. 

Io ho solcala tutta la marina, 

Ed ho sempre rubato ciò eh’ io spesi; 
Dunque, Morganle, a tua posta cammina. 
Cosi detton di piglio a’ loro arnesi; 
Morganle pel battaglio suo si china, 

E col compagno suo lieto ne già, 

E dirizzossi andar verso Sorta. 

148 Margotte aveva una schiavina indosso, 
Ed un cappello a spicchi afìa turchesca, 
Salvo eh’ egli era fatto d’ un ceri’ osso 
Che gli spicchi eran d’ altro che di pèsca. 
Ed era molto grave e molto grosso. 

Tanto che par che spesso gli rincresca: 

Un paio di stivaletti avea in piè gialli. 
Ferrati, e cogli spron come hanno i galli. 



CANTO DECIMOTTATO. 



31 



149 Dicea Morgante, quando gli vedea: 

Saresti ta di schiatta di galletto? 

Tu hai gli spron di drieto ; e sorridea. 

Disse Margutte: Questo è per rispetto, 

Che spesso alcun, che non se n’accorgea, 

Se ne trovò ingannato, ti prometto: 

Campati ho già con questi molti casi, 

£ molti a questa pania son rimasi. 

160 Yannosi insieme ragionando il giorno: 

La sera capitorno a uno ostiere, 

E come e’giunson, costui domandorno: 

Aresti tu da mangiare e da bere? 

E pagati in sull’ asse, o vuoi nel forno. 

L’oste rispose: E’ ci fia da godere; 

£’ c’ è avanzato un grosso e bel cappone. 

Disse Margutte : Oh, non Ga un boccone. 

16 ) Qui si conviane aver altre vivande. 

Noi siamo usalMi far buona cera; 

Non vedi tu cosini com’ egli è grande? 

Cotesta è una pillola di pera. 

Rispose l’oste: Mangi delle ghiande; 

Che vuoi tu ch’io provegga, or ch’egli è sera? 
E cominciò a parlar superbamente. 

Tal che Morgante non fu paziente. 

162 Cominciai col battaglio a bastonare : ' 
L’oste gridava, e non gli parea giuoco. 

Disse Margotte: Lascia un poco stare. 

Io vo’ per casa cercare ogni loco ; 

Io vidi dianzi un bufoi drento entrare: 

E’ ti bisogna fare, oste, un gran foco, 

E che tu intenda a un Gschiar di zufolo. 

Poi in qualche modo arrostire quel bufolo. 

163 II fuoco per paura si fe tosto: 

Margotte spicca di sala una stanga; 

L’oste borbotta, e Margutte ha risposto: 

Tu vai cercando il battaglio t* infranga ; 

A voler far quell’animale arrosto. 

Che vuoi tu tórre un manico di vanga? 

Lascia ordinare a me, se vuoi, il convito. 

E fìnalmente il bufoi fu arrostito ; 



32 



IL MOUGANTE MAGGIORE. 

164 Non creder colla pelle scorticala . 

E’ lo sparò nel corpo solamenle ; 

' Parea di casa più che la granala : 

Comanda e grida, e per tulio si sente : 

Un’ asse mollo lunga ha rilrovala; 
Apparecchiolla fuor subitamente, 

E vino, e carne, e del pan vi ponca, 

Perchè Morganle in casa non capea. 

155 Quivi mangioron le reliquie tulle 
Del bufolo, e Ire staia di pan o pine, 

E bevvono a bigonce ; e poi Margullo 
Disse a quell’oste: Dimmi, aresli tue 
Da darci del formaggio o delle fruite, 

Chè questa è stata poca roba a due, 

O s’ altra cosa tu ci hai di vantaggio? 

Or udirete come andò il formaggio. 

156 L* oste una forma di cacio irovoe. 

Ch’era sei libbre o poco più o meno; 

Un caneslrello di mele arrecoe 

D’ un quarto o manco, e non era anche pieno. 
Quando Margutle ogni cosa guardoe. 

Disse a quell’oste: Bestia sanza freno, 

Ancor s’ arà il battaglio adoperare, 

S’ altro non credi trovar da mangiare. 

167 È questo compagnon da fare a once? 
Aspetta tanto ch’io torni un miccino, 

E servi intanto qui colle bigonce ; 

Fa che non manchi al gigante del vino. 

Che non ti racconciassi l’ ossa sconce : 

Io fo per casa come il topolino. 

Vedrai s’ io so ritrovare ogni cosa, 

E s’ io farò venir giù roba a iosa. 

168 Fece la cerca per tutta la casa 
Margulte, e spezza e sconficca ogni cassa, 

E rompe e guasta masserizie e vasa; 

• Ciò che trovava , ogni cosa fracassa , 

Ch’ una pentola sol non v’ è rimasa: 

Di cacio e frutte raguna una massa, 

E portale a Morganle in un gran sacco, 

E cominciorno a rimangiare a ma^. 



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M ir» 




CANTO DECIMOTTAVO. 



33 



169 L’oste co’ servi impauriti sono, 

E a servire attendon tutti quanti, 

£ dice fra sè stesso : E’ sarà buono. 

Non ricettar mai simili briganti ; 

E’ pagheranno domattina al suono 
Di quel battaglio, e saranno contanti: 

Hanno mangiato tanto, che in un mese 
Non mungerà tutto questo paese. 

160 Morgante poi che mollo ebbe mangialo. 
Disse a quell’ oste : A dormir ce n’ andremo, 
£ domattina, com’ io sono usato. 

Sempre a cammino insieme conteremo ; 

' E d’ogni cosa sarai ben pagalo, 

Per njodo che d’ accordo resteremo. 

E l’oste disse a suo modo pagasse; 

Chè gli parea mill' anni e’ se n’ andasse. 

161 Morgante andò a trovare un pagliaio, 

Ed appoggiossi come il liofante; 

Margotte disse : Io spendo il mio danaio. 

Io non voglio, oste mio, come il gigante 

n Far degli orecchi zufoli a rovaio ; 

Non so s’ io son più pratico o ignorante. 

Ma ch’io non sono astrologo, so certo; 

Io vo’ con teco posarmi al coperto. 

162 Vorrei, prima eh’ e’ lumi sieno spenti. 

Che tu traessi ancora un po’ di vino; 

Chè non par mai la sera io m’addormenti, 
S’io non becco in sol legno un ciantellino, « 
Cosi per risciacquare un poco i denti; 

£ goderenci in pace un canzoncino: 

E’ basta un bigonciuol cosi Ira noi. 

Or che non c’ è il gigante che c’ ingoi. 

163 Yedeslu mai. Margotte soggiognea. 

Un uom più bello e di tale statura, 

E che tanto diluvi, e tanto bea? 

^ Non credo e’ ne facessi più natura ; 

E’ vuol, quando gli è all’ oste, gli dicea. 

Che r oste gli trabocchi la misura ; 

Ma al pagar poi mai più largo uom vedesti; 
Se tu noi provi, tu noi crederesti. 



1 



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IL MORGANTE MAGGIORE. 



464 Venne del mosto, e stanno a ragionare, 

E r oste un poco si rassicurava ; 

Margutte un canzoncin netto a spiccare 
Comincia, e poi del cammin domandava, 
Dicendo, a Babillona volca andare: 

L’oste rispose, che non si trovava 

Da trenta miglia in là casa nè tetto 
Per più giornate, e vassi con sospetto. 

465 E disseto a Margutte, e non a sordo. 

Che vi pensò di subito malizia, 

E disse all’ oste : Questo è buon ricordo , 

Poi che tu di’ che vi si fa tristizia: 

Or oltre al letto; e sarem ben d’accordo, 

Ch’io non istò a pagar con masserizia; 

Io son lo spenditore degli scotti; * 

Come tu stesso vorrai, pagherolli. 

166 Io ho sempre calcata la scarsella : 

Deh dimmi tu, non debbi aver domata. 

Per quel ch’io ne comprenda, una cammella, 
Ch’io vidi nella stalla tua legata, 

Ch’ io non vi veggo nè basto nè sella? 

Rispose l’o3le: lo là tengo appiattata 
Una sua barc^lletta, ch’io gli caccio, ' 

Nella camera mia sotto il primaccio. 

467 Per quel ch’io il faccia, credo che In intenda: 
'Sai che qui arriva più d’un forestiere 
A cena, a desinare, ed a merenda. 

.. Disse Margutte: Lasciami vedere 
Un poco come sta questa faccenda. 

Poi che noi siain per ragionare e bere, 

E son lo notte uu gran cantar di cieco. 

E r oste gli rispose : lo te l’ arreco. 

46S Recò quella bardella il sempliciotto: 

Margutte vi fe su tosto disegno. 

Che questo accorderà tutto lo scotto ; 

E disse all’oste: E’ mi piace il tuo ingegno; 
Questo sarà il guancial ch’io terrò sotto, 

E dormirommi qui in su questo legno; 

So che letto non hai dov’io capessi, 

Tanto che tutto mi vi distendessi. 



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cìnto decimottavo. 



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172 




Or vo’ saper come la se’ chiamato. 
Disse r ostieri Tu saprai tosto come, 

Io sono il Dormi per lutto appellalo. 
Disse Margutte: Fa come tu hai nome, 
Cosi fra sè, tu sarai ben destato 
‘Quando (la tempo, innanzi (ìen le some. 
Com’hai tu brigatella, o vuoi (ìgliuoli? 
Disse r ostieri La donna ed io siam soli. 

Disse Margutte 1 Che puoi tu pigliarci 
La settimana in questa tua osteria ? 
Come arai tu moneta da cambiarci 
Qualche dohbra da sj>ender per la via? 
Uispose l’oste i lo non vo’ mollo starci, 
Ch’ io non ci ho preso per la fede mia 
Da quattro mesi in qua venti ducali. 

Che sono in quella cassetta serrati. 

Disse Margutte 1 Oh solo in una volta 
Con esso noi più danar piglierai. 

Tu la ticn quivii s’ella fusse lolla? 

Disse r ostieri Non mi fu tocca mai. 
Margutte un occhiolin chiuse, ed ascolta, 
E disse 1 A questa volta lo vedrai! 

E per fornire in lutto la campana. 

Un’ altra maliziclla trovò strana. 

Perchè persona discreta e benigna, 
Dicea coir oste, trop|)o a questo tratto 
Mi se’ panilo, io mi chiamo il Gratlìgna, 
E ’l profferir tra noi per sempre è fallo; 
Io sento un poco difetto di tigna, 

Ma sotto questo cappel pur l’ appiatto i 
Io vo’che tu mi doni un po’ di burro. 

Ed io ti donerò qualche mangurro. 

L’oste rispose 1 Niente non voglio; 
Domanda arditamente il tuo bisogno, 

Chè di (al cose cortese esser soglio. 

Disse Margotte allora i Io mi vergogno; 
Sappi che mai la notte non mi spoglio, 
iPer certo vizio ch’io mi bevo in sogno; 
Vorrei eh’ un paio di fune mi recasse, 

E legherommi io stesso in su queg^’ asse i 



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.J-. ■ 



# 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



174 Ma serra l’ ascio ben dove (a dormi, 

Ch’ io non li dessi qualche sergozzone ; 

Se tu sentissi per disgrazia sciormi, 

■ E che per casa andassi a processione, 

• Non uscir fuor. Rispose presto il Dormi, 

! E disse : Io mi starò sodo al macchione; s 
I Cosi voglio avvisar la mia brigata, 

: Cbé non toccassin qualche tentennata. 

175 Le fune e ’l burro a Margotte giù reca, 
E disse a’ servi dì questo costume, 

Ch’ ognun si guardi dalla fossa cieca , 

E non isbuchi ignun fuor delle piume : 

, Odi ribaldo 1 odi malizia greca I 
/ Cosi soletto si restò col lume, 

E fece vista di legarsi stretto, 

Tanto che ’l Dormi se n’ andò al letto. 

176 Com’ e’ senti russar eh’ ognun dormiva, 
E’ cominciò per casa a far fardello ; 

Alla cassetta de’ danar ne giva, 

, Ed ogni cosa pose in sul cammello : 

, ’E come un uscio o qualche cosa apriva, 
Ugneva con quel burro il chiavistello ; 

E com’ egli ebbe fuor la vettovaglia, 

; Appiccò il fuoco in un monte di paglia. 

177 E poi n’ andava al pagliaio a Morgante : 
Non dormir più, dicea, dormito ha’ assai; 
Non di’ tu che volevi ire in Levante? 

Io sono ito e tornato, e tu il vedrai: 

Non istiam qui, dà in terra delle piante. 
Se non che presto il fumo sentirai. 

Disse Morgante: Che diavolo è questo? 

Tu hai pur fatto, per Dio, netto e presto. 

178 Poi s’avviava, ch’aveva timore, 

Perchè quivi era un gran borgo di case, 
Che non si levi la gente a romore. 

Dicea Margotte : Di ciò che rimase 
All’oste, un birro non are’ rossore, 

Ch’ io non istò a far mai le staia rase ; 

Ma sempre, in ogni parte dov’ io fui, 

Sono stato cortese dell’ altrui. 



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CANTO DECIHOTTAVO.*' 



37 



479 Menlre che qnesli cosi se ne vanno, 

La casa ardeva tutta a poco a poco ; 

Prima che ’l Dormi s’ avvegga del danno, 

Era per tutto appiccato già il foco, 

£ non credea che fossi stato inganno : 

Quivi la gente correa drogai loco, 

Ala con fatica scampò lui e la moglie; 

£ cosi spesso de’ matti si coglie. 

' 480 Quando fu giorno che l’alba apparic, 
Morgante vede insino alla grattugia, 

£ fi a sé stesso dicea : Tutto die 
De’ miglior certo s’ impicca ed ahbrugia ; 
tìflarda costui quante cibbatte ha quie I 
Per Dio, che troppo il caprcsto s’ indugia 1 
Disse Margutle: E’ c’è insino alla secchia; 
Non dubitar, questa è l’arte mia vecchia. 

481 Noi abbiamo andar per un certo paese, • 
Dove da sé non ha chi non vi porta; 

£ pure arem danar da far le spese: 

£ lui la la novella dicea scorta 

Della cassetta ; e come il fuoco accese; 

Com’egli ebbe il cammei fuor della porla; 

£ come il Dormi se n’andò a dormire, 

Ala il fuoco Tara fatto risentire. 

482 Morgante le mascella ha sgangherato 
Per le risa talvolta che gli abbonda, 

E dicea pure: O forche sventurate. 

Ecco che boccon ghiotto o pésca monda ! 

Non vi rincresca s’ un poco aspettate : 

Costui pur mena almen la mazza tonda:*' 
Quanto piacer ii’arà di questo Orlando, 

S’ io lo vedrò mai più, chè non so quando! 

483 Dicea Alargutlc: In questo sta il guadagno; 
Quanto tu lasci più il brigante scusso. 

Tu puoi cercar per lutto d’ un compagno , 

Che d’ogni cosa sia, cora’ io, malfusso. 

Nè, per ghermire, altro sparvier grifagno 
Non li bisogna, o Zingaro, Arabo o Usso : 
Quel che si ruba non s’ ha a saper grado, 

E sai eh’ io comincio ora a Irar pel dado. 



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38 



H, MOBGiNTB HAGGIOBE. 



184 Io chiesi in sino al burro, e dissi a quello 
^ Oste eh’ un poco di (i^na sentivo, 

! Per ugner poi gli arpioni e ’l chiavistello, 

! Che non sentissi quando un uscio aprivo, 

I Tanto eh’ io avessi assettato il cammello; 

' Ad ogni malizietta io son cattivo : 

1 Del livido mi guardo quant’ io posso, 

I Poi non mi coro più giallo che rosso. 

I8é Or mi piacesti tu. Margotte mio, 

Dicea Morgante. E ’ntanto on c’ ha vedala 
Quella cammella, diceva: Per Dio, 

Gh’ eli’ è del Dormì ostìer quella scrignata. 
Disse Margotte : 11 Dormi sarò io; ^ 

Non vedi tu, bàbbion, che si tramuta, 

E sgombera qua presso a un castello ? 

E maggior bestia se’ tu che il cammello. 

186 Tutto quel giorno e l’ altro sono andati 
Per paesi dimestichi costoro: 

Il terzo di in un bosco sono entrati. 

Dove aspre fere facevan dimoro ; 

Ed eron pel cammin tulli affannali. 

Nè vin né pan non avean più con loro. 

Dicea Morgante: Che farem, Margulle? 

Vedi che mancan qui le cose tulle. 

187 Cerchiamo almeno appiè là di quel monte. 
Se vi sorgessi d’ acqua alcun rampollo ; 

Chè pur, se noi trovassim qualche fonte. 

La sete se n* andrebbe al primo crollo, 

Chè le parole più spedite o pronte 
• Non sento, se la bocca non immollo: 

Quel mi par luogo d’ esservi dell’ acque. 
Onde a Margulle il suo consiglio piacque. 

188 Vanno cercando tanto, che trovorno 
Una fontana assai nitida e fresca ; 

Quivi a sedere on poco sì posorno, 

Perch’ e’ convien che ’l camminar rincresca. 
Ecco apparir di lungi on liocorno. 

Che va cercando ove la sete gli esca. 

Disse Margulle: Se tu guardi bene 
Quel liocorno in qua, per ber, ne viene. 



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cìnto decimottavo. 



39 



189 Qaeslo sarà la nostra cena appunto, 

E’ si consuma di dar nella rete ; 

Però t’appiatta, tanto che sia (giunto, 

Che tragga a noi la fame c a sé la sete. 

Il liocorno dalla voglia è punto, 

E non sapea le trappole segrete ; 

Venae alla fonte, e ’l corno vi metteva, 

0 E stato un poco, a suo modo beeva. 

190 Morgante, che da lato era nascoso, 
Arrandellò il battaglio eh’ egli ha in mano; 
Dettegli un colpo tanto grazioso, 

Che cadde stramazzato a mano a mano, 

E non batté poi più senso nè poso ; 

E fu quel colpo si feroce e strano. 

Che di rimbalzo in un masso percosse, 

E sfavillò, come di fuoco fosse. 

191 Quando Margotte il vide sfavillare. 

Disse: Morgante, la cosa va gaia. 

Forse che cotto lo potrem mangiare. 

Per quel che di quel sasso là mi paia, 

Noi gli farem del fuoco fuor gittarc. 

Disse Morgante: Ogni pietra è focaia. 

Dove Morgante e ’l battaglio s’ accosta : 
Sempre con esso ne fo a mia posta. 

192 Ma tu che se’. Margotte, si sottile. 

Ed hai condotte tante masserizie. 

Come non hai tu l’ esca col fucile ? 

Disse Margotte: Tra le mie malizie 
Nè cosa virtuosa nè gentile 

Non troverrai, ma fraudo con tristizie. 

Disse Morgante: Piglia del fien secco: 
Vienne qua meco. E Margotte disse: Ecco. 

193 Vanno a quel sasso, e Morgante martella, 
Ch’ arehbe fatto riscaldare il ghiaccio ; 

Tal eh’ a Margotte intruona le cervella. 
Sicché quel fìen gli cadeva di braccio. 

Allor Morgante ridendo favella: 

Guarda se fuor le faville ti caccio. 

Margotte il fien per vergogna riprese, 

E tennel tanto che ’l fuoco s’ accese. 



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40 



IL HORGANTR MAGGIOBR. 



Poi si cavò di dosso la schiavina , 

E scaricò la cammella a giacere, 

E trasse quivi fuori una cucina: 

Apparecchiò alle spese dell’ osliere ; 

Ch’ avea recato infìno alla salina, 

E tazze e altre vasella da bere T 
Al liocorno abbruciò le caluq:;ine,\ 

E fece uno scliidion d’ un gran (>eruggine.^ 

496 Cosse la bestia, e poi posonsi a cena: 
Morgante quasi intera la pilucca, 

Sicché Margulte n’assaggiava appena, 

E disse : Il sai ci avanza nella zucca : 

Per Dio, tu mangeresti una balena. 

Non è colesta gola mai ristucca : 
lo ti vorrei per mio compagno avere 
Ad ogni cosa, eccetto ch’ai tagliere. 

196 Disse Morgante, io vedevo la fame 

In aria, come un nugol d’acqua pregno, 

E certo una balena colle squame 
Arei mangialo sanza alcun ritegno, 

O vero un liofanle con l’ ossame ; 

Io rido che tu vai leccando il legno. 

Disse Margotte: Slu ridi, ed io piango. 

Che colla fame in corpo mi rimango. 

197 Quest’ altra volta io ti ristorerò, 

Dicea Morgante, per la fede mia. 

Dicea Margotte: Anzi ne spiccherò 
La parte eh’ io vedrò che giusta sia, 

E poi l’avanzo innanzi ti porrò, 

SI eh’ e’ possi durar la compagnia : 

Nell’ altre cose io t’ arò riverenzia. 

Ma della gola io non v’ ho pazienzia. 

19S Chi mi toglie il boccon, non è mio amico, 
Ma ogni volta par mi cavi un occhio : 

Per tutte l’ altre volle te lo dico. 

Ch’io vo’ la parte mia sino al (inocchio, 

S’ a divider s’ avessi solo un fìco. 

Una castagna, un topo, o un ranocchio. 
Morgante rispondea : Tu mi chiarisci 
Di bene in meglio, e com’oro adinisci. 



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CANTO DECIMOTTAVO. 41 

199 Racconcia un poco il fuoco, ch’eg^ è spento: 
Margotte ritagliò di molle legne, 

Fece del fuoco, ed uno alloggiamento. 

Disse Morgante : Se quel non si spegno 
Per istanotte, io mi chiamo contento; 

Tu hai qui acconcio mille cose degne. 

Tu se’ il maestro di color che sanno. . 

Cosi la notte a dormir quivi stanno. 

200 E la cammella si pasceva intorno; 

Ma poi che l’aurora si dimostra, 

Disse Margotte a Morgante: Egli è giorno, 
Leviancì, e seguitiam l’andata nostra; 

Cosi tutte lor cose rassettorno. 

Or perchè l’un cantar coll’altro giostra, 

Quel che segui sarà nell’altro canto, 

E lauderemo il Padre nostro intanto. 




uro 

A6. e forbotta. Forbottare significa 
dar busse, colpi, e percosse piu e più 
volle; e viene, dice il Vocab., da bot- 
ta , voce Toscana , che vale colpo e 
percossa, aggiuntavi la sillaba for, 
'come in forfore. Il Menagio, con più 
verisimiglianza , tiene che venga da 
forte, e pultare, detto invece di pul- 
sare. Potrebbe però venire anche da 
fuori, e bussare ; poiché bussare pro- 
priamente significa il picchiare che si 
fa agli usci perchè sieno aperti. 

50. farmi... la fetta. Far la fe- 
sta a uno vale uccìderlo; ma è modo 
biMO. 

I 4S. saputo. Savio. 

I St . guarii. Guardati. 
j 55. Pacera... la barba di stop- 
pa. Far la barba di stoppa , vale far 
qualche male ad alcuno che non ne 
tema, o non se lo pensi ; e vale anche 
superarlo, vìncerlo in checchessia. 

67. eatano. Seta grossa, e infe- 
riore. Forse dal greco xa&ap/ji«, pur- 
gamentum. 

94. E so che ’l lume cc. Pagare 
il lume e i dadi, vale pagar del lutto, I 



TE. 

non lasciare addietro nulla ; e anche 
dar soddisfazione e il conto suo. 

tot. Tu hai pagala la balia a 
Rinaldo. Modo Hi dire, come se di- 
cesse: tu lo proteggi, lo favorisci, e 
simili. 

102. che tu t' intenda. Che tu 
sii d’accordo. 

404. gaglioffo. Dallo spagnuolo 
gallofo, che vale mendico. Vedi an- 
che Enrico Stefano (Apologia, cap. 23) 
che lo vuol far venire da galle- 
\ frolier, a tcabie fricanda. Forse 
anche da calonet, che erano , come si 
cavp da Servio e da Festo, una spe- 
eie di servi dei soldati romani , detti 
cos'i perchè portavano le clave di le- 
gno dette in greco '*où.ol. Noi gli chia- 
miamo bagaglioni : il qual nome si dk 
eziandio a uomo abietto, e male in ar- 
nese; appunto come i Romani, i quali 
pure dicevan calonet a gente di simil 
utta. 

447. non son terren da porvi 
vigna. E’ non è terren da porvi vi- 
gna, vale non ci sì può far fondamento, 
o porre speranza, 

4 * 



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42 



IL MOnCANTB HAGGIOnE. 



418. rifrcfoTO ribeba j atramcnto 
di corde da suonare. 

4 49. «ciarra. Rissa, con lesa ; dal 
verbo sciarrare , che vaio dividere , 
sbara|;lìare, mettere in rotta, e simili. 

422. O fiamtM te. Termini de’ 
Ijiuocatori de’ dadi , de’ quali si è in 
(jran parte perduto il significato. — 
d’ un pelo e d' una buccia. Della 
medesima indole o qualità 5 ejutdem 
farina. — camuffare ec. Truffare, 
ingannare: ma propriamente travesti- 
re, imbacuccare, e simili, corrispon- 
dente al latino caput obtegere. Viene 
dalla greca voce xyj/as;, che signifi- 
cava un certo velo col quale si na- 
scondevano la faccia le donne; come 
ai cava da quel d’ Ksìchio U 05 yu- 
vxi/.ùov itooxóajuriua. 

424. pillotto. Dicesi pillottare il 
gocciolar sopra gli arrosti lardone o 
simil materia stratta bollente, mentre 
si girano. Secondo la Crusca viene 
forse da biliotlare, che significa asper- 
ger di macchie qua e là a guisa di goc- 
ciole ; maculit distinguere. 

425. eh’ alla man tenga. Cbe 
corrisponda alla mano, cioè alle dita 
di essa, che son cinque. 

426. cbe no» sta povero di pan- 
.ni. S’ usa rinvoltare i fegatelli in rete 
di castrata; e quanto più sono con 
questa ben rinvolti, più vengon mor- 
bidi e saporiti. Da ciò suol dirsi 
d’ uno che sia bene imbacuccato, egli 
ò rinvolto come un fegatello. — e puoi 
sonar le nacchere Suonar le nacche- 
re vale dar delle basse ; qui però mc- 
tiiforìcamente par che significhi , far 
suonare i denti, mangiare. 

429. Sappi ch’io aro ee. Arar 
coll’ asino e col bue, vale far le cose 
a ritroso. Tnttavolla qui potrebbe in- 
tendersi per arare con ogni sorta 
bestie, cioè fare d’ ogni erba un fa- 
scio, o farne di tutte. — gueffe. Pri- 
gioni. — Dove il capo non «a. Modo 
<li dire che significa essere entrante, e 
cercar d’ottenere per ogni guisa l’in- 
tento suo. 

4SI. S’ io ho tenute ec. Tenere 
oche io pastura vale tener femmine 
per prestarle altrui a prezzo ; fare il 
ruffiano. 



432. si tgoceioli il barlello. Si 
dica tutto intero quello che c’’ è da 
dire. — E mitere ec. Intendi , sono 
stato alla berlina. 

434. lo fon più vago ec. Inten- 
di : io son più vago di spogliare gli 
altari, di quello che l’esattore della 
giustizia , o il messo del Tribunale 
che va pel contado a far gravamenti 
a’ debitori , sia vago del paiuolo per 
torlo in pegno. 

438. sara a chi tocca. 0 xara 
all’avanzo; proverbii che vagliono a 
chi ella tocca suo danno. La zara era 
un giuoco antico, che facevasi con tre 
dadi, ed è rammentato da Dante nel 
sesto del Purgatorio; 

Qainiia li parte il giuoco della tara ee. 

sul qual verso dice il Boti : a Questo 
giuoco si chiama zara , per li punti 
divietati , che sono in tre dadi , da 
sette in giù , e da quattordici in su ; e 
però rjuando veggouo quelli punti, di- 
cono Il ginocatori zarA. • La qual voce 
vien forse da azzardare, sebbene al- 
cuni, e Guglielmo Tirio infra gli al- 
tri, la facciano venire da Basarth, no- 
me di un castello di Siria. Ecco le 
precise parole di esso Guglielmo : 
« C'um seilicet circa annum 4200 
transfrelarenl Christiana aeies, ad 
dejiciendos .Syriu, Palestina ae Ju- 
dea barbaros, et convenirent ad mu- 
nitissimuin Syria easlellum, eap- 
tum a Francis, cui nomen H asari: 
tanlaque frepsentia, ut ludus Ha- 
zardi diceretur de more inler mi- 
liles ludus alcatarius. a 

440. provdno. Garoso, ostinato, 
caparbio. 

444. Co’ santi in chiesa. Da 
quel di Danto : 

nella cliio«a 

Cu' santi, cd in taverna co' glii«>ttf>ni , 

/«/., XXII. 

443 . dar le frutte. Bastonare. 

446. Ch’io tirerei l’aiuolo oc. 
Tirar P aiuolo diciamo in proverbio, 
piT non si lasciare uscir di mano 
nulla, nè perdere alcuna occasiono, o 
guadagno, per quanto di poca impor- 
tanza egli sia. 



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CASTO DECIMOTTAVO. 



43 



■I {8. tehiavina cc. Veste da 
schiavi di panno grosso, e la portano 
anche ! romiti e i pellegrini. 

157. un miccino. Un cotal poco, 
modicum. — a iosa. In quantità 
grande, in abbondanza ; e dicesi anche 
in chiucca, a biscia, a busone, a ison- 
ne, e i Francesi dicono d foiton. Il 
Salvini tiene elio tal voce sia corrotta 
da chiosa, che significa il cappello 
delle bullette e ogni piccola piastra 
di metallo ridotta tonda a modo delle 
monete ; e di queste piastre si serviva- 
no, io cambio di monete, i ragazzi nei 
loro giuochi ; laonde essendo oneste 
chiose cosa di nessun valore, dicen- 
dosi che d’ una tal cosa e’ ve n’ è a 
chiosa, o a josa, s’ intende che di essa 
rosa ve n’è si grande abbondanza, e 
per questo a si vii prezzo, eh’ e’ se ne 
può avere fino per una chiosa. 

158. a macco. A josa, a crepa- 
pelle. 

■I 61 . Far degli orecchi zufoli a 
rovaio. Dormire all’aria aperta, sic- 
ché il vento, penetrando dentro agli 
orecchi , produca in essi quei suono 
che pare d’ uno zufolo. Rovaio è pro- 
priamente il vento di tramontana. 
Borea ; d’ onde lo fa venire il Menagio 
a questo modo Bopsot; , borraritis, 
borrario, e per antitesi robario ; onde 
poi robaio, e rovaio. Tuttavolta tengo 
per più probabile la derivazione se- 
guente. Il vento seitentriniiale, facendo 
cader le fronde degli alberi , fa che 
questi rimangano dispogliati , e cogli 
stecchi del tatto nudi , e simili a quei 
pruni che i contadini adoperano a raf- 
forzare le siepi e che si chiamano ro- 
vi. Onde dal ridar cosi a somiglianza 
de’ rovi le piante tutto, o’si può cre- 
dere eh’ egli si sia detto rovaio. 

162. ciantefltno. Centellino, pic- 
cola quantità , quasi jMa ^tegmia 
parte. 

d 65. con mosicrim. CIB rispar- 
mio e con nsnra. 

\ 66. bardellella ec. Piccola bar- 
della, che è una specie di sella con 
piccolo arcione dinanzi , della quale si 
servono i poveri uomini e i contadini j 
cd è anche quella imbottitura che si 
conficca sotto I’ arcione dello selle , 



perche non offenda il dosso della ca- 
valcatura. ^ 

-174. mi starò sodo al macchione. 

Farò il formicon di sorbo , o il cor- 
bacchion di campanile. . _ y' 

480. eibbatle cc. Ciabattò 
cosi si chiamano propriamente le scar- 
pc vecchie e lacere, e quelle scarpe 
all’ apostolica che usano i frati scalzi. 

E dìcesi anche di quei frammenti di 
materiali di coloro che lavorano , e 
ogni sorta di roasserizinole vecchie e 
consumate, che i Latini chiamavano 
Scruta- 

4 82. Costui pur mena ec. Menar 
la mazza tonda significa trattare senza 
rispetto ognuno a un modo, prtSevoì 
éjrt/zsXeiav nytiv. 

483. Zingaro, Arabo o Vsso. 

Sono gli zingari una generazione di 
vagabondi che dicono discendere ab 
antiquo dagli Egiziani , i quali van 
per lo mondo predicendo altrui le cose 
avvenire , c vivendo per lo più di ra- 
pina; il qual costarne è cosi proprio 
di essi , che di qualunque ladroncello 
e mariuolo si suol dire, egli è leale 
come uno zingaro. Il Tassoni nei suoi 
Pensieri diversi (lib. VIII, cap. Ili) 
molto distesamente ragiona di questi 
zingani , e della origine del nome lo- 
ro ; e tiene che I’ uso di andar del 
continuo rubacchiando sia loro nel 
sangue ; perocché è noto come Foroneo, 
che diede a’ popoli d’ Egitto le leggi , 
non vietò loro il rubare ; la c^ual co- 
stumanza par quasi di una in altra 
generazione trapassata ne’ discendenti. 

Il Cardinal Baronie fa derivare il no- 
me loro da Sangara città dell’ Egitto , 
dalla quale gli tien da princìpio venu- 
ti , allorquando, fatto il vergognoso 
accordo, di cui parla Ammiano, da 
Gioviniiino imperatore coi Persi, fnron 
costretti a dovere a questi lasciar vuota 
la patria loro. Il Valcriani , citato pur 
dal Tassoni , nel suo libro do’ Gerogli- 
fici , crede che questa gente sia così 
detta a cincin, ave, il qual noi chia- 
miamo cutrettola , e gli antichi se ne 
servivano a dinotare la povertà , per 
non aver quello uccello nido proprio, 
andando sempre a ricoverarsi negli 
altrui. Il Menagio finalmente , con 



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44 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



meno vemimiQllanza degli altri , si 
pensa cbe l’italiano zincano venga dal 
tedesco zigeuner , che significa Io 
stesso ; ed è voce originata da ziehen, 
che vai far viaggio. Gli Arabi sono 
nn popolo cotanto noto cbe me ne 
asso col dire soltanto che è prnver- 
iale la lor mania del rubare. Gli Uni 
finalmente erano popoli della Persia, 
de’ qnali Scilate , cbe scrisse delle cose 
di' Costantinopoli , repconta che si 
sparsero per I’ Europe. ^ii^to l’imperio 
di Michele Tranlo , e iliidavano predi- 
cendo il fnturo , a guisA.)^egli zìngani. 
Onde il Volaterrano ¥ìmne in sospetto 
che'questi da quelli fosser discesi ; ma 
quanto a questo ben nota il Tassoni , 
che tra gli Ussi e gli Zingani è nn gran 
divario di nome. — trar pel dado. Ti- 
rare pel dado vale proverbialmente co- 
minciare ora , o in quel punto •, ed è 



tolta la metafora dal giuoco, qnando si 
rimette alla sorte il vantaggio del trat- 
to, della mano, o simili. Cosi il Vo- 
cabolario. Vedi ciò cbe intorno a que- 
sto proverbio dice il Minacci nelle note 
al MalmantiU, canto XII, st. SI . 

'185. eerignuta. Che ha lo scri- 
gno, il quale è propriamente quel ri- 
levato che hanno in snila schiena i 
cammelli , e gli uomini ^obbi , e che 
i Greci ehiamavan xupTs;. 

'194. talina. Il luogo dovasi cava 
e raffina il sale. Qui per sale assolu- 
tameute. — caluggine. É propria- 
mente quella prima peluria che inco- 
minciano a metter gli uccelli nel nido, 
e anche quella lanugine che rimane 
sulla carne ad essi quando sono pela- 
ti. Viene da lanugo. — peruggine. 
Pero salvalico. Da pirum, perum, 
perugo, peruggine. 



CANTO ]>ECmOI¥OIVO. 



Di Morgante e Margotte una quistiono 
Fa tirare il calzino a due giganti , 

Cbe data aveano in guardia ad un lione 
Una fanciulla consumata in pianti. 

Si fattamente a sghignazzar si pone 
Margotta, eh’ a una scimia e’ crepa avanti. 
Morgante a Babillooa capitando , 

La sottopone in compagnia d’ Orlando. 



1 Laudale, parvolelli, il Signor vostro, 
y. Laudate sempre il nome del Signore, 

Sia bcnedello il nome del re nostro 
Da ora a sempre insin’ all’ ultim’ ore ; 

Or tu, che insino a qui m’hai il cammin mostro, 
Del laberinlu mi conduci foie,, 

Sicch’ io ritorni ov’io lasciai Morgante, 

Colla virtù delle lue opre sante. ' 




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CANTO DKCIHOKONO. 



4S 



2 Parlironsi costoro alla ventura; 

Vanno per luoghi solitari e strani,/' 

Sanza trovar noai valle nè pianura, 

Non senton cantar galli, o abbaiar cani: 

Pur capitorno in certa vaile oscura. 

Ove e’ sentirno di luoghi lontani >■ 

Venir certi lamenti afililli e lassi. 

Che parean d’ uoin che si rammaricassi. 

3 Dicea Morgante a Margotte : Odi tue. 
Come fo io, un certo suono spesso 

IV una voce, che par che inalzi sue. 

Poi si raccheti ? ella debbe esser presso.^ 
Margiitle ascolta e. una volta e due, 

E poi diceva: Aneli’ io la sento adesso ; 
Questi fien maladrin, ch’assalteranno 
Qualcun che passa, e rubalo l’aranno. 

4 Disse Morgante : Studia un poco il passo, 
Veggiam che cosa è questa, e chi si duole; 
Al mio parere, egli è quaggiù più basso. 
Però per questa via tener si vuole ; 
Chiunque e’ sia, par molto afllìtlo e lasso. 
Quantunque e’ non si scorgan le parole: 

£ se son mascalzon, tu riderai, _ 

Ch’ io n’ ho degli altri gastigali assai. 

5 Poi che furono scesi una gran balza, 

E’ cominciorno da presso a sentire. 

Però che sempre il lamento rinnalza : 

Una fanciulla piena di martire 
Vidono al fine scapigliata c scalza, 

Ch’a gran fatica poteva coprire 

Le belle membra sue, tanto è stracciata, 

E con una* catena era legata. 

6 E un lione appresso stava a quella , 

Che la guardava; e come questi sente, 
Fecesi incontro la bestia aspra e fella; 
Vanne a Morgante furiosamente, 

E cominciava a sbarrar le mascella, 

E volere operar l’ artiglio e ’l dente :_ 
Morgante un gran susorno gli appiccoe 
Col gran battaglio e ’l capo gli schiaccioc. 



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4r> 



IL HOBGiNTE MAGGIORE. 



7 E disse : Che credevi ta far, tnallo ? 

^ granchi credon morder le balene ! 

;Poi verso la fanciulla andò di trailo, 

I Fargli discreta, nobile e dabbene: 

;E domandolla come stessi il fatto, 
Onde-tanta disgrazia a questa avviene. 
Costei pur piange, e Morganle domanda, 
Ma finalmente se gli raccomanda, 

8 Dicendo: Non pigliassi ammirazione. 

Se prima non risposi a tue parole, 

Tanto son vinta dalla passione ; 

^Ma se di me pur per pietà ti duole, 

10 ti dirò del mal mio la cagione, 

Che per dolor vedrai scurare il sole : 
Come tu vedi, stata son seti’ anni 

Con pianti, con angosce e amari affanni. 

9 II padre mio ha fra gli altri un castello. 
Che si chiama Belfigr presso alla riva 

Del Nilo, e Filomeno ha nome qugjio ; 

Un di fuor delle mura a spasso giva : 

Era tornalo il tempo fresco e bello 
Di primavera, ogni prato fioriva: 

Come fanciulla m’andavo soletta. 

Per gran vaghezza d’ una grillandetta. 

i0_ Il Sol di Spagna s’appressava all’ onde, 
E riscaldava Granala e ’l Murrocco, 

Dove poi sotto all’ Ocean s’ asconde ; 

E pur seguendo il mio piacere sciocco 
Un lusignuol sen già di fronde in fronde. 
Che per dolcezza il cor m’ aveva tocco. 
Pensando come e’ fu già Filomena; 

Ma del Nil sempre segnavo la rena. . 

Il Mentre cosi lungo la riva andava, 

11 lusignuol si fugge in una valle. 

Ed io por drieto a costui seguitava. 
Cogliendo violette rosse e gialle; i 
Ma finalmente in un boschetto entrava, 

E’ bei capagli avea drieto alle spalle, 

E posta muterò in sull’ erba a sedere, 

Chè del suo canto n’avea gran piacere. 



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CANTO DECIUONONO. 



47 



13 Mentre ch’io slavo come Proserpina-^ 
Co’^ori in grembo ascoltare il suo canto, 
t Giovane bella, lieta, e peregrina, 

^ 41 dolce verso si rivolse in pianto : 

Vidi apparire, omè lassa tapina! 

Un uom pel bosco feroce da canto : 

Il lusignuolo e’ fior quivi lasciai, 

E spaventata a fuggir cominciai. 

iZ E certo io sarei pur da lui scampata;- 
Ma nel fuggire ad un ramo s’ avvolse •• 

La bella treccia e tutta avviluppala: 

Giunse costui, e per forza la svolse; 

Quivi mi prese, e cosi sventurata 
In questo modo al mio padre mi tolse ; 

E strascinommi insino a questa grolla. 

Dove tu vedi eh’ io son or condotta. 

U Credo eh’ ancora ogni selva rimbomba 
Dov’ io passai, quando costui per terra 
Mi strascinava insino a questa tomba ; 

E s’ alcun salir pietoso quivi erra. 

Questo peccalo so ch’ai cor gli piomba, 

O se giustizia l’arco più diserra ; 

Omè, che mi graflìó più d’ uno stecco. 

Tal che risuona ancor del mio pianto Ecco. 

-15 Le belle chiome mie tra mille sterpi ' 
Rimason, dè’ pensar, tutte stracciate 
Tra boschi e Ira barrati, e lupi e serpi, ' 
Che fur come As^alon malfortunate ; 

Omè, che par che ’l cor da me si scerpi 1 
Omè, le guance belle e tanto ornate 
Furono a’ pruni, e credo che tu ’i creda. 
Troppo felice ed onorala preda ! 

16 I drappi d’ oro e’ vestimenti tutti 

AI loto, al fango, a’ sassi, a’ rami, a’ ceppi. 
Che solo uh bruscolin facea già brutti. 

Poi gli vidi stracciar per tanti greppi : 

Nè creder eh’ io tenessi gli oeghi asciutti , 
Misera a me, comunque il mio mal seppi; 
Ma sempre lacrimosi e meschinelli, / 
Dovunque io fu’, lascioron due ruscelli.'^ 



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48 



IL HOBGANTB HAGGIOBE. 



17 E fur pur già nella mia giovinezza 
E lume e refrigerio a molli amanti 
Arien giuralo e dello per cerlezza 
Che-»fus8in più che ’l Sol belli e micanti;^ 
E molle volle per lor genlilezza 

Venien la nolle con suoni e con canti, 

E sopra tulio commendavan questi, 

Che furon graziosi e ’nsieme onesti., 

18 - Ed or son fatti, come vedi, scuri; 

Cosi potessi alcun di lor vedegli. 

Che non sarien si dispietati e duri, 

Ch’ ancor pietà non avessin di quegli: 

Anzi l’arcbbon negli anni futuri, 
Kicorderiensi già che furon begli; 

Ma per me più non è persona al mondo. 
Cercando 1’ universo a tondo a tondo. 

19 II padre mìo di duol si sarà morto. 

Poi eh’ alcun tempo arà as|)ellato invano; 

E la mia madre sanza alcun conforto 
Non sa eh’ io stenti in questo luogo strano. 
Nè del gigante che mi facci^torto, 

E battami ogni di colla suà mano, 

E faccimi a’ lion guardar nel bosco. 

Tanto eh’ io stessa non mi riconosco. 

20 , 0 padre, o madre, o fratelli, o sorelle, 

O dolce amiche, o compagne, o parente; 

- O membra afflitte, lasse e meschinelle, 

* O vita trista, misera e dolente; 

O mondo pazzo, o crude e fere stelle, 

O destino aspro e ’ngiusto veramente ; 

0 morte, refrigerio all’aspra vita. 

Perchè non vieni a me, chi l’ ha impedita? 

21 È questa la mia patria dov’io nacqui? 

I È questo il mio palagio e ’l mio castello? 
f E questo il nido ove alcun tempo giacqui? 

È questo il padre e ’l mio dolce fratello? 

È questo il popol dov’ io tanto piacqui? ‘ 

È questo if regno giusto, antico e bello? 

1 È questo il porlo della mia salute? 

\ È questo il premio d’ ogni mia viriate? 



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CINTO DECIHONONO. 



49 






22 / Ove son or le mie purpuree veste? 

Ove son or le gemme e le Ricchezze? 

jOve son or già le notturne feste? ' 
j Ove son or le mie delicatezze? 

/ Ove son or le mie compagne oneste? 

Ove son or le fugsite dolcezze? 

Ove son or le damigelle mie? 

Ove son, dico? omè, non son già quie. 

23 Ove son or gli amanti miei puliti? 

\ Ove son or le cetre e gli organetti? 

Ove son ora i balli e’ gran conviti? 

Ove son ora i romanzi e’ rispetti? 

Ove son ora i profTerti mariti? 

Ove son or mììl’ altri miei diletti? 
iOve son I’ aspre selve e’ lupi adesso, 

:-4E gli orsi, e’ draghi, e’ tigri? son qui presso. 

24 Che si fa ora in corte del jnio padre? 

Che si fa or ne* templi e in sulle piazze? 
i Fannosi feste alle dame leggiadre, 

Provansi lance e mille buone razze 
De’ be’ corsier tra l’ armigere squadre: 

Credo eh’ ognun s’allegri e si sollazzo; 

E pur se già di me si pianse alquanto 
Per lungo tempo, ornai passato è il pianto.^ 



25 Misera a me quanto ho mutato il vezzo! 
Esser solevo scalzala ogni sera , 

E porpore S|>ogliar di tanto prezzo, 

Che rilucien più che del Sol la spera^ 

Or de’ miei panni non si tien più pezzo ! 
Quante donzelle al servigio mio era! 

Che ricche pietre ho portate già in testa! 

E stavo sempre in canti, in suoni e ’n festa. 

26 Ed or, come tu vedi, son condotta 
Sanza veder mai creatura alcuna : 

11 mio regai palagio è questa grolla; 

Dormo la notte al lume della luna: 

Or chi felice si chiama talotta. 

Esemplo pigli della mia fortuna : 

J Cascan le rose, e restan poi le spine; 
llSon giudicale nulla innanzi al One. 

II. 6 




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IL HOBGANTE MAGGIORE. 



27 lo fui già lieta a mia consolazione, 

£d or con Giobbe cambierei mie pene ; 
Ogni di questo gigante ladrone 
Mi balte con un mazzo di catene, 

Sanza saper che sia di ciò cagione : 

Credo che sia, perché da cacciar viene 
«- Irato co’ lion, serpenti e draghi, 

E sopra me dell’ ingiurie si paghi. 

2S E vipere, e ceraste, e strane carne 
Convien ch’io mangi che reca da caccia, 
Che mi solieno a schifo esser le starne ; 
Se non che mi percuote e mi minaccia, 
Sicché per forza mi convien mangiarne : 
Alcuna volta degli uomini spaccia. 

Poi gli arrostisce e mangiagli il gigante, 
Col suo fralel che si chiama Sperante. 

29 È lui Beltjaroo : e ogni giorno vanno 
Per questi boschi come malandrini, 

E molte volte arrecalo qui m’ hanno. 
Perch’io mi spassi, serpenti piccini; 
Come color eh’ e’ miei pensier non sanno. 
Alcuna volta bizzarri orsacchìni : 

E perchè ignun non mi possi furare. 

Da quel lion mi facevon guardare. 

30 Cosi di paradiso sono uscita, 

E son condotta in queste selve scure ; 

Già si provò di camparmi la vita 
Burraio, e non potè colla sua scure. 

E con fatica di qui fe parlila, 

E so ch’egli ebbe di vecchie paure: 

Tutto facea perchè di me gl’ increbbe; 

E anco disse che ritornerebbe. 

31 Quand’io ti vidi al principio apparire. 
Mi rallegrai, dicendo nel mio core: 

E’ fìa Burraio, che non vuol mentire, 

Nè esser di sua fede mancatore. 

Per liberarmi da tanto martire. 

Già cavalieri erranti per mio amore 
Combattuto hanno con questi giganti, 

Ma morti son rimasi lutti quanti. 




CANTO DECIMONONO. 



tu 



32 Se voi credessi di qai liberarmi , 

II padre mio, se vivo fossi ancora, 

.Che forse spera par di ritrovarmi, 

^Vi darebbe il suo re!?no ove e’ dimora, , 

• Chè so con gran disio debbe aspettarmi : 
Però s’a questo nessun si rincora, 

■ Io ve ne priego, io mi vi raccomando. • 
Cosi dicea piangendo^ sospirando. 

33 Morganle già voleva confortarla. 

Ma non polea, tanta pietà l’assale.^ 
Mentre eh’ ancor questa fanciulla parla, 
Ecco Beltramo, ch’aveva un cinghiale, 

E comincia di lungi a minacciarla: 

In sulla spalla fenea l’animale, 

Col braccio destro strascinava un orso, 

E sanguinava pe’ gradì e pel morso. 

Zi Vide costoro, e la lesta crollava. 

Quasi dicessi a quella : Io le ne pago.- 
Ecco Sperante che quivi arrivava; 

E per la coda strascinava un drago: 

Questo era maggior bestia e assai più brava 
Del suo fratello, e di far mal più vago : 
-Giunti a Morgante, a gridar cominciorno. 
Tal che le selve intronavan d’intorno. 

35 Morgante guata la strana figura 
De’ due fratelli, e poi li saluloe, 

— Chè gli detlon capriccio di paura; 

Ma l’uno e 1’ altro il saluto accettoe. 

Pur tal qual concedea la lor natura : 

E poi Beltramo a parlar coinincioe : 

Che fai tu qui con questo tuo compagno ? 
Tu ci potresti far tristo guadagno. 

36 - Io vo’ saper chi quel lione ha morto. 

Disse Morgante: Il lione uccisi io. 

Che mi voleva, gigante, far torlo. 

Disse Beltramo : Al nome sia di Dio, 

Io tei farò costar, datti conforto : 

Tu vai cosi qua pel paese mio; 

E so che quel lion certo uccidesti, 

- Per far poi con costei quel che volesti. 



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82 



K. HOBGAINTB MAGGIOBE. 



57 Disse Mòrgante: Amendue siam giganti. 
Da te a me vantaggio veggo poco : . 

. Noi andiam pel mondo cavalieri erranti^ 

/ Per amor combattendo in ogni loco : ^ 

Questa fanciulla che m’ è qui davanti, , 
Intendo liberar da questo gioco : 

Dunque veggiam chi sia di miglior razzà; 
lo proverrò il battaglio, e tu la mazza. 



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41 



Non ebbe pazienza a ciò Sperante: 
Riprese meglio il drago per la coda, 

E una gi^n dragala dié a Mòrgante, 

E disse: Gaglio^ccio pien di broda,* 

Tu sarai ben, come dicesti, errante. 

Se tu credi acquistar qua fama o loda : 
Rechiam per preda serpenti e boni; 

Ed or paura arem di due ghiottoni ? 

Tu ci minacci, ribaldon villano; 

Degli altri ci hanno ancor lasciato Possa. 
Gridò Mòrgante con un mugghio strano, 
Quand’ e' senti del drago la percossa, 

E presto al viso si pose la mano, 

Ghè r una e l’ altra gota aveva rossa ; 
Giltò il battaglio, tanta ira 1’ abbaglia, 

E con gran furia addosso a quel si scaglia. 

... Ed abbracciàrsi questi compagnoni, 
Com’i lion s’abbraccian co’ serpenti. 
Guastandosi co’ morsi e cogli unghioni : 
Mòrgante il naso gli strappò co’ denti, 

Poi fece degli orecchi due bocconi, 
Dicendo : Tu non menti altrimenti. 
Beltramo addosso a Margotte si getta, 

E col baston le costure gli assetta. 

Non domandar se le trovava tutte, 

O se le spiana me’ che il farsettaio ; 

Tocca e ritocca, e forbotta Margotte, 

E spesso il volge come un arcolaio: 

Tanto ch’ai 6n gli avanzavan le frutte, 

E facevai sudar di bel gennaio : 

Saltato avria per fuggir ogni sbarra, 

Pur s’ arrostava colla scimitarra. 




CANTO DECIHONONO. 



53 



i2 Ma Beltramo era si fiero e si allo, 

Che quando in giù rovinava il bastone, 

Lo disfaceva, e piegava allo smalto; 

Se non che pur come un gattomammone 
Margulte spicca molte volte fin salto. 

Per ischifar questa maledizione ; 

Ma fìnalmente disteso Irovossi, 

Com’ un tappeto, che più ^lar non puossi: 

43 Ch’ una percossa toccò si villana, 

Che parve una civetta stramazzata ; 

Alzò le gambe, e in terra si dispiana ; 
Quivi toccò più d’una batacchiata, 

Chè ’l baston suona come una campana, 

E tutta la schiavina ha scardassala : 

Poi cìie sonata fu ben nona e sesta,** 

Beltram chinossi a spiccargli la testa. 

• 

44 Veggendosi Margulte a mal parato^ 
Posò le mani in terra in un momento. 

Per trar due calci com’ egli era usalo ; 

E giunsel cogli spron disotto al mento, 

E conficcò la lingua nel palato 

Al fer gigante, ond’egli ebbe spavento, 

E lutto pien d’ ammirazion si rizza : 
''Allor Margotte in piè subito sguizza. 

45 Vede Beltram che si cerca la bocca, 

E ’l sangue che di fuor già zampillava : 

Il capo presto tra gahabe gli accocca, 

Per modo che da terra il sollevava, 

E poi in un tratto rovescio il trabocca, 

E questo torrion giù rovinava ; 

E nel cader, ciò che truova fracassa. 



46 Questo gailétlo gli saltava addosso. 

Che par che sia sopra una bica un pollo ; 
Dunque gli spron Margulte hanno riscosso: 

Il capo a questo levava dal collo, 

Chè la sua scimitarra taglia l’osso;|P 
E non potè Beltram più dare un crollo, 

Chè quando in terra lo pose Margufte, ^ 
Si fracassorno le sue membra lutlé. 



^ Come se fussi caduta una massa 




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84 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



47 Gran festa ne facea quella fanciulla ; 

Ma in questo tempo che Beltramo 6 morto, 
Morgante con colui non si trastulla, 

Che vendicar volea del drago il torto ; 

Ma d’ atterrarlo ancor non era nulla , 
Quantunque molto si fussi scontorto ; 

E tanto a una balza s'appressi^’no. 

Che insieme ^iù per quella rovinorno. 

4S E si sentiva un romore, un fracasso, 
Insin che son caduti in un burrone, 

I Come quando de’ monti cade in basso 
Qualche rovina o qualche gran cantone ; 
Non vi rimase nè sterpo nè sasso 
Dove passò questo gran fastellone,. 

Chè rimondorno insino alle vermene, 

E dettone un gran picchio delle schiene. 

49 Non si fermoron, che toccorno fondo; 

Ma Morgante disopra rimanca : 

Dette del capo in su ’n un sasso tondo 
Tanto Sperante, che morto il vedea ; 

Poi si tornò su pel bosco rimondo, 

E con Margultc gran festa facea, 

Dicendo: Io non pensai, Margultc mio. 
Trovarti vivo, ond’^io ne lodo Iddio. 






60 Noi siam qua rovinati in una valle. 

Tal eh’ io credetti lasciar le cervella. 

E tutto il capo ho percosso e le spalle ; 

Poi si rivolse a quella damigella, 

Ch’avea le guance ancor pallide e gialle. 
Però che in dubbio e sospesa era quella, 
Che non sa|>eva che morto é Sperante, 

Se non che presto gliel dì^ Morgante. ' 

61 -Non dubitar, non ti doler più ornai, 
Rallégrali, fanciulla, e datti pace; 

C(t|lc mie mani il gigante spacciai, 
KLS^so è morto alle fiere rif>ace, 

,E padre tuo ritornerai, 

Chè linc^à se’ or come li piace: 

;Ed fig pur luogo avuto la giustizia. 

E lutti insieme faccan gran letizia. 



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Vi 



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CANTO DECIMONONO. 



62 £ sciolse alia fanciulla la catena, 

£ disse : Andianne ornai, dama gradila. 
Questa fanciulla d’allegrezza è piena, 

£ spera ancor trovar suo padre in vita; 
Morganle per la man sempre la mena, 
Però ch’eli’ era ancor pure stordita, 

— £ deboi, pe’ disagi e per gli atfanni 
Gh’avea solTerti, misera, molt’anni. 

63 Dicea Margotte : Quel can traditore 
Per modo le costure m’ ha trovale. 

Che non sarebbe cattivo sartore ; 

lo ho tutte le rene fracassale. 

Disse Morganle : S’ io non presi errore, 

£’ li toccò di vecchie bastonale; 

Io li senti’ spianare il giubberello, 

Mentre eh’ i’ ero alle man col fratello. 

64 Cosi tolto quel giorno ragionando 
Vanno costoro insieme pel deserto ; 

Ma da mangiare niente mai trovando. 
Ognun di lor già fame avea sofferto: 
Margulte vede, di lungi guardando, I 
Chè il lume della luna era scoperto, \ 
Una tesluggin eh’ un monte pareva, ( 

E quel che fossi ancor non iscorgeva. 

66 Ma dubitava s’ella è cosa viva, 

O facea caso l’ immaginazione,' 

Nè ancor dirlo a Morganle s’ardiva. 

Non si fidando di sua opinione ; 

Ma poi che presso a questa fera arriva. 
Disse a Morganle: Questo compagnone. 
Non vedi tu che li vien già da fronte? 

Per Dio, ch’io dubitai che fossi un monte. 

66 Disse Morganle: Ella è una testuggine, f 
E mi parca di lungi un monlicello. 

cominciava spiccargli la ruggine 
Col suo battaglio, e spezzargli il cervello; 
Non domandar se lieva le caluggine: 

Quella fanciulla godeva a vcdello. 

Rotte le scaglie, e fracassate tutte. 

Disse: Del fuoco si vuol far. Margotte. 









S6 IL MORGANTB HiGGIORE. 

57 E fece al modo osato sfavillare 

Un sasso, tanto ch’egli ebbe del fuoco: 

Quivi Margutte si dava da fare, 

Dicendo : L’ arte mia fu sempre cuoco. « 
Comincia la cammella a scaricare, 

E la cucina assetta a poco a poco ; 

Poi s’accostava a un gran cerracchione,— ~ 
E rimondollo, e Tenue uno schidione. 

58 E poi ch’egli ebbe assettato l’arrosto, 

E pien di certe gallozze e di ghiande. 

Disse a Morgante: E’ ci manca ora il mosto: 
Assétiati qua a volger cosi grande : 

Io vo’ veder come l’ acqua è discosto ,- 
, E ’ntanto tu arai cura alle vivande. 

3 Morgante rise, e posesi a sedere. 

Perchè Margutte arrecassi da bere. 

r 69 Margutte uscito un poco della via. 

Un certo calpestio di lungi sente; 
t Fecesi innanzi a veder quel che sia: 

^ Ode una bestia, e ’nsieme parlar gente; 

Volle assaltargli, e far lor villania, 

•cv Onde coslor fuggir subitamente: 

JLasciàr la bestia, e due otri di vino, 

^ Ch’ avean pel bosco smarrito il cammino. 

' «0 Margutte si levò gli otri in ispalla. 

Lasciò la bestia andar dove volea; 

Torna a Morgante, e d’allegrezza galla,— 
Però che il mosto all’ odor conoscea : 

"*3 Gomincion la testuggine assaggialla : 

- Margutte disse eh’ arsa gli parea ; 

Pargli mill’ anni d’ assaggiare il mosto ; 

E Analmente cavorno l’ arrosto. 

Com’ e’ fumo assettati insieme a desco, 
Morgante dette una gran tazza piena 
Alla fanciulla, c’ha ’l viso angelesco,- 
Di vin, che gli bastò per la sua cena ; 

Poi si succiò, che parve un uovo fresco. 

Quel che rimase, in men che non balena: 
^E non potè Margotte esser si attento, 

Cbè si succiò quegli otri in un momento. 




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CA^TO DECIHONONO. 



87 



62 E cominciò a gridare: Oimè l’occhio:» 
Morgante, la non bei, anzi tracanni, 

Anzi diluvii, ed io sono un capocchio, - 
l'hè so che ad ogni giuoco lu m’inganni: 
Forse lu stesti aspettare ii finocchio? 

Un altro arebbe badalo mill’anni: 

Per Dio, che lu se’ troppo disonesto; 

Noi partirem la compagnia, e presto^ 

63 Se fussin come le fatti i moscioni, 

E’ non bisognerò’ botte nè lino; 

E forse tu fai piccoli i bocconi ? ^ 

Ma questo non importa come il vino. 

Tu non se’uom da star tra compagnoni. 
Non lasci pel compagno un ciantellino: 

|>el liocorno mi rimase il torso,». 

Or di due otri le n’ hai fatto un sorso. ^ 

64 Morgante avea di Margotte piacere, 

E d’ ogni cosa con lui si molleggia ; 

Dunque Margutle cenò sanza bere, 

E la fanciulla ridendo il dileggia. 

Dicea Margutle: Già ^ buone pere 
Mangialo ha ’l ciacco. E sottecchi vagheggia 
E ciò che dice costei, sogghignava, ! 
Ma con Morgante assai si scorrubbiava^ ^ ’ 

66 Quando egli ebbon cenato, e’ s’ assetlorno 
Dintorno al fuoco, e quivi si dormieno. 

Per aspettar che ritornassi il giorno. 

Su certe frasche, e sopra un po’ di Geno. 

)ì L’alJja mattina il cammei caricorno, 

E pure inverso il cammin lor ne gieno, 
Sanza trovare o vettovaglia o tetto, 

Tanto che pur la fanciulla ha sospetto. 

66 E dicea: Questa selva é tanto folla, 
Morgante, eh’ a guardarla non m’arrischio. 
Dicea Margotte: Che seni’ io? ascolta; 

E’ par eh’ i’ oda di lontano un Gschio.,. 
Giunsono appresso ove la strada è volta: 
Ecco apparir dinanzi uWbavalischio,. 

E cominciava gli occhi a sfavillare; 
Morgante fc la fanciulla scostare. 





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IL M086ANTB MAG610RB. 

67 Arrandellò il battaglio a quella fiera, 

E giunse per ventura appunto al collo, 

£ spiccò il capo che parve di cera, 

£ più di venti braccia via porlollo ; 
Margotte andò dove e’ vide eh’ egli era 
Caduto, e presto a Morgante recollo : 
Dodici braccia misoraron quello 
^ Serpente crudo e velenoso e fello. 

6S Fecion pensier, se fossi d’ am^tillo : 
Diceva la fanciulla : Io ho mangiato 
^Del tigre, del dragon, del cocodrillo; 
Vero è che ’l capo e la coda ho spiccato. 
Disse Margotte : E che bisogna dillo? 
Questo è un mors£lletto ben dorato ; ^ 
lo taglierò solamente la coda, v 
\ E poi r arrostiremo, ed ognun goda. 

69 Cosi fu arrostito l’animale 

- Pur colla pelle indosso com' e’ nacque, 

> E divoralo sanza pane 0 sale, 1 

E come un pinocchiato a tutti piacque : 
Lucifer non are’ pur fatto male : h 

Eravi appresso pel bosco dell’ acque, 
Quindi s’ andorno la sete a cavare ; :i 
^ Margotte più non si volle Gdare. '/ 

70 E disse: Più da bomba non mi scosto, 

Ch’io non mi fiderei di te col pegno, '■ 
Morgante, da qui innanzi, a dirtel tosto, 
Chè lo fai sempre sopra me disegno : ' 
Come del vin faresti dell’ arrosto; ^ ' 

Per tanto io non mi vo’ scostar da segno. 

^ Morgante ride , e la fanciulla scoppia , 

Che par eh’ e’ denti gli caschino a coppia. 

71 Dormi ron come soglion quella notte, 

E r aUro giorno al lor cammin ne vanno 
Per aspre selve e per sì scure grotte, ! 
Che dove e’ sia da posarsi non sanno. 

Pur la fanciulla si ferma ta^otte. 

Però che ’l camminar gli dava affanno : 
Ma di dormire in cosi strano e scuro 
Luogo non parve a Morgante sicuro. 



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CANTO DECIMONONO. 



73 Dicendo : Io non ci ve^so cosa alcuna ] 

Da ber, nè da mangiar, nè da dormire ; ^ 
Acciò che non facessi la fortuna 
Qualch’ aspra fera ci avessi assalire. 
Camminorono al lume della luna ^ 

Tutta la notte con assai martire, 

E ’nsin che fu fornito l’ altro giorno ; 

Chè da mangiar nè da ber mai trovorno. 

73 Ed erono alTamati ed assetati, ^ 

E rotti e stracchi pel luogo cammino; 
^Margotte un tratto glfocohi ha strabuzzati, 
Ch' era pef certo il diaVol tentennino. 

Dicea Morgante: Alargutte, che guati? -> 
lo veggo che tu atlìssi l’occhiolino; 

Aresti tu appostata la cena? 

Disse Margutte": Che ne credi? appena. 

74 lo veggo' quivi appoggiato, Morgante, 

A un albero un certo compagnone. 

Che par che dorma, e non muove le piante: 
Di questo non faresti tu un boccone. 
Morgante guarda : egli era un liofante. 

Che si dormiva a sua consolazione ; . ' 
Ch’era già sera, e appoggiato stava, •• 

Come si dice, e col grifo russava. 

75 Disse Morgante : Dammi un poco in mano, 
Margutte, presto la tua scimitarra. 

Poi s’accostava all’albero pian piano; 

Ma non arebbe sentito le carra. 

Si forte dorme, l’ animale strano. 

Morgante allor nelle bràccia si sbarra, 

E r arbor sotto alla bestia (aglioe , 

Che sbalordita rovescio cascoe. 

74 E cominciava a rugghiar tanto forte , 

Che rimbombava perlutto il paese: 

Dette alle gambe a Morgante due torte 
Col grifo lungo; Morgante gliel prese, 

E colla spada gli dette la morte. 

Tanto che tutto in terra si distese. 

Dicea Margotte: Questa è si gran fiera, 

Ch’ io cenerò pure a macca stasera. ' 




IL MORGANTE MAGGIORE. 



77 £ cominciò assettarsi a cucinare ; 

^ Moraante intanto del fuoco facea, 

E la fanciulla l’aiuta acconciare, 

Però che in aria la fame vedea : 

Mariiutte uno schidione volea fare ; 
Guardando presso, due pin ai vedea, 

Ch’ erono insieme in un ceppo binati ; 

Disse Morgante : Dio ce gli ha mandati. 

78 E fece r un con un colpo cadere. 

Dicendo: Uno scbidion farai di questo; 
Quest’auro ne faremo un candelliere, 

E rimarrassi ritto qui in sul cesto. 

:AI/.ò la spada, e taglioni il cimiere, 

E fece giù la ciocca cader presto; 

Poi fesse in quattro il gambo a poco a poco, 
E appiccògli in sulla vetta il fuoco. 

79 Disse Margotte: Noi trionferemo: 

Veggo la cosa stasera va a gala, ^ 

Poi eh’ al lume di torchio ceneremo : 

Intorno a questo piu sarà la sala , 

£ sotto a questo lume mangeremo; 

Ma perch’io non v’aggiungo colla scala, 
Morgante, e tu v’ aggiugni sanza zoccoli , 

E’ converrà che stasera tu smoccoli. 

80 ’ Disse Morgante : Col nome di Dio 
Attendi pur, Margutte, che sia cotto, 

Ch’ io vo' che questo sia P uficio mio. 
Margutte acconcia l’ arrosto di botto ; 

Poi disse : Volgi ^ e’ sarà por buon eh’ io 
Cerchi dell’acqua, se c’è ignun ridotto: 
Questo, so io, tu non trangogerai, 

Ch’ a tuo dispetto me ne serberai. 

81 Morgante disse arditamente : Va, 

Chè insin che tu ritorni aspetterò, 

£’l liofante intero ci sarà. 

-> Ma non gli disse : In corpo il serberò. 
Margotte in giù e ’n su, di qua, di là. 

Dell’ acqua va cercando il me’ che pnò ; 

1 Tanto che pur trovava nn fossatello, 

\ E d’ acqua presto n’ empieva il cappello. 



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CANTO DECIHONONO. 



fil 



83 Ma non Tu prima dal fuoco parlilo, 

Che Morganle a spiccar comincia un pezzo 
Del liofanle, e disse: Egli è arroslilo; ^ 

E lullo il mangia cosi verdemezzo, 

Dicendo alla fanciulla: Il mio appelilo 
Non può più sofferir, eh’ è m^^vvezzp;^ 

E diégli la sua parie fìnalmenle, ' n 
C ome si convenia, discretamenle.«. 

83 Margulle lorna, e Morganle Irovava 
Che s’avea Irangugialo inaino all’esse 
Il liofanle, e’denli sluzzicava 

Collo schidion del pino ove e’ si cosse; 

Tra le gengie con esso si cercava. 

Come s’ un gambo di finocchio fosse: 

Le zampe sol vi reslava e la lesla; 

D’ ogni allra cosa era falla la festa. 

84 Disse Margulle: Dov’è il liofanle, 

Che lu dicesli di serbare intero? 

. Egli è qui presso; rispose Morganle. 

Diceva la fanciulla: E’ dice il vero, 

E’I’ ha mangialo dal capo alle piante, 

'E non è stalo, al suo parere, un zero. 

Disse Morganle: Io non ti fallo verbo, 

Margulle, poi che in corpo te lo serbo. 

86 Tu non hai bene in Imca studialo: 

Io dissi il ver, ma tu non mi intendesti. 
Margotte stava come trasognato, 

£ dice : Io penso come lu facesti ; 

Può fare il ciel tu l’abbi trangugiato? 
lo credo eh’ ancor me mangiato areali : 

Forse fu buon eh’ io non ci fossi dianzi, 

Ch’ io mi levai dalia furia dinanzi.. 

86 Tu m’ hai a mangiare un di poi, come l’Orco : 
Questa è stata una cosa troppo strana. 

Un atto proprio di ghiotto e di porco,- 
Quel c’ ha fatto la gola tua ruITlana ; 

Tu non sai forse com’ io mi scontorco 
A comportar tua natura villana:- 
Pensi eh’ io facci gelaUna o solci. 

Che ’l capo drento o le zampe esser vuoici? 
u. 6 



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62 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



87 Noi rcgnerem, Morsante, insieme poco; 

Da ora innanzi Ira noi fìa divisa 

^La compagnia, se la non muli giuoco. 
Morcanle smascellava delle risa ; 

Bevve dell’ acqua, e poi se n’ andò al fuoco. 
^ Margulle gli occhi a quella lesta affisa, 
Perché la fame non sentiva stucca, 

E ’l me’ che può come ’l can la pilucca. 

88 E borbottando s’acconcia a dormire; - 
Cosi Morganle, insin che in Oriente 

Il sole e'H giorno comincia apparire, 

E vannosene insieme finalmente : 

.^Margulle sì volea da lui partire. 

Ma la fanciulla lo fe paziente: 

Non ci lasciar, dicea, tra questi boschi. 
Tarilo che almen qualcun uom riconoschi. 

f 89 Dicea Margulle: Io ho sempre mai inteso, 
Che ’gnun non si vorrebbe mai beffare : 

^lo mi vedea schernito e vilipeso, 

E costui stava il dente a stuzzicare. 

Come se proprio e’ non m’ avessi offeso-^ 
Questo non posso mai dimenticare : 

E’ si poteva pur fare altrimenti. 

Che sogghignare e stuzzicarsi i denti. 

90 Questo faceva,e’sol per più dispetto! 
Ch’era proprio il boccoli rimproverarmi, 
Come se fussi stalo mio il difetto; 

Pensa che conto e’ facea d’ aspettarmi. 

Dicea quella fanciulla: Io li prometto. 

Se infine al padre mio vuoi accompagnarmi. 
Io li ristorerò per certo ancora. 

— Margulle pur si racchetava allora. 

91 A questo modo andati son più giorni, 

* Sanza trovare o case o mai persona ; 

Ma finalmente un dì busoni e corni 
Senton sonar, sanza saj)er chi suona: 

Eran certe caselle come fo^i, 

Dov’era una villetta, eh’ è assai buona, 

Air uscir proprio dello selve fore, 

E Filomen tenevon per signore. 



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CANTO DECIHONONO. 



63 



92 Sentendo la fanciulla allor sonare, 

Subiliimcnle al ciel levò le inani: 

Comincia Macometlo a ringraziare, 

Conobbe che que’suon poco lontani 
Erano, e gente vi debbe abitare, 

Perch^sapea i costumi de’Pg^gani: 

Laudalo sia Magone in sempiterno, 

Dicea, chè tratti ornai siam dello inferno. 

93 Morgantc ne facea con lei gran festa. 

Per venirla al suo padre rinienando, 

Però che molto gl’increscea di questa, 

E perchè spera veder tosto Orlando : 

A poco a poco uscir della foresta, 

E vengono il dimestico trovando ; 

E fìnalmente alle case arrivorno. 

Dove sentito avean sonare il corno. ^ 

94 Ma la fanciulla non sapea che quello 
Luogo il suo padre già signoreggiassi: 

Eravi un oste vecchio e poverello: 

Non avea tanto, Morganle cenassi. v v 

— Disse Margotte: Togliamo il cammello. 

E ordinò che questo si mangiassi, v 

E arrostino, com’egli era usato, 

E innanzi al gran Morganle l’ ha portalo. 

95 Morganle diè di morso nello scrigno, i 
E tutto lo spiccò con un boccone ; 

X Margutle gli faceva un viso arcigno. 

Dicendo: Tu fai scorgerti un briccone. 

Ed ogni volta mi paghi di ghigno; 

E fai, Morgante, dosso di bulTone, 

Pur che tu empia ben colesla gola, 

''E mai non fai a tavola parola. 

96 Poi ne spiccò di quel cammello un quarto, 

^ E disse : Io intendo il mio conto vedere : 

Guarda s’ io taglio appunto come il sarto ; 

Tegnamo in man, ch’io veggo il cavaliere: 

Ma pur dal giuoco però non mi parto. 

Ch’io so che Possa non ci ha a rimanere; 

E non è cosa da star teco a scolto ; 

Tu se’ villano, e disonesto, e ghiotto. 



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IL MOHGANTE HAGGIOHE. 

97 L’ osle rideva , e la fanciulla ride: 
Margulte, che fu tristo nelle fasce, 

Col piè sotto la tavola I* uccide , 

£ coir occhietto disopra si pasce. 

Mercante un tratto di questo s’ avvide, 

E disse : Ju se’ uso con basascej^ 

Quella fanciulla onesta^ virtuosa 
Si ristrignea ne’ panni vergognosa. 

9S Dicea Morgante : Tu se’ pur cattivo. 
Come tu mi dicevi, in detti e ’n fatti; 
lo credo che tu abbi argento vivo, 

. Margotte, ne’ calcetti e negli usatti : 

Da questa sera in là, se all’ osle arrivo. 
Acciò che non facessi più quest’ alti, 
Farolli i piè tener nella bigoncia, 

Ch’ io veggo che la cosa sare’ acconcia. 

99 Disse Margulle : Hai tu per cosa nuova 
Ch’io sia cattivo con tutti i peccati. 

Ai fuoco, al paragone, a tutta prova 
Un oro più che fine di carati? 

Io non fu’ appena uscito fuor dell’ uova, 

"■ Ch’io ero il c^o degli sciagurati, 

• Anzi la schiuma di tutti i ribaldi; 

E tu credevi io tenessi i piè saidii 

ICO Non vedi tu, Margutte, quanto onore,.. 
Dicea Morgante, pel cammin gli ho fatto. 
Per rimenarla al padre eh’ è signore? ^ 
Guarda che più non t’avvenga quest’atto. 
Disse Margutte: A ogni peccatore - 
Si debbe perdonar pel primo tratto: 

S’io ho fallato, perdonanza chieggio; 

- Quest’ altra volta so eh’ io farò peggio. 

•tot _ Disse Morgante : E peggio troverrai ; 
Guarda eh’ io non adoperi il battaglio : . 
Forse, Margotte, tu mi crederrai. 

Se un tratto le costure ti ragguaglio. 

Dicea Margutte : Sto non mi terrai 
Legato sempre stretto col guinzaglio. 
Prima che tu vedrai, Morgante, ch’io 
Adoprerò forse il battaglio mio. 



CANTO DECIMONUNO. 






102 Or olire sa, govérnali a tao modo; 
Rispose allor Morgante d’ ira pieno: 
lo so che ’l mio battaglio fia più>sodo,<^ 
E non bisognerà guinzaglio o freno. 
Intanto la fancialla disse : lo odo 
Alcun qua che ricorda Fil^eno ; 

•Conoscilo tu, oste, o sai chi e’ sia, 

E ’n qual paese egli abbi signoria? 

■ 103 Rispose r oste : Quei che tu domandi 

Io intendo Filomen sir del BelGore : «» 
Acciò che più parole non ispandi. 

Sappi che Filomeno è qui signore ;• 

E siam tutti parati a’ suoi comandi 
Per lunga fede e per antico amore, 

E regge il popol suo tranquillo e lieto, 
Come giusto signor, savio e discreto. 



104 Vero è che lungo tempo è stato in pianto, 
Però che gli fu tolta una sua fìglia, « 
Nè sa chi la togliessi ; ed è già tanto. 

Che ritrovarla saria maraviglia: 

Poi che r ebbe cercata indarno alquanto. 
Vestissi a bruno lui e sua famiglia;». 

E non ci gridan più talacimanni ; 

E cosi son passati già self anni. ► 



106 Questa fanciulla diventò nel viso ^ ^ 
Subitamente piena di dolcezza, 

E parve il cor da lei fusse diviso , 

E pianse quasi di gran tenerezza. 
Dicendo : Or son tornata in paradiso,*. 
Dove solca gioir mia giovinezza. 

Pensò di troppo gaudio venir meno, 
Quando senti che vivo è Filomeno- 

106 Morgante molto allegro fu di questo, 

E disse : Io son si contento stasera. 

Che s’ io morissi , non mi Ila molesto : 

^ Margutle mio, noi farem buona cera. 

Ed è pur buon ch’io f abbi fallo onesto. - 
Disse Margutle, che malcontento era: 

Se tanta coscicnzia pur li tocca. 

Ricuciti una spanna della bocca. 

6 ’ 








IL MOKGANTB MAGGIORK. 

107 Non volle la fanciulla palesarsi : 

Domanda della madre e de’ parenti, 

-fi d’ ogni cosa voleva accertarsi , 

Di fratelli e sorelle, e di sue genti : 

Quivi la notte stanno a riposarsi, 

Poi si partirao dall’ osle contenti : ' 

Non parve tempo a rubare a Margotte,'* 
Ché non gli dessi Morgante le frotte. 

108 E del canimin l’ostier ne l’avvisava, 
.Soacapitar volevano a Belliore, 

Chè sempre lungo la riva s’andava 
Del Nilo, e non potean pigliar errore. 
Morgante mentre la rena ()eslava. 

Un coccodrillo dell’acqua esce fore, 

La bocca aperse, e credette inghiottillo ; 
Disse Margotte: Che fia, coccodrillo? 

109 Cotesto è troppo gran hoccon da le. 

V. Morgante in bocca il battaglio gli inirse ; 

D coccodrillo una stretta gli diè, 

E’ denti vi fìccò, si forte il morse. 

Allor Morgante ritirava a sé 

Presto il battaglio, e ’n bocca glielo storse; 

E spezza i denti l’uno e l’altro filo; 

“Poi prese questo, e scagliono nel Nilo. 

Ito ^Un miglio o più dentro al fiume gittollo. 
Come un certo autor, che ’l vide, ha scritto 
E se r avessi preso me’ pel collo, 

Creilo gitlalo I’ arehbe in Egitto >. 

E.4iel cader mori, sanza dar crollo: 

D gran battaglio da’ denti è Iratìlto. 

Disse Margutle: lo lo veilevo scorto, 

Ch’egli scoppiava, se non fossi morto. 

t 

HI Era già vespro, e son presso a quel bosco 
^Dove fu presa già questa fanciulla ; 

E disse con Morgante : Io riconosco 
Il luogo ov’ io fu’ sciocca più che in culla, 

~ Sanza pensar che dopo il mèle è ’l tosco : 
Cosi va chi sè stesso pur trastulla, 

Ed è ragion, s’al fin mal gnene incoglie, 
Chi vuol cavarsi tulle le sue voglie. 



CANTO DECIHONONO. 



67 



• 112 O maladello, o sventurato loco! 

Quivi senti’, Morgante, il lusignuolo,_ 
Colà fu’ trasportata a poco a poco 
Dal suo bel canto d’ uno in altro volo : 

A me pareva a senlirl|^n bel giuoco, 
Vedi che ne segui poi tanto duolo: • 

Ringrazio te, che m’hai qui ricondotta; 

£ sarò savia, s’ io non fui allotta. 

113 E mostrerrolti ch’io non sono ingrata ; 
Ed arò sempre scritto nel mio core, 

CoMe tu m’abbi prima liberata, 

E con quanla onestà, con quanto amore 
Tu m’ abbi per la via poi accompagnata ; 
Ché tran è stato il servigio minore. 

Come fratel, come gentil gigante 

Ti se’ portalo, e non come mio amante.» 

114 Potevi di me far come Beltramo : 

Non hai voluto, ond’ io'coiheTratelIo, 
Come tu ami me, certo te amo, * 

Cosi ti tratterò nel mio castello ; 

Cosi Margotte vo’ che noi Iniltiamo, 
Bench’ e’ fussi alle volle tristerello.— 

Disse Margotte : S’ io feci tristizia. 

Tu dè’ pensar eh’ io noi feci a malizia. 

116 Ecco ch’egli eron già presso alle mura 
Di Filoraeno, or ecco che son drenlo: 

E ’l popol guarda la grande statura 
Di quel gigante che dava spaventò ; 

Ma la fanciulla ignun non ratTìgura.- 
O padre suo, quanto sarai contento I 
Ch’ogni improvviso ben più piacer suole. 
Come il mal non pensalo anco più duole. 

116 Filomcn, che venir sente il gigante ^ 
Colla fanciulla e con un suo compagno, 

E eh’ e’ si fa verso il palazzo avante, 

£ che parea mollo famoso e magno: 

In questo mezzo appariva Morgante; 
Filomen disse; Iddio ci dia guadagno; 
Chi fia costui ? e che fanciulla è questa ? 
Non mi trarrò però la bruna vesta; 



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IL UOKGANTE MAGGIORE. 

117 Non riarò però la mia figliuola; 

Dicea fra sé, chè non la conoscia:*^ 
Maravigliossi ch’ella sia si sola, 

Dicendo : Quesla è strana compagnia. 

Poi fermò gli o^i, ove il disio pur vola, 

E gridò : Questa è Florinella mia ; 

Ma la fanciulla , che di ciò s’ accorse , 

A abbracciar Filoinen subito corse. 

118 Or pensi ognun questo misero padre 
Quanto in quel punto fussi consolato; 

A questo grido correva la madre : ^ 

£ benché Florinetta abbi mutato 
Il viso molto e sue membra leggiadre ^ 

Al primo tratto 1’ ha raffiguralo ;•» 

Ed abbracciò costei pietosamente, 

^E per dolcezza par fuor della mente. 

119 11 popol tutto con festa correva. 

Però che mollo amato è Filomeno : 

Cosi in un tratto la sala s’ empieva. 

t Morganle, eh’ era d’ allegrezza pieno, 
i A F'ilomeno in tal modo diceva : 

Ecco.la figlia tua ch’io li rimeno, 

^ E son contento più eh’ io fussi ancora. 

1 11 perchè Filomen 1’ abbraccia allora. 

120 Ma Florinetta postasi a sedere 
Allato al padre, e riposala alquanto, 

' • Diceva: O Filomen, stu vuoi sapere 

, Del lungo errore e del mio grave pianto, 

, E come io sia vivula e ’n qual senliere, 

. ■^E perchè il mio tornar lardalo è tanto. 

Io li dirò la mia disavventura, 

Ch’ ancor pensando mi mette paura. 

121 ^ E cominciò dal di ch’eli’ era uscita 
Della città, quand’ella andò soletta, 

A coniar com&jclla fussi rapita, 

\ E strascinata trista e meschmella ; 

£ quanto è stata affiitta la sua vita, 

£ la caglia che la tenca stretta, 

E com’ eli’ era dal lion guardata: 

Tanto che piange o^un che 1’ ha ascoltata. 



68 



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CANTO OCCIHUNUNO. 



423 E (olio il popol se ne maraviglia : 

Ognun verso Maron le mani alzava ; » - 

La madre e M |tadre e 1’ allra sua ramiglùr 
D’ orror ciascuno e capriccio tremava. 
Segui più oltre la leggiadra figlia, 

E ’nverso il suo Morgante si voltava : - 

E ogni cosa narrava costei 

Ciò che Morgante avea fatto per lei.»> 

423 Come ai principio e’ 1 ’ avea liberata ... 

Da quel gigante crude! malandrino, 

E come sempre l’ aveva onorata • 

E vezzeggiata per tutto il cammino ; 

E sempre per la man l’ avea menata , 
Siccome padre, o fratello o cugino^ 

E che tanta onestà servata avea. 

Che ’l nome suo non eh’ altro non sapea. 

134 E tante cose dicea di Morgante, 

Che ’l popol tutto correva a furore 
Abbracciar questo, e baciargli le piante;^ 
Filomen gli pose ts^to amore. 

Che in ogni modo volea che ’l gigante ' 
Con lui^vi vessi, e morissi signore. 

Morgante Filomen ringrazia assai. 

Dicendo: Sempre tuo servo m’arai.» 

425 E sempre sarò teco vivo e morto , 

CoM’ anima e col corpo, pur eh’ io possi:' 
lo voglio a Babillona esser di corto, 

E sol per questo di Francia mi mossi, 

Ch’ al conte Orlando farei troppo torto ; ' 
Ma sempre mi comanda, dov’io fossi: 

E pur se Fiorinetta m’ ama seco, « *» 

Io mi starò due giorni ancor con teco. 

426 Diceva Florinetfa : Almeno un anno 
Con meco ti starai, Morgante mio. ^ 

E cosi tutti grande onor gli fanno. 

Anzi adorato è da lor come Dio. 

Margotte e Fiorinetta il gusto sanno, 

E perch’eir ha di piacergli disio, 

_ Disse a Margotte: Attendi alla cucina. 

Che sia provvisto ben sera e mattina. 



70 



IL UOBGANTB MAGGIORE. 



I ' 

|l>7 Non domandar se Margulle s’ affanna , 

^ se parca di casa più che ’l Rallo, 
j £ dice: Corpo mio, fà(fi capanna, 
j Ch’ io l’ ho a disfar le grinze a questo trailo ; 
■'x ^ piove la manna 1 

E salta per letizia com’un malto, 

‘ E slava sempre pinzo e grasso e unto, 
vj,'. EjJella gola ritruova ogni punto. 

128 Mentre eh’ io ero, diceva, iiTEgina, 

Non soleva quest’ esser la mia arte ? 

Cosi cj fussi la mia concubina, /- 

Ch'io gli porrei delle cose dT parte. 

Ma come il cuoco lascia la cucina, 

Co§i dalla ragion certo si parte ; 

— Cosi come .Margulle di qui esce. 

Sarà come cavar dell’ acqua un pesce. 

129 E finalmente e’ provvedeva bene 
La mensa di vivande di vantaggio, 

E d’ ogni cosa che in ItaVola viene 
Sempre faceva la credenza e ’l saggio,*» 

- E qualche buon weeon per sé ritiene, 

E ’n corbona metteva come saggio: 

Alcuna volta nella cella andava^, 

E pel cocchiume le bolle assaggiava ;« 

130 E sapea sopra ciò mille malizie: — 

— Per casa ciò che truova mal riposto^ 

E’ rassettava con sue masserizie 
In un fardel che teneva nascosto 

— In pochi di vi fe cento tristizie, 

E più facea, se non parlia sì tosto; 

^Contaminò con lusinghe e con prezzi 
isebiave e more, e moricini e ghezzi. 

15i A ogni cosa tirava l’aiuolo, 

E faceva ogni cosa alla moresca ; 

— La notte al capezzal sempre ha l’ orciuolo, 

E pane e carne, in gozziviglia e ’n tresca: 

Poi rimbeccava un tratto il lusignuolo, 

E ritrovava, ‘acciò che ’l sonno gli esca, 

— Tutti i peccati suoi di grado in grado, 

E sempre in mano avea ’l bicchiere o ’l dado , 



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CANTO DBCIMONONO. 



71 



132 0 broda che succiava come il ciacco ; \ 

Poi si cacciava qualche penna in bocca, I < 
Per vomitar, quand’egli ha pieno il sacco;'] 
Poi lo^iempie, e poi di nuovo accocca: / 

Ma finalmente, quando egli era stracco, j 

• E che pel naso la schiuma trabocca , | 

E’ conficcava il capo in sul primaccio, • 

Unto e bisunto come un berlingaccio.-^ 

133 E sapeva di vin come un jrlotto, 

Chè dè’ pensar che n* appiatta Margotte ; 

0 E quando egli era ubbriaco e ben colto, ~ 

E’ cicalava per dodipi putte; 

^Poi ribaciava di nuovo il barlotto, 

E conta del cammin le trame tutte : 

E diceva bugie si smisurale, 

Che le tre eran selle carrettate. •• i 

13* Or pur Morganle si volea partire. 
Quantunque Florinelta assai pregassi, 

E cominciò con Filomeno a dire, 

Che la licenzia oramai gli donassi, 

Chè di veder Orlando ha gran desire. * 
Subitamente un gran convito Tassi, 

Per dimostrar maggior magniScenzia 
Al gran Morgante in questa dipartenzia. 

135 E poi che egli hanno lutti desinalo, 

E ragionate insieme molte cose, 

E la fanciulla a Morgante ha donato * 

Di molle gioie ricche e preziose, , 

E molto Filomen 1’ ha ringraziato ; 

Morganle come savio anco rispose. 

Che accettava e 1’ offerte e ’l tesoro. 

Per ricordarci ove e’ fussi di loro.— ^ 

136 Margotte, quando odi questa novella. 
Diceva: Io voglio andar per qualche ingoffo ;» 
E tolse uno schidione e la padella, 

— Tinsesi il visoVe fecesi ben goffo; 

E corre ove sedeva la donzella, 

} E fece dello ’mpronlo e del gaglioffo, 

E disse: 11 cuoco anco lui vuol la mancia, 

O io li tignerò tutta la guancia. 



Di-m. 






- )y Googit 




72 



IL MUUGANTK HAGtilOBE. 



137 Florinella una gemma, ch’avea in lesta, 
Gitiò nella padella a mano a mano; 

— Margiilte ciufla, e la mano ebbe presta, 

£ disse: lo fo, per non parer provano. 
Morg9nle falla gli arcbbc la festa,* 

S’avessi avuta qualche cosa in mano; 

E vergognossi dell’atto si bruito. 

Dicendo: Tu m’ hai pur chiarito in lutto. 

I3g — Margotte si tornò in cucina tosto, 

E cominciò Assettare un suo fardello 

— Di ciò ch’aveva rubalo e nascosto, ^ 

E quel che solea por già in sul cammello ; 

E perch’ e’ vide Morganle disposto ^ 
Di dipartirsi, si pensò ancor quello, 

I Ch’ e’ fussi da fornirsi drento il seno 
Di ghioUornie per due giornale almeno. 

139 E mangia e beve, e ’nsacca per due erri : 
Dicendo: E’ non si truova cotti i lordi, ^ 
Quand’ io sarò per le selve tra’ cerri. 
Morganle intanto al partir par s’accordi, 

E Florinella con lui era a’ ferri, 

A pregar sempre di lei si ricordi ; 

E che tornassi a rivederla presto, 

E non si parla, che prometta questo. 

140 Morganle rispondca ch’era contento, 

E in ogni modo per sé tornerebbe, 

E fecene ogni giuro e sacramento : 

Non potre’ dir quanto il partir grillerebbe; 
^ E abbracciava cento volte e cento 
Quella fanciulla; e non si crederrebbe 
La tenerezza che gli venne al core, 

E quanto Filomcn gli ha posto amore^ 

141 Margulle disse solamente addio, 

-'Però ch’egli era più collo che crudo: 

Morganle, poi che del castello uscio. 

Disse a Margulle: Assettati lo scudo,-- 
Ch’io vo’ sfogarmi, pollroniere e rio, 

Chè tu se’ il cucco mio per certo e ’l drudo : 
Può far Iddio, tu sia si sciagurato? 

- Tu m’ hai chiarito, anzi vituperalo. * 



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CANTO DECIHONONO. 



442 Tu m’ hai pur fatte tutte le vergogne : - 

10 mi credevo ben tu fossi tristo, < 

E ladro, e ghiotto, e padre di menzogne;.— 
Ma non tanto però, quanto n’ ho visto : 

Tu nascesti tra mi^re e tra go^ne, 

Come tra ’l bue e rasin nacque Cristo. •. 
Margotte gli. rispose: E tra’ copresti, 

« E tra le scope.; tu non t’ apponesti. 

443 Io credevo, Morgante, tu ’l sapessi, 

^ Ch’ io abbi tutti i peccati mortali : 

11 primo di, perchè mi conoscessi, 

Tel dissi pure a letter di speziali : » 

Può’ mi tu altro appor, eh’ io ti dicessi? 

f Questi son peccatuzzi veniali : 

Lascia eh’ io vegga da fare un bel tratto 
In qualche modo, e chiarirotti affatto. 

144 Morgante finalmente convenia 

Che in riso e ’n giuoco s’ arrechi ogni cosa, 

E vanno seguitando la lor via : 

*— t*^rano gn di per una selva ombrosa, -- 
E perchè pure il cammino increscia, 

A una fonte Morgante si posa'; 

' - Margotte, ch’avea ancor ben pieno il sacco, 
S’ addormentò come affannato e stracco. 

145 Morgante, come lo vede a giacere. 

Gli stivaletti di gamba gli grasse, 

^ E appiattògli, per aver piac#ref 
Un po’ discosto, quando e’ si destasse. 

. Margotte russa, e costui sta a vedere. 

Poi lo pestava, perch’ e’ s’ adirasse. 

^ Margotte si rizzò, come e’ fu desto, 

E degli usatti s’ accorgeva presto. ^ 

146 E disse: Tu se’ por, Morgante, strano : 

Io veggo che tu m’ liai tolti gli usatti, 

" E fusti sempre mai sconcio e villano. 

Disse Morgante: Apponti ov’ io gli ho piatti, 
E’ son qui intorno poco di lontano ; 

Questo è per mille oltraggi tu m’ bai fatti. 

- Margotte guata, e non gli ritrovava, 

E cerca puire, e seco borbottava. 



li. 



7 




IL MORGiNTE MAGGIORE. 



147 Ridea Morgante, sentendo e’ si cruccia : 
Marcutle pure al fin gli ha ritrovati; 

E vede che gli ha presi una bertuccia, 

E prima se gli ha messi, e poi cavali : 
Non domandar se l^^isa gli smoccia, 
-Tanto che gli occhi son tutti gonfiati, 

E par che gli schizzassin fuor di lesta : 

E slava pure a veder questa festa. ** 



148 



A poco a poco si fu intabaccato 
A questo giuoco, e le risa cresceva ; 
Tanto che ’l petto avea tanto serrato, 
Chc^i volea sfibbiar, ma non poteva. 
Per modo egli par essere impacciato: 
Questa bertuccia se gli rimetteva: 
Allor le risa Margotte raddoppia, 

E finalmente per la pena scoppia. 



f 

t 



14 » E parve ebe gli uscissi una bombarda. 
Tanto fu grande dello scoppio il tuono. 
Morganle corse, e di Margotte guarda, 
Dov’ egli aveva sentito quel suono, 

E duolsi assai che gli ha fatto la giarda . 
Perché lo vide in terra in abbandono : 

E [K)i che fu della bertuccia accorto. 
Vide ch’egli era per le risa morto. 



160 Non potè far che non piangessi allotta, 

- E parvegli s®sol di lui restare, 

Ch’ ogni^oS’ impresa gli par guasta e rotta ; 
— - E cominciò col battaglio a cavare, 

E sotterrò Margulte in una grotta. 

Perché le fiere noi possin mangiare : 

E scrisse sopra 'un sasso il caso appunto, 
^j^Come le risa I’ avean quivi giunto. 



161 E tolse sol la gemma , che gli dette 
Florinelta al partir; I’ altro fardello 
— Con esso nella fossa insieme mette : 

E con gran pianto si parti da quello; 
E per più di come smarrito stette, 

D’ aver perduto un si caro fratello, ^ 
E ’n questo modo ne’ boschi lasciarlo, 
E non potere ad Orlando menarlo. 



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CANTO DBCIMONONO. 



75 



162 Or ecci uno autor, che dice qui 
Che si condusse^r dov’ era Orlando; 

Ma poi di Babillona sì parli, -• 

E venne in questo modo capitando : 

Tanto è, che la sua morte fu cosi; 

I Di questo ognun s’accorda, ma del quando, 
O prima o poi, c’è varie^pinioni, 

.£ molli dubbj, e gran dìspulazioni. 

163 Tanto è, eh’ io voglio andar pel solco ritto 
Ch é in a uLcantar d’ Orlando non si truova 
Dì questo fatto di Margotte scritto, •• 

Ed ecci aggiunto come cosa nuova. 

Che un certo libro si trovò in Egitto, 

Che questa storia di Morganle appruova : 

E r autor si chiama Alfamenonne, 

Che fece gli statuti delle donne. 

164i E fu trovato in lingua persiana. 

Tradotto po’ in arabica e ’n caldea; 

Poi fu recato in lingua soriana, 

E dipoi in lingua g^a e ^i in ebrea, 

I Poi nell’ antica famosa romana, “ 

I Finalmente vulgar si rìduc'èa ; 

^unque è certo la torre di Nembrotto, 

Tanto eh’ egli è pur fìorj|ntin ridotto. 

466 ' Quel eh’ e’ si sia, e’ seppe ogni malizia, 

E fu prima cattivo assai che grande. 

Però che cominciò da puerizia 
Ad esser vago dell’ altrui vivande ; 

•• E fece abito sì d’ ogni tristizia, 

Ch’ ancor la fama per tutto si spande : 

E furon le sue opre e le sue col|>e, • 

- Non creder leonine, ma di volpe. ' 









0 'l,*' 






1661 Or lasciam questo con buona ventura, 

1 Chè la giustizia ha in fin sempre suo loco: 
Morganle attraversando una pianura. 
S’appressa a Babillona a poco a poco. 

Tanto che già si scorgevan le mura; 

— Ed arde lutto come il zolfo al foco 
Della gran voglia di vedere Orlando, 

Che non credea giammai trovare il quando. 



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IL MORGANTE MAGGIORE. 



457 Era già presso al c^po a poche miglia, 

E fu veduto questo compagnone, 

Come un alber di nave di caniglia, 

' E dava a tutto il campo ammirazione ; 

Ma quando Orlando vi volse le ciglia: 
Questo è Morgante, per lo Dio Macone, 

Se ben le m^bra di questo ragguaglio, 
Dicea fra sé, eh’ io conosco il battaglio. 

458 Fecesi presto menar Vegliantino, 

E nondimen la lancia tolse in mano, 

CIm non fussi gigante saracino. 

Perchè la vista inganna di lontano; 
Morgante, come vide il paladino. 

Gli fece il cenno usato a mano a mano: 
GrMò il battaglio cento braccia in alto. 

Poi lo riprese in aria con un salto. 

159 E come al conte Orlando fu più presso. 
Subitamente ginocchipne è posto : 

Orlando smonta, e ’ncontro ne va ad esso, 
E cominciò fé braccia aprir discosto , 

Chè si conosco un grand’amore espresso, 

E disse : Ljeva, Morgante, su tosto; 

E missegli le braccia strette al collo, 

E mille volte e^poi mille baciollo. 

460 Non si saziava a Morgante far festa. 
Tanto che ’l collo ancor non abbandona , 
Dicendo : Che ventura è stata questa? 
Morgante, poi che c’è la tua persona. 

Io non temo più scogli nè tempesta: 

Le mura triemon già di llabillona, 

^ Anzi tremare il del sento e la terra, 

Tanto eh’ ornai terminata è la guerra. 

461/ Io non farei con Alessandro Magno, 

/ Con Cesar, con Annibai, con Marcello, 

O patti, o pace, o triegua con guadagno. 
Da poi che tu se’ qui, caro fratello; 

Ch’ io pur non ebbi mai miglior compagno: 
Io crederrei con te pigliar Babbello, 

E Troia un’altra volta, e Roma antica: 

Or vo’ che mille cose oggi mi dica. 




CANTO DECIMONONO. 



77 



162 Che è d’ Astolfo mio, d’ Arnaldo, Ugsieri, 
D’AngioIin di Baiona e del mio Namo? 

Ch’ è del mio caro e gentil Berlinghieri, 

Ch’ è di Salamon mio eh’ io tanto amo? 

Che è d’ Ottone, Avolio, Avin, Gualtieri, 
Che é de’ miei fratei che noi lasciamo 
Ricciardo, con Alardo, a Montalbano? 

Ch’ è di quel traditor del conte Gano ? - 

163 Qnant’è che tu ti partisti da Carlo? 
Dimmi se Gano è tornato a Parigi, 

E s’ egli attende , al modo usato, a farlo 
Seguire i suoi consigli e’ suoi vestigi ; 

Tanto che possi alla mazza gnidarlo : 

- Ha fatto l’ arte il nostro Malagigi •• 

A questi tempi ? e detto dov’ io sia , 

E com’ io abbi qua gran signorìa ? 

164 E come Persia ho presa e l’ Amostante 
Dopo por molta fatica ed affanno ? 

Allor si rizza e risponde Morgante, 

Che Carlo e’ paladin ben tutti stanno, 

.. E Malagigi come negromante 

Detto gli avea come le cose vanno r 
^ E che Gano era scacciato in esilio. 

Che Carlo noi vuol più nel suo concìlio. 

165*^ E come la Gglioola del Snidano, • 

Che si chiamava la famosa Antea, 

Si slava con Ricciardo a Montalbano, 

E grande onore il popol le facea, 

E quel eh’ ella avea fatto fhre a Gano: 

Della qual cosa Orlando si ridea. 

E cosi inverso il padiglione andorno, 

E molte cose ragionare il giorno. 

166 Quivi Rinaldo, Ulivier, Ricciardetto 
Abbraccian tutti Morgante lor caro ; 
Morgante nuove di Francia ha lor detto. 

Poi di Margotte molto ragionare, 

( Come e’ mori ridendo il poverello, 

E come insieme pria s’ accompagnare : 

E conta d’ ogni sua piacevolezza, 

^ E lacrimava ancor di tenerezza. 

V 



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78 



IL MOBGANTE UAGGIORE. 



'<67 Quivi fecion codrìsIìo di pigliare 
La città, poi che Morgante è venuto; 
Comincion la battaglia apparecchiare. 

Ed ogni cosa che fanno è veduto : 

Que’ della terra cominciono armare 
Le mura, e ordinar quel eh’ è dovuto; 

E cominciossi una fiera battaglia, 

^ E per due ore durò la puntaglia. • 

•les Morgante por verso la porla andava. 
Ch’era tutta di ferro e molto forte ; 

I Saracini ognun forte giltava 

E sassi e dardi, per dargli la morte: 

Ma ’l fer gigante tanto s’ accostava, 

» Che col battaglio bussava le porle ; 

Ma non poteva spezzarle a gnun modo. 
Benché questo battaglio è duro e sodo. 

169 Più e più volle percuote e martella; 

Ma poi che vide che poco valeva, 

E’ s’ appiccava a una campanella, 

E con gran forza la porta scoleva; 

Ma i sassi gl’ intronavan le cervella , 

Chè in sul cappel disopra gli pioveva: 

E sente or questo or quell’ altro percuotere; 
Allor più forte cominciava a scuotere. 

170 * Era una torre di mura si grossa 
Sopra la porta, eh’ iin gran pezzo resse ; 
Ma quando e’ dava Morgante una scossa, 
Non è tremuolo che tanto scotesse : 

Tanto che T'ha tutta intronata e mossa, 

E finalmente in più parte si fesse, 

Ch’ era tenuta cosa inespugnabile, 

E parve a tutti una cosa mirabile. 

171 Orlando stupefatto era a vedello 
Alcuna volta sue forze raccòrrò, 

Ch’arebbe fallo cader Mon^bello; 

E dette un tratto una scossa alla torre. 

Che mai Sanson non la diè come quello ; 

II campo lutto a veder questo corre, , 

E fella rovinar giù d’alto in basso, 

Che mai non si senti si gran fracasso ; 



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CANTO DECIMONONO. 

■* % 

472 E ’l polverio n’ andò inaino alle stelle. 
Morgante colla porta si copria, 

Come si fa con palvesi o rotelle, 

Chè i sassi non gli faccio villania ; 

Quelle gente disopra meschinelle, 

|Chi morto e chi percosso si vedia, 

■ Chi rotto il braccio, e chi il teschio ave’ aperto, 
lE chi da’ calcinacci è ricoperto. 

47^* Chi mostra il piè scoperto, e chi gambetta, 
jChi colle gambe all’erta è sotterrato, 

/ Chi ha tra sasso e sasso qualche stretta 
I Avuto, e come morto è rovesciato; 

Chi sangue fuor per gli occhi e ’l naso getta. 

Chi zoppo resta, e chi monco e sciancato: 

Era a veder sotto questa rovina 
Morti costor com’ una gelatina. ^ 

474 I terrazzan, che difendon le mura. 
Maravigliati fuggon tutti quanti, 

‘ E paion tutti morti di 'paura :* 

Nostri Cristian si fecion tutti avanti. 

Ognun dicea: Può far questo Natura? 
Morgante non si mota ne’ sembianti; 

E perdi’ e’ fussi la strada spedita, 

‘ Certi canton col suo battaglio trita. 

475 E grida al conte Orlando : Àndianne drento , 
Seguite me, non abbiate sospetto, 

^ Chè Babillona è nostra a salvamento. 

Per onta e disonor di Macometto. 

1 Saracin fuggi^n pien di spavento 
Dinanzi da quel diavol maladetto: 

Orlando e tutti gli altri drento entrorno, 

E tutti inverso la piazza n’ andorno. 

476 Era all’entrare un gran borgo di case; 

Vero è che tutte son di terra e d’asse; 

Di queste ignuna non ve ne rimase. 

Che ’l gran Morgante non le fracassasse ; 

— Or pensa a quanti le zucche abbi rase. 

Prima che tante case rovinasse : 

Di qua di là la mazza mena tonda, 

Dovunque e’ passa ogni cosa rimonda. 




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80 



If. HOlGiNTE VAGGIORK. 



ITT I ciltadini al fin s’ accordàr tutti, 

Che pii;lin la città ganza contesa, 

Pur che non sien da Montante distrutti; 
E cosi resta Babillona presa, 

E fu posto silenzio a molti lutti : ^ 

Però ch’egli era già la fiamma accesa, ; 
E stavano i Pagani a veder poco, ( 
Chò col battaglio morieno e col fuoco. 

Orlando nel palazzo fu menato, . 
E posto in una sedia a grand’ onore , | 

E quivi al modo lor fu coronato 
Di Babillona e Snidano e Signore; ^ 
E mollo il Veglio suo ebbe onorato. 

Però che gli portava troppo amore, 

E fecel grande Arcaito in Soria , 

E governava lui la signoria. 

m 

m Un di eh’ a spasso per la terra vanno, 
Era salito in su ’n un torrione, 

Com’ è usanza, un buon talacimanno. 
Disse Morgante : Udite il corbacchione. 
Che serra 1’ uscio, ricevuto il danno, 

E viene a ringraziar testé Macone! 

Non domandate, com’ io mi colleppolo, — 
Di farlo venir giù sanza saeppolo 

180 E detto questo, il battaglio gittava, 

E pose appunto la mira alla testa, 

E pure il corbacchion lassù gridava : 

Ecco il battaslio con molla tempesta, 

Che ’l capo inverso gli orecchi pigliava, 
Come Morgante disegnoe a sesta : 

E mti^re che gridava, glielo schiaccia, 

E por^lo alto più di cento braccia. 

181 Or lascf^ questi in Babillona stare, 

E ritorniamnujin poco a Montalbano, 

)_ Dov’ era Antere’ ha fatto imprigionare, 
Come in l’altro cantar dicemmo, Gano ; 
Ma per poter meglio il dir seguitare, 

^ Preghiamo il ciel ci tenga la sua mano , 

, E direm tutto nel cantar fiiluro; 
i Guardivi il figlio di Giuseppe puro. 



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CANTO DECIMONONO. ' 



81 



BirOT E. 



IO. il iol di Spagnaee. Era in 
sul farsi sera , e però la fanciulla d’in 
sulle sponde del Nilo vedeva il sole 
appressarsi alle onde di Spagna , cioè 
al mare Atlantico , e scaldare Grana- 
ta e 'I Marocco che restano all’ occi- 
dente dell’ Egitto. — Pen$ando come 
e" fu ee. Il come Filomela fu cangiata 
in usignolo , vedilo distesamente in 
Ovidio, Metamorfoii, lib. VI. 

12. Proierpina. Moglie di Plu- 
tone , il quale la rapi mentr’ ella stava 
cogliendo fiori sull’ Etna. 

17. mieanti. Splendenti; dal la- 
tino mtcans. 

35. capriccio di paura. Capric- 
cio significa , in questo luogo , quel 
tremore che scorrendo per la persona, 
o per orror di checchessia , o per feb- 
bre sopravvegnente , fa arricciare i 
peli. Sono alcuni che credono, secondo 
riferisce il Menagio, che questa voce 
derivi da capra , conciossiachè sia opi- 
nione del volgo quell’ animale non ri- 
maner mai senza febbre ; come , sol 
testimonio d’ Archelao , asserisce Pli- 
nio : > Aurtèus ea$ spirare , non na- 
ribui, nee umquam febre carere, 
Arebetaus auctor est. <> Altri poi da 
capra similmente tengon che venga , 
per una tal qual somiglianza che par 
loro essere fra i peli arricciati di chi 
prova orrore, o ha la febbre, colle 
corna delle capre ; ma cosiffatta eti- 
mologia sente non poco di strano. 

43. la schiavina ha scardassata. 
Percossa , lacerata ; tolta la figura dal 
raffinare che si fa la lana collo scar- 
dasso , affinchè essa si possa filare. 

57. eerracchione. Cerro grande; 
cerrus proeera. 

60. d' allegretta galla. Gallare 
significa lo stesso che galleggiare ; e 
figuratamente dicesi ancora dell’animo 
quando si solleva e s’ innalza, e quasi 
galleggia. Onde Dante disse (Purg. X): 

Di ebe 1’ animo vostro in alto galla ? 

68. un morselletto ee. Picco! boc- 
cone , ma per lo più di materia medi- 
cinale. 



74. la' dotte. Talora , talvolta , a 
quando, e simili. 

73. gli occhi ha strabuzzati. 
Strabbuzzare vale stravolgere gli oc- 
chi affissando la vista. 

74. e appoggialo slava. Si rac- 
conta che 1’ elefante non potendo, per 
la struttura sua, porsi a giacere, suo- 
le, per dormire, appoggiarsi al tronco 
di qualche albero. 

79. a gala. Gala significa un cer- 
to ornamento quasi simile allo slro- 
phium degli antichi , fatto d’ una stri- 
scia di trina o di panno lino sottile , 
lavorato a trapunto con ago, che le 
donne osavano portar sul petto , al- 
quanto fuor del busto. Viene per av- 
ventura dal greco xoilo;. S’ adopera 
tuttavolta per ornamento a abbelli- 
mento in generalo ; onde si dice star 
sulle gale , e simili , per attendere 
agli ornamenti e alle foggia. Vale 
anche garbo, bel modo, e simili ; come 
in questo luogo. 

86. salci. Era il soldo una sorta 
di condimento o conserva , o anche 
un manicaretto di carne sminuzzata o 
tritata a modo di salsiccia , e tenuta a 
stazionare in aceto, con diversi ingre- 
dienti, secondo il Redi, il quale crede 
sia venuto di Provenza , leggendosi nel 
rimario provenzale : • Solz, idest car- 
nei tn aceto. » 

99 . il caffo degli sciagurati. Caffo 
si chiama il numero che non si può di- 
videre in due parti eguali di numeri 
interi. E perchè gli antichi prendevano 
il numero caffo per il numero più per- 
fetto , per dinotare alcuna singolarità 
in un nomo, o in altra cosa, dicevano 
egli è il caffo. Anche i Greci chiama- 
rono questo numero nepirroi, che si- 
gnifica appunto prmitani, excellens; 
e più propriamente • qui est ultra id 
quod esse debel, modum excellens. 
nimius , supervaeaneus , redun- 
dans,‘ e per lo contrario chiamavano 
aprioi, cioè integer, plenus, abso- 
lulus.il numero pari. Pertanto caffo de- 
gli sciagurati non altro vale che il più 
singolare , il più sciagurato fra gli al- 



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82 



IL MOBGANTB MAGGIOBE. 



tri ; e noa è da ammettersi che caffo 
derivi da capo, cambiato p in co- 
me crede il Menagio. 

t27. corpo mio, fàtli capanna. 
Modo proverbiale proprio dei golosi, i 
quali per saziar la loro voracità , vor- 
rebbero ebe il lor corpo potesse addi- 
venir largo e capace come una capanna. 

452. come un berlingaccio. Si 
chiama berlingaccio il giovedì che va 
innanzi il giorno ultimo del carnevale, 
ebe dicasi anche giovedì grasso. S'usa 
dai popolo in detto giorno di darsi a far 
buona vita , e attendere con ghiottor- 
nie e leccornie a godere e trionfare. 
Chiamasi questo giorno berlingaccio da 
berlingare, che significa cinguettare , 
ciarlare, e simili, massimamente, dice 
il Varchi nell’freolano, quando altri 
avendo pieno lo Stefano e la trippa 
(ebè COSÌ chiamano i volgari il corpo o 
il ventre) è riscaldato dal vino; e da 
questo verbo chiamano i Fiorentini 
berlingaiuoli e berlingatori coloro, i 
cali si dilettano d’ empiere la mori- 
a , cioA la bocca, pappando e leccan- 
do. E da questo pure si chiama a Fi- 



renze berghinella una fanciulla che 
vada , per mo’ di dire, sberlingaccia li- 
do , e volentieri si trovi a gozzoviglie 
e per le taverne, e per conseguente 
di mala fama. Ora berlingare, secon- 
do la Crusca , vien quasi a dire bere 
e lingnare, cioè ciarlare e cinguetta- 
re, avendo ben bevuto. Il Menagio 
poi dice : • Credo da carie Unguare. 
Unguare per loqui 1’ usarono i Lati- 
ni. Nelle Glosse d’ Isidoro: bene Un- 
guatai, eUyquent. • 

156. ingoffo. Significa picchiata : 
come musone, rngiolone e simili; ed 
anche boccone gìttato altmì in gola 
per farlo tacere; onde figuratamente 
si prende per donativo , presente, co- 
me in questo luogo. 

1 59. e ’niaeea per due erri. Erro 
significa quel ferro che suolsi tenei-e 
affisso accanto ai pozzi per raecomaa- 
darvi le secchia. — era a' ferri.Seìej 
ere a stretto ragionamento , n simili. 

179. eom'to ms eoUeppolo.Collep- 
polare significa gongolare , dimenarsi 
tutto per l’allegrezH. — saeppolo. Arco 
da pallottole per saettare gli necelli. 



CANTO VENTESimO. 

dim(BiDjaairir(D» 

Non sono i furbi mai sanza fortuna: 

La cosa è chiara in Gano imprigionato. 
Orlando in liberarlo uomini aduna , 

E in mar viaggia alle procelle allato. 

Di Morgante piu star non vuol digiuna 
La morte , sicché un granchio l’ ha ammazzato. 
Liopante muor , che Aldinghier lo stiaccia , 

Con cui ognun s’allegra, e te lo abbraccia. 

i Magnifìca il Signor T anima mia, 

E rallegralo è nella sua salale 
Lo spirlo di quel ben eh’ ognun desia; 
Perch’ e’ conobbe Ira le mie virlule 
L’ umillà di sua ancilla giusla e pia, 
Elernalmente da lui prevedale : 

Cosi com’ in le fu sempre umillade, 
Aiuta or me per tua somma pietade. 



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CANTO VENTESIMO. 



83 



2 Era tanto la mente mia legata 
Dal bel cantar dinanzi, ch’io trascorsi 
Alquanto fuor della via prima osata ; 

Or dell’ error commesso mi rimorsi , 

Torno a laudar te. Vergine beata. 

Colla cui grazia sol la penna porsi 
A questa istoria , e tu m’ aiuterai , 

E ’nsino al fin non m’ abbandonerai. 

.) Gano scriveva un giorno a Malagigi, 

Che prieghi Antea che debba liberarlo ; 

Chè sa che più tornar non può in Parigi, 
Però che sbandeggiato era da Carlo ; 

E che Rinaldo è in guerra e ’n gran litigi, 
E grande amor lo sforza ire aiutarlo : 

E se dovessi lasciar ben la pelle, 

Gli arrecherà di lui buone novelle. 

4 Malgigi, poi che la lettera lesse. 

La stracciò prima , e beffe ne facea. 

Poi gl’ increbbe che in career tanto stesse ; 
E finalmente un di pregava Antea, 

Che Ganellon liberar gli piacesse, 

E per suo amore Antea gliel concedea : 

E cosi Gan di prigion fu cavato, 

E ’nverso Pagania presto n’ è andato. 

6 Va discorrendo per molti paesi, 

E cerca por d’ Orlando investigare ; 

Orlando e tutti gli altri erano attesi 
Di Spinellane il corpo ad onorare, 

E rimandato 1’ ha con ricchi arnesi 
Nella sua patria, e fatto imbalsimare, 

E da quattro destrier bianchi è portato 
Alla sorella, ov’ egli era aspettato. 

6 II re Gostanzo ha fatto similmente, 

•Chè si ricorda de’ suoi beneficj, 

Ed onorata tutta la sua gente, 

E dato a chi volea di loro uficj : 

In questo mezzo il traditor dolente, 

Ch’era il padre di tutti i maleficj. 

Per tutta Pagania ne va cercando ; 

Ma non poteva ancor trovare Orlando. 



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84 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



7 Piani^endo va la sua disavvenlara 
Per molli mesi, e per paesi strani ; 
Entralo un di per una valle oscura, 

Quivi trovò certi paslor pagani , 

Che si dole^n d’ una loro sciagura, 
Perch’eran sassinati come cani, 

Rubali a forza da un gran pastore, 

Ch’ era tra lor quasi fallo signore. 

8 Gan domandò chi questo paslor sia: 
Egli risposon: Un che s’ è arricchito. 

Che ci fa spesso mala compagnia ; 

Perchè un Cristian fu già da lui tradito, 
E lolsegli un cavai, quand’e’ dormia. 

Poi lo vendè; dond’egli è insuperbito. 
Che ne toccò dal mastro giustiziere 
Tanto, che sempre potrà ben godere. 

9 II cavallo era d’un certo Rinaldo 
Re’ paladin di Francia del re Carlo: 

E’ lo ’nvilò a mangiar questo ribaldo, 

E non si vergognò poi di rubarlo : 

Per questo egli è di que’ danari or caldo. 
Che si vorre’ allreltanlo comperarlo. 

Per impiccarlo poi. Gano ascoltava, 

E domandò dove il pastore stava. 

■10 E’ gli moslrorno ove abitava questo : 
Diceva Gan : Con meco ne verrete ; 

Non si potrebbe trovare un capreslo? 

Ch’ io vo’ impiccarlo, e voi m’ aiuterete. 
Un de’ paslor gli rispondeva presto : 

Noi torrem la maestra della rete ; 

E finalmente trovorno il pastore : 

Gan lo minaccia, e chiama traditore. 

11 Ricca il paslor: Tradilor non fu’ mai. 
Sarei io forse mai Gan di Maganza? 
Che t’ ho io fallo, o chi cercando vai? 
Non è d’ ignun de’ miei tradire usanza. 
Rispose Ganellon : Tu lo vedrai, 

Poi che tu parli con tanta arroganza; 

Tu se’ colui clte rubasti il cavallo ; 

Per tanto io tiferò caro coslallo. 



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CANTO VENTESIMO. 



'12 Tu lo vendesti al mastro giustiziere. 
Disse il pastor : Cotesto non si nega : 

Io l’ allevai puledro quel corsiere ; 

£ ’I me’ che sa le sue ragioni allega. 

Gan finalmente lo fece tenere 
Da due pastori , e ’l capresto gli lega , 

E sopra un alto sughero impiccollo, 

E lasciai quivi appiccato pel collo. 

'13 Dette di piede al suo Mattafellone, 

E ritornossi in sulla mastra strada. 

Trovò certi giganti in un vallone, 

E vollongli la man porre alla spada : 

Gan si scostò ; diceva un compagnone : 

Noi vorremo saper dove tu vada, 

E se tu se’ Saracino o Cristiano, 

Tanto che ’l nome suo disse allor Gano. 

14 Un di questi'giganti gli rispose: 

Tu suogli essere il fior de’ traditori : 

Tu hai già fatte tante laide cose. 

Che fia mercè punirti de’ tuo’ errori. 

Gan presto la sua lancia in resta pose, 

E per disdegno par che si rincuori; 

E ’l primo de’ giganti ch’egli afferra. 

Lo traboccava morto in sulla terra. 

16 Gli altri gli son con mazzafrusti addosso 
Gan colla spada da lor si difende,' 

E taglia a uno il naso insino all’ osso ; 

Ma intanto 1’ altro di drieto lo prende, 

E finalmente dell’ arcion l’ ha mosso. 
Tanto che Gan per forza se gli arrende, 

E portalo di peso in un palagio, 

Per istraziarlo a lor modo per agio. 

16 E dicean tutti : Stu vuoi dire il vero, 
Rinaldo qua ti manda per ispia ; 

Ma non è riuscito il suo pensiero : 

Noi vogliam or saper dove quel sia ; 
Perchè, passando per questo sentiero, 

A un nostro fratei fe villania , 

E ammazzollo per uno stran modo, 

Ma d’ ogni cosa pagherai tu il frodo. 



11 . 



$ 



86 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



i7 Ganellon ch’era malizioso e (rislo, 
Diceva: Io son suo capila! nimico, 

Ed è «ran tempo già eh’ io non l’ ho visto : 
Di Carlo ha fallo eh’ io non sia più amico ; 
Io lo perseguo come Pagol Crislo, 

Però che ’l noslro sdegno è mollo antico ; 
Dunque io mi dolgo se l’ ha fallo torlo, 

E mollo più del tuo fralel c’ ho morto. 

<8 Ma ciò eh’ uom fa per difender la vita, 

E lecito, e d’ averne discrezione; 

Perdi’ io mi vidi la strada impedita. 

Io feci solo per mia difensione. 

E si ben ebbe questa tela ordita. 

Che gli mutò di loro opinione ; 

Ed accordàrsi di conducer quello, 

Dov’ era la lor madre , in un castello. 

19 Era chiamala la madre Creonla, 

E Ganellono innanzi gli è menato; 

E ciò eh’ è stato ogni cosa si conta, 

E come egli ebbe il figliuolo ammazzalo : 

E mentre ch’ogni cosa si raffronta, 

Evvi un pastore a caso capitalo. 

Quel che provvide si tosto al capresto, 

E riconobbe ben chi fussi questo. 

SO Quand’egli ha inteso ciò che si ragiona. 
Che Ganellone in career fussi messo. 

Sapeva come Orlando è in Babillona; 

E accostossi quanto potè appresso, 

E disse: Io vo’ camparti la persona; 

Sappi eh Orlando è in Babillona: adesso 
Io vo a trovarlo, e sarò presto seco; 

E son colui che impiccai colui leco. 

21 Gan fece vista non l’avere inteso. 

Perchè del suo parlar nessun s’ accorse ; 

E fu menato alla prigion di peso. 

Perchè la donna era rimasa in forse 
D’ ucciderlo, o tenerlo cosi preso • 

Questo paslor la notte e ’l giorno corse, 
lanto eh’ a Babillona trovò Orlando, 

E del suo Ganellon gli vien contando. 



DigitlZ’ ' 



cìnto ventesimo. 



87 



22 E dice con Rinaldo : Egli è dovalo, 

Al mio parer, la cerchi d’aialallo, 

Chè per mio mezzo alle man gli è venalo 
Colai che ti rahò già il tuo cavallo; 

E per tuo amore anch’io gli delti aiuto, 

E con lui insieme mi trovai a ’mpiccallo : 

E di questi giganti n’ha morto uno. 

Che son pur tuoi nimici, e sallo ognuno. 

23 Per molte vie qui la ragion vi chiama. 

Di non dover costui lasciar morire ; 

Chè pare un cavalier di molla fama. 

Ed ha mostralo d’ aver grande ardire. 

Dunque il pastor ben ordina la trama, 
Bench’e’sia usu gli armenti a servire, 

E star co’ lori, e co’ porci in pastura, 

Chè lor non puossi quel che dà natura. 

24 E molto piacque il suo dire a’ baroni, 

E feciongli accoglienza grata e festa, 

E deltongli cavallo e altri doni. 

Massimamente una leggiadra vesta: 

E disson che tornassi a’ suoi stazzoni, 

A dir che la brigata fia là presta, ^ 

E confortassi da lor parte Gano, 

Che presto sare’ liber lieto e sano. 

25 Fecion costoro insieme parlamento. 

Che si dovessi pur Gano aiutare; 

E la città tutta ordinoron drento. 

Che si dovessi a governo lasciare; 

Poi furono a cavallo in un momento, 

E parve loro il meglio andar per mare: 

E vannosene inverso la marina, 

E il gran Morganle allo statTe cammina. 

26 E portano un lion nel campo nero 
Nello stendardo e in ogni loro arnese; 

Questo fu di Rinaldo un suo pensiero. 

Per esser là all’ usanza del paese. 

Arrivorno ad un porto forestiero : 

Evvi una nave stata forse un mese. 

Che non voleva in mar mettersi drento. 

Perchè ’l nocchier, eh’ è savio, aspetta il vento. 



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8S IL HORGANTE MAGGIORE. 

27 L’ OD de’ padron si chiamava Scirocco , 

E r altro Greco di buona dottrina ; 

Questo era tanto dolce, ch’egli è sciocco; 
Quell’auro è tristo, e di mala cucina : 
Rinaldo a quel eh’ è tristo dava un tocco ; 
Lievaci tosto, e pagati, e cammina. 

Costui levar non gli vuol per niente. 

Dicendo : Il tempo reo non lo consente. 

28 E poi salvum me faeche vuol far, prima 
Ch’egli entrin drente, inaino a un quattrino: 
Morgante gli rispose per la rima : 

10 metterò la nave e te a bottino. 

Questo Scirocco non ne facea stima. 

Ma ’l buono e ’l bel, come Pagol benino 
Disse a Scirocco: Di levargli é buono, 

Ch’ io so che cavalier discreti sono. 

29 Morgante fu per traboccar la nave, 

Quando il pié pose all’ una delle bande. 

Tanto era smisurato e sconcio e grave: 

Disse Scirocco: Tu se’ tanto grande. 

Che non ti sosterrebbe dieci trave. 

Disse Morgante : Aspetta alle vivande ; 

Che dirai tu, se tu mi vedi a scotto? 

E’ converrà che ci sia del biscotto. 

30 Come il Sol sotto all’Ocean si cela. 

Parve a Scirocco che buon vento sia ; 

E hnalmente la nave fa vela, 

E Greco intanto comanda la via: 

Lncea la luna come una candela, 

Un nugoluzzo sol non si vedia; 

Con gran diletto quella notte vanno, 

Che del futuro, miseri, non sanno. 

31 L’ altra mattina il vento traditore 
Salta in un punto alla nave per prua; 

Caricon l’orza con molto furore, 

E vanno volteggiando un’ ora o dua : 

11 vento cresce, e ripiglia vigore, 

E ’l mar comincia a mostrar l’ira sua: 
Cominciano apparir baleni e gruppi, 

E par che 1’ aria e ’l ciel si ravviluppi. 



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CANTO VENTESIMO. 



32 II mar pur gonlìa, e coll’ onde rinnalza, 
E spesso l’ una coll’ altra s’ intoppa, 

Tanto che l’acqua in coverta su balza, 

Ed or saltava da prora or da poppa : 

La nave è vecchia, e pur l’onda la scalza. 
Tal che comincia ad uscirne la stoppa: 

Le grida e ’l mare ogni cosa rimbomba; 
Morgante aggotta, ed ha tolta la tromba. 

33 I marinai chi qua chi là si scaglia. 

Però che tempo non è da star fermo; 
Mentre che ’l legno in tal modo travaglia, 

1 Cristian forte chiamavan sant’ Ermo, 
Pregando tutti che ’l priego lor vaglia. 

Che debba alla tempesta essere schermo; 
Ma nè santo nè’diavoi non accenna, 

E in questo 1’ arbor si fiacca e l’antenna. 

3A Gridò Scirocco; Aiutaci, Macone: 

Ed albera 1’ antenna di rispetto. 

Ed a mezza asta una cocchina pone, 

E per antenna è 1’ arbor del trinchetto : 
Intanto un colpo ne porta il timone, 

E quel eh’ osserva percuote nel petto ; 
Tanto ch’egli ha la nave abbandonata, 

E portai morto via la mareggiata. 

36 Non si può più la cocchina tenere, 

Gh’ un altro gruppo ogni cosa fracassa, 

E la mezzana ne porta giù a bere. 
Bench’ella fusse temperala bassa: 

Subito misson per poppa due spere, 

E ’l mar pur sempre disopra su passa, 

E non s’osserva del nocchier più il fischio. 
Come avvien sempre in un estremo rischio. 

36 Era cosa crudel vedere il mare : 

Alzava spesso, eh’ un monte parca 
^ Che si volessi a’ nugoli agguagliare: 

La nave ritta levar sì vedea, 

E poi sott’ acqua la prora ficcare : 

Talvolta un’ onda si forte scotea. 

Che sgretolar si sentia la carena ; 

E cigola e sospira per la pena. 




8 



00 



IL MORGAKTK MAGGIORE. 



37 Come un infermo si rammaricava : 

E 'I mar pur ruff^hia: e’dalfin si vedieno, 
Ch’ alcun talvolta la schiena mostrava, 

E tutto il prato di pecore è pieno : 

Moreantc pur colla tromba aggottava, 

£ non temeva nè luon nè baleno; 

E non si vuol per nulla al mare arrendere, 
Chè non credca che ’l del lo possi offendere. 

38 Orlando s’ era in terra inginocchiato ; 
Rinaldo e Ulivier piangevoli forte ; 

Il Veglio e Ricciardetto s’è botato. 

Che se scampar potran sì crudel sorte. 

Ognun presto al Sepolcro ne fia andato; 

E stavano in cagnesco colla morte; 

Ma non valeva ancor prieghi nè voli. 

Tanto il mar par che la nave ficrcooli. 

39 Senti Scirocco Vergine Maria 
Un tratto ricordare a giunte mani, 

E disse a Greco una gran villania. 

Dicendo: Adunque questi son Cristiani? 

Però non va questa tempesta via. 

Mentre che ci saran su questi cani : 

Questo miraeoi sol Macon ci mostra, 

Per dimostrarci la ignoranzia nostra. 

40 Non domandar quand’ e’ l’udì Rinaldo, 

Se gli montò in sul naso il moscherino; 

E preselo, dicendo: Sta qui saldo, 

Vedremo chi può più, Cristo o Appollino, 

O Macomelto, pezzo di rubaldo; 

Tu dèi saper notar com’un dalfìno: 

O da te stesso fuor della nave esci, 

O io ti gilterò nel mare a’ pesci. 

41 Disse Scirocco: Questa nave è mia. 

Disse Morgante a Rinaldo: Ch’aspetti? 

Costui si vuol cavargli la pazzia: 

Io il gilterò ben io, se tu noi getti. 

Rinaldo gli montò la bizzarria, 

E dettegli nel capo due butfetli. 

E fecelo balzar di nello in mare, 

E la tcmi>esta cominciò a quotare. 



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CANTO VENTESIMO. 



91 






42 Non vi fu marinar, nè ignun, ch’ardisse 
Volger verso Rinaldo sol la faccia ; 

E per paura il mar parve ubbidisse, 

Perché in un trailo si fece bonaccia: 
Morgante a prua del trinchello si misse, 

E fece come antenna delle braccia, 

Ed appiccovvi la spazzacoverla , 

Ed è si forte, che la tiene aperta. 

-/ 

43 Greco ridea quando e’ vedeva questo, 

E losto^inverso la prua se ne venne. 

Ed acconciò se nulla v’ è di resto ; 

E dice : Qui non bisogna altre antenne 
E forse tu non fai il servigio lesto? 

Nè anco Orlando le risa sostenne, 

E dice: Porti chi vuol per rispetto, 

Chè c’è l’antenna e l’arbor del trinchetto. 

44 Dove è Morgante, non si può perire. 
Morgante tanto la vela portoe , 

E ’l vento è buono, che volea servire; 

Che finalmente la nave guidoe. 

Tanto che ’l porto comincia apparire: 

. Vero è eh’ alcuna volta si posoe; 

E son tutti condotti a salvamento, 

Perch’era poco mare, e fresco vento. 

45 Ma la fortuna eh’ è troppo invidiosa. 

Fece che mentre che Morgante mena 
A salvamento il legno, ed ogni cosa. 

Subito si scoperse una balena : 

E viene verso la nave furiosa, 

E cominciò a levarla colla schiena : 

E finalmente Tare’ traboccala, 

Se non l’avessi Morgante ammazzala. 

46 Eravi alcun che bombarde gli scocca. 

Ma non potevon da lei ripararsi. 

Greco diceva: La nave trabocca, 

E credo eh’ e’ rimedi sieno scarsi. 

E pur la bestia una scossa raccocca. 

Tanto che più non sapevon che farsi. 
Perchè la nave levava su alta ; 

Se non eh’ addosso Morgante gli salta. 



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92 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



47 E perdi’ egli era mollo presso al porlo. 
Diceva : Poi che la nave ho condona 
Insino a qui, s’ io reslassi ben morlo, 
lo non intendo ch’ella sia qui rolla. 

Allor Rinaldo il battaglio gli ha porlo, 
Morganle su per la schiena gli trotta, 

E col battaglio gli dà in sulla testa. 

Ed ogni volta la ’ncarlava a sesta. 

4S E tanto e tanto in sul capo percosse. 

Che gliel’ ha tutto sfracellato e trito ; 

Donde la bestia di quivi si smosse, 

E come un barbio boccheggia stordito, 

E morta si rovescia in poche scosse. 
Morgante prese per miglior partito 
Saltar nell’acqua e irsene alla riva, 

Però che l’ acqua non lo ricopriva. 

49 Greco surgeva, e varava la barca ; 

Orlando lo pagò cortesemente. 

Tanto che Greco non se ne rammarca, 

E ritornossi in drieto prestamente 
\ Tra pochi giorni d’ altre merce carca 
La nave: intanto Morgante (tossente 
S A poco a poco alla riva s’appressa, 

^ Tanto che i pesci non gli fan più ressa. 

^ 60 Ma non polca fuggir suo reo destino ; 

E’ si scalzò, quando ucciso il gran pesce : 

Era presso alla riva un granchiolino, 

' E morsegli il tallon : costui fuor esce. 

Vede che stato era un granchio marino : 

: Non se ne cura ; e questo duol |>ur cresce ; 

E cominciava con Orlando a ridere. 
Dicendo: Un granchio m’ ha voluto uccidere. 

61 Forse volea vendicar la balena. 

Tanto eh’ io ebbi una vecchia paura. 

Guarda dove fortuna costui mena I 
Rimmollasi più volte, e non si cura. 

Ed ogni giorno cresceva la (tena ; 

. Perchè la corda del nervo s’ indura, | 

E tanta doglia e s|)asimo v’ accolse. 

Che questo granchio la vita gli tolse. 



— - — Bigil(?e€U3v' 



CANTO VENTESIMO. 



93 



62 E cosi morto è il possente gigante , 

E tanto al conte Orlando n’è incresciuto, 
Che non facea se non pianger Morganle, 
E dice con Rinaldo : Hai tu veduto 
Costui eh’ ha fatto tremar già Levante ; 
Aresti tu però giammai creduto, 

Che così strano il fin fussi e si subito? 
Dicea Rinaldo : Io stesso ancor ne dubito. 

63 E’ mi ricorda, sendo a Montalbano, 
Quel di che noi vincemmo Erminione, 
Che fece cose co l batUglio jn mano, 

Ch’ erano al tutto fuor d’ ogni ra^óne : 

Di Manfredonio sai eh’ ancor ridiano. 
Quando e’ v’andò per riaver Dodone, 

E che ravvolse Manfredonio e quello 
Nel padiglion, ch e parve un fega tello. 

64 II di che difendea Meridiana, 

Gli vidi tanta gente intorno morta. 

Che non fu cosa, al mio parere, umana. 
Ma dimmi, a Rabillona a quella porla 
Yedestu mai però cosa si strana ? 

Pensavi tu sua vita cosi corta? 

E’ mi fe ricordar quel di di Giove, 
Quando i giganti fòr l’ antiche pruove. 

66 E dissi : Certo, se Morgante v’ era. 

Tu li saresti ancor, Giove, in Egitto 
Con Racco trasformato in qualche fera, 
Chè costui certo farebbe sconfìtto: 

Ma non sarà tenuta cosa vera. 

Da chi lo troverrà in futuro scritto; 

Chè io che ’l vidi, non io credo appena 
Di questo , nè d’ uccider la balena. 

66 Che maladetto sia tanta sciagura : 

O vita nostra debole c fallace 1 
Cosi piangean la sua disavventura ; 

Ma sopra lutto ad Orlando dispiace; 

Ed ordinò di dargli sepoltura, 

Chè spera che nel ciel l’ alma abbi pace : 
E terminò mandarlo a Rabillona, 

Ma prima imbalsimar la sua persona. 



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94 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



67 Ed ebbe tanto mezzo coll’ ostiere, 

Dove e’ si son più giorni riposati, 

Che gli faceva del balsimo avere ; 

Ed ha tutti i suoi membri imbalsimali : 

E fecelo secreto a quel tenere, 

E diègli al modo lor cento ducati ; 

Tanto eh’ a luogo e tempo e’ lo mandoe 
A Babillona, e quivi l’onoroe. 

68 E’ si chiamava Monaca, ov’ è il porto 
Dove Orlando e costoro alcun di stanno : 

E r oste dice : Per un che fu morto. 

Vedi che qui grande armale si fanno : 

In verità che gli fu fatto torlo ; 

Ma penso lo vendette si faranno : 

Lo ’mperador di Mezza è qui signore, 

E veste il popol nero per suo amore. 

69 Un suo figliuol, chiamato Mariolto, 

Era andato in aiuto del Soldano; 

E come a Babillona fu condotto, 

L’ uccise Spinellone un gran Pagano , 

E fassi per costui tanto corrotto : 

Vero è che ’l gran signor di Monlalbano 
V’era, ed Orlando, ed altri di sua sella, 

E sopra questi si cerca vendetta. 

«0 Mentre che l’ oste cosi ragionava 
Vi capitò colui che fa I’ armata, 
r.an di Gattaia un giovan si chiamava, 

E domandò chi sia questa brigata : 

Orlando disse a Can, che domandava, 

Ch’ eran di Persia e gente disperata, 

Ch’ amico non conoscon nè compagno. 

Ma van cercando ventura e guadagno. 

6t Diceva Can : Quanto soldo volete ? 

Disse Rinaldo : Per cento baroni 
Ognun di noi, se contento sarete. 

Rispose Can : Per cento gran poltroni : 

Per Dio che ’l soldo che voi mi chiedete. 
Che mi parete cinque mascalzoni, 

Sarebbe troppo a Rinaldo ed al Conte , 

Che sono il fior del sangue di Chiarmonte. 



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CANTO VENTESIMO. 



95 



62 Disse Rinaldo : Solda chi (i pare ; 

E torna coll’ostessa a ragionarsi, 

Però ch’eli’ era bella e fassi amare, 

E slava con lui mollo a molleggiarsi : 

E fece un suo stendardo sciorinare. 

Dove il lion eh’ io dissi può mirarsi : 

Questo lion fu veduto in cflelto. 

Ed allo ’mperador presto fu detto : 

63 A casa un oste, detto Chiarione, 

Sono arrivali cinque viandanti, 

E portan per insegna il tuo lione, 

E non sappiam se si sono affricanli. 

Lo ’mperadore a certi servi impone : 
Menategli qui presi lutti quanti, 

E chi non vuol di lor venirne preso, 
Recalenelo a forza qui di peso. 

64 Giunsono all’ oste questi Saracini, 

E credonsi legar cinque cavrelli, 

0 pigliar questi come pecorini 
Sanza arme colle punte degli aghetti: 

Volle a Rinaldo un por le mani a’ crini, 

E crede che costui il cappello aspetti : 

Rinaldo si diserra nelle braccia, 

E con un pugno morto appiè sei caccia. 

65 L’altro, ch’aveva una bacchetta in mano. 
Dette con essa a Rinaldo in sul volto. 
Dicendo: Che fai tu, poltron villano? 
Adunque tu non credi, malto e stolto, 
Ubbidir qui lo ’mperador pagano? 

Rinaldo presto a costui si fu vólto, 

E ciuflalo per modo nella gola. 

Che r affogò, sanza dir mai parola. 

66 Eraven’un, che pon le mani addosso 

Al conte Orlando : Orlando un poco il guata, 
E poi in un tratto da costui s’è scosso, 

E dettegli nel viso una guanciata. 

Che gli brucò la carne insino all’osso, 

E cerca se la sala è ammattonala ; 

Intanto Ricciardetto, eh’ a ciò bada, 

E Ulivier, tirorno fuor la spada. 



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96 



IL MORGANTB MÀGGIORB. 



67 II Veglio il mazzafruslo adoperava, 

E non ischiaccia Tossa, anzi le 'nfragne. 
Orlando Durlindana al fin pigliava: . 

Tanto eh’ ognun, che T aspetta, ne piagne : 

L’ un sopra T altro morto giù balzava ; 

Beato a chi mostrava le calcagne ; 

I Chè tutti gli affetlavan come rape, 

Tal che più morti in sala non ne cape. 

68 I-o ’mperador senti come va ’l giuoco : 
Subito venne bene accompagnato : 

Rinaldo ritornato s’era al fuoco. 

Orlando sta alla porta giù appoggialo ; 

E |)erch’ egli era pur ferito un poco 
Rinaldo, tutto pareva turbato, 

Chè non son usi esser lor tocco il naso , 

E minacciava e sbuffava del caso. 

69 Ecco il signor con molta sua famiglia : 
Orlando non si muove dalla [torta ; 
Subitamente un de’ pagan bisbiglia : 

Vedi colui che la tua gente ha morta. 
Orlando al Saracin volge le ciglia , 

Con una guatatura strana e torta. 

Tal che lo ’mperador n’ ebbe paura, 

Chè gli pareva un uom sopra natura. 

70 E rimutossi dì sua opinione, 

Ch’ Orlando molto negli occhi era fiero ; 
Tanto eh’ alcun autore dice e pone. 

Ch’egli era un poco guercio, a dire il vero : 
E salulollo, e dissegli : Barone, 

Qual fantasia T ha mosso, o qual pensiero. 
Venire a far la rtiia gente morire, 

E non voler chi governa ubbidire ? 

71 Se tu se’, come hai dello. Persiano, 

Tu dèi venire a far qua tradimento ; 

O veramente se’ qualche Cristiano, 

E forse qualche cosa già ne sento : 

Tu potevi venir con oro in mano 
A ubbidire, e restavo contento: 

Se tu venissi qua per farci inganno. 

Fa che' tu pensi al fin che fia tuo il danno. ' 



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CANTO VENTESIMO. 



97 



72 Quel che tu hai fatto, io me ne dolgo forte, 
E forse punirotti del tuo errore. 

Di que’ pagani a chi data hai la morte. 

Kispose Orlando : Famoso signore. 

Tutti saremmo venuti alla corte. 

Per fare il nostro debito e ’l tuo onore, 

À vicitar la tua magnificénzia. 

Se avessi avuto tanta pazienzia. 

73 Ma tu ci mandi all’albergo a pigliare. 

Come ladron c’ hanno con loro i furti : 

Non ci lasci due di sol riposare, 

Ch’ appena nel tuo porto savan surti : 

Se Macon certo ciò veniva a fare. 

Morto Faremmo co’ morsi e cogli urti. 
Piuttosto che venir come ladroni 
A corte in mezzo di cinque ghiottoni. 

74 Che noi siam Persiani , abbi per certo : 
Cercando andiam della ventura nostra, 

E non sappiam s’ella è più in un deserto. 

Che in un giardino o nella terra vostra. 

E già molto disagio abbiam sofferto; 

Andiam per quella via che ’l ciel ci mostra, 
Nè tradimento facciamo a persona : 

Io lascio or giudicare a tua corona. 

75 Lo ’mperador gli piacque Orlando tanto. 
Quanto e’ sentissi uom mai parlar discreto, 

E disse: lo so eh’ i’ ho trascorso alquanto; 
Ma se voi andate alla ventura drieto. 

Io vo cercando doglia, angoscia e pianto, 

E non ispero mai d’ esser più lieto ; 

Io ho perduto tutto il mio conforto, 

D’ allora in qua che ’l mio fìgliuol fu morto. 

76 E benché tutto il mondo qua in aiuto. 
Come tu vedi, venga a mia vendetta. 

Che vedi il popol già che c’è venuto, 

E tante nave in punto qua si metta; 

Non riarò però quel c’ ho perduto, 

" Con tutto il mio tesoro e la mia setta: 

E vestirò pur sempre oscuro e negro. 

Come tu vedi, e mai più sarò allegro. ' 



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-As-f. . 



98 



IL MORGiNTB MAGGIORE. 



77 SrIvo s’io sarò mai di tanto sazio, 

Ch’ io possa al conte Orlando trarre il core ; 
lo ne farò per certo tale strazio, 

Ch’ esemplo fìa d’ onni altro peccatore. 

Se mi darà Macon tanto di spazio ; 

Chè sento che si sta quel traditore 
In Babillona in gran trionfo e festa. 

Ed io pur piango in questa scura vesta. 

78 Or lasciam questo: se tu vuoi venire 
A corte tu colla tua compagnia, 

A starti meco insino al tuo partire, 
lo ti farò per Macon cortesia; 

E ciò eh’ i’ ho, sia tuo, sanza più dire : 
Forse che quivi tua ventura ha. 

Orlando il ringraziò di quel c’ ha detto, 

E tornasi a Rinaldo e Ricciardetto. 

79 Una fanciulla, che il lor oste aveva. 
Medicava Rinaldo; e perch’ell’era 
Molto gentil, Rinaldo gli diceva , 

Che la voleva tor |)er sua muglierà. 

Di giorno in giorno I’ armala cresceva : 

Re di Murrocco con sua gente fera, 

Vestiti di catarzo duro e grosso, 

[ Era venuto, e pareva M inosso. 

80 E di Canaria un feroce Amostante, 
Ch’aveva molta turba e gran canaglia. 
Chiamato dalla gente Leopante; 

E tutti i cavalier suoi da battaglia 
Eran coperti d’osso d’elefante, 

Ch’ era più doro che piastra o che maglia : 
Ed un lion rampante molto fiero. 

Come Rinaldo, avea nel campo nero. 

' 81 E per ventura passò per la strada 
Di Chiarion, dove dimora Orlando; 

Ed alcun par che dinanzi gli vada 
Certi stormenti al lor modo sonando : 

Allo stendardo di Rinaldo bada, 

E di chi e’ fossi venia domandando, 

E ’n su ’n un carro da quattro destrieri 
Facea tirarsi più che corbi neri. 



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CANTO VENTESIMO. 



99 



83 E disse: Cbiarion, dimmi chi sin 
Colui che porta cosi il mio stendardo ; 
Orlando gli rispose: Se tuo fìa. 

Io tei darò, se tu sarai gagliardo. 

Disse il Pagan : Tu mi di’ villania; 

Egli è pur gentilezza, aver riguardo 
A queste cose, e tu il delibi sapere, 

E che porli ciascun le sue bandiere. 

83 lo vo’ saper donde tu 1’ abbi avuto 

Questo stendardo : e stu 1’ hai guadagnato, 
Tu puoi portarlo, chè questo è dovuto; 

Ma tu m’ hai viso d’ averlo rubato 
Piuttosto che d’ averlo combattuto. 

Orlando disse : In Persia 1’ ho acquistato. 

Or ti rispondo a quell’ altra parola, 

Oh’ io non son ladro, e menti per la gola. 

SI Rispose Leopante: Ed io rispondo, 

Che tu se’ ladro e tristo, e eh’ io non mento. 
Ed Amostante son degno e giocondo, 

E miglior uom di te per ogni cento; 

E non fare’ Macon nè tutto il mondo 
Che tu spiegassi il mio stendardo al vento ; 

Io vo’ che tu il guadagni colla lancia, 

Stu fossi ben de’paladin di Francia. 

86 Orlando non are’ temuto il cielo. 

Nè Giuppiler, quand’egli era bizzarro; 
Ris|M>se: Egli è ben ver più che ’l Vangelo, 
Ch’ e’ pazzi come le vanno in sul carro : 

Io vo’ che chi mi morde, lasci il pelo. 

Ed oltre a questo la bocca gli sbarro : 

Esci del carro, e monterai in arcione, 

E proverrem di chi sarà il lione. 

86 Dismoniò con grand’ ira il Saracino, 

E montò presto sopra un gran cavallo: 
Orlando fece sellar Veglianlino, 

E non istelte pel freno a pigliallo. 

Anzi saltò di terra il paladino. 

Tanto eh’ ognun correva là a guardallo; 

E Leopante ammirato ne resta, 

E posono amendue la lancia in resta. 



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100 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



S7 Ricciardetlo, e Rinaldo, e Ulivieri, 

£ ’l Veglio tutti intorno sono armati : 

Ognun guardava questi cavalieri 
Per maraviglia, e stavan trasognati: 

L’ Amostante, ed Orlando co’ destrieri 
In questo tempo si sono accostati. 

Le lance parvon due trombe di vetro ; 

Poi si rivolson colle spade addietro. 

88 Lo ’mperadore avea questo sentito, 

E per veder costor provarsi, venne, 

E sopra un bel giannette era salito , 

Che non correva, anzi batte le penne: 
Orlando Leopante ha già ferito. 

Tanto che spesso gran doglia sostenne ; 

Pur nondimen tuttavolta s’ arrosta, 

E colla spada facea la risposta. 

89 Rinaldo ch’era un diavolo incantato, 

E vuol sempre veder cose terribile , 

Diceva : Pure tu non se’ adiralo. 

Al conte Orlando, o far non vuoi il possibile. 
Orlando s’ era per questo infocato, 

E facea cose che non son credibile : 

Dando al Pagan con si fatta tempesta. 

Che in sull’ arcion gli batteva la testa. 

90 Leopante era tra cattive mani ; 

Non sa che quella spada è Durlindana, 

Che tanti n’ ha già morti de’ Pagani, 

E si pentia della sua impresa strana ; 

E dopo molti colpi assai villani. 

Volle veder come la strada è piana ; 

E cadde tra sue gente in terra morto, 

E cosi ebbe del lione il torlo. 

91 Cosi vinse la forza la ragione. 

Che ogni volta non si vuol difendere : 

Il savio sempre fugge la quistione. 

Ed è por bella cosa il mondo intendere. 

Ecco che Leopante ora ha il lione. 

Che colla lancia lo volle contendere ; 

La lancia è rotta, e la vita gli costa. 

Chi cerca briga ne trova a sua posta. 




CANTO VENTESIMO. 



101 



92 E’ si levò tra’ Saracin gran pianto, 
Veggendo cosi morto il lor signore, 

E fu portato a seppellire ; e ’ntanto 
Un giovinetto, eh’ avea gran valore 
Fra tutti i Saracin, esce da canto, 

E dice: Perch’io fui suo servidore. 

Da poi che non c’ è ignun che qua si metta , 

10 vo’ del mio signor far la vendetta. 

93 Io ti disfido, tu che l’uccidesti. 

Orlando disse: La battaglia accetto; 

Ma perchè meco giovine saresti , 
Combatterai con questo giovinetto, 

Bench’ io mi credo tu m’ avanzeresti ; 

E disse: Fatti innanzi, Ricciardetto. 

E Ricciardetto accettò volentieri, 

E sanza altro parlar, volse il destrieri. 

9i E r uno e 1’ altro insieme riscontràrsi ; 

Ma Ricciardetto al fin la sella vota. 

Che non potè dal colpo Gero atarsi. 

Si forte par che lo scudo percuota: 

I Pagan cominciorno a rallegrarsi ; 

Ma Ulivieri si batte la gota, 

E volle vendicar lui Ricciardetto, 

E disGdava questo giovinetto; ^ 

96 E ritrovossi in Gn fuor di Rondello. ' 
Armossi il Veglio allor della'montagna, 

E colla lancia si scontrò con quello, 

Tanto eh’ al Gn la morte vi guadagna; 

Però che ’l Saracin pose a pennello, 

E passò r arme, che parve una ragna : 

Non si poteva por quel colpo meglio. 

Poi eh’ egli uccise un si famoso Veglio. 

96 Quando Rinaldo cadere ha veduto 

11 Veglio suo, che tanto amava in vita. 
Parve del petto il cuor gli sia caduto; 
L’anima sua nel ciel si rimarita: 

Al conte Orlando egli è tanto doluto, 

Che per più di parea cosa smarrita : 

£ fu mandato a Babillona questo 
A seppellir, come Morgante, presto. 

' 9 * 



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102 



IL MORGANTE MAGGIORE*. 



97 Rinaldo si sfidò col niovinello 

Che ’l Veglio aveva morto, a mano a mano, 
Con tanto sdegno c con tanto dispetto. 

Che giurò d’ ammazzar questo Pagano : 
Ruppon le lance 1’ un all’ altro al petto, . 

Poi s’affrontorno colla spada in mano: 

E tutto il popol ragunato s’era, 

A veder la battaglia acerba e fera. 

9$ Il Saracino era molto gagliardo, 

E sopra l’elmo |>ercos8e Rinaldo; 

Tal che in sul collo cadde di fiaiardo, 

E con fatica si sostenne saldo. 

Orlando, quando al colpo ebbe riguardo. 

Sudò più volte, e non gli facea caldo: 

Rinaldo si rizzò por finalmente, 

; E bestemmiava il ciel devotamente. 

99 E trasse con tant’ ira allor Frusberta, 

Che se non che ’l Pagan lo scudo alzava. 
Quando vide la spada andare all’erta, 

E conobbe il furor che la portava , 

Rinaldo gli are’ allor la testa aperta: 

Trovò lo scudo, e netto lo tagliava ; 

L’elmo sonò com’una ccmmamella, 

E come morto' usci fuor della sella. 

► 

100 E gran romor tra’ Saracin si leva. 

Rinaldo, poi che gli |>assò il furore, 

Di questo giovinetto gl’ incresceva, 

Perchè conobbe in lui molto valore, 

E che quel fussi morto si credeva : 

Subito salta fuor del corridore: 

Lo ’mperador gridò: Non gli far torlo. 

Non lo toccare ; e’ basta eh’ egli è morto. 

101 Disse Rinaldo: Per lo Dio Macone, 

Ch’assai m’ incresce costui morto sia, 

Chè mai non monterà forse in arcione 
Un uom si degno in tutta Pagania : 

Io vo’ cercar per la sua salvazione 
Qualche rimedio, s’ alcun ce ne lìa: 

Ed abbracciollo, ch’era in terra steso, 

Poi nel portava all’ osteria di peso. 



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CANTO VENTESIMO. 



103 



102 E fa da tulio il popol commendato: 
Quivi Io pose a giacere in sul letto, 

E il polso in ogni parte ha stropiccialo, 

E cosi fa il Marchese e Ricciardetto; 

Tanto eh’ al fin s’ è tutto risvegliato 
A poco a poco questo giovinetto : 

E risentito caramente abbraccia 
Rinaldo, e ’nsieme si baciorno in faccia; 

103 E chicson l’uno all’altro perdonanza. 
Orlando pone mente una sua spada, 

Come di cor magnalmo è sempre usanza , 
Veder com’ella pesa, o s’ella rada: 

Fargli che sia da uom d’alta possanza, 

E di vedere il pome poi gli aggrada: 
Guardando il pome, letter vi vedea, 

E per diletto quelle ancor leggea. 

104 Le lettere dicien , come costui 
Era nato del sangue di Chiarmonle : 

Il perchè Orlando ritornava a lui 

Al letto, e domandò con umil fronte. 

Se si ricorda degli antichi sui. 

Come dicevon le lettere pronte: 

Che gliel dicessi, se ’l priego era onesto, 
Chè sol per ben di Ini vuol saper questo. 

105 Egli rispose: Gentil cavalieri. 

La madre mia chiamala è Rosaspina, 

Ed io mi chiamo per nome Aldinghieri, 

E generommi, dice, alla marina: 

Del padre mio non ho i termini interi, 
Perchè e’ non fu di stirpe saracina ; 

Ma quel che inteso n’ ho dalla mia madre. 
Da Rossiglion Gherardo fu il mio padre. 

106 Per che cagion tu vuoi ch’io te lo dica, 
Non vo’ cercar, ma parmi un uom gentile; 
Nè, per piacerti, mai mi fìa fatica 
Esaudire il Ino priego tanto umile : 

Di Chiaramente è la mia schiatta antica, 

E non è sangue che sia punto vile. 

Ma forse il più gentil ch’ai mondo sia, 

E tiene in Francia regno e monarchia. 



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104 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



107 Rinaldo quel gran sir da Montalbano 
Di questo è nato, e quel famoso Orlando 
Di cui fa tanta stima Carlo Mano, 

Ch’ altro pel mondo non si va parlando ; 

E lungo tempo n’ ho cercato invano 
Di questi due baroni , e vo cercando : 

E tanto in ogni parte cercheroe, 

Che innanzi la mia morte io gli vedroe. 

108 E se ci fossi ignon di loro stato , 

Quando tu mi gittasti del cavallo, 

So che m’ arebbon di le vendicalo. 

Orlando non poteva più ascoltano, 

Per tenerezza è lutto travagliato ; 

E tulli cominciavono abbracciano : 

Perchè ’l Pagan veggendosi abbracciare , 
Quel che ciò fissi gliel parca sognare. 

109 E disse : In cortesia ditemi tosto , 

Per che cagion sia tanto abbracciamento. 
Orlando innanzi a tulli gli ha risposto : 

O Aldinghier, quanto son io contento! 

In quanta pace ogni mio affanno è posto I 
Quanta dolcezza dentro al petto sento I 
Ecco color di chi tu vai cercando : 

Questo è Rinaldo nostro, io sono Orlando ; 



110 E questo è Ulivier nostro parente ; 
Quest’ altro è Ricciardetto tuo cugino. 
Quando Aldinghier queste parole sente, 
Dicea fra sè : qual grazia o qual destino, 
D’ aver coslor trovali qui , consente? 
Abbraccia Orlando degno paladino, 

E Ulivier, Rinaldo e Ricciardetto, 

E per letizia fuor salta del letto. 



HI Comincia a ragionar di Carlo Mano, 

E del Danese quanto sia gagliardo, 

Chè lo conobbe, quando era Pagano : 
Comincia a ragionar del suo Gherardo, 

E dice : Io intendo al lutto esser Cristiano , 
E rinnegar Macon nostro bugiardo : 

E in Francia bella con voi vo’ venire, 

E cosi sempre vivere e morire. 



•Oigttr- 



CANTO VENTESIMO. 



103 



118 Egli è qui Ira coslor di mia brigala 
Dieci mila a cavai sotto mio segno : 

Lo ’mperadorc apparecchia 1’ armala, 

Per vendicar del suo figliuol lo sdegno, 

E contro a voi la furia è apparecchiata : 

Io mi parli’ con questi del mio regno, 
Perchè senti’ savate a Babillona, 

Per ritrovarmi là con voi in persona. 

113 Ed ho mandate lettere segrete, 

A dirvi come qua si fa apparecchio ; 

Non so se voi ricevute l’avete, 

O se ciò pervenuto v’ è all’ orecchio : 
Coslor minaccian, come voi vedete. 

Come involti v’avessin tra ’l capecchio: 

Se noi vogliam, questa città Ga nostra. 
Colla mia gente, e colla virtù vostra. 

114 Rinaldo e tu per tutta Pagania 
Sete tanto temuti e nominati. 

Che come il grido tra la turba Ga, 

E’ fuggiranno tutti spaventali: 

Non son costor guerrier, ma son genia; 
Sempre al principio assai si son vantati, 
E hannovi in un solcio i paladini , 

Poi fuggon tulli come spclazzini. 

116 Rinaldo gli piacea questa pensata, 

Ed Aldinghicr vien sua gente assettando : 
In questo tempo giunse un’ambasciata. 
Come lo ’mperador mandato ha il bando. 
Che tutta in piazza sia la gente armata : 

£ lutto il popol si veniva armando, 

Come nell’ altro dir vi sarà detto. 

Di mal vi guardi Gesù benedetto. 



NOTE. 



24. a’ $uoi tlaixoni. Stazioni, 
abitazioni. E da notare che gli antichi 
adoperaron tal voce si nel genere ma- 
schile che nel femminile. 

32. aggotta cc. Aggottare, le- 
var l’ acqua dai navigli con strumen- 



to a ciò atto, e rigettarla in mare. 

33. chiamavan Sant' Ermo. Cioè 
quella fiaccola che si chiama anche inee 
di Sant’ Ermo, lagnale a modo di fiam- 
mella apparisce in maro dopo la tempe- 
sta, ed è segno favorevole ai naviganti. 



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106 



IL UOnCANTE MAGGIORE. 



54. antenna di rispetto. Cosi si 
cbiama quell’ antenna ilelle navi, di ' 
cui si fa uso nei magipori pericoli. — I 
cocchina ec. Piccola cocca ; specie di I 
nave. — Irinehrilo. Quell’ albero 
piantato a perpendicolo sul davanti 
delle navi , su cui sta una piccola vela 
quadra ebe ba lo stesso nome. 

55. la mezzana ec. La vela ebe 
si s|iande alla poppa del navilio , 
imopoixoi. — spere. Cosi ibiaiiiauo 
i marinari quei fasci di robe legale in- 
sieme ebe si gettano in mare dietro 
alle navi , per rattcneruc il corso. 

58. s’ è botato. Per votato. Fece 
voto. 

42. la spazzacoverta. Specie di 
vela anche questa. 

49. rena. Ressa i propriamente 
importuna istanza fatta altrui, per ot- 
tenere quello clic si desidera. Onde far 
ressa vale quanto far pressa , pressa- 
re ; c forse da pressa si è detto cor- 
rottamente ressa. 

54. E’ mi fe ricordar ec. È nota 
la favola dei Titani e Giganti , ebe, 



mossa guerra a Giove, furono sconfitti 
eprecipitati nel Tartaro, e sepolti sotto 
alle maggiori montagne. 

55. Tu ti saresti ancor ec. Cea, 
o la Terra , veduto come i Titani e i 
Giganti ebe ella aveva mossi a far 
guerra ai Celesti , erano stati tutti de- 
bellati e vinti , per ultimo eccitò con- 
tro gli Dei lo smisurato gigante Tifeo, 
il quale vomitava torrenti di fuoco ; 
di clic essi spaventati si nascosero sotto 
le sembianze di vari animali. Ma 
finalmente Giove atterrò d’ un fulmine 
Tifeo , e ridusse a calma I’ Olimpo. 
Ha pensato taluno che con siffatta fa- 
vola abbiano i poeti voluto dar l’ori- 
gine del culto che gli Egiziani solevan 
rendere a figure di diversi animali. 

412. sanate ec. Eravate. 

444. ma son genia. Genia signi- 
fica propriamente generazione di gente 
vile e abietta; contuttoché si pigli 
spesso anche per stirpe semplicemente, 
e per moltitudine di gente. — E han- 
noti in un soldo ee. Vedi la nota al 
Canto XIX, St. 86. 



CAivTO VEHrrEsmopRiino. 



Muore per man d’Orlando il re Murrocco: 
Si corona Aldinghieri imperadore; 

Partono a salvar Gano , e dau di brocco 
’N un castel che Creunta ha per signore; 

E le sue guardie e i figli in gran trabocco 
Muoion di stragi e sangue : ella non muore , 

E nel castel gli chiude: ma frattanto 
Malagìgi disfa lei o l’incauto. 



tj Dio ti salvi, Maria di grazia piena ; 

I 11 Signor leco in sempiterno sia, 

I O benedetta, o sanla, o Nazzarcna, 
j Fra tutte l’ altre donne tu Maria , 

' Sanza la qual la mia barchetta arrena. 

Se non aiuti nostra fantasia, 

Che insino a qui fatta hai tanto veloce ; 
Non mi lasciar, eh’ io veggo ornai la foce. 



CANTO VBNTESIHOPRIUO. 



107 



2 I forestieri e tutti i terrazzani 
Ognun si rappresenta in sulla piazza. 

Era a veder la ciurma de’ Pagani 
Cosa parte mirabil, parte pazza: 

Mai non si vide tanti uomini strani, 

Di tante lingue e d’ ogni nuova razza ; 
Disse Rinaldo: In piazza ce n’ andiamo, 

E tutta questa gente sbaragliamo. 

3 Mettono in punto 1’ arme e’Ior destrieri; 
Lo ’mperador fa intanto diceria : 

Chi si vanta di voi , buon cavalieri, 

Di vendicarmi della ingiuria mia, 
lo gli darò città, che tìeno impèri, 

E sempre arà di qua gran signoria , 
t^nte e tesoro, a (ulte le sue voglie, 

E la mia figlia sposerà per moglie. 

4 Levossi ritto il gran Can di Gattaia, 

E disse : Io sarò quello, imperadore ; 

Che s’ io dovessi ucciderne a migliaia. 

Al conte Orlando vo’ cavar il cuore ; 

E cosi gli altri ognun si vanta e abbaia 
Uccider pure Orlando il traditore : 

E alza il sangue in parole due braccia, 

E chi più teme è quel che più minaccia. 

6 Einaldo in sulla piazza il primo viene. 
Can di Gattaia, come 1’ ha veduto. 

Disse : Baron, s’ io ti conosco bene, 

Ch’ al soprassegno t’ ho riconosciuto ; 

Per Macometto, ancor rider mi tiene. 

Che tu credevi e’ ti fossi credulo, 

A chieder soldo con quattro poltroni 
A misura dì crusca o di carboni. 

6 Disse Rinaldo : S’ io chiesi per cento, 

A questa volta io ne vo’due colanti; 

E s’eglì è ver quel che da molli sento. 

Tu se’ fra questi il primo che ti vanti 
Di far tante vendette o fumo o vento ; 

Se vuoi giostrar con meco, fàtti avanti. 
Càn di Gattaia, come questo intese. 
Turbato tutto, una gran lancia prese. 



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108 



IL MORGÀNTR MAGGIORE. 



7 E va inverso Rinaldo, acceso d’ ira ; 
Rinaldo riscontrò questo arrabbiato: 

Al gorzaretto gli pose la mira, 

E 'I collo colla lancia gli ha inGIzalo : 

Sicché pel gorgozzul 1’ anima spira. 

Lo ’m[>erador di ciò molto è crucciato, 

E dice : Troppe volte offeso m’ bai. 

Ma d’ ogni cosa te ne pentirai. 

8 Disse Rinaldo: A non tenerti a tedio, 
lo SOI! Rinaldo quel di Chiaramonte, 

Venuto per tuo danno e |>er tuo assedio, 

E questo è quet famoso Orlando conte. 
Centra al qual sai che non arai rimedio; 

E questo è Ulivier, che l’ è qui a fronte : 

E questo è Ricciardetto mio fratello, 

E Aldinghieri è a me cugino e a quello : 

9 Tutti sarete morti a questo tratto. 

Nè prima ebbe Rinaldo cosi dello. 

Che cominciò a fuggir quel popol matto ; 

Lo ’mperador, sentendo tale effetto. 

Subito disse come stupefallo : 

Può far questo Fortuna o Macometto ? 

Piglia del campo come reo nimico, 

Ch’ i’ ho a purgar più d’ un peccalo antico. 

10 Rinaldo si voltò pien di furore, 

E ritornato a drieto assai più fiero, 

Si riscontrò col detto imperadore, 

Che non islima più vita nè impero; 

E colla lancia gli passava il cuore, 

E ritrovò il gran Can poi in cimitero : 

Or qui tutta la turba si sbaraglia, 

E cominciossi una crudel battaglia. 

11 E Aldinghier con sua gente dà drenlo ; 

E ’l conte Orlando fa incredibil cose, 

E Ulivier non serba il suo ardimento. 

Nè Ricciardetto il suo certo nascose; 

Ma in piccol tempo il gran furor fu spento, 
Chè veggendo lanl’ arme sanguinose, 

E ricordare Orlando, e Ulivieri, 

E ’l prenze, ognun si fugge volentieri. 



Djgit^edjjy Cimjgk-’J 



• CANTO VENTe'siHOPRIHO. 

( 

12 E per arroto Orlando aveva morto 
Nella battaglia il gran re di Murrocco. 
Questo fu quel che dìé tanto sconforto, 

Che ’l popol si fuggi bestiale e sciocco. 
Ognun la nave sua ritruova al porlo, 
Sanza as|>ettar più Greco che Scirocco : 

E ’n questo modo finiva la guerra, 

E’ Cristian nostri piglioron la terra. 

13 E nel palazzo, ove lo ’mperio stava. 
Vanno Rinaldo, Orlando e Aldinghieri, 

E Ricciardetto e Ulivier v’andava, 

E di Rinaldo un gentile scudieri. 

Il qual con Aldinghier si battezzava, 

E da costoro è chiamato Rinieri ; 

E battezzati questi, liannJ ordinato. 

Che Aldinghier sia imperador chiamato : 

14 Benché Aldinghier per nulla non voleva. 
Poi battezzar quell’oste Chiarione, 

E una bella tiglia eh’ egli aveva. 

Che medicò con tanta affezione 
Rinaldo, e ristorar costei voleva; ' 

E per ventura Greco il lor padrone, ' 
Che gli condusse già per la marina. 

Vi capitò, quel di buona dottrina. ' 

15 E come e’ fu dismontalo di nave. 

Sentì come costor son coronati, 

E che tenien dell’impero le chiave: / 

Non sì penti che gii aveva onorati, 

E con parole benigne e soave 
(Jmilemente gli ebbe vicilati : 

Dicendo, come savio uomo e discreto. 

Di lor prosperità troppo esser lieto. 

16 E abbracciato fu si allegramente, 

Come se fussi lor carnai fratello ; ' 

Rinaldo presto gli corse alla mente 

Di dar la figlia del lor oste a quello, 

E dissegli : Fanciulla mia piacente. 

Ascolta, e ’nlendi ben quel ch’io favello: 
lo ti promessi di tor per isposa; 

Questa sarebbe a me impossibil cosa, 



11 . 



10 



110 



IL SIORGANTB MAGGIORE. 



17 Ch’ i’ ho lasciato altra mogliera in Fiancia ; 
Ma vo’ che Greco qui tuo sposo sia; 

E darotli tal dota e si gran mancia. 

Che sempre ognun di voi contento fia. 

Un poco rossa si fece la guancia 
Quella fanciulla; poi gli rispondia. 

Ch’era contenta alle sue giuste voglie: 

£ cosi Greco la tolse per moglie. 

18 Ma innanzi che la tolga, è battezzato ; 
Aìnaldo gli donò poi tanto avere, 

Che del servigio l’ ha ben meritato, 

£ sanza navigar potrà godere : 

Però questo proverbio è pur provalo. 

Che non si perde mai nessun piacere ; 

£ bench’a molli uom serva sanza fruito. 

Per mille ingrati un sol ristora il lutto. 

19' Poi fecion Chiarion governatore 
Di lutto il regno; che si ricprdorno 
Che di sua povertà fe loro onore: 

£ riposati in Monaca alcun giorno, 

Per aiutare in Gn quel traditore 

Del conte Gan, da lui s’ accommialomo : 

£ non potrebbe lingua o penna dire. 

Qual fussi il pianto in questo lor partire. 

20 Piangea il padron, che pareva battuto; 
Piangea la dama dolorosamente ; 

\ Piangea l’ oslier, eh’ assai glien’ è incresciuto ; 
Piangeva ’l po(K>l tutto unitamente; 

Piangea Rinaldo, e non sare’ credulo ; 

Piangeva Orlando e ’l Marchese possente ; 
Piangeva Ricciardetto e Aldinghieri, 

Piangeva inaino al povero Rinieri. 

21 Ma gli autor si scordan qui con mèco : 

Chi vuol che Greco al governo restassi, 

Chi dice Chiarione e Greco seco, 

£ r uno'e l’ altro insieme governassi : 

Ma a mio parere, è Chiarion, non Greco, 

Acciò eh’ ognun Rinaldo ristorassi, 

£ perch’egli era della città nato, 

£ de’ costumi lor più ammaestralo. 



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CANTO TENTESIHOPRUIO. 



Ili 



32 Orlando e gli altri insieme se ne vanno, 
Tanto che son presso a Gastelfalcone, 

E due pastori appresso trovali hanno ; 

L’ uno era quel che mandò Ganellone 
A Babillona, e gran festa gli fanno: 

E domandàr se Gan vivo è in prigione, 

0 s’egli è morto, o quel ch’era seguito, 

Se lo sapeva, o quel che n’ ha sentito. 

25 11 pastor disse, ch’egli è vivo e sano ‘ 

Nella prigion, ma con assai disagio: 

Poi prese del cavai la briglia in mano 
D’ Orlando, e tutti gli mena al palagio. 

Dove slava il pastor che impiccò Gano; 
Dicendo: Qui solea star quel malvagio, 

Ch’ avea il corsier di Rinaldo imbolato ; 

Noi c’imbucammo, com’e’ fu impiccato. 

24 Quivi son tutti i Cristiani smontati: 

E’ pastor certi capretti uccidieno, 

E certi lor lattonzi hanno inCIzati: 

Del latte v’ è da versarsi pel seno ; 

1 destrier son come lor vezzeggiati : 

Gran sacca d’ orzo e gran fasci di fieno. 
Rinaldo disse : Al mio date orzo e paglia ; ' 

E poi , si dice cavai da battaglia. 

25 Quivi mangiorno, e riposàrsi alquanto; 
Orlando que’ pastor vien domandando. 

Come il castel pigliar si possi intanto : 

1 pastor tutto venien disegnando. 

Come guardato sia da ogni canto ; 

E per sei porle vi si viene entrando ; 

E ogni porta a sua difensione 
Aveva nn fiero e selvaggio bone. 

26 E la lor madre, chiamata Creonla, 

Com’ un dragon gli unghioni avea afiìlati. 
Barbuta, e^guercìa, o maliziosa, e pronta, 

E sempre aveva spiriti incantati : 

E par piena di rabbia, d’ira e d’onta; 

E per paura non è chi la guati. 

Filosa, e nera, arricciata, e crinuta. 

Gli occhi di fuoco, e la lesta cornuta. 



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112 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



27 Mai non si vide più sozza figura , * 

Tanto ch’ella pareva la versiera, 

E Satanasso n’arebbe paura, 

E Tesifone ed Aletto e Megera ; 

E gran fatica fia drente alle mura 
Entrar per questa spaventevoi fiera : 

E’ de’ giganti ogni cosà contavano, 

Di lor costumi, e quel che in man portavano. 

28 Or questo é quel eh’ a Rinaldo piaceva. 

Quanto e’ sentia più cose oscure e sozze ; 

E dove far qualche mischia credeva , 

E’ gli pareva proprio andare a nozze : 

Non domandar come il cuor gli cresceva : 

E dice : Se le man non mi son mozze, 
lo ne farò come torso di cavolo ; 

Vedrem chi fia di noi maggior diavolo. 

29 Non mangia- a mezzo, chè sellò Boiardo; 

Orlando e gli altri segnitavan quello : 

Rinaldo se ne va sanza riguardo 

Subito a una porla del castello ; 

Fecesi incontro un fier lion gagliardo. 

Che si pensava abboccare un agnello : 

Rinaldo e gli altri cran tutti smontati, 

£ i cavalli a Rinieri avevon dati. 

SO Questo lion di terra un salto spicca, 

E a Rinaldo si scagliava addosso; 

I fieri artigli nello scudo ficca. 

La bocca aperse, e ’l capo un tratto ha scosso : 
Rinaldo un colpo alle zampe gli appicca, 

E tagliagli la carne, il nervo e l’osso: 

Donde il lion diè in terra della bocca ; 

Allor Rinaldo alla testa raccocca. 

31 E spiccò il capo dallo ’mbnsto a questo, 

E morto si rimase in sulla soglia. 

Disse Aldingbieri : Io mi ti manifesto ; 

Uccider vo’ quest’ altro, ch’io n’ ho voglia. 

Rinaldo gli rispose : UccidiI presto. 

Acciò che non ti dessi atfanno e doglia. 

Dunque Aldinghier non dicea più parola. 

Ma missegli la spada nella gola. 



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CANTO VENTBSIHOPBIHO. 



113 



33 E riuscì la punta nelle rene. 

Orlando disse: II terzo uccidrò io ; 

Ecco il lion che inverso lui ne viene, 

E ’nginocchiossi mansueto e pio : 

Orlando Durlindana sua ritiene, 

E disse : Questo è misterio di Dio : 

Seguite me ; chè ’l ciel ci spigne drento, 

E non arem dagli altri impedimento. 

33 E cosi fu; chè il lion si rizzava, 

£ tutti gli altri delton lor la via, 

E questo come scorta innanzi andava. 
Orlando inverso i giganti ne già: 
Maravigliàrsi, e l’un di lor parlava: 

Che gente è questa, e donde entrata sia? 
Può fare il ciel ch’i lion non gli udissino, 

E tute a sei ad un’otta dormissino ! 

34 Questo mi par pure il più nuovo caso. 
Subitamente uscir fuor del palazzo : 

Fecesi innanzi l’un eh’ è senza naso, 

E va verso Rinaldo come un pazzo : 

La barba lunga aveva e ’l capo raso ; 
Rinaldo guarda quel viso cagnazzo, 

Che non parea nè d’ uom nè d’animali, 

E disse : Dove appicchi tu gli occhiali ? 

36 0 con che fluii tu 1’ anno le rose? 

Tu par bestia domestica a vedere. 

Questo gigante a Rinaldo rispose: 
lo tei farò, ghiotton, tosto sapere. 

Rinaldo un colpo alla zucca gli pose, 

Ch’ arebbe ben dimezzate le pere ; 

£ cacciagli Frusberta insino agli occhi. 
Tanto che morto convien che trabocchi. 

36 Come c’ fu in terra questo fastellaccio. 
L’altro s’avventa addosso ad Aldinghieri: 
Volle menargli d’ un suo bastonaccio ; 

Ma e’ prese un salto che parve un levrieri, 
E schifa il colpo, e menavagli al braccio, 
Tal che, se sa schermir, gli fa mestieri; 

E netto Io tagliò come un melone, 

E cadde in terra il braccio col bastone : 

10 * 



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114 



IL MOBGÀMTE MAGGIORE. 



37 E anche poi il ^iganle per la pena. 
Aldinghìer, quando lo vide caduto, 

Subitamente un gran colpo gli mena. 

Al collo del gigante s’è abbattuto, 

£ colla spada tagliente Io svena : 

L’ altro fratei, come questo ha veduto. 

Si scaglia a Ulivier di furia acceso, 

£ abbracciollo, c porlancl di peso, . 

38 Come farebbe il lupo un pecorino; 

Ma ’l buon pastore Orlando lo soccorse, 

£ disse: Posa, posa, Saracino, 

Posalo giù ; tu non credevi forse. 

Che fussi presso il guardian nè il mastino ? 

Di che il gigante per ira si morse. 

Che ’l sangue a Ulivier voleva bere, 

Ma per paura sei lascia cadere. 

39 Ulivier ritto si levò di terra, 

£ trasse a quel Pagan con Altachiara, 

£ nella trippa una punta disserra. 

Dicendo : Tu berai la morte amara. 

£ con quel colpo morto giù l’atterra, 

£ bisognò che trovassi la bara : 

£ron già morti tre, rcstavane uno, 

Ch’ era più Gero e forte che nessuno. 

40 Orlando disse: La battaglia è mia, 

£ tocca a me quest’ altro che ci resta ; 

£ ’l fér gigante pien di bizzarria 
D’un mazzafrusto gli diè in sulla testa. 

Che poco men eh’ Orlando non cadia. 

Gridò Rinaldo : £ anco tua Ga questa 
Picchiata, come hai detto la battaglia: 

Non se’ tu Orlando, o ’l brando più non taglia? 

41 Allora Orlando lo scudo abbandona, 

£ ’l pome della spada appoggia al petto, 

£ ’nverso il Saracin sé stesso sprona, 

Quando e’ senti quel che ’l cugino ha detto; 

£ terminò passargli la persona : 

Giunse la punta al bellico al farsetto, 

Ch’era di ferro, e ogni cosa inGIza, 

E passò il ventre e ’l fegato e la milza. 



Dkiifcfid b v ^opgle 



CANTO VENTE8IMOPR1HO. 



lltf 



42 E riuscì di dreto un braccio o pine 
Il brando, che di sangue è fallo rosso; 

E questo pilastron rovina giue, 

E mancò poco non gli cadde addosso : 

Se non Ch’Orlando mollo destro fuc, 

E parve che ’l terreo si sia riscosso : 

Della qual cosa in gran superbia monta 
La fiera madre incantata Greonta. 

43 Corse al romor com’ una spiritata, 

Prese Aldinghieri, e lutto lo diserta 

Cogli unghion, come una bestia arrabbiata; 
Travolge gli occhi, e la bocca avea afierta: 
Non fu tanto Ericon mai infuriata; 

Rinaldo l’ aiutava con Frusberta, 

Ma di tagliarla la spada s’ infigne : 

Allor Rinaldo la gola gli strigne. 

44 Ella aveva Aldinghier ghermito in modo. 
Che sare’ me’ abbracciare un orsacchino, 

E portanelo a forza, e tiello sodo: 

Orlando gli ponea le mani al crino, 

Ma non poteva ignun disfar tal nodo ; 

E Aldinghier gridava pur meschino : 

Io credo che ’l diavol m’abbi preso, 

E nello inferno mi porti di peso. 

45 Orlando allor gli mena della spada, 

Ma in drieto si ritorna Durlindana, 
Quantunque ella sia forte e ch’ella rada. 
Dicea ridendo la donna pagana: 

Voi date al vento i colpi o la rugiada, 

A ferir me; ch’ogni fatica è vana; 

Non ne potete aver di questo vello 
Per nessun modo, o uscir del castello. 

46 Orlando tutto allor si raccapriccia, 

E vede che costei gli dice il vero ; 

A lutti in capo ogni capei s’arriccia, 
Veggendo quel demon cotanto fiero ; 

La faccia bruita, affumicata, arsiccia: 

Non si dipigne tanto il diavol nero. 

Quanto ha Crconta la lana e la pelle ; 

E più terribii voce che Smaelle. 



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IL MOBGA>TR MAGGIORE. 



Ii6 

47 Ella vedeva innanzi i Ggliuol morti: 

Pensa quanto dolor la misera abbia, 

E come questo in pace mai comporti, 
Massime avendo i suoi nimici in gabbia ; 

Poi si ricorda di mille altri torti 

Pur de’ suoi figli, e per grand’ira arrabbia, 

Come fa Salai del cadimento, 

Ch’ udendo! ricordar par si scontento. • 

4S Poi diventò più che Niel gentile ; 

Non parve più Beritte, o Saliasse, < 

O Squarciaferro, anzi si fece umile: .' 

Nè creder come Hocco tartagliasse , 

Chè come Nillo parlava sottile : 

Non par Sottin che in francioso parlasse. 
Non Obisin per certo alla favella, 

O Rugiadan che ne portò 1’ anella. 

49 E non parea nel suo parlar Rilette, 

Che violò il mandai con certe chiocciole, 

O Astarot che nel cavallo stette, 

E sòttÒ~ìln besso gittò tante gocciole; 

Non Oratas, quel che i pippion ci delle; 
Tanto ben par che sue parole snocciole : 

E Aldinghier lasciò tutto dolente, 

E cominciò a parlar discretamente. 

60 Io vi perdono, io vo’ con tutti pace. 

Tanto m’ aggrada vostra gagliardia ; 

E libero sia Gan, come vi piace: 

Disposta son non vi far villania : 

De’ miei fìgliuol, quantunque e’ mi dispiace, 
Altra vendetta non vo’ che ne sia. 

Se non che mai di qui non uscirete, 

E fate tutti ciò che far sapete. 

' 6t Era ciascun tutto maravigliato, 

E trasson di prìgion subito Gano, 

Ch’ era in una cilcrna incarcerato 
Nell’acqua, in luogo mollo oscuro e strano; 
E come e’ fu di prigion liberato, 

E’ pose presto alla spada la mano : 

E vuol Creonla a ogni modo uccidere, 

E finalmente e’ la vedeva ridere. 



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CANTO VENTESIHOPRIUO. 



117 



\ 



62 Orlando e Ulivier si riprovorno, 

E gli altri, se potessino ammazzalla, 

£ molli colpi alla donna menomo ; 

Ella rideva , e ’l lor pensier pur falla : 
Alcuna volta alla porta n’ andorno : 

Quivi persona non era a guardalla ; 

Ma per sè stessa, come ignun s’accosta. 

Si riserrava ed apriva a sua posta. 

53 Dunque e’ si reslon pur drento al castello , 
Ognun da questo error molto confuso. 
Intanto Malagigi lor fratello, 

Gittando l’arte un giorno com’era uso, 

Vide e conobbe finalmente quello. 

Come Rinaldo suo si sta rinchiuso, 

E che questo è per forza di malia, 

E subito a Guicciardo lo dicia. 

64 Ed a Parigi presto a Astolfo scrisse, 

Che subito venissi a Montalbano ; 

Astolfo per cammin tosto si misse. 

Tanto che tocca a Malgigi la mano : 

Quale ogni cosa di punto gli disse, 

Ed accordàrsi tutti a mano a mano, 
Guicciardo, Alardo, ire a trovar costoro; 
Per la qual cosa Antea volle ir con loro; 



66 Dicendo : Io rivedrò Rinaldo mio. 

£ poi che molti giorni sono andati. 

Anzi volati, come fa il disio; 

Tre cavalier pagani hanno scontrati , 

E salulàrsi nel nome di Dio : 

1/ un di coslor, come e’ si son trovali. 

Guardava pur d’ Astolfo il suo cavallo, 

£ non si vergognò di domandano. 

66 Era chiamalo il Saracin Liombruno, 

Nipote di Marsiglio re di Spagna ; 

E dice: Mai cavai non vidi alcuno. 

Che non avessi in sè qualche magagna. 

Salvo eh’ io n’ ho pur oggi veduto uno, • 

E ’ntendo che con meco si rimagna. 

Diceva Astolfo : Odi pensier fallace 1 
Quanto più il lodi, tanto più mi piace. 



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I 



118 



IL HOBGANTK MAGGIOBB. 



67 Ecco ch’ognnn questo cavai vorrebbe. 
Ah, disse Liombnin, tu non vooi intendere. 
Diceva Astolfo : E chi t’ intenderebbe? 

Disse il Pagan: Chi ti facessi scendere? 
Rispose Astolfo : Più di me potrebbe ; 

0 stu noi vuoi giocar, donar nè vendere, 
Vo’ che tu r abbi colla lancia in mano. 
Prendi del campo, allor disse il Pagano. 

«. • 

■ , 68 Sanza più dir, rivoltali i cavalli, 

Abbassaron le lance con gran fretta ; 

Ma perchè la sua regola non falli, 

Astolfo si trovò sopra 1’ erbetta 
Tra mille odori e (ìor vermigli e gialli. 
Alardo che i vedea; Sia maladetta. 

Diceva, Astolfo, la tua codardia; 

Mai più cadesti, per la fede mia. 

69 Liombruno il cavai voleva allora : 

Alardo disse: Il credo, tu il (onesti; 

E’ c’ è di molla via sassosa ancora; 

Vedi che non se’ oca, e beccheresti ; 

E’ ti convien con meco giostrar ora, 

E sto m’ abbatti, vo’ che tuo si resti ; 

Ma non islimo come lui cadere. 

Ch’io non ismonto prima eh’ all’ ostiere. 

60 Liombruno disse : Tu fai villania. 

Ma non la stimo, perch’ io non ti prezzo : 
Veggiam come tu smonti all’osteria. 

Tu ne potresti scender prima un pezzo ; 
Piglia del campo, e dislldato sia, 

Ch’ io so di chi sarà il cavai da sozzo. 
Alardo si voltò si destro e snello. 

Che ben parea di Rinaldo fratello. 

61 Ah, disse Antea: £’ si conosce bene 
La prodezza del sangue di Chiarmonte. 

Or ecco Liombrun, che innanzi viene, 

£ colle lance si trovono a fronte ; 

* Ma il Saracin d’ Alardo non sostiene 

11 colpo, ch’egli aria passalo un monte: 

La lancia gli trapassa il cor pel mezzo, 

^ . E morto cadde tra’ fioretti al rezzo. 






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CANTO VENTBSIHOPRIIfO. 

62 Diceva l’un coll’altro suo compagno: 
Questo sarebbe troppo a’ paladini ; 

Qui è poca civanza, e men guadagno ; 

Costor non son per certo Saracini ; 

' E’ sarà buon mostrar loro il calcagno, 

E ritornarci ne’ nostri contini : 

Feciono, come c’ disson, tosto e netto, 

Però che telson su presto il sacchetto. 

63 Astolfo si tenea vituperalo, 

Massimamente perch’ e’ v’ era Antea ; 

E ’l me’ che può del cader s’ è scusato : 
Questo deslrier ch’io cavalco, dicea, 

Da poco in qua restio è diventato ; 

Mentre la lancia correr mi credea. 

Mi dibattè, perch’ e’ giucò di schiena; 

Io mi lasciai cader giù per la pena. 

64 Diceva Antea: Che ti bisogna scusa? 

Non ho io bene ogni cosa veduto? 

E se tu fussi pur cascato, e’ s’ usa' 
Guicciardo, poi che molto ebbe taciuto, • 

Non potè più tener la bocca chiosa, 

E disse: Mai più, Astolfo, se’ caduto: 

Questo cavai si vorrebbe impiccare, 

Che mille volte t’ ha fatto cascare. 

65 Malagigi tagliava le parole : 

Astolfo sopra il suo cavai rimonta : 

Cavalcon tanto alla luna ed al sole, 

Che capitorno al castel di Creonta: 

Malgigi certo incanto, come e' suole, 

Fece all’ entrar, chè l’ arte aveva pronta ; 

E innanzi a tutti gli altri fa la scorta, 

E dove e’ giugne, s’ apriva ogni porta. 

66 Giunsono in piazza, e l’abbracciate fanno 
Non conosceva Aldinghier Malagigi ; 

E gli dicien come trovato l’hanno, 

E che volevon menarlo a Parigi; 

Poi di Creonta tutto ciò che sanno: 

Malgigi guarda i suoi brutti vestigi, 

E lei pur lui, e par piena d’ angosce , 

Chè r un diavol ben l’ altro riconosce. 



120 



IL HOBGÀNTB MAGGIORE. 



67 Dicea Malgigi: lo ero a Montalbano, 

E vietivi qua (ulti in gran periglio, 

£ mandai per Aslolfo a mano a mano , 

E d’ aiutarvi facemmo consiglio. 

Rinaldo intanto tenea per la mano 
Anlea, che ’l volto avea tutto vermiglio , 

E sente amaro e dolce, c freddo e caldo, 

£ non si sazia di guatar Rinaldo. 

68 Perchè intendiate, seguitava poi 
Malgigi, e’ ci sarà da far pur molto, 

Disse colui che non ferrava i buoi. 

Ma 1' oche, e già lo incastro aveva tolto: 
Questa crudel con certi incanti suoi 
(Diciam più pian, ch’io la veggo in ascolto] 
Ila fatta certa immagine di cera, ‘ 

Come colei c’ ha l’arte tutta intera. 

69 E ’n certa parte sta di quel palagio, 

£ un dragone appresso v’ è a guardalla ; 
Tanto è, che più di lei sarò malvagio: 

Ma questa donna bisogna piglialla, 

£ tenerla qui tanto, eh’ a bell’agio 
lo possa questa immagine guastalla: 

E nel guastar questa tìgura orribile. 

Vedrete a cosici far cose terribile. 

70 Rinaldo sol con meco ne verrà, 

Chè mi bisogna un compagno menare, 

E colla spada il dragone uccidrà : 

Or oltre, tempo non è qui da stare. 

Orlando inverso Creonta ne va. 

Che cominciava gii occhi a sfavillare, 

£ far certi carattere già in terra : 

E Ulivieri e gli altri ognun l’ afferra. 

71 A gran fatica tener la potieno ; 

Ella meltea talvolta certe strida , 

Che par che dello inferno proprio sieno : 
Malgigi intanto Rinaldo su guida. 

Dove getta il dragon fuoco e veleno, 

E dice, quanto può presto l’uccida, 
f Rinaldo, sanza fargli altra risposta, 

A quel dragon con Frusberta s’ accosta. 



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- CANTO VÈNTBSIHOPRIHO. 121 

72 Non domandar come il drago si croccia, 

E, come e’ vide Rinaldo, si rizza-: 

Rinaldo trasse, e la spada gli smoccia 

Al collo, tal che gli cava la stizza, 

Ch’ appena sol si teneva la boccia, 

Tanto che poco la coda più goizza : 

Dunque Rinaldo è quel eh’ uccise il drago, 

E fe di sangue e di veleno un lago. 

73 Malgigi a quella immagine s’ accosta , 

Gh’ era fatta di cera pura e bella 
Delle prime ape, molto ben composta 
Sotto costellazion d’ alcuna stélla, 

Con tutti i membri insin ad una costa ; 

E sopra il destro piè si posa quella, 

Sospesa avendo la sinistra gamba 
Di scorcio, strana, orribii, torta e stramba. 

74 La faccia aveva soprattutto fiera : 

Malgigi, che sapea di punto il giuoco. 

Fece per arte, che l'aveva vera. 

Presto apparire un gran lampo di fuoco. 

Che s’appiccò di tratto a quella cera, 

E struggela, e consuma a poco a poco; 

E mentre che cosi la cera scema, 

L’ aria e la terra e ogni cosa triema. 

75 Rinaldo più d’ un trailo s’ è riscosso 
Per la paura che gli entrò nel cuore: 

Malgigi gli facea sigilli addosso, 

E disse: Non aver di ciò timore; 

Fa che per nulla tu non ti sia mosso. 

Vedrai che presto cesserà il furore. 

Ma in questo che l’immagin si struggea, 

Mirabil cose la donna facea. 

76 Ella si storce, rannicchia e raggruppa. 

Poi si distende come serpe o bisce. 

Poi si raccoglie, e tutta s’ avviluppa ; 

Ella si graffia, e percuote e stridisce; 

E tutta l’aria in. un tratto s’inzuppa 
Di piogge e venti, e co’ tuoni squittisce, 

E grandine e tempeste e ’ncendj e furie 
Cominciono apparir, con triste agurie. 




122 



IL MOBGANTB MA6G10EB. 



77 Orlando, benché ognuno abbi paura, 

£ Uiivieri e gli altri tenien forte 
Colei, che si divora per l’ arsura , 

Che a poco a poco la'condnce a' morte. 
Come si dislruggea quella figura, 

Tanlo che tosto aperte fien le porle : 

Parea eh’ a forza l’anima si svella, 

E come Meleagro ardessi quella. u 

78 E finalmente morta si distende. 

Come fu quella immagine distrutta : 

Allor Malgigi del palagio scende, 

E r aria rischiarata era già tutta : 

E ciascun grazia a Malagigi rende. 

Che spenta ha questa cosa cosi brutta,' ' 
E liberati da tormento e affanno, 

Ed alcun giorno a riposarsi stanno. 

79 Un di non si potè tenere Alardo, 

Che non dicessi come il fallo era ito 
D’ Astolfo, che facea si del gagliardo: 
llinaldo, quando questo ebbe sentito, 

Lo dileggiava e chiamavai codardo : 

Tanlo eh’ Astolfo si tenne schernito, 

E per isdegno e per grand’ ira caldo. 
Trasse la spada per dare a Rinaldo. 

80 Rinaldo si scostò dicendo: Matto, 

Che vuoi tu fare? io intendo riguardarti, 
Com’ io t’ ho riguardato più d’ un tratto : 
Ma da qui innanzi di questo atto guarii. 
Orlando gli dispiacque questo fatto, 

E disse con Rinaldo: Tu ti parti. 

Per Dio, dalla ragion, eh’ Astolfo nostro 
Più che fratello amor sempre ci ha mostro. 

81 E mancò poco che non l’appiccava 
Orlando con Rinaldo la schermaglia. 

Se non che pur Rinaldo si chetava, 

Chè sa, quand’ e’ a’ adira, quel che vaglia: 
Astolfo tanto di ciò s’ infiammava. 

Che in qua e in là come un lion si scaglia ; 
E dipartissi la seguente notte, 

E tulle loro imprese ha guaste e rotte. 



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CANTO VBNTBSUfOPBUIO. 



123 



S2 Perù non facciam mai ignun disegno, 

Ch’un altro non ne faccia la fortuna, 

£ dà sempre nel brocco a mezzo il segno, 

Sanza pietà, sanza ragione alcuna; 

Questa persegue i buon, perchè gli ha a sdegno, 
Insin che v’ è delle barbe sol una, 

E fa de’ malti savj e i savj matti ; 

E chi prestar vorrebbe, ch’egli accatti. 

83 Astolfo va pei; un luogo deserto 

Di qua di là, come avvien gli smarriti. 

Era di notte; un lume s’ è scoperto, 

Dove abitavan tre santi romiti, 

Ch’ avien più tempo disagio sotferto 
Per riposarsi agli eterni conviti; 

Astolfo, come vide il lumicino. 

Subito inverso quel prese il cammino. 

84 Giunto a’ romiti la porta bussava, 

E ricettato fu nel romitoro : 

La notte certi Pagan v’arrivava, 

E ’mbavagliorno e ruborno costoro : 

E perchè pure il bottin magro andava, 

D’ Astolfo anco il cavai vollon con loro ; 

Astolfo si desiava, e sendo desto, 

Di questo caso s’accorgeva presto. . 

86 E sciolti quc’ romiti e sbavagliati, 

E’ domandò donde e’ preson la via 
Color che gli hanno cosi maltrattati ; 

Un di costoro a Astolfo rispondia : 

Lasciagli andar, chè saran ben pagati , 

De’ lor peccati e d’ ogni colpa ria 
Da quel Signor eh’ eterno ha stabilito. 

Che ’l ben sia ristorato e ’l mal punito. . 

86 Questi son rubator, che sempre stanno 
Per questi boschi, e son gente bestiale, 

E altra volta già rubati ci hanno. 

Ma non ci manca il pan celestiale, 

E sempre ci ristora d’ ogni danno : 

Se gli trovassi, e’ ti potricn far male; 

Lasciagli andar, chè Dio ragguaglia tutto, 

E rende a’ servi suoi merito e frutto. 



124 



IL HOBGANTE MAGOIOBB. 



87 Rispose Astolfo : A cotesta mercede 
Non inlend’io di star del mio destriere, 

Ch’ io so eh’ io me n’ andrei sanz’ esso a piede» 
E ’l Signor vostro si stana a vedere : 

''Questa vostra speranza e questa fede 
A me non dette mai mangiar nè bere: 
lo intendo ritrovare il mio cavallo, 

E farò forse lor caro costallo. 

88 E missesi a cercar, tanto che puro 
Gli ritrovò, che sono in su d’un prato, 

E stanno a riposarsi alle verzure, 

£ ’l cavai si pascea cosi sellalo : 

Avean chi lance, chi spade e chi scure. 

Astolfo a un .di lor si fu accostalo, 

(iridando: Traditór,.ladron di strada! 

E ’nsino al mento gli cacciò la spada. 

. 89 L’ altro gli mena con una giannetta ; 

Astolfo vede la punta venire, 

E con un colpo tagliò l’aste netta. 

Poi con un altro lo fece morire : 

Addosso agli altri compagni si getta, 

Tanto che tulli gli ha fatti stordire: 

Quattro n’uccide di dieci pagani. 

Agli altri il collo legava e le mani. • 

90 E rimontò sopra al suo palafreno, 

E ’nverso il romitoro si tornava ; 

Quando i romiti i mascalzon vedieno. 

Ognun d’ Astolfo si maravigliava, 

£ ringraziorno lo Dio Nazzareno. 

Astolfo a questi romiti parlava : 
lo vo’ che voi impicchiate a ogni modo 
Questi ladron pien di malizia e frodo. 

91 Dicevano i romiti : Fralel nostro. 

Iddio non vuol che giustizia si faccia ; 

Per tanto questo uficio si fia vostro. 

Dice Astolfo : lo credo eh’ a Dio piaccia 
Più questo assai che dire il paternostro, 

Se vero è che i cattivi gli dispiaccia. 

Cavale fuor le cappe, c fate presto, 

£ tutti gli appiccate a un capreslo. 



Oigiti?e^by-4 K ' > » y lg 



CANTO TBNTESIMOPRIHO. 



125 



92 ' Questi romiti fanno del vezzoso, 

E par eh’ ognun di lor si raccapricci : 
Astolfo, ch’era irato e dispettoso. 
Comincia a bastonargli come micci, 
Dicendo : Ai cui l’ arà chi Ga ghignoso ! 
Tanto che fuor shalzòrono i cilicci , 
Sentendo fra Mazzon che scuote i panni, 
E parean tutti all’ arte usi cent’ anni. 

93 Astolfo se ne ya pur poi soletto 
Per questa selva ove la via lo porta, 

Sanza certo proposito o concetto: 

Lascialo andar, che l’angiol gli sia scorta. 
Orlando si recò questo in dispetto, 

E una notte usci fuor della porta , 

E vassene soletto di nascosto, 

Chè ritrovare Astolfo avea disposto. 

94 Rinaldo alla sua vita mai non fue 
Peggio contento, quanto a questa volta. 
Diceva Antea : Che facciam noi qui piue ? 
Ogni nostra speranza veggo tolta; 

Io v’ accomando al vostro Dio Gesue, 

E ’nverso Babillona darò volta. 

Rinaldo e gli altri ognun presto dicia. 

Che gli volean far tutti compagnia. 

95 E piangon tutti quanti il conte Orlando, 
E ne ’ncresceva insino al traditore 

Di Ganellone, e sempre lacrimando: 

Dove se’ tu, dicea, caro signore? 

£ cosi giorno e notte cavalcando. 

Avendo Orlando pur Gtto nel core, 

A Babillona condotta hanno Antea, 

Che del suo mal più da presso piangea. 

96 Non v’ ha trovato il suo misero padre. 
Che lo lasciò contento, e si felice; 

Non vi rivede più 1’ usate squadre, 

E molle cose lamentabil dice. 

Rinaldo con parole assai leggiadre 
Diceva: Qui regina e imperatrice 
Ti lascerò della tua patria antica, 

E so che Orlando vuol che cosi dica. 

4f 



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126 



IL MOHOANTK UAGGIOBK. 



97 Adunque in Babillona Anlea si resta, 

£ fu da (ulto il popoi vicitala, 

£ non si potre’ dir con quanta festa 
Da’ cilladin costei fossi onorata ; 

E la corona re^al (iene in lesta, 

£ la città parca risuscitata. 

Rinaldo si posò quivi alcun giorno, 

£ lutti insieme poi s’ accomiatorno. > 

98 £ con molti sospir cercando vanno, 

Se potessi n trovar per Pagania 
Orlando, e dove e’ cerchin già non sanno ; 

A Monaca n’ andàr di compagnia, 

£ Greco e Chiarion qui trovato hanno, 

£ domandar quel che d’ Orlando sia : 

Rinaldo rispondea, che '1 suo fratello 
Si parti per disdegno dal castello. 

99 Molto di questo Greco e Chiarione 

Si dolsono, e cosi la damigella, ’ 

£ mandono spiando assai persone, 

Per le città, per ville e per castella, > 

Se si trovassi il Ogliuol di Milone, .1 
Nè altro mai che di lui si favella ; t 
E Greco e Chiarion molto onoravano f 
Rinaldo e gli altri, perchè assai gli amavano. 

100 Cosi con Chiarion lasciamo un poco 
In Monaca costoro a riposare ; 

Astolfo andava d’ uno in altro loco, 

Sanza saper dov’egli ahhia arrivare, 

Come falcon che s’ è levalo a giuoco, 

£d ha disposto paese vagare, 

£ non tornar al suo signor più a segno. 

Si come spesso avvien per qualche sdegno. 

101 Cosi faceva il nostro paladino, 

Tanto che in Barheria già si rilruova, 
Dov’era una città d’un Saracino, 

Ch’ avea trovata una sua fede nuova ; : 

Non crede in Cristo, non in Appellino, 

Non Macomello o Trivigante appruova, 

Anzi adorar fa sè, ch’era gigante 
Mollo superbo, e detto è Chiarislante.'i'^ 



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CANTO VENTESIHOPRIHO. 127 

402 E la città Corniglia si dicca, 

E Filiberta si chiama la moglie ; 

■ Dipinti questi due nella moschea 

Erano Iddii ; e ’l popol quivi accoglie, 

E per paura adorar si facea : 

Volea cavarsi tutte le sue voglie, 

E vergini ognidì per forza prende, 

Poi le metteva ove il buon vin si vende. 

■103 Avea già fatte tante crodeltade, 

Che tutto il regno suo P odiava a morte ; 

Astolfo capitando alla cittade. 

Dismonta ad un ostier fuor delle porto, 

E ’nlese da costui la veritade, 

Come il signor governava sua corte 
Con tanta infamia, ingiustizia e vergogna: 

E riposossi, perché gli bisogna. 

104 Or non lasciam però per sempre Orlando : 

E’ si parti donde mori Creonta , 

A que’ romiti venia capitando. 

Dove alcun ghiotto i buon bocconi sconta : 

Un de’ romiti gli vien raccontando 
Di que’ ladroni, e la storia avea pronta, 

Come impiccar gli fece un cavaliere. 

Perchè gli avevon rubato il destriere. 

106 Ma e’ si dolieno ancor delle mazzate, 

Ch’ Astolfo aveva lor le schiene rotte. 

Un poco le schiavine rassettate ; 

Ma de’ ladron che rimisson le dotte , 

Lo ringraziavan per la sua bontate. 

Orlando si posò quivi la notte, 

E fece carità di quel che v’ era 
li me’ che può co’ romiti la sera. 

106 E poi eh’ ognun di lor fu addormentato ; 

L’ angiol di Dio apparve in visione 
A un romito, e hallo salutato. 

Dicendo : Sappi che qnettifr barone, 

È il conte Orlando, lin’dVéte albergato. 

Fategli onor, ch’egli é’il noslro campione; 

Quel eh’ impiccò color, fu il suo cugino. 

Chiamalo Astolfo, un altro paladino. 




le 



128 



IL MOBGANTB MAGGIOBE. 



107 E ’l sìmigliante ad Orlando appari, 
L’angioI dicendo: Orlando, che farai? 
Sappi eh’ Astolfo tuo capitò qui, 

E presto sano e salvo il troverrai; 

Non passerà da ora il sesto di. 

Che donaattina di qui partirai : 

Non ti dolere, o baron giusto e pio. 

Come tu fai , chè ciò non piace a Dio. 

108 Orlando la mattina risentito, 

Subito a Vegliantin mette la sella; 

Intanto a lui ne veniva il romito, 

£ dicegli dell’angiol la novella. 

Siccome in vision gli era apparito. 

Mentre che si dormia nella sua cella ; 

, E molta reverenzia gli facia. 

Orlando l’ abbracciò, poi si partia. 

109 E dirizzossi giù per un vallone, 

Dove ha trovato un orribil serpente. 

Che s’ azzuffava con un bel grifone: 
Orlando a questo fatto pose mente, 

E piacegli veder la lor quistione ; 

Ma quel grifone ai fin resta perdente, 
Perchè il serpente gli avvolge la coda 
Un tratto al collo , e con essa l' annoda. 

110 Parve il grifone ad Orlando si bello, 

E mai più forse non avea veduto, 

Che terminò d’aiutar questo uccello; 

E con un ramo di faggio fronduto 
Dette al serpente, e liberato ha quello, 

E ’l suo nimico giù morto è caduto : 

Donde il grifon ne va per I’ aria a volo; 
Orlando , al suo cammin pensoso e solo. 

Itt Poco più oltre quattro gran lioni 

Trovava, e Vegliantin tutto è adombrato 
Quando ha veduto questi compagnoni ; 

L’ uno ad Orlando ne vien difilato. 

Apre la bocca e distende gli unghioni : 
Orlando Durlindana nel costato 
Gli cacciò tutta, fuor che l’elsa e ’l pome; 
Gli altri r assalton , non ti dico come. 



-Digiti^ ,b; 



CANTO VBNTESlMOPBmO. 

H 2 Orlando i colpi allor misura e ’nsala, 

Però eh’ a mal parlilo si vedea : 

Ecco il grifon, che per l’aria giù cala 
Con lai furor che non si conoscea 
Se fossi un venlo o pure uccel coll'ala ; 

E un lion, che più ressa facea" 

Al conle Orlando, cogli unghion ghermia 
Agli occhi, lai che schizzar gli facia. 

113 Queslo lion dalla zuffa si spicca: 

Orlando un allro col brando n’ uccide, 

E poi col quarlo il grifon si rappicca 
Per aiulare Orlando, e in aria slride ; 

E poi in un Ira Ilo gli urligli gli ficca 
Nel capo, e slrinse, insin che morlo il vide, 
Chè gli cacciò gli unghion fino al cervello : 
Adunque buono amico è queslo uccello. 

114 Non si perdè servigio mai nessuno: 

Servi qualunque, e non guardar chi sia. 

Dice il proverbio; e sin diservi alcuno. 

Pensa che a lempo la vendella fla ; 

Ma semina tra’ sassi o sotto il pruno. 

Sempre germoglia al fin la cortesia: 

E noli ognun la favola d’ Isopo , 

Che il lion ebbe bisogno d’ un topo. 

■116 Vuoisi servire insino agli animali, ~ 

Chè qualche volta merito si rende. 

Come dicono i delti de’ morali, • . 

E fassi schiavo chi il servigio prende, 

E tanto è degno più, quanto più vali; 

Sempre il servìgio il cuor d’amor raccende, 

£ vien da generoso animo e magno, 

E torna al fino a casa con guadagno. 

116 Quel lion cieco il grifon non l’ offese 
Per gentilezza, e cosi fece Orlando; 

E finalmente le grande alie stese, 

E dipartissi per l’aria volando: 

£ cosi il suo cammin Orlando prese, 

Astolfo pure all’ usalo cercando ; 

£ cavalcando giorno e notte questo. 

Giunse a Cornìglia, abbreviando il lesto. 



129 






130 IL MOBGANTE MAGGIORE. 

117 E dismontalo ad un oste pagano, 

Attese Veglianlino a ristorare, 

Ch’ era più giorni per coste e per piano 
Andato, ed apparato a digiunare: 

Or lasciara riposarlo lieto e sano ; 

A Astolfo ci bisogna ritornare, 

' Che col suo oste fuor della citiate 
Si slava, e molte cose ha ragionale. 

118 Videi turbalo un di tutto nel volto, 

E la cagion di ciò volle sapere : 

E’ gliele disse, sanza pregar mollo; 

Che ’l signor vuoi la sua figlia tenere. 

Se non che gli sarà l’ albergo tolto. 

Con essa insieme e la vita e l’ avere ; 

Ma che piuttosto morire è contento. 

Che ubbidir questo comandamento ; 

119 E la hgliuola di sua mano uccidere. 
Innanzi che veder tanta vergogna, 

Chè si sente di duolo il cor dividere. 

Astolfo disse: Questo non bisogna. 

Forse eh’ ancor di ciò potresti ridere ; 

Or manda a Chiaristante a dir se sogna : 

0 se ci manda più suo messaggiero. 

Fa ch’io lo vegga, e lascia a me il pensiero. 

120 Ben sai che Chiarislanle non soggiorna : 
A mano a mano un messo gli raccocca. 

• Disse l’ostiere: Il messaggier ritorna. 
Rispose Astolfo : Non ci aprir tu bocca. 
Costui dicea, che la fanciulla adorna 

Si mandi a corte presto, e pur ritocca. 

* Astolfo allo Bcodier quivi s’accosta, 

E disse : Io ti farò per lui risposta. 

121 Rispondi in questo modo a Chiaristante ; 
Che ’l popol suo l’ha troppo comportato, 

Ma eh’ e’ potrebbe farne tante e tante, 

Che d’ ogni cosa sarà poi purgato ; 

Non si dice altro per tutto Levante, 

Se non di questo tristo scellerato : 

Guarda con quanta faccia pur sollecita. 
Come se fossi qualche cosa lecita ! 



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CANTO VBNTESIHOPBIHO. 



131 



122 Quel messaggio le stimile faceva, 

E (lice : Tu debbi esser qualche pazzo. 
Astolfo un’ altra volta gli diceva: 

Rilórnati al signor, dico, al palazzo. 

L’ oste si tacque e nulla rispondeva ; 

Disse colui : La cosa va di guazzo ; 

Questo poltron riprende il signor nostro ! 
Lascia eh’ io torni e Dagli 1’ error mostro. 

123 Vanne al signor com’ un gallo arrostilo 
Subito, e ’nginocchìossi il damigello, 

£ dice ciò eh’ egli aveva sentilo. 

Disse il signor: Chi Da quel ladroncello? 
E’ sarà qualche matto eh’ è smarrito ; 

Ma l’oste non rispose nulla a quello? 
Disse il sergente: E’s’intendea con lui, 

£ non mi pare un matto anco costui. 

124 Rispose Cbiaristante : Or torna tosto , 
Digli che venga lui e l’ oste a me ; 

Ma e’ si sarà o fuggito, o nascosto. 

Dicea il mes.saggio : Non Da per mia fo 
Fuggito, in modo, ti dico, ha risposto. 
Astolfo slava armato e sopra sè, '' 

£ disperato va cercando guerra ; 

£ ’ntanto il messo torna dalla terra. 

125 £ dice : Tu che rispondesti dianzi ; 

Dice il signor, che l’ oste e tu vegnate 
A corte ; presto, avviatevi innanzi : 

£ vuoigli mandar fuor colle granate. 
Rispose Astolfo: Acciò che tempo avanzi. 
Di al signor m’aspetti alla citiate. 

Se meco vuol provarsi ; e digli come. 

Se noi sapessi, Galliano ho nome. 

126 £ eh’ io farò forse costargli caro 
Questa imbasciata, e vengo ora a trovallo. 
il messo torna con un viso amaro, 

£ disse: £’ viene a trovarvi a cavallo; 

£ dice è Gallian, per farti chiaro: 

£’ mi faceva paura a guardallo : 

£ che se voi volete la donzella , 

La vuol con voi giostrar sopra la sella. 




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132 



IL MORGANfB IfAGGIQRB. 



127 A Chiaristante parve il fatto strano ; 

E disse : Di che venga in sulla piazza 
A ritrovarmi questo Galliano, 

0 vuol con lancia, o con ispada, o mazza ; 
Vedrem chi sia questo poltron villano, 

Ch’io non intèndo questa cosa pazza. 

11 messo a Astolfo aH’ostier ritornoe; 

Astolfo armalo alla terra n’ andoe. 

128 L’ oste gli pare Astolfo uom mollo degno, 
E dice : Forse Dio 1’ ha qui mandato ; 

Ma sia che vuol, eh’ io vo’ con questo sdegno 
Morir piuttosto, eh’ essere sforzalo. 

E disse : Va, Macon sia tuo sostegno. 

Astolfo in sulla piazza è capitato, 

E ognun corre a vedere il giostrante ; 

In questo tempo s’ arma Chiaristante. 

129 Orlando, che sentilo ha già il romore, 
Com’in piazza era venuto un guerriere, 

Il qual provar si volea col signore. 

Presto s’armò, per andare a vedere; 

Ma l’ostier suo, per non pigliare errore, 

Volle che pegno lasciassi il destriere, 

Che non isla degli scotti alla fede : 

Poi gliene ’ncrebbe, veggendolo a piede. 

130 E disse: torna e ’l cavai tuo ne mena, 
f Come persona libera e discreta. 

I Orlando scoppia di duolo e di pena, 

. Che da pagar non aveva moneta, 

E Veglianlin non si reggeva appena ; 

Questo gli fa tener la bocca chela. 

Non gli par tempo a contender gli scolti, 

E disse : Per Macon, rislorerotti. 

131 Chè solea sempre dar bastoni o spade 
All’ oste, quando i danar gli mancavano: 
Mentre eh’ Orlando va per la cittade, 

1 fanciulli a diletto il dileggiavano, 

Chè Vegliantino a ogni passo cade, 

E le risa ogni volta si levavano ; 

Dicendo inOn che in sulla piazza è giunto : 
Chi è questo uccellaccio cosi smunto ? 



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CANTO TENTESIMOPRIMO. 



133 



132 Questo cavai bisogno are' d’ un maggio, 
Che fussi almeno un anno, non un mese. 
Orlando se n’ andava a suo viaggio, 

E ciò che si dicea, per tutto intese, 

Però eh’ e’ sapea bene ogni linguaggio : 
Un Saracin per la briglia lo prese, 

Come alcun si diletta di far male, 

E sfibbia a Yegliantino il barbazzale ; 

133 E per ischerno gli trasse la briglia. 
Orlando non potè sofferir più, 

E con un pugno la gota e le ciglia. 

Il naso e gli occhi gli cacciava giù: 

Ognun che ’l vide, n’avea maraviglia, 
Chè mai tal pugno veduto non fu : 

Poi scese in terra di disdegno pieno, 

E racconciava a Yegliantino il freno. 



134 Colui ch’avea del viso forse il terzo. 

Trasse la spada eh’ aveva a’ galloni. 

Però che questo non gli pare scherzo. 

Orlando lo diserta co’ punzoni : 

Pensa che s’ egli avessi avuto il berzo. 

Morto 1’ arebbe con due rugioloni ; 

Un tratto nelle tempia un glien’ accocca. 

Che gli fece il cervello uscir per bocca. 

135 E risaltò di netto in sul cavallo, 

Sanza staffa operar, coll’ armadura , ■ / 

Tanto eh’ ognuno stupiva a guardallo, , ,<i ' * 
E scostasi da lato per paura. 

Intanto Chiaristante viene al ballo, 

E se saprà ballar, porrenyi cura; 

Astolfo lo minaccia e svergognava, 

E poi si scosta e del campo pigliava. 



136 E r uno e l’ altro sollecita e sprona. 
Il Saracino Astolfo riscontrava, 

L’ aste non resse, ben che fussi buona ; 
Quella d’ Astolfo non si dicollava, 

E tutto il petto al Saracino intruona. 
Tanto che nulla lo scudo approdava, 

E pose lui e ’l cavallo a giacere, 

E una staffa perdè nel cadere. 






11 . 



13 



134 IL HORGANTE MAGGIORE. 

137 Poi si rizzò lui e ’l destrier su presto; 
Diceva Aslolfo : Tu se’ mio prigione. 

Disse il Pagano : E’ non sarebbe onesto, 

Chè fu difetto del cavai cozzone. 

Rispose Astolfo: E chi giudica questo? 

Colui ch’uccise un qua con un punzone, 

Disse ’l Pagai), eh’ Orlando avea veduto, 

E molto gli era quell’ atto piaciuto. 

138 Rispose Astolfo : Sia quel delle pugna. 
Orlando dette a Chiaristante il torlo: 

Disse il Pagan : Tedesco pien di sugna. 

Vedi tu eh’ io non t’ avea bene scorto, 

Chè dèi succiar più vin eh’ acqua la spugna ; 

. lo veggo ben che tu mi guati torto : 

Non fu mai guercio di malizia netto. 

Ch’io ti conosco insili drenlo' all’ elmettof't 

139 Rispose Orlando: Tu mi domandasti. 

Non vuoi tu ch’io risponda al parer mio? 

Tu sai che l’una staffa abbandonasti. 

Ognun giudicherà come ho fall’ io : 

Ma s’a tuo modo, Pagan, non cascasti, 

E di cader di nuovo hai pur disio. 

Cosi cattivo e guercio, come hai detto. 

Con leco giostrerrò per Macometto. 

140 Vero è che ’l mio cavai, come ognun vede, 
E mollo magro, e stracco, e ricaduto; 

Ma noi possiam provar le spade a piede. 
Rispose Astolfo : Questo è ben dovuto : 

E quel che fussi Orlando, mai non crede. 
Orlando avea ben lui già conosciuto, t 
Ma perdi’ e’ parla come Saracino, 

Non si conosce lui nè Vegliantino. 

141 E se lo vuoi ch’io ti presti il cavallo. 
Diceva Astolfo, io son molto contento. 

Rispose il Saracin: Se vuoi accettano, 

Noi proverremo questo tuo ardimento, 

Da poi che m’ ha invitato un vii vassallo, 

Che de’ tuoi par ne vo’ dintorno cento. 

Rispose Orlando: E’ basterà forse uno; 

Tanto che e’ preson del campo ciascuno. 



CANTO VENTESIMOPRIHO. 

442 Chiaristanlc crcdelle un uom di paglia 
Trovar che si lasciassi il manie! tórre, 

E con gran furia par Ch’Orlando assaglia, 
E ruppe la sua lancia in una torre. 
Orlando gli passò corazza e maglia 
D’un colpo, che non fe mai tale Etlorrc, 
Ch’arebbe ben passata una giraffa, 

E non si disputò più della slaffcìi. 

443 Come caduto fu giù Ghiaristanle, 

Disse: Baron, per grazia ti domando. 

Chi tu li sia, Cristiano o Affricanle, 

Il nome tuo mi venga palesando; , 

10 tolsi ad un signor qua di Levante, 
Ch’andato è per lo mar poi tapinando. 
Greco ap|)Cllato di buona dottrina. 

Questa città per forza e per rapina. 

444 Credo ch’io muoia per questo peccato, 
Chè così vuol la divina giustizia, 

E Macometlo è quel che l’ha mandato. 
Per punir questo, ed ogni mia tristizia. 
Orlando del cavallo è dismontalo, 

E ’l popol pieno intorno è di letizia, 

E disse nell’ orecchio al Saracino : 

Sappi eh’ io sono Orlando paladino. 

I 

446 Rispose Chiaristanlc: Io li perdono. 

Da poi che s’io dovevo pur morire, 

» Dal più franco guerrier del mondo sono 
Ucciso ; e non potè più oltre dire. 

11 popol si levò tutto ad un tuono, 
Com’e’fu morto, quel corpo a schernire; 
E non pareva ignun contento o sazio. 

Se non faceva di lui qualche strazio. 

446 Chi gli mordeva il braccio e chi le mani 
Chi Io pelava, chi ’l petto gli straccia ; 
Pareva una leprelta in mezzo a’ cani. 
Come veggiam talvolta presa a caccia. 
Cosi mordean costui questi Pagani ; 

Chi lo calpesta, e chi gli sputa in faccia. 
Dicendo: Ora è venuta l’ora e ’l punto. 
Che ’l tuo peccalo l’ha, traditor, giunto. 



136 



IL HORGANTB MÀGGIOBE. 



U7 Ecco che tu non hai goduto il regno , 

Che tu togliesti al signor nostro antico, 

Ch’ andato è per lo mar con un sol legno 
Già tanto tempo, povero e mendico: 

Or vedi quanta forza ha il giusto sdegno I 
Guardisi ognun dal popol suo nimico. 

Ch’io credo, che sia pur più su che ’l letto. 
Chi vede e ’ntendc ogni nostro concetto. 

14 S Poi si levò fra tulli un gran romore, 

E fu levalo da cavai di peso 
Orlando, e volean pur farlo signore: 

Orlando quanto può s’ è vilipeso , 

Dicendo : Io non son uom da tanto onore, 

£ questo cavalier v’ ha lui difeso , 

Che venne il primo a combattere al campo. 
Poi mi prestò il cavai per vostro scampo ; 

449 Io non di sarei buon drieto ragazzo. 

Adunque il duca Astolfo fu menato, 

E fatto lor signor drenlo al palazzo, 

E vuol con seco Orlando sempre allato ; 

E tutto lieto è questo popol pazzo, 

E Astolfo è da lutti mollo amalo : 

Un’altra volta il crucifìggeranno, 

E chiameran crudel questo e tiranno. 

450 Tanl’è che spesso é ulil dis|)erarsi, 

£ fassi [>cr isdegno di gran cose; 

Astolfo si sta ora a riposarsi, 

Non va più per le selve aspre e nascose, 

E non potea con Orlando saziarsi 
Di commendar sue opre alte c famose, 

£ non conosce ancor chi sia costui, 

E parla tuttavia con esso lui. 

461 Diceva Orlando: Io voglio in cortesia. 

Che tu mi dica se tu se’ Pagano, 

E ’l nome tuo. Astolfo rispondia : 

Chiamar mi fo per tutto Galliano, 

£ nacqui di buon sangue in fiarberia; 

Cercato ho tutto il mondo, il poggio e il piano, 
E ’nsino a qui poca ventura ho avuto , 

Se non che tu vedi or quel eh’ è accaduto. 



Digitizj. 



CANTO VENTESIUOPBIHO. 



137 



1Ó2 Orlando d’ uno in altro ragionare 
Riesce fìnalmenle dove e’ vuole: 

Comincia molto Orlando a biasimare, 

Dicendo : E’ non è uom più sotto il sole 
Che come lui cercassi rovinare. 

Astolfo si turbava alle parole, 

E finalmente gli conchiuse questo, 

Che si partissi di sua corte presto. 

\ 

153 Orlando seguitò pure il suo detto. 

Tanto eh’ Astolfo tutto furiava; 

Per la qual cosa e’ si cavò l’ elmetto ; 

Astolfo d’ allegrezza lacrimava : 

E disson l’un all’altro ogni suo cfletto. 

Dal di eh’ Astolfo con lor s’ adirava , 

Com’ eran capitati quivi e quando. 

Baciando mille volte Astolfo Orlando. 

-154 Orlando mandò poi per quell’ostiere, 

Che gli rendè il cavai cortesemente ; 

Di Chiaristante gli donò il destriere. • 

Astolfo all’ oste suo similemente 
E alla fanciulla donò mollo avere : 

Ch’ onorato l’ avevan lietamente, 

E ringrazia van lutti di buon cuore. 

Che Chiarislanle è morto, il lor signore. 

•155 Astolfo facea lor larga l’ otferta. 

Or lasceremo Astolfo e ’l suo fratello, 

E ritorniamo un poco a Filibcrta, 

Ch’ era fuggita ad un certo castello : •* 

Essendo un dì la porla in bando aperta. 

Due pellegrini entrati sono in quello, 

E dicon eh’ a costei voglion parlare, 

E vanno Filiberta a vicitare. 

156 E disson : Donna^ fa che tu sia saggia, 

E quel che li Ca detto intendi bene, 

Ch’ una parola in terra non ne caggia : 

A tutti incresce di lue tante pene, 

E piangonne le fiere in ogni piaggia; 

Ma tutto questo in tuo aiuto non viene. 

Per non tenerli, Filiberta, a tedio. 

Pensato abbiam solamente un remedio. 



12 » 



138 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



167 Rinaldo, quel Cristian c’ ha tanta fama. 

Con Ulivieri, Alardo, e Ricciardetto. 

E Gan cui traditore il mondo chiama, 
Gnicciardò, Malagigi, e un valletto. 

Come e’ si sia, noi non sappiara la trama, 

A Monaca si trovano in effetto;. 

Vanno pel mondo , e sai quanto sien forti, 

E soglion dirizzar sempre ta’ torti. 

168 Forse conoscon questo Galliano : 

Io me n’andrei a Rinaldo, e ginpcchione 
Direi di dargli la città in sua mano. 

Se venissi a punir questo ghiottone ; 

Egli è tanto gentil, benigno, umano, 

E molto partigian della ragione. 

Che ne verrà colla sua compagnia, 

E renderatti la tua signoria. 

169 E se bisogna, accoccala a Appollino 
E Macometto, e quel che noi diciamo, 

Chè ogni cosa è per voler divino; 

Pensa, sanza cagion non lo facciamo. 

Non guardar più scudier che pellegrino ; 
Amici antichi di tua stirpe siamo. 

Forse Ciriffì, ch’andiam nella Mecche: 
Questo ti dee bastar: salamelecche. 

160 E dipartirsi, anzi spariti sono; 

Filiberta restò maravigliata, 

E parvegli il consiglio di lor buono. 

Tanto che infine a Monaca n’ è andata; 
Ch’ogni speranza ha messa in abbandono, 

E gioveragli d’ esser disperata. 

Come avvien sempre, e che pensar bisogna: 
Chi cerca truova, e chi si dorme sogna. 

16 t E la fortuna volentieri aiuta. 

Come dice un proverbio eh’ ognun sa, 

Gli arditi sempre, e’ timidi riCuta: 

Filiberta a Rinaldo se ne va, 

E volentier da tutti fu veduta, 

E raccontò la sua calamità : 

E ’ncrebbe tanto di questa a Rinaldo, 

Che della impresa par più di lei caldo. 



CANTO VBNTESIUOPRIHO. 

r 

d62 Greco, guardando Filiberta in volto, 
‘Subitamente conosciuta ha quella, 

E grida: Il regno mio, che mi fu tolto. 
Vedi che più noi tieni, o meschinella, 

Nè Chiaristante l’ha tenuto molto; 

Andato son colla mia navicella 

Per molli mar, per lunghi e gravi errori, 

Da poi eh’ io son della mia patria fuori. 

d63 E la ragione avuto ha^poi pur loco: 
Questo già non credette il tuo marito. 

Di dimorar nel regno mio si poco; 

Chè si pensò, quando e’ l’ebbe rapilo. 
Signoreggiar la Terra, e l’Aria, e ’l Fuoco 
Con sua superbia, e del mar ogni lilo, 
Tanjo che sai ch’adorar si facea, 

E ’l simulacro fe nella moschea. 



I6j E’ si pensò di far come fe Belo , 

E’ si pensò per sempre essere Iddeo, 
E’ si pensò pigliar su Giove in cielo, 
E’ si pensò aver fatto Prometeo ; ’ 

\ E’ si pensò poter far caldo e gielo, 

E’ si pensò lor fama a Capaneo, 

E’ si pensò di vincer la fortuna, 

E far tremare il Sol non che la Luna. 



•16Ì 



La spada di lassù vedi che taglia, 

Ma sempre a luogo e tempo e con misura; 
Ogni cosa disopra si ragguaglia; 

Ecco eh’ io piansi della mia sciagura, 

E or fortuna il tuo legno travaglia : 
Dunque cosa non c’ è che sia sicura ; 

Però non si vorria mai nulla a torlo, 
Massimamente in questo viver corto. 



dee La Giustizia di Dio non può fallire. 
Dove tu vai ti verrà sempre appresso ; 
Non l’hai potuto, misera, fuggire: 

Dove è il tuo scettro e la corona adesso? 
Rinaldo stupefatto sta a udire, 

E maraviglia n’ avea seco stesso ; 

E Filiberta non risponde a Greco, 

Ma del peccalo antico piange seco. 



IL HORGANTE MAGGIORE. 

467 . Rinaldo non avea più questo inteso, 
Che Greco fu di Gorniglia signore; 

Non gli rispose, mentre il vide acceso, 
Perch’ e’ potessi sfogar lutto il core ; 

Poi disse a Greco : Chi t’ ha tanto offeso 
Che si rinnuova tanto tuo dolore ? 

Greco gli disse : Io vo' che tu lo 'ntenda 
Acciò eh’ ancor di me pietà ti prenda ; 

468 E dal principio ogni cosa diòea. 

Disse Rinaldo : Perchè non 1' hai detto 
Il primo giorno ? e costui rispondea : 

Non volli rinnovar tanto dispetto, 

Chò la fortuna ingiuriosa e rea 

Non avessi di me questo diletto. 

Disse Rinaldo : Or che la cosa hp intesa 
Tanto più volentier farò la ’mprqsa. 

46y Vedi che pur tu non degeneravi, 

Chè non si perdon gli antichi costumi ; 
E’si conosce i modi onesti e gravi, 
Benché fortuna la roba consumi , 

Chè non ha questi sotto* le sue chiavi, 

E non li spegno il vento questi lumi : 
Per mille vie in ogni opera nostra 
Dove sia gentilezza al Gn si mostra. 

470 E rispondeva a Filiberta allora. 

Che subito verrà verso Corniglia, 

E che di lui si loderà ancora ; 

E con Gano e con gli altri si consiglia. 
Che vi si debba andar sanza dimora ; 

E Gnalmente e’ si truova la briglia, 

E tutti in compagnia sono a cavallo. 
Che non ci nisson di tempo intervallo.' 

471 E cavalcorno tanto abbreviando. 

Che sono un giorno a Corniglia arrivati 
E mandon cosi a dir pur minacciando < 
A Astolfo, come e’s'on deliberati 

Di render questa terra a suo comando 
A Filiberta, come e’ son pregati : 

E mille cavalieri hanno da guerra, 

Che in ogni modo volevon la terra. 




CANTO VENTESIHOPBIMO. 



141 



172 Aslolfo e ’l conte Orlando rispondevano, 
Che non avien di lor gente paura, 

E che con giusto ti tot possedevano: 

E che verrebbon fuor delle lor mura 
A provarsi con lor, ché non temevano 
Di lor minacce o di maschera scura ; 

Come nell’altro cantar vi riserbo. 

Guardivi quello a chi presso era il Verbo. 



NOTE. 



1 2. per arroto ee. Per di più , 
per giunta. 

27. E Tetifone ec. Le tre furie 
infernali. Te.sifune era la principale, 
o come la chiama Virgilio nel VI del- 
1’ Eneide, la massima ; Megera era la 
seconda , e il suo nome signiGcava 
I’ odio e le liti che eccita fra i morta- 
li ; Aletto, la terza, veniva a significa- 
re perpetua o immediata, indicando 
per tal modo come il gastigo tien die- 
tro sempre e immediatamente al de- 
litto ‘ conciossiachè queste tre furie 
sieno figurate le ministre dell’ ira di- 
vina. 

-53. Ericon ec. Forse Eritone ma- 
ga, di cui parla Lucano nel lib. VI; 
e Uante , inferno, canto IX. 

4C. Smaelle. Questo e gli altri 
nelle ottave seguenti, son tutti nomi 
romantici c favolosi. 

62. ciranza ee. Vantaggio, utile. 

68. liùse colui ee. Quando alcu- 
no ha alle mani cose difficili e fatico- 
se , suol dirsi per proverbio • come 
disse colui che ferrava P oche • per- 
ciocché questi animali , alzando il pie- 
de , stringon la pianta. 

77. E come Meleagro ee. La vita 
di questo eroe della favola era attac- 
cata ad un tizzone , il quale come fosse 
ridotto in cenere. Meleagro sarebbe 
morto. Ora egli avvenne che Altea ma- 
dre di lui, montata contH esso io fu- 
rore, perché egli le aveva ucciso i 
fratelli , gettò il fatai tizzone nel fuo- 
co, il quale non si tosto fu incenerito 



che Meleagro mori ; di che essa ebbe 
si gran pentimento e dolore , che si 
app iccò per la gola. Vedi il Decimo 
della Iliade. Dante disse di lui : 

Si consamò al consoinar d’ od 

84. E ’mbavagliorno ee. Imba- 
vagliare significa mettere il bavaglio, 
che é quel pezzo di panno che mettesi 
dinanzi a’ bambini quando mangiano, 
per guardare i panni dalle brutture, 
e nettarsi la bocca. E perché questo 
bavaglio aveva anticamente una buca 
nel mezzo nella quale si metteva il 
capo (in oggi invece si lega al collo con 
due nastri) si diceva metaforicamente 
imbavagliare per cuopriro altrui il 
capo e il viso con un panno, o altro, 
acciò non conosca e non sia conosciu- 
to ; che anche diciamo imbacuc- 
care. 

92. fanno del vezzoso. Cioè del 
'lezioso , dello schifo. — al cui l’ara. 
Averla al culo dicesi di cosa che rie- 
sca al contrario della espettazione o 
desiderio che altri abbia. — fraMaz- 
zon ee. Detto per ischerzo, perché 
Astolfo adoperava la mazza. 

403. E fece carità ec. Far carità 
significa mangiare insieme. I primi- 
tivi cristiani usavano cannarsi a con- 
vito, e ciò chiamavano àya7c>i, che 
significava appunto carità ; e di qui il 
nostro far carità. 

422. le slimite faceva. Far le 
stimile o stimate significa maravigliao 




t 



142 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



si, o alzar le mani per la maraviglia. 
434. a' galloni. Ai fianchi. 

436. approdava. Giovava. 



464. aver fallo Prometeo . Inien- 
6i, quanto Prometeo , il quale ebbe 
ardimento dì rapire il fuoco al soie. 



CAJVTO VEMTKSimOf^ECOKUO. 






Del Veglio ucciso piglia la vendetta 
Calavrìone, e già Parigi assedia: 

A soccorrerlo va con gente eletta 
Orlando , e vuol provar s’ o’ vi rimedia. 
Con un lion Rinaldo entra in Saetta, 

E in dargli busse e morte non s’attedia. 
Ammazzato S Aldingliier. Rinaldo abbatte 
Le Amazzoni , e le manda per le fratte. 



^ i Sia benedetto il figliuol d’ Israelle , 

Che fece Cielo, e Terra, e Luna, e Sole, 
E poi mandò giù in terra Gabrielle, 
Tanto’gl’ increbbe dell’umana prole; 
Dintorno al quale é sempre Micaelle, 

E canta fra l’ angeliche carole ; 

Cosi per grazia, eterno, e giusto, c santo. 
Aiuta, Padre, il mio futuro canto. 

2 Era già il carro di Febo fra l’ onde 
Dell’Oceano, e va verso altra gente. 

Se vero è pure, quando a noi s’ asconde, 

E già la notte fuor nell’Oriente; ’ 
Quand’io lasciai Astolfo, che risponde 
AI messo di Rinaldo iratamente, 

O ver pur finse, per aver diletto. 

Poi se n’ andorno Orlando e lui al letto. 

5 L’altra mattina Astolfo s’ è armato; 

E dice con Orlando: A spasso andiamo. 
Dove Rinaldo fuori s’è accampato, 

E vo’con lui quattro lance rompiamo. 
Orlando disse: lo son sempre sellato, 
Parmi mill’ anni Rinaldo veggiamo: 
Usciron fuor della città armati. 

Dove sapean color sono alloggiati. 




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CANTO VENTESIMOSECONDO. 



143 



4 Rinaldo disse col suo Aldinghieri: 

Colui, che vicn dinanzi, è Galliano; 

Queir allro, eh’ ha si magro il suo destrieri. 
Non so chi sia; incontro loro andiano. 
Vanno costoro. Alardo, e Ulivieri, 
Guicciardo, e Malagigi, e Greco, e Gano: 

E salutalo in linguaggio francesco, 

Astolfo e ’l Conte risposon moresco. 

5 Rinaldo cominciò prima a parlare: 

Se tu se’Gailian, com’io mi stimo, 
t'.he Ch'iarislante facesti ammazzare, 

Perchè io domando, a parlar sono il primo: 
C.on che ragion puoi tu giustificare. 

Pi coininciam da sommo, o vuoi da imo. 
Che Chiarislante a ragion fossi morto? 

Chi non conosce tu gli hai fatto torlo? 

6 Ma lasciam questo; la sua mcschinella 
Filiberta pel mondo spersa mandi; 

Dimmi c’ ha fatto o meritato quella?^,. 

Or vo’che sappi, pria che tu domandi. 

Che la città con tutte sue castella. 

Se tu non vuoi che questa lor comandi. 
Anticamente son qui di costui. 

Ed ogni cosa s’ appartiene a lui. 

7 Da tutte parte tu non puoi tenere 
Questa città, chè la ragion non vuole; 

E bench’io sia Cristian, pur pel dovere 
Mi muovo a questa impresa che mi duole : 
Piglia del campo a tutto tuo piacere, 

E cosi sien finite le parole. 

Astolfo gli rispose : Aspetta un poco. 

Non ti partir si presto ancor di giuoco. 

8 Non si die’ egli: ascolta l’altra parte? 
Rinaldo, tu dè’ aver poca faccenda, 

P2 vicn con certa astuzia e con certa arte. 
Che tu non credi Galliano intenda; 

La lancia suol valer più che le carte; 

Questa pietà non so donde ti prenda. 

Se ciò non fussi per amor di dama: 

Questa fìa la cagion che qua ti chiama. 



Uh 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



9 Tu non guardi Cristiana o Saracina; 

E Filiberta ha l’occhio del ramarro, 

E stata è sempre di buona cucina, 

E basta solo un cenno a far bazzarro: 

Noi non temiam tua gente malandrina. 
Benché tu faccia viso di bizzarro: 

Costui, che Chiarìstante uccise, or vedi. 

Con teco gioslrerrà; forse noi credi? 

10 Risposo Orlando: Anzi di mezza notte 
Del letto n’uscirei, dico, ben caldo: 

Parole assai, ma poche lance rotte: 

Non credi tu eh’ io conosca Rinaldo, 

E queste gente eh’ egli ha qua condotte? 

Ch’ a Monaca ha raccolto ogni ribaldo, 

E stalo là con Filiberta in tresca. 

Or vuol mostrar della ragion gl’ incresca. 

11 Or chi avessi Rinaldo veduto, 

E’ non capea nell’arme per la stizza: 

Più volle inverso lor s’é dibattuto. 

Come sparvicr, se la merla fuor guizza; 

E rivoltò Boiardo, e fece il muto, 

Chè gli occhi in testa per rabbia gli schizza. 
Non può parlar per 1’ ira che 1’ atfolta : 
Orlando a Vegliantin dette la volta. 

12 E colle lance a ferir si tornorno: 

Non domandar con che furia venia 
Rinaldo, e Paste agli scudi appiccorno. 

Ma non pensar che vantaggio vi sia; 
Rupponsi tutte, e’destrier via volorno: 
Rinaldo non potè la bizzaria 
Disfogar colla lancia, e prese il brando, 

E ritornò per assalire Orlando. 

13 Orlando trasse Durlindana, e grida: 

Può far però Macon, che Filiberta 
Ami tanto, cugin, che tu m’uccida? 

Rinaldo presto ritenne Frusberta, 

Perchè e’ conobbe la voce alle strida, 

E Durlindana, come e’P ha scoperta; 

E ad abbracciar correa l’un l’altro presto: 
Rinaldo dicea pur: Può esser questo? 



OigitizesU^ jjiiigl* 



CANTO VENTESIHOSECONDO. 



145 



14 Subito tulli vanno alla citiate ; 

Astolfo nel palagio gli menava, 

£ molte cose insieme hanno trattate, 

£ quel che sia da far si disputava; 

Cosi son trapassate più giornate. 

Ecco Dodon, eh’ un di quivi arrivava,* 

£ delle a tutti presto ammirazione. 
Dicendo: Che novelle hai tu, Dodone? 

16 Disse Dodon: Cattive e dolorose; 

£ posesi a seder; poi lacrimando 
Diceva: La fortuna in tutte cose, 

Poi che di corte ti partisti. Orlando, 

Con mille ingiurie palese e nascose 
Troppo vien Carlo tuo perseguitando; 

£d ha scoccalo a tempo or più che mai 
La trappola: ogni cosa sentirai. 

161 II gran Calavrion della montagna, 

I Fratei del V'eglio, il qual si dice è_ morto, 
i Passato è in Francia pel mezzo di Spagna, 
£ dice che ’l fralel l’ uccise a torlo 
Un cavalier, ch’é or di tua compagna; 

Ma che farà le vendette di corto: 

Cento quaranta mila numerali 

Sono i Pagan, che con seco ha menati. 

17 £d ha menalo un altro suo fratello. 
Quale Archilagio si fa nominare, 

£ mollo conto là si fa di quello; 

Pensa che Carlo non sa che si fare : 

£’ li convien volar com’ uno uccello, 

£ Montalhan bisogna anco aiutare. 

Che e’ v’ è sessanta mila cavalieri, 

£ lutti Maganzesi e da Pontieri. 

18 II capitan di tutti a Montalbano 
Al tuo piacer, Rinaldo, è Grifonelto. 

Disse Rinaldo: Alla barba mia, Gano, 

Tu hai pur fatto a questa volta nello. 

Disse Dodone: £’ v’ è dentro Viviano. 
Rinaldo disse: £’ non v’è Ricciardetto? 
Dodon soggiunse: £’ v’ è il franco Danese. 
Gan si turbò, quando tal cosa intese. 

li. 13 



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IL UOBGANTB HAGGIOBE. 

19 E rispose: Di qaestd menti tu, 

Rinaldo, ch’io son nuovo a questo fatto; 
Quanto è che di prigion cavato fu’? 

Disse Rinaldo: Tu non parli a matto, 

Tu tei vorresti un giorno beccar su 
Quel Montalbano, e Taravi un bel tratto; 
hla sia che vuole, al dito legherati, 

Ch’ io nacqui per punir i tuoi peccati. 

20 Io vo’ giocar più oltre eh’ uno scotto, 
Che la venula di Calavrione 

Ogni cosa ha questo fellon condotto, 

Non che di Montalbano e di Grifone. 
Diceva Orlando: Tu se’ troppo rotto, 

E’ non si vuol cosi chiamar fellone ; 

Tu non sai ancor come la cosa stia, 

E siam pur tutti insieme in compagnia. 

21 Gan s’appiccava alle parole allora; 

E diceva: Rinaldo, tu se’ uomo, 

Ch’ io non ti posso conoscere ancora. 

Ma ’l tempo ti farà cogli altri domo; 

Di ciò che contro a me tu ti dica ora. 

Io non te ne farei sull’ erba un tomo : 

So che tu parli quel che ti vien detto, 

E basta solo a me di viver retto. 

22 Se i Maganzesi a Montalban saranno. 
Io sarò il primo che gli vo’ punire, 

E Grifonetto, s’egli ha fatto inganno. 
Colle mie mani il cuor gli vo’ partire, 
l’erò eh’ a me questa vergogna fanno ; 

E ho disposto insino al mio morire 
Esserti amico fedel, giusto e buono, 

Chè tu sai ben se obbligato ti sono. 

23 Non son più Gan, che pel passato fui, 
Chè *1 tempo m’ha tarpato in modo l’ale 
Ch’io mi comincio accordare or con lui. 
Però eh’ io sono ogni giorno mortale : 

E che poi altro se ne porta altrui 
Di questa vita, se non bene e male? 
Bene è cattiva frutta acerba e dura 
Quella che ’l tempo mai non la matura'. ' 




CANTO VENTESIMOSECONDO. 147 

24 Per quel eh’ io ci abbi a star, dicea il fellone, 
Io lo vo’ consumar quasi in viaggi ; 

Io ho al Sepolcro andar, poi al gran Barone, 

E cosi fare altri peregrinaggir 

Io mi botai, quand’io ero in prigione: 

Ben so eh’ a Cristo ho fatto degli oltraggi, 

£ sopra il capo m’ è la penitenzia, 

Dond’ io n’ ho in me vergogna e conscienzia. 

25 Disse Binaldo: Si che tu hai vergogna! 

Questo a ’gnun modo più tacer non posso; 

Deh dimmi s’ella è cosa che si sogna. 

Vedi come tu se’ nel viso rosso : 

Con meco questo spender non bisogna ; 

Tu in’ hai ben, Gano, scorto per uom grosso, 

E cosi in’ hai trattato sempremai ; 
lo ti conosco, mio ser Bcniesai. 

26 Io gli ho per alfabeto i tuoi difetti : 

Guarda chi ciurma con meco e miagola! 

Non ti bisogna meco bossoletli, 

Ch’ io non ne comperrei cento una fragola ; 

E veggo tuttavia tu ti rassetti : 

Che pensi tu mostrarmi la mandragola? 

Io ciurmerei più, Gan, con un sermento. 

Che tu colle tue serpe ; or sia contento. 

27 Diceva Astolfo: Io non ti credo, Gano, 

Ch’ io so pur tu nascesti traditore : 

E’ non s’accorda il contro col sovrano, 

£ molto più si discorda il tenore : 

Lascia pur dire a lui di mano in mano. 

Chi vuol córre il bugiardo e ’l peccatore : 

Ecco costui che teme la vergogna , 

Che salterebbe in aria a una gogna. 

28 Ecco la conscienzia di Gioseffe, 

D’Abraam colà, di Isacche e di Giacobbe I 
Ila fatto a Carlo mille inganni e beffe. 

Tanto ch’egli è condotto un altro Giobbe.; 

Ed or che trae pel dado, e dice aleffe. 

Dice eh’ ancor Rinaldo mai cognobbe : 

Fatto starebbe cognosce» te, tristo, 

Distruggitor della Fede di Cristo. 




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148 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



2» Tu r hai più volte che Giuda tradito : 
Ecco chi vuol parer buona persona I 
Di Carlo non m’ incresce rimbambito. 

Che sempre ogni segreto ti ragiona, 

E non s’accorge d’essere schernito, 
Mentre che sente in capo la corona ; 

*E non si crede al cacio rimanere, 

Se non sente la trappola cadere. 

30 Ma ra’ incresce d’ Orlando mio cugino, 

E d’Ulivier, che li credòn ciascuno, 

Che il lupo voglia andar per pellegrino: 
Che di c’ hai fallo de’ boli forse uno ; 

Se tu trovassi a caso un pecorino, 

Torreslil tu? si forse [>er digiuno : 

Tanto t’aiuti Iddio, quant’io tei credo. 

Io non ti crederrei, stu fussi il Credo. 

31 Cosi sie tu tagliato a pezzo a pezzo. 
Come tu hai fatto questo tradimento ; 

E non è il primo, e sarà forse il sezzo. 

Tu di che se’ maturo un poco a stento : 

Tu fusti il primo di fracido e mezzo 

Di tradimenti; c stu se’ malcontento 
Di questo fatto, io credo che tu scoppi. 

Non esser là, |)er farla in cento doppi. 

32 Che dich’io cento? in più di cento mila; 
Non ti par forse a tuo modo ordinata? 

Ma se vi manca a questa tela fila. 

Tu n’hai pien la scarsella e la farsata, 

E tuttavia la mente ne compila, 

Insin che sia fornita la ballata: 

Vedrai che questo ancor ricorderolli : 
Andiamo in Francia, e là gastigherotti. 



33 Io t’ho a impiccar, ribaldo rinnegato. 
Come tu sai che me impiccar volesti. 
Orlando, poi che molto ebbe ascoltato, 
'ttceva a Astolfo: Ve’ che lo dicesti. 

Tu ti se’ pure a tuo modo sfogato ; 

Io vo’ che la quislione ornai qui resti. 
Gan si doleva,' e non gli parca giuoco; 
Ma ciò che dice è stuzzicare il fuoco. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. 

34 Fecion consis;Iio tutti di partire : 

Rinaldo volle Filibèrla sia 

Reina e ’i popol la debba ubbidire, 

E tenga in vita sua la signoria ; 

Poi sia di Greco dopo il suo naorire. ' 
Greco parti colla sua compagnia, 

E fu contento; e Filiberta re'Sta 
Colla corona del marito in testa. 

35 Rinaldo mai si vide sbigottito 
Alla sua vita, quanto a questa volta, 

E dice pur che Gan l’ avea tradito, 

Per fare, or che non v’ era Orlando, colta: 
E così tutti hanno preso partilo. 

Pigliare inverso Parigi la volta ; 

E vanno giorno e notte alla stagliata. 

Non creder sempre per la calpestata : 

56 Per boschi e selve, alla ricisa, a stracca. 
Donde e’ credien raccorlare il cammino ; 
Come fa spesso la dolente vacca. 

Ch’ode di lungi smarrito il boccino, 

E rami e sterpi ed ogni cosa fiacca, 

E mugghia insin che lo vede vicino : 

Cosi facien coslor jier valle e piano, 

E sempre Iraditor gridano a Gano. 

57 Ma non si sono apposti già di questo, 
Chè colpa non ci avea ser Tultesalle, 

E Malagigi il dicea manifesto: 

Aspetta pur che sieno in Roncisvalle, 
Quantunque il tradimento lìa per resto. 
Perchè la penitenzia ara alle spalle, 
ì E Carlo, come i buon tre volte e sciocchi. 
Quando (ìa più che morto, aprirà gli occhi. 

58 Piangerà tardi il suo caro nipote 
I E penterassi aver sempre creduto 

A Ganellon, graflìandosi le gote; 

Ma che vai lardi Tessersi pentuto? 
l Lascia pur volger le volubil rote 
'A quella che nel ciel lutto ha veduto, 

,E anco al traditor d’ogni fallenzia 
Serberà a tempo la sua penitenzia. 

13 * 



150 



IL MOUGANTE MAGGIORE. 



39 Una ciUà, chiamata Villafranca, ' 
Yidon costor, che parea mollo bella; 
Atlraversorno, eh’ era alla man manca ; 

E finalmente passavan per quella : 

Gente parevan valorosa e franca, 

E quel signor Diliante s’appella: 

Vide costui per la piazza passare 
E fecegli invitar seqp a mangiare, 

40 Perchè brigala gli parca pur magna. 
Rinaldo non volea rifìutar posta, ^ 
Tanto che tutti appannorno alla ragna: 
Feciono in sala a costui la risposta : 
Nipote del Veglio è della montagna. 
Ardito e franco per piano e per costa , 

E rispondeva a questi a’ lor saluti : 

Voi siale in ogni modo i ben venuti. 

41 Chi siete voi ? dove siete avviali? 
Orlando rispondea : Degna corona , 

Noi siam di nostra terra sbandeggiali , 

Poi che ’l Soldan mori di Babillona ; 

Chè cavalicr suoi fummo, or siam cacciali 
E r arme ne portiamo e la persona. 

Diceva Diliante: E’ mi dispiace, 

Ma d’ogni cosa al fìn si vuol dar pace. 

43 Posonsi insieme tulli a desinare : ' 
Quivi era un bulToncello, un tale ignocco : 
Comincia con Rinaldo a motteggiare; 
Rinaldo gli parca buffone sciocco. 

Ed attendeva pure a pettinare: 

Il signor ride di questo balocco 
Tanto è, che d’una in un’altra novella, 

E’ chiese di Rinaldo la scodella. 

43 Rinaldo la scodella per sé vuole, 

E disse con Orlando: Odi capocchio I 
Sempre in ogni buon luogo aver si suole 
Questi buffoBi all’ ultimo al finocchio : 

Poi volse a Diliante le parole, 

E pure alla scodella aveva l’ occhio ; 

'Disse : lo dicevo in linguaggio tedesco, 
^Che mi ragioni, sparacchiato il desco. 



CANTO VENTESIHOSECONOO. 



151 



41 Mangiava una scodella di tartufi 
Rinaldo, bene acconcia in un guazzetto; 
Non si pensò che' costui gliela gruG : 

Questo buflbn gliela ciulTò di nello, 

E non si vuol calar, perch’egli slrufì, 

E succiala, e la broda va in sul petto: 
Rinaldo si crucciò'con ^uesto^ malto 
Di perder la profenda e di quell’ atto. 

46 Corsegli addosso come un bertuccione, 

E disse: Io ti farò schizzar la micca. 

Tu se’ pazzo malvagio e non buffone; 

Ed una pesca nel capo gli appicca. 

Per modo che sci pose appiè boccone, 

Chè coli’ orecchio una tempia gli spicca : 
Donde il signor rizzossi iratamente, 

Chè come savio non fu paziente. 

46 E disge : C’ hai tu fatto, poltroniere? 
Dunque tu batti la famiglia mia? 

È questa usanza di buon, cavaliere? 

Tu mi ristori della cortesia! 

Disse Rinaldo: Io gli ho fatto il dovere. 
Orlando disse al fratei villania : 

Rinaldo aveva alzata già la mano. 

Per far come al buffone al re pagano. 

47 Dilianle ebbe in One pazienzia, 

E disse : lo vo’ che in pace desiniamo ; 

Poi desinato, per magniflcenzia. 

Che insieme in sulla piazza ci proviamo. 
Poi che tu m’ hai si poca reverenzia, 

E la pazzia del capo ci caviamo. 

Rinaldo rispondea : Pur tosto all’ aste : 

Ch’ aspettiam noi più qui? le pere guaste? 

48 Disse il Pagano: Ogni volta fia tosto. 
Basta che di giostrar tu se’ contento ; 

E’ ci ha forse a venire ancor l’ arrosto; 

Vo’ che ’l convito anco abbi compimento 
Per reverenzia di que’ eh’ io ci ho posto. 
Diceva Orlando: Alla giostra io consento. 
Ch’io so che tu se’ uom possente e magno. 
Nè anco spiaceralti il mio compagno. 



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IL HORGANTE MAGGIORE. 

49 Come egli hanno mangialo, Dilianle 
Subito allo scudier suo fece cenno, 

£ (ulte l’arme sue vennono avanle; 

£ poi ch’armato si vide a suo senno, 

£’ montò sopra un feroce afferrante. 
Dicendo: Sia mio il danno, s’io mi spenno 
Rinaldo in su Baiardo in piazza è armato, 
£ Dilianle a morte l’ ha sfidato. 

60 Preso del campo, e ritornali in driclo, 
Rinaldo c Dilianle si rinfoppa, 

£ nel colpirsi ognun parve discreto: 

Ma la potenzia di Rinaldo è troppa, 

£ parràgli più forte che 1’ aceto 
Al Saracin, però che in sulla groppa 
Si ritrovò rovescio al suo destriere, 

£ fece di siran cenni di cadere. 

61 Rinaldo staffeggiò del piè sinestro, 

E le lance per l’aria vanno in pezzi, 

£ passan via i destrier come un balestro, 
Come color eh’ all’ arte sono avvezzi : 
Rizzòssi Diliaiitc al fin pur destro, 

£ parvegli del caso anco aver vezzi; 

£ ritornato a Rinaldo di subito. 

Disse: Baron, che tu sia Marte dubito. 

62 Io non vidi mai uom correr me’ lancia, 
Io non trovai mai uom tanto possente, 

£’ non si fe’ mai colpo tale in Francia : 
Deh dimmi il nome tuo cortesemente : 

Chè stu mi dessi ornai nell’ima guancia. 

Io volgerò poi 1’ altra allegramente ; 

Di tua prodezza innamorato sono, 

E ciò eh’ è stato tra noi ti perdono. 

63 Disse Rinaldo : E più che volentieri ; 
Sappi ch’io son Rinaldo, e questo Orlando 
Questo è Guicciardo, Alardo e Ulivieri, . 
£ questo è Ricciardetto al tuo comando: 
Questo è quel tradilor Gan da Pontieri: 

Io vo talor con la lingua accoccando ; 
Questo è Dodon, quest’ altro è Malagigi, 

£ questo è Astolfo, e lorniamei a Parigi. 



CANTO TENTESIHOSECONDO. 



183 



64 Quest’auro giovinetto è mio cugino, 

Ed èssi novamente battezzato ; 

Non Io conosci? egli era Saracino: 

Ed Aldinghier non ebbe ricordato: 

Gan traditor vi pose l’occhiolino, 

Ed ebbe il tradimento già pensato. , 
Diceva Diliante : A ogni modo, 

D’ avervi fatto onor per Dio ne godo. 

65 Ma s’ io non erro, non se’ tu colui. 

Che uccidesti il gran Veglio mio zio? 

Disse Rinaldo: Io fui mandato a lui 

Dal gran Soldan, ma poi non piacque a Dio 
Ch’io 1’ uccidessi, e gran suo amico fui, 

E hattezza’lo, e vendicai, poi io: 

Uccisi chi r uccise, un gran gigante ; 

Dunque tu di’ il contrario, Diliante. 

66 Rispose Diliante: Assai m’ incresce, 

Che questo caso è stato male inteso; 

E veggo quanto mal di ciò riesce. 

Però che mollo fuoco è in Francia acceso 
Per questo fallo, e tullavolta cresce: 
Calavrion di voi si tiene otTeso, 

E con gran gente a Parigi n’è ilo, 

Com’ io son certo eh’ avete sentilo. 

67 In questo tempo si lieva un remore. 

Che tutta la città sozzopra va, 

E lutto il popol fuggiva a furore : 

Diceva Orlando : Questo che sarà? 

Disse il Pagan : Non abbiale timore. 

Un lione è, che spesso cosi fa, 

E molla gente in questa terra ha morta, 

E spesso se ne vien drente alla porta. 

58 E duoimi ch’io ci ho colpa in questo fallo, 
Tanto eh’ io n’ ho grand’ odio con costoro ; 

Io allevai un lion bianco un tratto. 

Che mi parea gentil, benigno e soro; 

E’ si fuggi, dond’ io ne son disfatto. 

Però eh’ e’ ci ha poi dato assai martora : 

A poco a poco la mia gente manca, ^ 
E son segnalo ancor della sua branca. 



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154 



IL MOBUANTE HAGGIOBE. 



59 Rinaldo si vantò d’ uccider questo, 

Chè di vedere oqnun fuggir gl’ increbbe : 
Disse il Pagan : Se tu farai cotesto, 

Questa città per Dio t’ adorerebbe. 

Rinaldo ralTermò di farlo e presto. 

Se non che inai cavai cavalcherebbe : 

Era il lion già della terra uscito, 

E ’n certo bosco, ove c’ si slava, è ito. 

60 Rinaldo a questo bosco se n’ andava , 

E molla gente drieto se gli avvia ; 

Ma poi, come Zaccheo, s’ innalberava 
Ognun, come al lion presso giugnia: 

Vede Rinaldo questa fiera brava, 

Vennegli addosso a fargli villania ; 

Ringjdo del cavai giù presto smonta, 

£ colla spada col lion s’ affronta. 

61 Questo bone a Boiardo si getta: 

Rinaldo volle Boiardo aiutare; 

Ma quella bestia il colpo non aspetta, 

E [>oi in un tratto si vede scagliare : 
Rinaldo abbraccia, e dà si grande stretta, 
Che non si può colla spada aiutare : 

Allor Rinaldo Frusberta ricaccia 
Subito drente, e quel bone abbraccia. 

62 Ed abbracciali, 1’ un l’altro scoteva; 
Questo lion gli dette in terra un bollo, 

E sopra 1’ arme graffiava e mordeva ; 
Rinaldo un tratto ricaccia lui sotto, 

E per la gola il bone slrigneva : 

Il popol lutto a vederlo è ridotto, 

E son di Saracin pien gli arbuscelli. 

Tal che parevon mulacchie e stornelli. 

63 Rinaldo si scarmiglia col bone; 

Ma poi che mollo si fu voltolato, 

Un tratto gli menò si gran punzone, . 

Che ’l guanto lutto in man s’ ha sgretolalo : 
Pensa se ’l pugno leverà il moscone! 

Il capo a questa bestia ha sfracellato : 

. Tanto che morto le gambe distese, 

E lutto il popol con gran festa scese. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. ItfS 

64 Ritornossi Rinaldo alla cittale, 

E ha drieto la ciurma de’ Pagani, 

Fino alle donne in terra inginocchiale: 

Benedette ti sien, dicean, le mani; 

Eran per lutto le strade calcale, 

Era adorato da que’ terrazzani : 

Come Davilte Golia abbi morto. 

Cosi di quel lion preson conforto. 

65 Diliante ringrazia il paladino. 

Dicendo : Schiavo eterno ti saroe : 

Benedicati il nostro Dio Appollino;, 

Quando tu sai che il romor si levoe, 

Diceva questo savio Saracino, 

Quel eh’ io li dissi li replicheroe, 

Che mi doleva che in Francia sia guerra, 

Poi che Calavrion questo caso erra. 

66 Calavrion si crede che ’l fratello 
Tu l’uccidessi, o tenessi al trattato, 

E sol per questo vendicar vuol quello, 

E non sa ben che tu 1’ hai vendicato : 

S’io gli scrivessi, e’ parre’ tolto orpellò: 

Guarda se quel eh’ io dico è ben pensato : 

10 ti darò trenta mila baroni. 

Nelle battaglie ammaestrati e buoni. 

67 Altro non ho se non la mia persona: 

Or odi un poco un altro mio disegno; 

11 re Gostanzo mori a Babillona, 

Alla figliuola sua rimase il regno, 

Ed ha gran gente sotto sua corona. 

Che si son ritornali per disdegno 

Da Babillona, poi eh’ a Antea la desti. 

Però che molto maltrattava questi. 

6S E tulli soldo so cercando vanno : 

Uliva la fanciulla è mia parente : 

Credo che tutti a mio modo faranno ; 

E stu non hai danar da soldar gente, 
lo n’ arò tanti che si pagheranno, 

Chè cento mila son, s’ i’ ho bene a mente: 

E so che ’l re Gostanzo v’ era amico, ^ 
Che col Soldano avea grand’ odio antico. 



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1S6 



IL MORGÀNTE MAGGIORE. 



69 Rinaldo assaporava le parole 
Del Saracin, che una non ne cade, 

E disse : Diliante, a me sol duole, 

Ch’a ringraziar tua tanta umanitade 
Sare’ prima da noi s|>arito il sole: 

Ciò che tu di’ mi par la veritade, 

E tempo è d’ accettar quel c’ hai promesso, 
E di mandar presto ad Uliva un messo. 

70 Diceva Orlando a Diliante allora: 

Questa fanciulla, che Uliva è chiamata. 
Credo di noi ben si ricorda ancora: 

Perchè tu intenda, ella fu via menata. 
Uscendo un di della sua terra fuora; 

Certi giganti l’ avean trafugata ; 

Noi gli uccidemmo e liberammo quella, 

Cb’ era condotta mal la mcschinella. 

71 E poi la rimenammo a casa al padre, 

E ’l re Costanzo ne venne |)cr questo 

A Rabillona con tutte sue squadre. 

Come tu sai, chè so c’ hai inteso il resto ; 

£ quanto le sue opre fur leggiadre. 

Credo eh’ a tutto il mondo è manifesto: 

E la sua morte più che Uliva piansi, 

E quel eh’ io fe’ nella penna rimansi. 

72 Io rimandai il suo corpo imbalsimato 
Con grande onor, cosi di Spinellone; 

Non volli a’ beneficj essere ingrato ; 

£ anche uccisi il gigante ghiottone, 

Ch’ uccise lui, sicch’ io 1’ ho vendicalo: 
Mettasi al tuo consiglio esecuzione, 

E mandisi a Uliva adunque il messo. 

Disse Rinaldo: Ed io sarò quel desso. 

73 Intanto qui la gente ordinerete : 

£ tu. Orlando, a Parigi n’andrai. 

Per ispaniar qui di Gano ogni rete. 

Rispose Orlando : A tuo senno farai ; 

Credo per mar più presto vi sarete. 
Aldinghier disse : Anco me menerai. 
Rinaldo disse: Io vo’ sol Ricciardetto, 
Guicciardo, Alardo: e missesi in assetto. 



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CANTO VENTESIHOSECONDO. 



187 



74 £ avviossi inverso la marina : 

Lascianlo andar, che Dio gli dia buon vento. 
Orlando adopra ogni sua disciplina 
Di dare intanto al fatto compimento, 

E ordina la gente saracina,. 

E di partirsi fa provvedimento: 

Gano avea fìsso nel mezzo del core 
Di far quel che poi fece il traditore. 

76 E come e’ vide Rinaldo partito, 

Un di eh’ Orlando da lui si dismaga, 

Vedesi il campo libero e spedito 
Di tradimenti, anzi nel mar dibaga; 

A Diliante in camera n’ è ito, 

E di parole cortese l’ allaga : 

Disse: Pagan, chi mi fa cortesia. 

Non gli farei mai inganno o villania. 

76 Perché da te ben servito mi tegno, 

Non posso far eh’ io non li dica il vero : 

E anco parte il farò per isdegno, 

Ch’ i’ voglio aprirti tutto il mio pensiero; 

Ma la tua fede mi darai per pegno. 

Se vuoi ch’io dica il fatto lutto intero: 

Tu giurerai noi dir per Macometto. 

Disse il Pagano: E cosi li prometto. 

77 Or nota quel ch’io dico, Diliante: 
Calavrione in Francia è ito in fretta, 

E va sozzopra il Ponente e ’l Levante, 

Per far del Veglio vostro la vendetta. 

Al qual se amico fui sa Trevigante: 

E tal c’ ha ’l fico in man, ne cerca in vetta, 
E porterà di questo fatto pena 
Molti, che ricordar l’udirno appena. 

78 E chi l’ uccise, bee col tuo bicchiere, 

E mangia sempre e dorme e parla teco, 

E come Giuda è teco a un tagliere, 

E nel catin tuo intigno, e tu se’ cieco; 

Pensai che tu fìngessi non sapere: » 

Quel cavalier, eh’ Orlando ha qui con seco, 
Conoscil tu ancora, o sai il suo nome, 

O volleti Rinaldo mai dir come? 

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158 



IL HORGANTR MAGGIOBB. 



79 Di lotti gli altri sai ti disse appunto, 

Di costui tacque , e trovò certa scusa ; 

Tu noi conosci, disse, è un mio congiunto. 
Ed ebbesi la bocca cosi chiusa : 

E’ mi dispiace tu resti qui giunto. 

Gonfiato «ome palla o cornamusa, 

E che tu creda cosi a Rinaldo, 

E non t’ avvegga e’ T inganna il ribaldo. 

SU Or sappi eh’ Aldinghier costui si chiama: 
Essendo un giorno a Monaca giostrando. 
Uccise il Veglio tuo di tanta fama. 

Poi disse eh’ era parente d’ Orlando ; 

E ordinorno la più sciocca trama. 

Di legger certe lettere nel brando. 

Le qual dìcieno in parlar saracino. 

Come d’ Orlando e Rinaldo è cugino. 

SI Questo cred’ io che sia la verità. 

Tanto è, che questo inganno v’andò sotto; 
E haltezzossi, e dette la città; 

Che tutto avean per lettere condotto. 
Mostrando di venir, come si fa. 

Per la vendetta far di Mariotlo : 

Ed avean prima questa tela ordita, 

Sicché il tuo Veglio vi misse la vita. 

82 Prima fece giostrar questo fellone 
Di Rinaldo il fratello, e Ulivieri, 

E lascioron cadérsi dell’ arcione, 

Chè non soglion cader ta’ cavalieri; 

Tanto che ’l Veglio fu preso al boccone, 

E distìdossi con questo Aldinghieri : 

Non lo stimò veggendoi giovinetto. 

Tanto che questo P uccise in eOello. 

83 Rinaldo fu cattivo insino in fascia, 

E già per ammazzarlo andò in persona, 

E fèllo a pelizion d’ una bagascia, 

Antea, ch’egli ha lasciata a Rabillona, 
Perch’e’ non crede che vi sia più grascia: 
Guarda chi tien del Soldan la corona ! 

Ma noi potè uccider con sua mano. 

Però che ’l Veglio si fece Cristiano. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. 



189 



84 La nostra legge ciò non ci consente, 

Che quando un si volessi battezzare, 

Noi lo dobbiamo uccider per niente: 

Non sei polendo dinanzi levare, 

Per questo ch’io ti dico, onestamente, 

E pure Antea volendo satisfare, 

('.ondusselo alla mazza a questo inganno. 

£’ pesciolini a Monaca lo sanno. 

85 Però troppo mi son maravigliato. 

Come voi siate stalo in tanto errore, 

A creder ciò che Rinaldo ha parlalo. 

Or non bisogna insegnare al signore. 
Massime avendo il nimico ingabbiato : 
lo vi conforto a lutti fare onore; 

E soprattutto a questo esser discreto. 

Che ciò eh’ io ho detto tra noi sia segreto. 

86 E dipartissi questo maladelto, 

E disse fra suo cuor: S’ io non son mallo, 
Credo che sgocciolato sia il barlello. 

Dinante rimase stupefallo, 

E fece sopra ciò più d’ un concetto, 

Come più nello riuscissi il tratto , 

Che rimanessi alla lasca la lontra, 

Chè ciò, che Gan gli ha dello, si riscontra. 

87 E come savio, una sera cenando. 

Disse cosi, eh’ è malizioso e tristo : 

Questo baron come si chiama. Orlando? 
Forse che ’l nome ha ancor maumetlislo? 

E poi più oltre venia seguitando : 

Non disse nella cena il vostro Cristo: 

Colui che meco nel catino intigne, 

Mi dè’ tradire, anzi ha tradito, e Tigne? 

8S Rispose Orlando: Questo che vuol dire? 
Disse il Pagan : Sanza cagion noi dico : 

Colui c’ ha a far, non suol mollo dormire. 
Ma sempre investigar del suo nimico ; 

Ben sapea ben chi ci dovea venire, 

Ch’ a Monaca e Somiglia ho qualche amico : 
Colui eh’ uccise il Veglio, quel gigante. 

Mi par poco maggior che Diliantc. 



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160 



IL MORGArTTE MAGGIORE. 



89 Ah credi tu, Orlando, eh’ io non sappi 
Per che cagione io v’abbi qui invitali, 

E quel che disse Rinaldo m’ incappi ? 

E se di qui voi non fussi passati, 

Egli eron ben più là tesi i calappi : 

Voi siete nella trappola ingabbiali, 

Non uscirete mai di queste porle, 

Se a tutto il popel mio non date morte. 

90 E so che Gano è un, quel c’ ha tradito 
Tra questi il Veglio mio della montagna ; 

E s’ alcun lordo da me s’ è fuggito, 

Quando e’son troppi, egli sforzon la ragna; 
Lascia pur ir, Rinaldo se n’ è ilo. 

Io vo’ che qualcun preso ne rimagna; 

Questo è Aldinghier che ’l mio parente uccise, 
E so che Gano ogni ingegno vi mise, 

91 Come colui che non ha un già fatto 
De’ tradimenti e ’nganni alla sua vita ; 

Ma per tornar si spesso al lardo il gatto, 

La pcnitenzia sua non ha fuggita ; 

Guarda se questo colpo fu di matto, 

E se Gan ben la tela aveva ordita! 

Orlando si turbò quando udì questo, 

E giudicò di Gan nei suo cor presto. 

92 E volle al Saracin far la risposta ; 

Ma Aldinghier rispose innanzi a luì, 

E disse : Diliante, la proposta 
Perchè a me si dirizza, io son colui 
Ch’ uccisi il tuo parente ; e a tua posta 
Ti proverrò che traditor mai fui : 

Uccisil colla lancia, e realmente, 

E chi dice altro, per la canna mente. 

93 Da ora innanzi, Diliante mio. 

Come col Veglio a Monaca giostrai, 

Che fu sanza peccato, c salto Iddio, 
lo giostrerrò ancor teco, stu vorrai. 

Rispose Diliante: Quel voglio io; 

E stu m’abballi, libero sarai, 

E tulli in pace di qui ve n’andrete, 

E anco le mie gente menerete. 



CANTO VENTESIHOSBCONDO. 

9* Ah, disse Orlando, cosi far mi piace; 

Ma che tu ci facessi alcun oltraggio 
In altro modo, il pensier tuo fallace 
Sarebbe, e poco onor del tuo legnaggio; 

A questo modo si farà la pace: 

E parli, Diliante, or come saggio, 

Chè Aldinghieri è ver ch’accise il Veglio, 

Ma la battaglia non potè andar meglio. 

9.’ì Non vi fu inganno ignun, nè tradimento, 

E vendicato fu, per Macometlo. 

Disse Aldinghieri : Io il so, chè me ne sento, 
t'.he fu’ portato per morto in sul letto. 
Adunque, Diliante, sia contento, 

Diceva Orlando, far come tu hai detto ; 

E ’n questo modo sarai commendato, 

Però che ’l Veglio ci resta obbligato; ; 

96 Ed ebbe in Babillona sepoltura. 

Come e’ fu certo, al mio parer, uom degno, 

E piango ancor la sua disavventura. 

Io ho cercato del mondo ogni regno. 

Per mar, per terra, e spesso 1’ armadura, 

Per non aver danar, lasciato ho pegno ; 

Ma tradimenti mai, nè inganni, o frodo 
Non troverrai eh’ io facessi a ’gnun modo. 

97 Non si costuma tradimenti in Francia: 
Come Aldinghier t’ha detto, è proprio il vero 
E chi dice altro, di che sogna o ciancia : 
Costui vi venne come forestiero. 

Noi conosceva, uccisel colla lancia 
A corpo a corpo come buon guerriero ; 

Ed era Saracino, e lui Cristiano: 

Dunque Aldinghier non ci ha colpa, nè Gano. 

98 Domattina provate insieme l’armi. 

Se pure alcuna ruggine ci resta. 

Rispose il Saracin : Mille anni parmi 
Che noi siam colla lancia in sulla resta; 

A questo modo almen potrò sfogarmi. 

Diceva Gano, e crollava la testa: 

Tu mi di’ traditor, ma sia in buon’ora; 

Forse con meco giostrerrai ancora. 

tA* 



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IL MORGAKTB MAGGIORE. 



99 Disse il Pagano : E teco giostrerroe ; 

Io li senti’ chiamar cosi a Rinaldo. 

Gan traditor col capo minaccioe : 

Non domandar se finger sa il ribaldo. 

Ognun la sera al letto se n’ andoe, 

E in questo modo l’ accordo fu saldo : 

E come sono in camera serrati. 

Addosso a Gan si son tutti voltati. 

lOO Diceva Orlando : Onde ha questo segreto 
Costui, che par gittata proprio in forma, 
Appunto a quante carte ha l’alfabeto? 

Questo è pur lupo della noaira torma: 

Qui si bisogna, Astolfo, esser discreto; 
lo vo’ eh’ ognun coll' armi indosso dorma ; 

Un occhio alla padella, uno alla gatta, 

Ch’ io so che qualche trap|)ola c’ è fatta. 

tot Rispose Astolfo: Tanti billi billi. 

Che noi di’ tu, che Gan l’ha imburiassato? 
Perchè pur trarci il vin con questi spilli? 

Un tratto il zaffo avessi tu cavato! 

.Rispose Gan: Tu hai ’l capo pien di grilli, 

E fusti sempre pazzo e sbardellato. 

Diceva Astolfo a Malagigi allora : 

Deh fa che questa lepre balzi fuora. 

102 Malagigi non volle gittar l’arte, 

Però che ne facea gran conscienzia , 

E non si può far sempre in ogni parte ; 
Convien eh’ a molte cose abbi avvertenzia, 

E veste consecrate, e certe carte 
Esorcizzate con gran diligenzia, 

Pentacol, candarie, sigilli e lumi, 

£ spade e sangue c pentole e profumi. 

103 Questo dich’io; ch’io so eh’ alcun direbbe. 
Quando costoro avevon Malagigi , 

D’ ogni cosa avvisar li doverrebbe : 

Cosi fa il tal, cosi Carlo in Parigi. 

Dunque costui come un Iddio sarebbe. 

Se sapessi d’ ognun sempre i vestigi: 

I negromanti rade volle fanno 

L’arte, e non dicon ciò che sempre sanno. 



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CANTO VENTESIHOSECONDO. 

101 Tutta ia notte vi si borbottava, 

Ognun volea pur Gano in gelatina: 

Ma sopra tutti Astolfo vel tuffava. 

Diliante si lieva la mattina, 

E ’n sulla piazza armato se n’ andava : 

£ Aldinghier, che questo s’indovina. 

Venne in sul campo, é non si salulorno ; 

Ma come e’ giunse, del campo pigliorno. 

105 Quivi era Orlando, e’ suoi compagni armati. 
Diliante rivolse il suo cavallo, 

E ha tutti gli sproni insanguinati ; 

Come un cerviatto faceva saltallo: 

E quando insieme si son riscontrati. 

Ognun pareva un Marte sanza fallo : 

La lancia del Pagan par che si cionchi, 

E quella d’ Aldinghier va in aria in tronchi. 

106 Ritornon colle spade alla battaglia ; 

Dunque costor non facean per motteggio. 

Lo scudo r uno all’altro assai frastai^lia, 

Ma veramente ignun non avea il peggio: 

Due ore o più la zuffa si ragguaglia. 

Diceva Orlando: Ond’io lievi, non veggio, 

O dove io ponga in su questa bilancia , 

O vuoi col brando, Astolfo, o colla lancia. 

107 Io giurerei eh’ ognun fussi un Achille; 

Odi la spada d’ Aldinghier che fischia. 

Guarda il Pagan se raccende faville I 
Ma poi che molto è durata la mischia. 

Trasse Aldinghieri un colpo, e valse mille, 

Chè la fortuna crudel non cincischia ; 

Due parte al Saracin del capo fece. 

Che non si rappiccò poi colla pece. 

108 Ecco che tu se’ morto, Diliante, 

Ch’era pur buono a Rinaldo credessi 
Che morto avessi il tuo Veglio il gigante, 

£ Ganellon discacciato l’ avessi : 

Tu fusti come giovane ignorante 
£ furioso, or Io piangi tu stessi: 

As|)6tta luogo e tempo alla vendetta, 

Chè non si fe’ mai nulla bene in fretta. 



164 .. 



IL HOBGÀNTE MAGGIOBE. 



409 I terrazzai! tra lor son consigliati, 

£ poi facien questa conclusione : 

Da poi che voi ci avete liberati 
Da quel malvagio e superbo bone 
Che tanti e tanti n’avea divorati, 

E tratti delle man di Faraone; , 

Del signor tristo obbligati vi siamo, 

E tutti in Francia con voi ne vegnamo. 

tio E fìnalmcnte, ordinate le schiere 
In pochi di, con Orlando ne vanno, 

Con quel lion nelle bianche bandiere 
Che insin di fiabillona arrecato hanno ; 
Tanto che presto potranno vedere 
Calavrione e’ suoi, che ciò non sanno: 

11 qual Parigi faceva tremare, 

E vuol suggello il ciel, la terra, e ’l mare. 

4M Già era Orlando sopra una montagna. 
Dove si vede il campo de’ Pagani, 

Che cuopre le pendice e la campagna, 

E pien di padiglion veggono i piani ; 
Diceva Orlando colla sua compagna : 

Tosto con questi saremo alle mani. 

E Aldinghier parea troppo contento ; 

Pensa quando in Parigi sarà drente. 

4 

412 Carlo la notte dinanzi sognava, 

Ch’ un gran leone in Parigi era entralo 
Per una porla, e per l’altra passava, 

E lutto il campo aveva scompiglialo: 
Orlando già alle mura s’accostava; 

Carlo si stava lutto addolorato; 

Senti che nuova gente ne venia, 

E per dolor non sa dove e’ si sia. 

143 E diceva al suo Namo : Più non posso : 

A questa volta so eh’ io son deserto , 

Credo che ’l mondo ci Verrà qua addosso. 
In questo tempo Orlando ha già scoperto 
Il segno del quartier suo, bianco e rosso, 
E conosciuto da tutti fu certo ; 

£ tutto il popol corre con gran festa, 

Ch’ un testimone in Parigi non resta. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. 



165 



114 Tutta la corte collo ’mperadore 
Incontro va, come Orlando fu visto ; 

Parea, veggendo la furia e ’l rumore, 

Quel di eh’ a Jerosolima andò Cristo, 

• Ch’ ognun correva a vederlo a furore : 

Ah popol cosi presto ingrato e tristo ! 

Cosi correva il di questo gridando : 

Non dubitate ornai , chè torna Orlando ! 

115 Orlando al modo usato umilemente 
Appiè di Carlo Man s’è inginocchiato, 

E fece r abbracciate ; e finalmente 

Nel gran palazzo il popol lutto è andato : 

Lo ’mperadore a Aldinghier pose mente, 

E domandò chi fussi, e donde è nato. 

Orlando disse, come di Gherardo 
Era Qgliuolo, e quanto e’ sia gagliardo. 

116 Poi domandò quel ch’era di Rinaldo; 

Orlando gli dicea com’ egli era ito. 

Come colui eh’ a questa impresa è caldo. 

Per gente, e presto sarà comparito. 

Poi domandava del suo Gan ribaldo ; 

Disse Orlando : Dinanzi m’ è sparito ; 

A .Montalban disse oggi voleva ire. 

Per far di là Grifonetto partire. 

1 17 Carlo rispose : Questo fla ben fatto ; 

Forse Grifon fa pur contro a sua voglia. 

Astolfo rispondeva al primo tratto : 

O Carlo, tu mi fai morir di doglia, 

A creder Ganellon si sia ritratto 

Da’ tradimenti, e non sia quel eh’ e’ soglia; 

Fa che tu creda a Gano insino a morte, 

E scaccia pure Orlando di tua corte. 

118 Vuoi eh’ io li dica quel tristo del vero? 

Io tei dirò, ma egli è un ladroncello, 

E fassi malvolere al forestiero , 

* Al terrazzano, all’amico, al fratello: 

Tu non se’ uom da regger, Carlo, impero, 

E fai, come si dice, l’asinelio. 

Che sempre par che la coda conosche 
Quando e’ non l’ha, che sei mangion le mosche. 



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166 



IL H0R6ANTB MAG610BB. 



119 Mentre che in corte è il tao caro nipote. 

Tu pensi qualche ingegno dì cacciarlo ; 
Com’e’non c’ è, tu ti graffl le gote, 

Chè do verresti per certo adorarlo, 

Sappiendo quanto c’ t’ anaa, e quanto e’ puote 
lo vo’che tu mi creda questo, Carlo, 

Che se ci fussi stato il nostro Conte, 

Questi Pagan non passavano il monte. 

120 Mentre che molte cose ognun ragiona, 
Calavrion nel campo aveva inteso, 

Ch’Orlando in Parigi è colla Corona, 

E bestemmiava il ciel di rabbia acceso : 

Senlia che la città tutta risuona. 

Che si pensava aver già Carlo preso ; 

Subito fece il campo raflbrzare. 

Ed Archilagio a consiglio chiamare. 

121 Non si vantava più questo Archilagio, 

Come prima ogni giorno far soleva, 

Di pigliar Carlo insin drente al palagio : 

Ognun d’ un altro paese pareva, 

E cominciava a far le cose adagio; 

Ognun d’ Orlando paura già aveva : 

Sempre chi piglia i boni in assenzia. 

Vedrai che teme d’ un topo in presenzia. 

122 Dunque Archilagio non è quel eh’ e’ suole. 
Or ritornianci in Parigi ad Orlando. 

Diceva Orlando: Carlo, qui si vuole 
Presto ogni cosa venir disegnando, 

Ch’ egli è tempo a far fatti e non parole : 
Questo Aldinghier va il suo padre cercando. 
Con dieci mila a Montalban ne vada, 

E Berlinghier gli mostrerrà la strada. 

123 Tu di’ che v’ è Gherardo il padre drente. 
Subito in punto si misse Aldinghicri, 

E fu di questa andata assai contento ; 

Era con esso il gentil Berlinghier! : * 

Ben sai che detto e fatto un tradimento 
Aveva in punto già Gan da Pontieri. 

A Montalban di tratto si dìGla 
Con forse de’ suoi amici venti mila. 



CANTO VENTESIHOSECONDO. 



167 



124 E sconoscinlo ne va con costoro : 

Evvi Beltramo un de' suoi di Maganza, 

E di Lùsanna il conte Pulidoro; 

Di prender Montalbano avea speranza, 

E d’ ingannar Gherardo come soro, 

11 Danese e Vivian sotto amistanza : 

E Berlingbier di lunge I’ ha veduto, 

E ’l segno del falcon riconosciuto. 

126 E ’ndovinossi (ch’era scozzonato, 

E le malizie conosce di Gano), 

Che questo traditor ne va atlllato. 

Per far qualche trattato a Montalbano : 

E ha tanto il cammin sollecitato. 

Che costor raggiugneva in un gran piano, 
E domandò chi sia questa brigata, 

E chi sia il capitan di tale armata ; 



126 E s’ egli è Gan con loro, e dove e’ vanno. 
Beltramo una risposta gli fe’ strana: 

Chi e’ si sieno noi dicon, ché noi sanno; 

Ma vanno per la via, perch’ell’è piana: 

In questo Ganellon conosciuto hanno. 

Che faceva le mummie , anzi befana ; 

E Aldinghier gridò: S’io ben ti squadro. 
Non se’ tu, Ganellon, traditor ladro? 

12 ^ Traditor doloroso, can ribaldo, ' 

Traditor padre e capo d’ogni male, 

Traditor nato per tradir Rinaldo, 

Traditor frodolente e micidiale; 

Traditor degno dello eterno caldo, 

Traditor crudo, iniquo e disleale, 

Traditor falso scacciato di corte, 

Traditor falso, io ti disfldo a morte. 



i2S £ abbassò la lancia con gran fretta ; 
Gan gli rispose : Aldinghier, tu ne ménti, 
Chè traditor se’ tu colia tua setta , 

£ fusti sempre, e tutti i tuoi parenti. 
Beltramo e Pulidor quivi si getta; 

Feriron tutti con ferri pungenti 
Aldinghier, tal che gli fororno il petto, 
Perch’ eran tre, e lui sol giovinetto. 



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IL HOBGANTB MAGGIORE. 



■Ì29 E uccisongli sollo il boo cavallo ; 

Inlanlo Berlingliier la lancia abbassa : 

Vede Beltramo che venia a trovallo, 

E con un colpo l’alma e ’l cuor gli passa. 
Pulidor, quando vedeva cascallo 
Disteso a piombo che parca una massa, 
Addosso ad Aldingbier si scaglia presto. 
Perchè e’ conobbe ben che morto è questo. 

130 Aldingbier cosi in terra poveretto 
Gli misse tutta ne’ fianchi la spada, 

E morto il fece cadere in eOetlo ; 

E Berlinghier gentile anco non bada: 

Parca di diaccio a suo’ colpi ogni elmetto, 
Ed ha calcala di morti la strada : 

E tutto sanguinoso in mano ha il brando ; 
Tanto che parve, a questa volta, Orlando. 



131 




Credo eh’ cali ebbe Berlinghier vergogna 
Di sè medesmo, e altro spron non volle. 
Siccome a gentil cor già non bisogna, 
Quando e’ giostrò quel dì con Maltafolle, 
Che gli grattò dove non fu mai rogna. 

Ed oggi a tutti gli altri fama lolle : 

Ognun che tocca, alla terra giù balza 
Morto, cbè in fallo la spada mai alza. 

Qual Cesar, quale Annibai, qual Marcello 
Quale AtTrican, qual Paul, qual Cammillo, 
Quale Ettor comparar potriesi a quello? 
Quanti ne pugne, par ch’abbi l’assillo; 

Ha fatto un lago di sangue, un fragello 
Di cavalier, eh’ io mi vergogno a dillo : 
Sempre il balen si vede, e ’l tuono scoppia, 
E tuttavolta la furia raddoppia. 



133 Pareva questo giorno lui il falcone 
E peregrino, e non parca il colombo, 

Chè quanti ne feriva coll’unghione. 

Tanti giù morti ne caggiono a piombo : u 

Talvolta si chiudea come un rondone, 

Tanto eh’ ognun si sbaraglia a quei rombo; 
Come il iion tra gli armenti si scaglia, 

E pare a’ colpi suoi rete ogni maglia; 



CANTO VENTESIHOSECONDO. 



169 



134 Anzi parca delle tele d’aragne: 

' Guardisi ognan dove col brando aggiunga, 
Chè le corazze parevon lasagne: 

Guarda che quesla pecchia non li punga, 

Lo scudo e l’ arme lue sien le calcagne, 

Ché non varrà qui incanlo, o che lu l’unga: 
Fuggilevi, ranocchi, ecco la biscia. 

Che Gschia forle, quando il brando striscia. 

135 Avea lui sol tenuto, come Orazio 

Al ponte, Berlinghier la pugna il giorno, 

E non si potre’ dir qual sia lo strazio . 

De’ morti già eh’ egli aveva d’ intorno : 

Io non sarei per me mai stanco o sazio 
A dir di questo paladino adorno. 

Tanto mi son sempre di lui piaciute 
Tulle sue opre colme di virlule. 

136 Mentre che Berlinghier questo facea, 

Ecco Gherardo, il Danese e Viviano, 

Che con tre mil^ a cavai vi giugnea, 

E tuli’ a tre venien da Montalbano; 

Che Grifonetto ognidì lo slrignea, 

E vanno per aiuto a Carlo Mano : ‘ . 

Giunto Gherardo, Berlinghier conosce, 

E domandò donde sien tante angosce. 

157 Berlinghier disse ogni cosa a Gherardo, 
Come quel Iraditor gli avea ingannati.. 

Diceva il sir da Rossiglione: Io guardo 
Colui eh’ intorno a sè tanti ha ammazzali 
Così pedon, che par baron gagliardo. 

Rispose Berlinghier : Fa che lu guati 
Come scacciar si possa questa gente, 

E ammazzar quel tradito^dolente. 

138 Gherardo allor la sua lancia abbassava 
Subitamente, e Viviano, e ’l Danese : 

Cosi questa battaglia rinforzava ; 

Ma Ganellon, che ’l giuoco presto intese. 
Veduto Uggieri, a fuggir cominciava, 

E di ritrarsi per partito prese : 

Cosi tutta sua gente in poca dotta 
Si misse in fuga sbaragliala e rotta. 

II. 15 



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170 



IL HORGANTB MAGGIORE. 



139 Poi che parlili i Maganzesi sono, 
Aldinghier nostro si. venia già manco. 

Ed avea dato a Berlinghieri un suono. 
Dicendo : lo ho passalo lutto il fianco ; 
Aiutami, fratei discreto e buono. 

Gherardo dicea por: Chi è il gievan franco? 
Il perchè Berlinghier con mollo duolo ' 
Rispose : È Aldinghier, eh’ è tuo figliuolo. 

140 Gherardo, quando questo ebbe sentilo, 
iseese in terra, e vanne al giovinetto; 

E Aldinghier, c’ha Berlinghieri udito, 

S’ inginocchiò, e trassesi l’elmetto, 

E sforzasi il meschin cosi ferito, 

D’ abbracciare il suo padre poverello : ^ 

E mille volle gli baciò la fronte. 

Ed ha fatto di lagrime una fonte. 

141 Gherardo anco piangea d’ atfezione : 
Domandò della madre Rosaspina : 

Disse Aldinghier: Nella^ua regione 
Lasciata 1’ ho tra’ Saracin reina. 

Sappi che m’ha ferito Gancllone, 

L’anima mia al suo regno cammina. 

E non potè parlar più oltre scorto, 

E cadde appiè del padre in terra morto. 

142/ O padre al lutto misero in eterno, 

IO padre atllitto, o padre sconsolato, 

/ O padre in paradiso, e poi in inferno; 

I O padre, che già tanto l’hai bramalo, 

O padre, or I’ hai perduto in sempiterno : 

O padre, ecco il figliuol che tu hai trovalo; 

0 padre, che mai più ti darai pace. 

Ecco Aldinghier, che morto a’ tuo’ piè jace. 

143 Tu non sarai più lieto alla tua vita. 
Gherardo tramortì sopra il suo figlio, 

Come vide quell’ anima parlila ; 

E risentilo, e vólto intorno il ciglio. 

Una cosa parca pazza e smarrita. 

Un uom perduto fuor d’ ogni consiglio : 

Uggier molto e Vivian lo confortorno, 

£ giusto il poter. lor racconsolorno. 



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CANTO TENTESIHOSECONDO. 



171 



144 E ordinorno in su quattro destrieri 
Un cataletto, dove portan quello. 

Ed a Parigi van con Aldinghieri : 

11 padre suo si tristo e lapinello 
Lo fa portare innanzi allo imperieri , 

E tutto il popol corre là a vedejlo : 

Dicea Gherardo innanzi a Carlo Mano : 

Questo è Aldinghier ch’ucciso m’ha ’i tuo Gano. 

145 Quivi piangeva amaramente Carlo, 

Quivi piangeva tutta la sua corte; 

Quivi Gherardo ignun può consolarlo, ' 

Quivi si duole ognun della sua morte : 

Quivi pur Gano ognun volca squartarlo, 

I Quivi bestemmia alcun si crudcl sorte: 
i Quivi r esequie s’ordina e ’l mortoro, 
j Quivi piangeva lutto il concestoro. 

146 Quivi Aldinghier nel trionfai palagio 
Di porpora coperto è riccamente. 

Di drappi d’oro ornati di doagio: 

Calavrion questa novella sente 
Subito in campo, e ’l fratello Archilagio, 

E molto fu di tal caso dolente; 

Perch’e’ sapea della sua gagliardia, 

Chè Cavea conosciuto in Pagania. 

147 E’ non sapeva che ’l Veglio uccidessi : 

Amava questo assai già per antico ; 

Ma che dich’io? quando ben lo sapessi. 

Le virtù 1’ ama a forza ogni nimico : 

E scrisse a Carlo Man, che gli piacessi. 

Per vedere Aldinghier morto suo amico. 
Conceder la venula e la parlila. 

Però eh’ amato assai l’ aveva in vita. 

148 Carlo rispose molto grazioso, 

, Che tutto il campo e lui libero vegna. 

Come degno signor, magno e famoso. 

In cui molta eccellenzia sa che regna. 

Calavrion con volto assai doglioso. 

Con certi princìpal della sua insegna, 

E Archilagio suo tanto stimalo. 

Venne a Parigi, e fu mollo onorato. 



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172 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



149 E pianse mollo, e conforlò Gherardo,. 

£ dette questo vanto ad Aldinghieri, 

Che se viveva il giovine gagliardo. 

Non fu mai al mondo miglior cavalieri : 
Non so se questo vanto fu bugiardo. 

Perchè e’ si dice di Ri.sa Riccieri : 

Dunque Aldinghier piangevano i Cristiani 
Per le sue gran virtù, cosi i Pagani. 

■150 Carlo di questo caso assai si duole : 

Non vi rimase un sol non lagrimassi: 

Il vecchio padre diceva parole 

Da far pianger le fiere, i monti e’ sassi , 

E per pietà fermar la luna e ’l sole : 

Non è si duro cor non si schiantassi; 

Tanto commiscrcvoi cosa e scura 
Era a vederlo in questa sua sciagura. 

151 E seppellito fu con tanto onore, 

Che tanto mai non ebbe Ellor Troiano ; 

Poi nel palazzo il magno im|>eradore 
r.alavrion menò sempre (ler mano: 

E volle Carlo Man, eh’ un tal signore 
Andassi da man destra ; ma il Pagano 
.Non volle in modo alcuno accettar questo. 
Ch’era gentile, costumalo e onesto. 

152 Posti a sedere, Orlando comincioe 
Innanzi a tutti una beila orazione, ' 
E tanto ben le parole acconcioe, ■ 

Che fece amico suo Calavrione, 

Ed ogni suo proposito mutoe. 

Come fa il savio, udendo la ragione ; ■ 

E d’ ogni cosa io facea capace, 

E abbracciàrsi, e fu fatta la pace. ■ ' 

153 Non bisogna che venga quei d’ Arpina^ 

Quinlilian, Demoslene, o nessuno, ^ 
Per insegnare ad Orlando dottrina ; . ' 

E contro Ganellon si volse ognuno : 1 1 
Calavrion sua gente saracina 

OlTerse, e mollo giuravan ciascuno^^ 

Di far aspra vendetta d’ Aldinghieri ,T 
E che si debba a campo ire a Portieri. 



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CANTO VBNTBSIHOSBCONDO. 

454 ' Ognuno a questa impresa s’ accordava. 

Gan, come questo sentiva il fellone, 

Subito verso Pontieri arrancava, 

E fé’ da Montalban levar Grifone, 

, £ quanto può la sua terra afforzava ; 

Carlo giugnendo con Calavrione, 

Senti che '1 traditor di Gano è drehto, 

E che faceva gran provvedimento. 

456 Con tutta questa gente vi pose oste, 

Da ogni porta una parte ne caccia ; 

E piglion tutti i pian, montagne e coste. 
Ognun il traditor pigliar minaccia : , 

E stanno tutti co’ cani alle poste. 

Ognun vuol questa lepre, ognun la traccia, 

E sanno dove eli’ è posta a giacere, 

E non si curan pertica o levriere. 

456 Lasciam costoro intorno, e in mezzo Gano; 
Rinaldo nostro séguita il suo corso, 

E per fortuna in un paese strano 
S’ avvide il padron suo eh’ era trascorso ; 

£ disse: Malcondotti un giorno siàno, 

£’ ci convien pigliare o ’l graffio o ’i morso : 
Noi ci Iroviam sotto il segno di Marte, 

Dove vai poco del nocchier qui 1’ arte. 

467 O ci bisogna correr per perduti, 

O ci bisogna afferrar questo porto ; 

Se noi surgiam, come noi siam veduti, 

Ècci un signor, eh’ ognun si può dir morto : 
Non credo di natura si rimuti. 

Vive di ratto e di rapina a torto. 

Di naufragi e d’ogni cosa trista, 

E chiamasi per nome 1’ Arpalista. 

468 Quella città si chiama Saliscaglia; 

« Disopra alla città sta in un castello 

Donne, che son tutte use ire in battaglia, 

E stanno tutte al servizio di quello ; 

Come quelle Amazzone veston maglia, 

Son per natura coperte di vello. 

Filose, setolute, strane e brutte. 

Ma molto fiere per combatter tutte. 



45 * 



174 



IL HOOGANTR MAGGIOHB. 



169 Rinald» rispondea : To mi soUelichi, 
Padrone, appunto dove-me ne giova; 

Ch’io so guarire i pazzi de’ farnetichi : 
Farmi mill’ anni d’ essere alla pruova ; 

£ molti, che non credon come eretichi. 
Hanno spesso veduto cosa nuova : 

Surgiam pur presto, e fuggiam via fortuna ; 
Poi non temer più ili cosa nessuna. 

160 L’ira del mare è da averne paura. 

Però che contro a lei forza non vale; 

Ma di combatter poi coll’ armadura 
Con quel signor crudele e micidiale, 

10 lo farò saltar per quelle mura, 

E proverrò se sa volar sanza ale. 

E conforta il padron tanto, e minaccia. 

Che surse finalmente, e ’l ferro^ spaccia. 

161 Era quella città sopra una ripa 
Che soprastà dalla banda del mare, 

Piena di scogli e di rocce e di stifia. 

Che non vi |>osson le caprette andare; 

Tanto che ’l cuore al padron se gli scipa. 
Rinaldo dicea pur: Non dubitare, 

lò voglio andar, padrone, in Saliscaglia, 

Ed arrecar giù roba e vettovaglia ; < 

16:’ Manda con meco qualche marinaio. 

Disse il padron: Cotesto son contento; 

E’ ne verrà con teco qualche paio. 

Rinaldo alla città se ne va drento, 

£ ruba il cuoco, e saccheggia il fornaio, 

£ sgombera, e ritra’si a salvamento : 

E nelt’ uscir fu la spada la chiave, 

E riturnòssi al padrone alla nave. 

163 E disse: Come il becco un poco immollo. 
Sicuro vo per boschi e jier pedule; 

11 monte Sìnai porterei in collo. 

Come e’ trabocca il vin fuor pel mezzule ; 
lo intendo di voler morir satollo. 

£ cominciò a grattarsi il gorgozzule, 

£ pettina e sollecita il baiiotto. 

Tanto che fece di prete lo scotto. 



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CANTO VENTESIM08ECONDO. 



175 



16-1 Air Arpalista vanno le novelle, 

Gh’ un forestier la terra ha saccheggiata : 
Subito fece armar quelle donzelle, 

E ordinò la porta abbia guardata ; 

E la capitanessa fu di quelle 
Una, qual era Arcalida chiamata : • 
Rinaldo alla città già tornato era, 

E sfuma fuori il vin per la visiera. 

165 Arcalida si fe’ innanzi alla porta, 

E disse: Dove vai tu, cavaliere. 

Che par cosi sicuro sanza scorta? x 
Disse Rinaldo: Io tei farò sapere, ' 
Aspetta, eh’ io l’ infilzo; tu se’ morta. 
Alardo intanto spronava il destiere, 

E ’nGIza presto un’altra damigella; 

E posela a giacer giù della sella. 

166 Guicciardo un’ altra di queste rintoppa, 
E una lancia arrestata gli accocca, 

E tutta la forò sotto la poppa, 

E come Alardo a giacer la rimbocca : 
Ricciardetto una ne punse alla groppa 
Che non portò mai più spada nè ròcca : 
Cosi tra queste donzelle e’ Cristiani 
Si cominciò a menare altro che mani. 

167 Arcalida s’ appicca con Guicciardo , 

E linalmente sotto se lo caccia; 

Volle veder com’ egli era gagliardo. 
Quantunque poco mal costei gli faccia : 
Subito addosso a lei correva Alardo, 

Tanto eh’ al fin questa donzella spaccia ; 
Però che la passò nel pettignone, 

Ch’ arme eh’ avesse non valse un mellone. 

168 Le porte d’ ogni parte fur serrate. 

Tanto ch’ai buio in mezzo combattevano, 
E tutte le donzelle hanno spacciate. 

Che ad una ad una in terra le ponevano; 

E le porte hanno rotte e sgangherate, 

E ’l borgo a saccomanno poi correvano. 
Rinaldo è stato a diletto a vedere 
. é. Quelle fanciulle a rovescio cadere. 



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176 



IL tfORGAMTE MAGGIORE. 



169 E Ricciardello e Guiociardo dileggia : 

Io non pensai che voi fornissi mai 

Di spacciar qualtro femmine; e motteggia. 
Alardo disse : Provato non hai ; 

Non si conosce ogni volta 1’ acceggia 
Al becco lungo, non so se tu il sai: 

Tu non sai ben com’ elle s’ aiutavano : 

Co’ colpi in aria, per Dio, ci levavano. 

170 Elle son tulle ammaestrate al giuoco, 

E bisognò molla acqua si versasse. 

Prima che fussi spento questo fuoco; 

Basta che netto ciascun si ritrasse : 

• Tu porteresti, stu provassi un poco, 

Le lance alle bandiere poi più basse ; 

Una di lor li parrebbe bastante. 

Non eh’ aversi a provar con tulle quante. 

171 Ma l’Arpalisla, inteso tulto’il fallo. 

Un suo cugino Archilesse là mgnda; 

E disse, come e’ giunse questo malto : 
Appollin vi sconfonda d’ ogni banda 1 
E con Guicciardo si sfidò di tratto. 
Guicciardo al suo Gesù si raccomanda, 

E bisognava, chè non priega invano; 

Ch’ erano in monte, e ritrovossi al piano. 

172 E Archilesse nel portava via, 

E come il lupo al bosco la dà all’ erta , 
Rinaldo, come lo vide, dicia: 

Aspetta, chè la guardia s’è scoperta ; 

E finalmente Archilesse giugnia, 

E minacciò di dargli con Frusberta: 
Donde il Pagan : Tu mi fai torto , grida ; 
Lasciò Guicciardo, e con lui si disfida. 

173 Abbassoron le lance, e furon rotte, 

E colle spade a ferirsi tornare,, # 

Dandosi insieme di villane bolle ; 

11 Saracin, non veggendo riparo. 

Volle Boiardo guarir delle gotte: 

Déltegli un colpo, che gli parve amaro; 
Che s’ egli avessi preso meglio il collo. 
Credo che forse non dava più crollo. 



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CANTO VENTESIHOSECONDO. 



177 



174 Gridò Rinaldo: Omè, Baiando mio, 

£’ sare’ meglio esser con quelle dame, 

Che con questo Pagan crudele e rio. 

Che cosi scardassalo t’ ha lo stame ; 

10 li vendicherò, pel nostro Iddio. 

Baiando il ciuflo presto colle squame ; 
Rinaldo un colpo gli diè in sulla testa. 
Che gliel parti pel mezzo appunto a sesta. 

176 Dunque convìen che l’ Arpalista sbuchi : 
Venne coperto d’ arme, e poi di seta 

La sopravesta, che par che riluchi 
Come il Sol fra le stelle e la cometa : 
Rinaldo, quando vide tanti bruchi, ^ 
Disse : Costui persona par discreta , 

Recato ha questa per sua cortesia, 

Ch’ al mio padron della nave la dia. 

176 Poi disse all’ Arpalista : Io son venuto. 
Per purgarli d’ ogni opra tua cattiva , 

Che sempre se’ di tirannia vivuto, 

O s’ alcun legno si rompe alla riva 
Per tulli questi mar, detto m’è sulo: 

Ch’ io me n’ andavo ove si posa Uliva ; 

Ma volsi in questa parte il mio cammino. 
Per gastigar si ingiusto Saracino. 

177 Chè so eh’ ella Ga opera famosa, 

E piacerà a Macon nel del per certo. 

11 Saracino, ascoltato ogni cosa. 

Disse: Ribaldo, io l’ho troppo sofferto, 
Chè d’ impiccarli piuttosto pietosa 
Sarebbe opera suta, e giusto merlo. 

Come si fa a’ tuo’ par corsar, che vanno 
Facendo prede, e ruberie, e danno. 

178 Disse Rinaldo : Io non fu’ mai piralo. 

-w E delte preslo al cavai degli sproni: 

E r uno e l’ altro si fu discostato, 

E tornàrsi a ferir con due stangoni, ^ 

Chè r Arpalista un’abete ha recato. 
Dicendo: Questa svegliar fa i poltroni; 

Con essa n’ ho già desti più d’ un paio, 

E tu sarai per questo di il sezzaio. 




178 



IL HOBGANTE MAGGIOBE. ' 



179 Rinaldo al Saracino aveva dello : 

Colesla lancia mi par troppo grave, 

£ pur si debbo aver qualche rispetto, 

Di non gio!<trar però con una trave; 

Se tu li pon colesla lancia al pollo, 

10 torrò qua giù I' arbor della nave. 

Ma poi che vide il L’agan cosi volse. 

Un'altra siiniglianlc a quella tolse. 

180 Questi slangon nel pollo si pcrcossono. 
Tanto che lutto lo scudo inlronorno, 

E r uno e l’ altro di sella si mossone. 

Perchè le lance sol non si piegorno ; 

£ sofTerire il col|>o ben non possono : 

Vero è che in sulla terra non cascorno: 

11 Saracin rovescio in sulla groppa 
Si ritrovò, quando il colpo rinloppa. 

181 Rinaldo si piegò lutto e scontorse, 

E del sinistro piò gli uscì la stalla, 

£ quasi di cader lo messe in forse; 

Pur si sostenne e d’arcion non iscafla. 

Poi presto in sulla spada la man porse : 

Il Saracin la sua dal banco arralTa, 

£ per un’ora o più gran colpi Terno, 

Ma r Arpalisla regge a ogni scherno. 

182 Pure alla fin, volendo riparare 

Un colpo, un trailo lo scudo su alza: 

Rinaldo vide un bel colpo da fare, 

£ che scojierla avca la mano e scalza ; 

Un colpo trasse, c quella ebbe a trovare,- 
E collo scudo alla terra giù balza : 

Donde un gran mugghio metteva il Pagano, 
Quando e’ si vide tagliata la mano. 

183 £ disse: Io mi l’arrendo, or mi perdona ; 
Io ho perduto ogni cosa ad un colpo, 

Tu m’ hai ferito e guasta la persona, 

£ fu il difetto mio, cosi m’incolpo: 

Dimmi, baron, come il tuo nome suona, 

Ch’ ornai d’ ogni peccalo a le mi scolpo : 

Io son prigion tuo vero, anzi son morto; 

Non mi toccar, poi ch’io m’arrendo, a torlo. 



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CANTO VENTESIHOSECONDO. 



179 



ISI Disse Rinaldo: lo son cugin del conte 
Orlando, il qual sentito hai nominare : 
Rinaldo son chiamato di Chiarmonte. 
L’Arpalista, scntendol nominare, 

Coll’ altra man si percosse la fronte : 

0 Macon, disse, ben ti puoi sfamare; 
Dunque tu m’ hai condotto, can ribaldo. 
Traditore, a combatter con Rinaldo? 

dS6 Sia maladetto ch’io l’bo mai creduto. 
Sia maladetto la tua deità. 

Sia maladetto chi t’ ha mai piaciuto, 

Sia maladetto chi l’ adorerà, 
j Sia maladetto il ciel, eh’ io lo rifiuto, 

; Sia maladetto la tua crudeltà, 
j Sia maladetto chi ’l tuo nome onora, 

I Sia maladetto il di eh’ io nacqui e l’ ora. 

dSG Sia maladetia la disgrazia mia, 

Ch’io non conobbi le, Rinaldo, prima, 
Che la Fortuna truculente e ria 
Mi cacciassi nel fondo dalla cima ; 

Io ti do la mia terra in tua balia ; 

Di me, come tu vuoi, puoi fare slima: 
Lasciami andar meschino e sventurato, 
Ch’ io vo’ cercar la morte in altro lato. 

-1S7 E non ara Macon questo piacere. 

Ch’io muoia in Pagania sotto suo regno. 
Disse Rinaldo: Io non ti vo’ tenere 
A forza con dispetto e con isdegno ; 

Ma vo’che ti rassegni, eh’ è dovere. 

Al mio cugin famoso Orlando degno : 
Così la fede or mi prometterai. 

Ed a tua |>osta libero n’ andrai. 

d88 Rispose r Arpalista : E cosi giuro ; 
l’ho sempre bramato di vedello ; 

Di questo in ogni modo sta sicuro. 

E cosi si parti quel meschinello: 

Pensa quanto il partir gli fussi duro. 
Rinaldo la città prese e ’l castello ; 

. Il suo signor ne va peregrinando. 

Per ritrovar, come e’ giuroe. Orlando. 



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180 



IL HOaGANTE MAGGIOBE. 



)S9 E cosi vnol la Giustizia divina, 

Cosi tulle le cose al mondo vanno. 

Chi vive con tristizia e con rapina : 

Avea sognato il suo futuro danno 
La notte costui presso alla mattina, 

Come r anime nostre spesso fanno ; 

Che in Saliscaglia un serpente veniva , 

£ per paura di lui si fuggiva. 

190 Andò questo Arpalista^ assai cercando 
La morie, e prima a Parigi arrivò; 

Carlo non v’era, e non vi truova Orlando, 
Per la qual cosa a Pontier se n’ andò : 

Gano ha trovato, che ’l vien domandando : 
Dimmi chi sia, e soldo ti darò. 

E’ gli diceva di sua crudel sorte, 

£ come andava cercando la morte. 

191 Rispose Gan : Tu debbi esser mandalo 
Da Carlo o da Orlando per ispia, 

£ perdi’ io son di te più disperato, 

Tra disperalo e disperato sia ; 

Piglia del campo, ed arai qui trovalo 
La morte, che tu cerchi tuttavia: 

£ dette volta al suo Maliafellone, 

£ minacciava, e chiamalo spione. 

192 L’Arpalista toccava il del col dito. 

Poi che trovato avea con chi contendere ; 
Subitamente a trovarlo n’é ito. 

Tanto che Gan non si può al fin difendere ; 
£ cadde del cavai lutto stordito. 

Che non ne volea forse ancora scendere : 

Si forte colpo gli diè l’ Arpalista, 

Che gli appiccò la lancia nella vista. 

193 Molti baron dì Gan, che sono in piazza, 
Volson tulli le punte al Saracino ; 

Ma perch’egli è di più che buona razza, 

Sì difendea cosi col moncherino, 

' Tanto eh’ a molli frappò la corazza : 

Ma Gancllon tornando in suo domino, 
Gridò che i cavalier suoi si scoslassino, . 
£ piu col Saracin non contrastassino. 



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CANTO VENTESmOSECONDO. 



181 



194 £ parvegli dover, eh' era malvagio, 

Operar col Paglino un altro unguento ; 

E con parole cortese al palagio 

Lo ’nvita, e TArpalista fu contento. 

Dicendo cherparlar gli vuole adagio; 

E cominciò con lui ragionamento : 

Chi tu li sia, Pagano, o di qual banda. 

Non vo’ cercar, o se Carlo' ti manda, 

195 Ma perchè mi par uom discreto e forte. 

Mi Gderò di te liberamente: 

Benché tu dica che cerchi la morte, 

So che cerchi altro, e fai come prudente ; 
Carlo sbandilo m’ ha della sua corte. 

Ed è qui il campo, che vedi al presente: 

Fu sempre ingratitudin ne’ signori, 

£ ’nvidia, come sai, tra’ servidori. 

196 S’ io non fuss’ io, e’ non terrebbe il regno 
Carlo, e perduto ho infln ciò eh’ i’ gli ho fatto: 
Come e’ non m’é riuscito un disegno. 
Chiamato traditor son tristo e mallo : 

Tanto che per invidia m* ha in disdegno, 

Chè si dò ben di gran colpi di piatto : 

Per troppo amor eh’ i’ ho |)ortalo a quello 
A torto sono scacciato e rubello. 

197 Egli ha con seco certi susurroni, 

Che penson contro a me sempre lacciuoli : 
Voglionsi tutti per loro i bocconi : 

Questi sono i Gdei, questi i figliuoli, 

Certi bufibn fraschier, certi ignatoni 
Dipinti in mille logge e mille orciuoli; 

Questi governan Carlo imperadore. 

Io sono il ladro, il tristo, e ’l traditore. 

19S Hannol condotto qua come un bambino, 

Ed è venuto drielo a’Ior consigli, 

C.ome al pane insalalo il pecorino: 

Vero è eh’ un savio ha sol fra molti figli, 
Quest’ è Orlando degno paladino ; 

Ma poco il suo parer par che si pigli, 

£ come me lo discaccia ogni giorno. 

Tanto che sempre va pel mondo attorno. 

II. 16 



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182 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



199 Io sono nn uom , c’ ho in sommo della bocca 
Un poco troppo il vero alcnna volta, 

E dicolo, e non Roardo a chi ciò tocca: 

Tu sai che ’l ver malvolenlier s’ ascolta ; 

Non domandar se la ’nvidia trabocca, 

£ se il suo strai contra me poi fa còlta : 
lo vo’ più oltre dirti ogni mio effetto, 

Ghè inaino a qui non par nulla abbi detto. 

200 Tu sai che come un uom t’ arrechi a noia. 
Non può mai più far cosa che ti piaccia ; 

Se dice il ver, tu di’, che dà la soia. 

Se ti lusinga, (u di’ che minaccia : 

I suoi cagnetti itridon tulli : muoia: 

Cosi fanno anco i can che vanno a caccia : 
Percuotine un ; come tu I’ hai percosso. 

Gli altri gli corron tutti quanti addosso. 

901 E tutto fanno per parer fedeli, 

£ torna prima a te chi I’ ha più morm. 

Perchè tu vegga eh’ egli ha in bocca i peli ; 

Per me non è nè scusa nè soccorso 
Con questi non fedeli, anzi crudeli, 

£ son più di mille oche in su ’n un torso ; 

£ se trovassin miglior patto altrove, 

Ti lascerieno in sul terzo di nove. 

202 Dico cosi, che quanto io faccio bene, 

Convien che interpretalo sia al Gn male, 

£ pòrtone assai volte ingiuste pene ; 

Guarda quest’odio e invidia quanto vale! 

Certo Aldinghieri a questi giorni avviene 
Ch’andando a Moiitalban, per via m’assale, 

£ dice: Io ti conosco, sconosciuto; 

Come se mai non m’ avessi veduto. 

203 £ vuoisi vendicar d’ una novella. 

Che mi levorno con un Diliante , 

Che me n’ aveva tenuta favella 

Sempre a cammin costui come ignorante : 

La lancia abbassa, ch’era armato in sella; 
Quand’ io mi vidi venirlo davanle. 

Tu sai eh’ ognun la morte va schifando, 

Uccisi lui, che se l’ andò cercando. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. 



183 



204 Ogni aninoal per non morir s’aiuta: 

Per questo Cario m’ ha posto l’ assedio, 

Per questo tanta gente è qua venuta : 

Io non vo’ più, Pagan, tenerti a tedio; 

Credo che sia di Dio volontà suta 

Che tu venissi qua per mio rimedio; 

Vo’che tu vadi insino alla Corona, 

Per far o|iera giusta, e santa, e buona; 

205 E riconoscer la vita da (e: 

E di eh’ io vo’ venir colla coreggia 
Al collo, e ginocchion chieder merzè, , 
Come fanciul talvolta che scioccheggia; 

E se mai cosa per lui grata fe’. 

Che di levar questa gente provveggia : 

E vo’ che mi perdoni sol la morte, 

E mai più poi non mi vedrà in sua corte. 

206 Quando ebbe cosi detto il traditore. 

All’ Arpalista par la impresa giusta, 

E per andare a Carlo imperadore, 

Pargli miir anni in punto aver la fusta; 

E sella immediate il corridore. 

Diceva Gano : Il savio intende e gusta, 

E però sempre il sapiente manda ; 

Al conte Orlando mio mi raccomanda, 

207 Che li parrà un uom ch’ogni altro ecceda: 
Questi è colui, eh’ è buon, discreto e degno, 
E della gloria del suo sangue ereda, 

E sol per lui tien Carlo scettro e regno: 

E suo patrigno .son, vo’ che tu creda. 

Guarda se misse qui tutto il suo ingegno! 
Tutto facea, perch’ e’ gliel ridicessi. 

Acciò eh’ Orlando a pietà si movessi. 

208 L’ Arpalista n’andava imburiassato. 

Che la camicia non gli tocca Tanche; 
Dinanzi a Carlo Man s’ è inginocchialo, 

E dice come Gan le carte bianche 

Gli manda; e ciò che gli avea ragionato, 

E eh’ esser gli parea tra male branche: 

E replicava appunto ciò che disse 
D’ Orlando, acciò che ’l fatto riuscisse. 



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184 



IL MOBGANTI! MiGGIORB. 



209 . E seppe tanto ben ciaramellare, 

Che Carlo gli perdona, e cosi Orlando; 

Con questo che Rinaldo perdonare 

Gli voglia, e che ne debba andar cercando. 

Tanto eh' a lai si possi appresentare. 

Poi l'Arpaiista veniva narrando. 

Come è prision di Rinaldo mandato 
Al conte Orlando, e ciò che gli è incontrato. 

9tÓ E mostrò a tatti il caso della mano, 

' Che gran compassion ne venia loro; 

£ ritornossi di subito a Gano. 

Ganellon venne innanzi al concistoro, 

S’ inginocchiò piangendo a Carlo IVlano ; 

E disse: Io troverrò, s’anzi non moro, 
Rinaldo, e purgherò gli sdegni e I’ onte ; 

Cosi tu, Carlo, mi perdoni, e '1 Conte. 

211 S’ io dovessi cercar per tutto il mondo, 

Io troverrò dove che sia Rinaldo: 

Cosi iu liberato, e netto e mondo. 

Calavrion, inteso e ’l patto e ’l saldo. 

Diceva a Carlo Man : Nulla rispondo ; 

Ma te gastigherò, monco ribaldo. 

Che detto hai qui la tua santa parola, 

Chè si vorre’ impiccarti per la gola. 

212 Venuto son da Parigi volando. 

Con tanta gente, e con tanto furore, 

Lasciato ogni mio sdegno con Orlando, 

Per trovarmi a punir quel traditore, 

Chè ne venivo al ciel le mani alzando: 

Piglia del campo, Pagan peccatore, 
isehiavo, ragazzon , prigione e monco, 

Ch’ io vo’ che l’ altro braccio anco sia cionco. 

215 L’Arpaiista una lancia, ch’avea, abbassa: 
Or guarda se Fortuna lavoroe I 
Ognun col suo cavallo oltre trapassa. 

Ognun r un l’ altro allo scudo trovoe ; 

Ognuno il petto 1’ uno all’altro passa. 

Ognun giù della sella rovinoe ; 

Ognun di questi moriva a un tratto, 

Chè mai si vide un colpo cosi fatto. 



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CANTO VENTESIMOSECONDO. 



18S 



214 Calavrione a contanti la briga 

Comperò dunque, che non gli toccava; 

Ecco che la giustizia lo gasliga: 

L’ Arpalisla trovò quel che cercava ; 

Pel fil della sinopia e per la riga 
A questa volta questa cosa andava ; 

Ed Archilagio per parlilo prese 
Di riraenar sue genie in suo paese. 

215 Carlo tornò colla corte a Parigi : 

Gan per lo mondo in cammin si mcttea: 

Dov’ e’ sentiva o discordia, o litigi, 

O guerre: Quivi è Rinaldo, dicea: 

Cosi cercava l’ orme e’ suoi vestigi. 

Or ritorniamo a Rinaldo ch’avea 
Ridotta Saliscaglia a divozione 
Di Cristo, e rinnegato ognun Macone. 

216 Poi che son battezzati i Saracini, 

E statisi alcun tempo a dimorare, 

E grand’ onor gli fanno i cittadini; 

In visione una notte gli appare 

Un Angelo che fu de’ Cherubini, 

E disse: Qui, Rinaldo non puoi stare; 

A’ pellegrini impedito è il passaggio, 

■ Non posson far del Sepolcro il viaggio. 

217 Quel che tu hai fatto, mollo a Dio su piace; 
Ma fa eh’ a questa impresa or non sia molle : 
Sappi ch’egli è un uora molto rapace. 

Che nel deserto sta di Caprafolle, 

Non lascia i pellegrini andare in pace: 

Fa che tu vadi appiè di colle in colle. 

Fin che tu truovi questo fiero mallo. 

Che fa di là chiamarsi Fuligatto. 

218 Rinaldo la mallina risentilo. 

Subito a Ricciardetto e a gli altri disse. 

Come r AngioI di Dio gli era apparilo, 

E quel che gli avea dello, e dove e’ gisse: 
Ognun di lor n’è molto sbigottito. 

Non che non dichin che Dio s’ ubbidisse ; 

Ma che di questo sol senlivan duolo. 

Che l’ Angel gli comandi e’ vadi solo. 

16 * 



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18C 



' IL HOBGJlMTB maggiore. 



219 Rinaldo il me’ che sa dà lor conforto, 
Dicendo : Abbiate alla terra riguardo, 

E dirizzale a ragione ogni torto; 

E raccomando a lutti il mio Baiardo ; 

E presto lornérò , s’ io non son morto, 

Chè d' ubbidire Iddio nel cuor tutto ardo : 
Sievi raccomandala la giustizia, 

Tenete in pace la terra e ’n dovizia. 

220 E fece apparecchiar presto la nave, 

Chè quel padron non Rinaldo si slava, 

E d’ ogni cosa gli si dà la chiave ; 

E per ventura romei v’arrivava; 

E benché la partenza fussi grave. 

Con questi finalmente s’avviava: 

E tutti prima in bocca si baciorno. 

Di stare al bene e ’l mal la notte e ’l giorno. 

221 E cosi si commette alla marina, 

E r armadura tien sotto coperta : 

Di sopra si vedeva una schiavina, 

E non dimenticò però Frusberta; 

Il vento è buono, e la nave cammina. 

Tanto che Barberia hanno scoperta, 

E dirizzàrsi verso una cillade, 

Donde saran per terra poi le strade. 

222 E come drente al |x>rto surli sono, 

Rinaldo dal padron fa dipartita, 

E dice: Fra un mese e’ sarà buono. 

Che questa nave in qua sia comparita ; 

E ’nlanlo io tornerò dal mio perdono : 

Cristo t’aiuti e la tua calamita. 

Che vai vie più che la stoppa e la pece. 
Donde il padron con lui gran pianto fece. 

223 E disse : Il di eh’ io me n’ andrò sotterra, 
Non sentirò nel cuor la metà pena : 

Dico in quel punto che l’alma si sferra; 
Vaitene in pace ove il cammìn ti mena, 
Aiutiti il tuo Dio, se tu vai in guerra, 

Aiiìtiti Maria di grazia piena : 

Io tornerò qui colla nave presto. 

E non potè più oltre dir che questo ; 



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CANTO VBNTESIMOSECONDO. 



187 



224 E ’nginocchiossi, e baciògli le piante. 
Rinaldo co’ compagni se ne vanno 
Nella città che vi sta 1’ Ammirante, 

£ giostre e feste alla piazza si fanno ; 

E molto ben si portava un amante 
D’ una fanciulla : a veder quivi stanno : 
Questa era molto bianca e molto bella , 

E molto bruna un’ altra sua sorella. 

225 E come bruna, si chiama Brunetta: 
Adunque il nome suo non si disdice; 

Queir altra è bianca, e pare un’ angioletta, 
£ mollo il di si chiamava felice. 

Perchè il suo amante ognun per terra getta, 
E alla sorella ricorreva, e dice : 

Non c’è per te chi rompa due Gnocchi, 

E ’l drudo mio d’ ogni lancia fa rocchi. 

226 Diceva la Brunetta sventurata : 

Che colpa ho io di quel che fe natura, 

E s’ io non nacqui bella e fortunata ? 

S’ io avessi avuto a far questa Ggura, 

Io mi sarei per modo disegnata. 

Che scultor noi farebbe o dipintura : 
Ringrazia Dio che degli amanti truovi, 

E presso ch’io non dissi, anco gli priiovi. 

227 Io vi conforto della giostra, amanti, 

E la Brunetta vi torni a memoria ; 

Io vi ricordo e dico a tutti quanti, * 

Che colla lancia s’acquista vittoria, 

E fassi spesso colpi di giganti, 

E eh’ ogni dama del suo drudo ha boria: 

E piace insin da Campi a Mona Onesta 
Ch’ e’ tenga ben la lancia in su la resta. 

228 E detto questo, gittava il falcone 
Verso Rinaldo, e pargli molto bello; 

E ricordossi d’ una visione. 

Che fatta avea eh’ un peregrin novello 
Ognun quel giorno abbatteva d’arcione; 

E disse fra suo cor: Costui Ga quello; 

A un suo balio lo fece chiamare : 

Di a quel peregrin, ch’io gli ho a parlare. 



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188 



IL MOBGANTK MAGGIOBE. 



229 Rinaldo andò, ma non sapea la (rama ; 

Ella gli disse con destre parole 

Del sogno, e la cagion (>er ch’ella il chiama: 
Rinaldo disse far ciò ch’ella vuole, 

Chè ciò eh’ nom facci per amor di dama, 

È gentilezza eh’ osservar si suole ; 

Che si voleva armar segretamente, 

Dove piacessi alla dama piacente. 

230 Brunetta gli ordinò dove e’ s’ armassi, 

E ’mpose al balio eh’ un destrier gli mostri ; 
E la sorella di lei beffe fassi, 

E dice : Che vuoi tu che costui giostri ? 

E ridea, quasi in sua lingua parlassi: 

Costui t’ arrecherà de’ paternostri 
Dal suo perdon, quando e’ sarà tornato. 
Rinaldo al campo n’ è venuto armato. 

231 Disse r amante di quella più bella : 

Hai tu veduto qua questo uccellaccio? 

Che dirai tu s’ io il traggo della sella? 

Al primo colpo in terra te lo caccio. 

Rispose la Brunetta meschinella : 

Si, se tu stimi eh’ un uom sia di ghiaccio. 
Rinaldo le parole appunto intese, 

E tutto quanto di sdegno s’ accese. 

232 E disfìdossi con questo saccente. 

La bianca e bella confortava il drudo, 

£ la Brunella facea similmente, 

E l’uno e l’altro trovava lo scudo: 

Ma il Saracin pel gran colpo e possente 
Alzò le gambe, e cadde a culo ignudo 
Quanto potea, con ogni sua vergogna : 

£ fu pur ver quel che Brunella sogna. 

233 Quivi le grida intorno si levorno; 

Non domandar se la dama gallozza, 

E dice alla sorella per iscorno : 

Truova dell’acqua e nel viso la spruzza, 

Chè la mia Vision fu presso al giorno. 

La bianca addolorata si raggruzza. 

Però eh’ un braccio il suo amante si spezza : 
Non domandar se Brunetta la sprezza. 



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CANTO TENTESIHOSECONDO. 



189 



234 VolloDsi alcun con Rinaldo provare, 

Ognuno in terra alla Gne è caduto; 

Il padre di costor si fece armare, » 

E venne sopra il campo sconosciuto : 

Rinaldo il gittò in terra, e nel cascare. 

L’elmo gli usciva, ond’e’fu conosciuto: 

E come fatta è la festa, a bell’ agio 
Rinaldo ne menò seco al palagio ; 

235 Chè di sua forza si maravigliava : 

I suoi compagni con lui fé’ venire, 

E un convito solenne ordinava, 

E le fanciulle stavano ò servire, 

E r una e l’altra Rinaldo guardava. 

Innamorate del suo grande ardire : 

E poi mangiato, in una zambra vanno, 

E le fanciulle gran disputa fanno. 

236 E dice ognuna ch'era la più bella, 

E che Rinaldo giudicassi questo ; ' ^ 

Contente son I’ una e l’ altra sorella. 

Rinaldo alla Brunella disse presto, 

E ch’avea il suo amor donalo a quella ; 

II che fu tanto alla bianca molesto, 

Gh’ad un balcon con un laccio di seta 
S’ impiccò in una camera segreta. 

237 Della qual cosa ciascun si lamenta; 

Rinaldo co’ compagni si parlia, 

E la Brunetta riman malcontenta : 

Macon, dicendo, ti mostri la via; 

Dove tu sia, peregrin, ti rammenta 
Delia Brunetta, che tua sempre sia. 

E dettegli un fermaglio la Brunetta 
Per ricordanza di lei meschinella. 

• 

23S E volle prima il suo nome sapere: 

Quando senti, com’egli era Rinaldo, 

S’accese tanto del suo gran potere. 

Che non si spense mai poi questo caldo; 

Benché mai più noi dovea rivedere. 

Pur si rimase nel suo petto saldo : 

Rinaldo al suo viaggio ne va ratto. 

Per essere alle man con Fuligalto. 



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190 



IL MOR4ÌANTB MAGGIORE. 



239 Già' era capitato nel deserto: 

Ecco apparire un cavaliere armato, 

Il cavai tutto di piastre ha coperto, 

Col falron nello scudo e in o«;ni lato; 

Tal che Kinaldo il conobbe di certo : 

Questo era (ìan che 1’ ha tanto cercato, 

E ’niiinocchiossi, e pcrdon gli chiedeva, 

£ d’ Aldingbier con gran pianto diceva. 

240 Hinaldo d’ Aldingbier gl’ increbbe tanto, 
('.be non potea sua morte perdonare; 

Alla risposta soprastette alquanto : 

I |>eregrin cominciorno a pregare : 

Voi che tu vedi, barone, il suo pianto. 
Piacciali il cor volere umiliare, 

Veggendo quanto umil si raccomanda. 

Per quello Dio che pcregrin li manda. 

241 Tanto ch’ai fìn Rinaldo gli |>erdona. 

Gan si tornò per la via eh’ è venuto: 

Ecco un romor che per l’aria risuona; 
Gente che fuggon, domandando aiuto; 

£ innanzi a tulli un cavaliere sprona, 

E come egli ebbe Rinaldo veduto, 

Gridava : Pcregrin, fuggite a drielo. 

Però che in qua si va contro a divieto. 

242 A gran fatica noi scampati siano 
Delle man di quel diavoi maladetto. 

Ed io, che innanzi fuggo, son ('.ristiano, 
li) son ferito a morte drenlo al |ìel(o. 

Disse Rinaldo: Cavalier sovrano. 

Chi è questo diavoi che tu hai detto? 

È Fuligalto, rispondeva quello. 

Se vai più oltre, potresti sapello. 

243 Egli ha fallo oggi cose trop|K> strane, 

E’ porta sotto un cuoio serpentino, 

E una spada che è più eh’ a due mane. 

Lo scudo d’osso, questo malandrino; 

E dà picchiate, ti so dir, villane, 

E ha già morto forse un peregrino : 

Un baslon porta, che pare una trave. 

Che dicoD trentacinque libbre è grave. 



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CANTO VENTESIMOSECONOO. . 



191 



S44 Poco più disse che si venne meno, 

E cadde come morlo in lerra cade : 
Rinaldo monta in sul suo palafreno, 

Perchè e’ conobbe ch’enli avca bonlade, 

E disse a’ suoi compat;ni: Che fareno? 
lo veggo poco innanzi una cillade; 
Andiamo a quella, c ’nlenderemo il vero 
Dove è questo arrabbialo unm tanto fiero. 

245 Questa città Sardona si chiamava , 

E d’ un bel (lume è circondata intorno; 
Rinaldo a questa alla porta arrivava, 

E poi che in aito le mura mirorno, 

A ogni merlo due impiccati slava, 

E finalmente In porla bussorno : 

Rispose una fanciulla, e ’l cavai vede, 

E che sia forse Fuligatto crede. 

246 Se’ tu quel Fuligatto ladroncello? 

Se’ tu quel Fuligatto micidiale? , 

Se’ tu colui che di noi fai macello? 

Se’ tu colui ch’hai fallo tanto male? 

Se’ tu quei lupo a cui non campa agnello? 
Se’ tu colui che i pellegrini assale? 

Se’ tu quel Iradilor, che se’ a cavallo? 

Se’ tu venuto di sangue a ingrassano? 

247 Disse Rinaldo: No, non son quel desso; 
Non vedi tu che noi siam pellegrini? 

Tu doverresli conoscere appresso 
Che il lupo non va mai cogli aunellini: 
Aprici adunque, damigella, adesso, 

Chè stanchi siam per più lunghi cammini. 
Questa fanciulla, del ver falla certa. 
Venne alla porla, ed a tulli l’ha aperta. 

248 E disse: Peregrin, Din vi dia pace, 

E guardi dallo man di quel tiranno. 

Che tanto è sopra noi fallo rapace, 

E per cui morti color quivi stanno; 

Venite alla reina, se vi piace: 

E mentre per la terra costor vanno. 

Altro che donne non veggono in quella ; 

E doinandorno questa damigella : 



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192 



IL MOBGANTE MAGGIOBB. 



349 Dove sono i mariti e’ fralei vostri , 

I padri, i tìgli, e’ servi, e l’ altre genti? 

Ed ella : Or che bisogna io ve gli mostri? 
Vedetegli lassù cosi dolenti ; 

Vedete gli mariti, e’ fratei nostri, 

E’ padri, e’ figli, e’ servi, e poi i parenti; 
Quivi staranno morti in sempiterno, 

E’ gl’ impiccò quel diavoi dello inferno. 

360 Non domandale, chè non è possibile, 
Quanto e’ sia mala bestia Fuligalto ; 

Pure a dir Fuligatto è cosa orribile. 

Non si potrebbe dir quel eh’ egli ha fatto : 

E s’ io il dicessi, e’ non sare’ credibile. 

Tanto è che questo paese ha disfatto; 

Prese la terra, e fe’ impiccare a’ merli 
Tutti color che potè vivi averli. 

361 Io vidi qui pigliargli un giovinetto. 

Che noi potre’ mai più rifar natura , 

E con sua mano il cuor trargli del petto , 

Poi lo fece impiccar sopra le mura : 

Vedete il mio marito poveretto, 

Ch' a riguardarlo mi mette paura : 

Qui vidi il sangue alzar di sopra il ciglio, 
Tanto che ’l fiume diventò vermiglio. 

363 Quando ripenso a tanta crudeltate. 

De’ pianti, de’ lamenti, e delle strida. 

Le donne e le fanciulle scapigliate 
Percuotersi e gratlìarsì con gran grida , 

E chi per terra morte e strascinate ; 

E’ par che ’l cuor pel mezzo si divida : 

Era cosa crudele e paurosa 
Veder tutta la terra sanguinosa. 

353 Mentre cosi la donzella dicea, 

Giunsono in piazza ov’era un uomo armato, 
Ch’era di bronzo, ma vivo parca. 

Sopra un cavai eh’ è tutto covertalo. 

Ed una lancia in su la coscia avea. 

Kinaldo chi sia questo ha domandalo. 

Disse la dama: La scrittura il dice. 

Questa città per lui fu già felice : 



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CANTO VBNTESIHOSECONDO. 



193 



‘ 2 bi E fu di Chiaramonte il cavaliere. 

Rinaldo legge, e diceva: D’Angrante 
Orlando nel (al (empo quel guerriere 
Ci liberò dal gran re Caligante, 

Che in campo d’oro portava un cerviere; ' 
E per memoria dell’ opre sue sanie. 
D’uccider quei crudel nimico e acro, 

Gli fece il popol questo simulacro. 

2&5 Rinaldo lagrimó, veggendo Orlando, 

Per tenerezza, e con lui si ragiona. 
Dicendo: Ovunque io vo peregrinando. 

Per lutto il mondo la tua fama suona; 

E dipartissi da lui lagrimando. 

. Rappresenlossi innanzi alla Corona: 

Questa reina è beila e giovinetta, 

E chiamasi per nome Filisetta. 

2ò6 Vide Rinaldo, e dopo le salute 

Lo domandò dove il cammin suo tiene; 
Chè cosi peregrino uom di virtule 
Giudicò questo, e parvegli uom dabbene. 
Rinaldo rispondea le cagion sute 
Del suo venire, e di che parte viene; 

E com’egli è Rinaldo, eh’ è mandato 
Dall’ AngcI, che cosi gli ha comandato. 

257 Filisetta sapea la sua prodezza : 
Veggendolo, stupia di maraviglia 
Dell’ atto fiero e della sua grandezza ; 

E disse: Orlando tuo ben ti simiglia; 

Re Caligante per la sua fierezza. 

Come tu vedi, abbandonò la briglia: 

Chè so che in piazza la statua vedesti 
Di bronzo, e quelle lettere leggesti. 

25S Questa città da lui fu liberata. 

Ed a perpetuo di questo memoria 
L’ immagine sua qui vedi scultata. 

Che fia del vostro sangue eternai gloria ; 

Ma Fuligatto m’ ha ben ristorata. 

Che lutto questo paese martoria ; 

Non vuol che ignun si spicchi di coloro. 

Ed evvi il mio marito tra costoro. 

■I. 17 



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194 



IL MOBGAMTE MAGGIORE. 



259 Che s’ io il potessi almen pur seppellire y 
Io gli perdono il resto a Fuligallo; 

Ha fatto a strazio il mio popol morire; 
Guarda eh’ a lui non vadi come mallo. 
Disse Rinaldo: Non li dar martire, 

E spicca il tuo marito innanzi tratto : 

I miei compagni teco rimarranno, 

£ poi vedrai come le cose andranno. 

260 Non dubitar, chè quel che vuole Iddio, 
Non può fallir per accidente alcuno. 

Di mangiar, Filisetta, abbiam disio, . 

Però eh’ ognun di noi so ch’é digiuno: 

E poi eh’ io partirò, per amor mio '\ 

Ti raccomando di costor ciascuno. 

£ la reina lietamente onore 
A lutti fece e con aperto amore. 

261 Rinaldo solo un giorno riposossi. 

Poi fece da costor la dipartenza, 

E non sanza gran pianto accommiatossi , 
Perch’ubbidir di Dio volea la intenza; 

E pel deserto soletto avviossi: 

Ma Filisetta per magnificenza 
• La lancia, che fu già del suo marito. 

Gli dette, e uno scudo assai pulito. 

262 E disse : Questo per amor mio porta , 
Poiché portar non lo può più colui. 

Che sospeso é tra la sua gente morta : 

Dio l’ accompagni cogli Angioli sui, 

E così spera, e così ti conforta. 

Lasciamo andare al suo cammin costui. 
Nell’ altro vi dirò quel ch’ara fallo: 

Cristo vi scampi da quel Fuligallo. 



Iff O T £. , 



t. Mieaelle. Hirbel«. 

2. e va verso altra genie. • A 
gente che di là forse 1’ aspetta * aveva 
già detto molto tempo avanti il Pe- 
trarca, 



9. ha l’oeehio del ramarro. Aver 
I’ occhio del ramarro signiGca averlo 
bello e attraente , e che guarda volen- 
tier l’ uomo. — batsarro. Baratto, 
cambio. 



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CANTO VENTESIHOSECONDO. 



198 



•40. Parole ostai ec. Molte pa- 
role e pochi fatti. 

•46. compagna. Compagnia, tolto 
l’ t come usarasi dagli antichi ; e il 
fece anche Dante quando disse in per- 
sona d’ Ulisse: 

Mi miti mt per i’ alto maro aporto 
Sol ciin un legno, o eoo quella compagna 
Picciola dalla qual non fui deserto. 

/»/., MVI. 

25. ter Benletai. Nome Goto per 
ingiuria e per ischerzo. 

35. alia stagliata. Cioè non per 
la strada hattuta e nsata, ma per quel- 
la che I’ occhio giudica più diritta o 
più breve, quasi tagliando la via; il 
che dicesi anche andare alla ricisa. 

57. Ser Tuttesalle. Nome del ge- 
nere stesso dell’ altro Benlt’sai. 

■lo. appannnrno alla ragna. 
Lo stesso che dettero nella ragna, 
cioè riraaser cólti c ingannati. 

42. pettinare. Mangiar presto e 
assai. 

44. profenda ee. Quella quantità 
di biada che dàssì in una volta ai ca- 
valli e altri animali. Qui è detto me- 
taforicamente. 

49. afferrante. Cavallo, tonipet. 

CO Zaccheo ec. Quel personaggio 
della Bibbia che essemlo di pìccola 
statura , sali sopra un albero per ve- 
der passare Gesù Cristo. 

77. E tal c' ha ’l fico ec. Cioè 
si mette a rischi e perìcoli per acqui- 
stare lina cosa che è fucile ad ottenere. 

89. » calappi. Trappole o lacci 
insiiliosi. Crede il Caiiinin che questa 
voce calappio derivi dall’araha gelub. 

lOO. Un orchio ec. Cioè stiamo 
attenti, e leniam l’occhio a ogni cosa. 

401. billi billi Modo di dire per 
chiamare e accarezzar le galline, o 
per metafora moine , carezze , blan- 
ditta. — imbur lattato . Ammaestra- 
to , instrutto , o come direbbesi mes- 
so su. 

402. Pentacoli candarie te. È 
il pentacolo un pezzetto di pietra , di 
metallo, di carta, o simili, dove sono 
efiigiati caratteri e Ggure, il quale ap- 
peso al collo, o applicato ad altre parti 
del corpo, era creduto preservativo 



contro malie , incantesimi, ed altre si- 
mili cose. 1 Greci lo chiamavano ts- 
ploippa, o ire/JtartTov, da wsptaTr- 
Tw, appunto perchè si appendeva al 
collo, 0 si legava ad alcuna altra parte 
del corpo. Le candarie, i sigilli c le 
altre cose qui rammentate sono tutti 
arnesi perlii'cnti alla stregoneria. 

448. Che tempre par ee. Per 
esprìmere che il Itene si conosce quan- 
do e’ s’ è perduto, si suol dire: s l’asi- 
no non conosce la coda se non quando 
e’ non I’ ha. » Ed è un modo di dire 
non dissimile da quel del Boccaccio 
• del senno di poi o’ è pìen le fosse > 
che i Latini dicevano sera tapiunt 
Phryget, eiGreci 7r«&cùvy.at vvjTrioq 
ppovst. 

426. Che faceva le mummie ec. 
Far la mummia si dice di quell’ ora 
nascondersi e ora apparire alquanto, 
che si fa o per ischerzo o per timore. 

434. lasagne. Pasta di farina di 
grano sottilmente tirata , e secca, che 
cotta poi nell’ acqua s’ adopera per 
cibo. Viene forse dal greco /à'/avov , 
che signiGcava placenta e ttmffa et ofeo 
recenti. 

435. Orazio Al ponte ee. Orazio 
Coelite. 

443. E giusto il poter Ìor. Leg- 
gi : E giusta ec. ; cioè per quanto era 
io loro potere. 

454. Che tanto mai ee. Circa i 
funebri onori resi ad Ettore. Vedi 
Iliade, XXIV. 

4 53. quel d'.4rpina. Cioè d’Ar- 
pino, patria di Cicerone. 

4 63 come il becco ec. Mettere il 
becco in molle è modo di diro che si- 
gnifica bere , e anche ciarlare di cose 
che non ci appartengono, — fece di 
prete lo scotto. Cioè mangiò senza 
pagare. 

484 . non itcaffa. Scaffare è pro- 
priamente termine del giuoco di sba- 
raglio e di sbaraglino, e vale farla di 
caffo pari , contrario di caffare. Signi- 
fica però anche , siccome qui , traboc- 
care , cadere, esìmili. 

4 89. Come Vanirne nostre ee. Era 
opinion degli antichi, originata dallo 
superstizioni del paganesimo , che i 
sogni fatti in sul mattino fosser vcri- 



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196 



IL MOBGANTB MAGGIOBE. 



dici , e Dante ne auegnò quasi la ca- 
gione quando disse : 

... la mente nostra pellegrina 
Piò dallt caroe^ e meo dt’ pensier presa 
Nelle ioe Vision quasi è divioa. 

■193. tornando in suo domino. 
Cioè riavutosi , tornalo all’ uso de’ pi o- 
pri sensi. Dimi no e domino per dominio 
dicevasi comunemente dagli aiitirbi. 

■197. certi ignatoni. Gnatoni, cioè 
mangioni j o da nulla. Viene da Gno- 
tho, onis, nome di un parasito di Te- 
renzio, cosi chiamato dal greco 
che vuol dir mascella e bocca ; e an- 
che i Greci dicevano yvoi&wv per pa- 
rasito e per buffone , qui buccat in- 
flata» emdendai dai. 

200. dà la loia. Dar la soia si- 
gnifica adulare , piaggiare , lodare al- 
trui per adulazione o per beffa. É il 
palpar dei Latini. Quam blande mn- 
lieri palpabilur , disse Plauto in 
Anph. I, III, IX. 

201 . E lon più di mille oche ee. 
Cioè e’ sono in molti a perseguitare 
un solo, o pure sono infiniti a vivere 
alle spalle o’ un solo. — Ti laieerie- 
no ee. Lo stesso che se dicesse ti pian- 
terebbero. 

208. Che la camicia ee. Vale lo 



stesso che quell’ altro modo • la ca- 
micia non gli tocca il colo, • e dicesi 
di ehi è in preda a smodata alle- 
grezza. 

214. Pel fU della linopia ee. É 
la sinopia una specie di terra di color 
rosso , colla quale i segatori fanno un 
segno sui legnami con un filo intinto 
in essa , per andar diritti colla sega ; 
onde ne’ Canti Carnascialeschi si legge : 

Prima ai seghi a’ nst di conciarlo. 

Poi cuUe cordo « sinopia aegnarlo. 

E da ciè metaforicamente si dice andar 
pel filo della sinopia per seguitar la di- 
rittura j andar per la buona strada ; 
e dicesi anche di cosa quando riesce 
felicemente. 

233. le la dama galluxxa. Gal- 
Inzzare , che si dice anche ringalluzza- 
re , significa rallegrarsi, esser compre- 
so da grande allegrezza , lalilia af- 
ferri. Viene forse da gallo, quasi di- 
cesse far come il gallo, il quale quan- 
do si rallegra tutto si rimpettisce , o 
pure dal greco àyaìXiKc^ac, che ha 
il medesimo significato. — tiraggrux- 
xa. Si rannicchia per la vergogna , o 
forse per il dispetto. 

261 . tnlensa. Intenzione, mena. 



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CASrrO VESTTESmOTERZO. 



^a(0(oamav^» 

È conquistato Fnligatto il fiero 
Boia del ?iril sesso da Rinaldo, 

Che de’ centauri manda al cimitero 
Il frombolier Spìnardo caldo caldo. 
Fnligatto si fa crislian davvero, 

E ucciso Dnlivante, i lieto e baldo. 
Smarritisi Rinaldo e Fnligatto, 

Han da certi romiti ospizio e piatto. 



1 Deus in adiuloriun^meu m 

Che sofferisli per noi dura croce, 

Che la tua grazia e ’l tuo regno ci rende, 
Non mi lasciar perir presso alla foce. 

Poi che noi siamo al levar delle tende : 
lo te ne priego con sommessa voce, 

Ché tutto loda il fin d’ogni opra nostra: 
Dunque il cammino insino al fin mi mostra. 

2 Rinaldo pel deserto se n’andava; 

Aveva il .sol coverto il marin suolo. 

La luna il lume suo tutto mostrava, 
Cedevon gli squadranti all’ orinolo; 

Quando Rinaldo la notte trovava 
Dove si sta quel Fnligatto solo, 

£ picchiò r uscio d’ un suo stran palagio. 
Fin che rispose il traditor malvagio. 

3 E disse : Chi se’ tu? che vai cercando? 
Disse Rinaldo: A te mandato sono. 

Fuligatto gli aperse minacciando. 

Dicendo: Se tu vai qui pel perdono, 

lo tei darò colla croce del brando. 

Dicea Rinaldo : Dirti il vero è buono; 

Sappi, ladron, che fuor di queste porte 
Non uscirai , eh’ io ti darò la morte : 

17 * 



198 



IL MORGANTG HAGGIORÉ. 



4 Io venivo per provar mia forza (eco. 
Rispose Fulisalto: Tu n'andrai, 

S’ io li do qualche mazzata di cieco ; 
Ecco, per Dio, la serpe ch’io sognai, 
Che mi parea s’avviluppassi meco, 

E per paura di ciò mi desiai ; 

Non mi parea poterla sviluppare; 

Tu se’ la serpe, che non vuoi sbucare. 

fi Disse Rinaldo: Pel contrario fìa, 

Chè tu sarai la serpe, io lo spinoso. 

Che ’l misse un tratto per la sua follia 
Nella sua buca, chiedendo riposo ; 

Poi lo voleva costei cacciar via, 

Perch’ e’ si voltolava il doloroso : 

Onde e’ ris(>ose : A non tenerti a bada , 
Chi non ci può star, serpe, sene vada. 

6 Fuligatto era tatto maraviglia : 

Chi fìa costui ? dicea, che cosa è questa? 
Prese al cavai di subito la briglia, 

E mena un colpo a Rinaldo alla testa. 
Rinaldo un salto della sella piglia. 
Quando e’ sentiva toccarsi la cresta ; 
Déttegli un pugno , e sbrucagli l’ orecchio 
E fe’ di sangue un lago di Fucecchio. 

7 E Fuligatto balza giù stordito ; 

Rinaldo noi toccò, chè s’ è levato, 

E come e’ fu tutto in sé risentilo, 

Diceva, io credo che tu sia incantato, 

0 qualche diavoi dell’ abisso uscito ; 
lo son per questo pugno smemorato. 

Per questa notte vo’ che ci posiamo, 

E domattina insieme combattiamo: 

8 Non dubitar di tradimento o inganno. 
Disse Rinaldo : Non temer pur tu. 

Cosi la notte in cagnesco si stanno; 

E come il giorno in oriente fu, 

Armati fuori a campo se ne vanno, 

E disfidali, sanza parlar più, 

Ognun del campo a suo senno si tolse, 

E colla lancia al nimico si volse. 




CANTO VENTESIHOTEBZO. 



i'J'J 



9 E riscontrati, le lance volorno 

In pezzi in aria, e '1 cavai di Rinaldo 
Non resse, i piè dinanzi sinistrornn. 
Quantunque in sella si tenessi saldo; 

Sicrhè d’accordo pedon s’ affronlorno ; 
Perché Rinaldo per la stizza caldo 
Diceva: Scendi in sulla terra piana, 

O io l’ ammazzerò sotto l’ alfana. 

10 FaliKalto smontò subitamente; 

Quivi si danno colpi di maestro ; 

Rinaldo per un colpo che si sente, 

S’ instinocchiava dal lato sinestro. 

Poi si rizzò: Fulia;atto pon mente; >' 
Parvesii tanto nel rizzarsi destro, 

E ne’ suoi colpi si fiero e si forte. 

Che cominciò a dubitar della morte. 

11 E quando egli ebbe un pezzo combattuto. 
Disse: Baron, l’un di noi dee morire; 
Dimmi il tuo nome, cb’almen conosciuto 
T’abbi, s’ io debbo alla fine perire. 

Di Rinaldo: Questo par dovuto: 

Da Monlalban Rinaldo mi fo dire. 

Ah, disse Fuligatto, se’ tu desso 

Colui eh’ a tutto il mondo è nolo espresso? 

IS Odo che se’ di casa di Chiarmonte, 

,1 Odo che hai tre buon fratei carnali, 

I Odo che tu uccidesti Fieramente, 

I Odo se’ il fior de’ guerrier naturali, 
lOdo se’ nievo a Buovo d’ Agrismonte; 
lodo in battaglia più che gli altri vali, 
lOdo che hai Frusherta il nobii brando, 
jlpdo che sei cugin del conte Orlando. 

13 lo son della tua fama innamoralo. 

E disse tanto, che Rinaldo va 
Amico suo, fratello e congiuralo. 

Drente al palazzo, e grand’ onor gli fa; 

Poi s’ accordorno mutar luogo e fato : 

E Fuligatto il suo palagio arso ha. 

Dicendo: Mai più uom vo’che qui vegna, 
Dove stata è la tua persona degna ; 



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C . 



200 



IL MORGiNTE MAGGIORE. 



14 Andianne ove ti piace alla ventara. 

In questo un gran serpente, ch’era piatto. 
Si scuopre, quando al cui sente l’arsura: 
Aggraticiossi al collo a Fuligatto, 

Tanto che tramortì per la paura. 

Rinaldo colla spada tanto ha fatto, 

Che finalmente gliel levò da dosso. 

Ma prima gli tagliò la carne e l’ osso. 

16 E anco poi colla coda por guizza. 
Fuligatto parca che fussi morto. 

Donde Rinaldo avea gran duolo e stizza 
Restar soletto; e dolevasi a torto, 

Chè Fuligatto alla fine si rizza : 

E risentilo, e ripreso conforto, 

E ringraziando que’ che in cielo stanno. 

Pel gran deserto alla lor via ne vanno. 

16 E poi che molto furon cavalcati. 

Due lion morti in un luogo foresto 
Nel mezzo della strada hanno trovati ; 

Disse Rinaldo : Che vorrà dir questo ? 
Questi lion chi ha cosi ammazzali ? 

Ma Fuligatto se n’ accorse presto, 

E disse: E’fia Spinardo sanza fallo. 

Che dicon eh’ è mezz’uom, mezzo cavallo. 

17 Nel monte periglioso suole stare: 

Per certo noi dobbiamo esservi presso : 

Una froroba e tre dardi suol portare. 

Disse Rinardo : E’ sarà stato desso ; 

Non si polre’ questa bestia trovare ? 

Rispose Fuligatto: E’ suole spesso 

Tra questi boschi andar cercando prede : 

E intanto una bandiera appresso vede, 

18 Con certi Macomelti molto strana. 
Cominciono a studiare allora il passo : 
Questo Spinardo stava in una tana 
Nascoso, come 1’ orso o come il lasso; 
Sente venire il cavallo e l’ altana. 

Subito misse nella tromba un sasso, 

£ prese i dardi, e assaltò costoro, 

E mugghia e soffia che pareva un toro. 



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CANTO TBNTESIMOTEBZO. 201 

19 L’alfana per le mugghia é spaventala, 

Non la potea Fuligallo tenere ; 

Poi disse, quando e’I’ ha rassicurata: 

Io vo’, Rinaldo, mi facci un piacere; 

Se io uccidrò questa bestia sfrenata. 

Tu creda in Macometto, eh’ è dovere; 

Se tu r uccidi, la tua fede vaglia; 

Ma che mi doni la prima battaglia. 

20 Rinaldo rispondea ch’era contento; 

Ma ogni cosa ha sentito Spinardo: 

Rise fra sè di tal ragionamento, 

E dette a Fuligatto con un dardo : 

Nel braccio tutto gliel ficcava drento. 

Rinaldo s’arrecava a bello sguardo, 

E vide Fuligatto sbigottito 
Cader giù dell’ alfana tramortito. 

2t Gridò: Pagan traditor, c’hai tu fatto? 

Tu se’ bestia per certo e traditore ; 

Ma, per Dio, che se morto è Fuligatto, 

Io li trarrò colle mie mani il core. 

Non gli rispose Spinardo a quel tratto; 

'Diserra un dardo con mollo furore, 

E (ralle gambe passa di Rinaldo, 

E fischia, come serpe quando è in caldo. 

22 Rinaldo grida: lo ne farò vendetta; 

Se tu se’ pazzo, io non son Salamone. 

Questo Spinardo il terzo dardo getta: 

Rinaldo trasse d’ uno stramazzone ; 

E poi che faste taglia con gran fretta. 

Si difilava a lui, come il falcone 
Quando ha veduto i colombi o le starne: 

O ver come il lion che vuol far carne. 

23 E fu tanto il furore e la tempesta. 

Che ’l portìro afTettato arebbe allora ; 

E colla spada gli fesse la lesta , 

Perchè la furia e la rabbia lavora : 

E anco quivi Frusberta non resta ; 

Fessegli il collo, e tutto il busto ancora. 

Dove la bestia è congiunta colf uomo ; 

E morto fece in sulla terra il tomo. 



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202 



IL MORGANTE MAGGIORE. 

24 E nel cader, con ira molto acerba 
Gridò : Macon, s’ io non son vendicalo, 
Lucifero il suo luogo giù li serba. 

Rinaldo a Fuligatto è ritornalo, 

E la ferita gli sanò con erba, 

Come piacque a colui che gli ha insegnalo ; 
Ma Fulisallo, com’e’fu guarito, 

Era a veder coro’ un cieco smarrito. 

26 E come pazzo a Rinaldo n’ abdava. 

E colla spada lo vuol ristorare ^ 

Del benetìcio; e un colpo menava. 

Rinaldo il colpo non islà aspellaro -vM 
Perchè conobbe colui vagellava, ^ 

E lascialo a suo mo<1o disfogare ; 

Ma Fuligallo si ravvide presto, 

E chiese perdonanza assai di questo. 

26 Disse Rinaldo : Chiedi pur merzede 
A quel Signor che la grazia l’ ha fatto ; 

E cominciògli a predicar la Fede, 

Tanto che fu contento Fuligallo, 

E disse, che in Gesù si fida e crede. 

Ed osservò, com’e’ promisse, il patto. 
Rinaldo ad un fonte lo battezza, 

E quivi co’ dottor si scandalezza. 

27 E disse d’uno, e tre, e Padre, e Verbo, 
E lo Spirilo Santo, poi incarnalo, 

E prese come noi, carne, osso e nerbo, 

E crocifisso, e poi nel Limbo entralo 
Per liberarci dal peccalo acerbo 
Del primo padre, pel pome vietalo : 
ìE disse di Gioseflb e di Maria, ^ 

^ fece un lago di Teologia. 

28 Poi rimontorno a cavallo e ad alfana. 
Ora è qui stalo alcun eh’ ebbe credenzia. 
Che Rinaldo il gittò nella fontana 
Disavveduto per la gran potenzia, 

Chè non potè ritener ben la mana : 

Non so s’io me l’approvo per sentenzia, 
Chè dicon che vi bebbe più d’ un sorso , 

Se non che fo da Rinaldo soccorso. 



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CANTO TBNTESIHOTBBZO. 



203 



29 Lasciali pure andare a lor cammino: 
Avevon già passata una montagna 

Di notte, e come apparve poi il mattino 
Yidon molti Pasan per la campagna; 

Disse Rinaldo: 0 giusto Iddio divino, 

Che gente è questa si feroce e magna ? 

Or ti conosco, car mio Fuligatto, 

Non mi lasciar, fratello, a questo tratto. 

30 Disse colui : Non creder eh’ io li manchi : 
.Morte da te mi può divìder solo; 

Dove tu andrai sarotti sempre a* fianchi: 
Andian pur presto assaltar questo stuolo ; 
Chè io per me gli slimo men che i granchi. 
Ecco il signor che innanzi viene a volo: 
Fannosi incontro a questo capitano, 

E ’l salutorno; e cosi fe’ il Pagano. 

31 Dimandorno il Pagan com’egli ha nome: 
Rispose: lo son Dulivanle Pilagi: 

A Saliscaglia vo a posar le some. 

Perché Rinaldo e i suoi fratei malvagi 
Offeso m’hanno, non ti dico come, 

Datoci morte e tormenti e disagi , 

Ed or si vanno colle dame a spasso; 

Ma inGn di qua si sentirà il fracasso. 

32 Colesla alfana per Macon m’attaglia. 
Disse Rinaldo: E a me il tuo cavallo. 

Disse il Pagan : Proviangli alla battaglia : 
Disse Rinaldo: Suona pur, ch’io ballo, 
lo vo’ eh’ ella mi porti a Saliscaglia, 

Tu farai innanzi vi sia più d’ un callo. 

Io vi sarò, e farò mia vendetta. 

Disse Rinaldo : Come n’ hai tu fretta ? 

33 E’ fu sempre un ribaldo, un traditore. 
Disse Rinaldo : Io me ne maraviglio ; 
Sentilo ho ragionar del suo valore : 

Non gli saresti, Pilagi, famiglio.. 

Dunque tu vuoi pigliarla per suo amore? 
Disse Rinaldo : E per suo amor la piglio. 
Piglia del campo, rispose il Pagano; 

E volse un suo morcl tulio balzano. 



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204 



IL MOBGAMTB MAGGIORB. 



34 Rinaldo non istetfe a pigliar lacciole : 

Voltò il cavallo in aria con un salto, 
l*er dare al Saracino altro che succiole ; 

Ma come giunse in sul bel dell’ assalto, 

O che ’l dcstrier inciampi, o eh’ egli sdrucciole. 
Si ritrovò con esso in sullo smalto: 

E quando e’ vide pur che non si rizza, 

L’ uccise con un pugno per istizza. 

55/ Maladetlo sia tu, dicea, rozzone, 

Maladelto sia 1’ orzo ch’io ti ho dato, 

IMaladetto sia il fien, cavai poltrone, 

I Maladetto sia io che t’ ho stregghiato ; 

Maladetto sia il tuo primo padrone, . 

Maladetto sia mai chi t’ ha allattato, 

IMaladetto sia l’erba c’ hai pasciuto, 

Maladetto sia il di eh’ io t’ ebbi avuto. 

36 Intanto Fuligutto grida forte, 

E colla lancia in sulla resta viene, 

E disfidato avea Filagi a morte, 

E cogli S|>ron sollecitava bene; 

E come dato era per fato e sorte. 

La lancia gli cacciava per le rene, 

E traboccato morto è in sulla terra. 

Donde per questo appiccata è la guerra. 

37 Egli avea dieci mila combattenti: 

Addosso a Fuligatto ognun si volse. 

Rinaldo d’ ira diruggina i denti, 

E di Pilagi il balzàn presto tolse, 

E come 1’ orso irato tra gli armenti. 

Il sacco in lutto di sua furia sciolse : 

E mai non fu quanto quel di gagliardo; 

Ma e’ si dolea che non avea Baiardo. * 

38 Dove se’ tu, Baiardo mio? diceva: 

E sempre tonda menava Frusb'erla, 

A mosca cieca quel tratto faceva; 

Tristo a colui eh’ aspettava l’ offerta ; 

E braccia e capi balzar si vedeva: 

Tutta la terra pareva coperta 

Di gente smozzicata saracina. 

Da poter far mortilo o gelatina. / 



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CANTO VENTE8IHOTERZO. 



205 



39 L’un sopra l’altro a traverso giù balza; 
Non si fe’mai di bestie tanto strazio, 

Tanto che ’l sangue alle cinghie quivi alza, 

£ pur Rinaldo non pare ancor sazio : 

Già per fuggire era piano ogni balza, 

Ma non avevon con lui tanto spazio : 

E Fuligatto assai n’avea distrutti. 

Tanto che morti e fuggiti son tutti. 

40 E poi che fu la battaglia Gnita, 

E Fuligatio una veste vedia 
Ch’avea Pilagi, c balla a sé vestita. 

Che in campo bianco un lion nero avia; 
Rinaldo tanto gli parve pulita, 

Ch’ un’ altra presto per sé ne velia : 

£ lasciai! questa gente morta e afflitta, 

£ ritornorno alla lor via diritta. 

41 Tutto quel giorno cavalcato avieno 
Per boschi, per burron, per mille chiane, 

E non s’ avevon messo nulla in seno : 

Saltalo in aria arebbono ad un pane, 

Ché vi vedean come I’ arco baleno 

La fame : in questo e’ senton due campane , 

£ scorson dalla lunga un romitoro. 

Che non facea mai festa sanza alloro, 

42 Piuttosto sanza pane o cacio o carne ; 

De’ pesci avea, eh’ egli sta sopra un fiume : 

Al romitorio si studiano andarne, 

Chè per la fame non veggon già lume; 
Parranno loro i pesci più che starne; 

La porla bussan, come era costume: 

Venne un romito e disse: Ave Maria. 

Disse Rinaldo : Se del pan ci Ga ; 

43 Se non, lodato sia quell’ agnol nero. 

Disse il romito : Siete voi Cristiani ? 

Disse Rinaldo : Questo abbi per vero; 

Aresti tu da darci almen due pani? 

Per Dio, romito, ch’abbiamo il sentiero 
Per questi boschi smarrito si strani. 

Disse il romito: Di voi assai m’ incresce, 

Ch’ io non ci ho pan , ma e’ ci sarà del pesce* 



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206 



IL BlOaGANTB MAGGIOas. 



44 E poi loalieva una sua rete in collo, 

£ disse: Inlanlo qui vi poserete, 

£ Tale il fuoco mentre eh’ io m’ immollo ; 
So che de’ pesci n’empierò la rete. 

Tanto eh’ os;nun di voi sarà satollo, 

£ de’ sermenti pe’ cavalli arete. 

Cosi smontorno, e dettone a’ cavalli 
Certi sermenti dur più che coralli. 

45 Questo romito molti pesci prese, 

Ed empiennela zucca e ’l pellicino; 
Rinaldo e Fulisatto il fuoco accese. 

Torna il romito, e va per trar del vino; 

Un angel presto dal cici giù discese, 

E disse: Porterai su al paladino. 

Quale è Rinaldo, questa mia vivanda, 

E di che il suo Gesù dal del la manda. 

4fl Torna il romito, e presenta a costoro 
Questa vivanda piena di dolcezza, 

E dice come Iddio la manda loro ; 

Donde ciascun ripien fu di allegrezza : 

Ben parea certo dell’ eterno coro : 

Vedi che Cristo i suoi fedeli apprezza. 
Dicea il romito: Statevi a vostro agio. 

Ma, a mio parer, vi sarà assai disagio. 

47 La casa cosa parea bretta e brutta. 

Vinta dal vento, e la natta e la notte 
Stilla le stelle, eh’ a tetto era tutta: 

Del pane ap|>ena ne dette ta’ dotte; 

Pere avea pure e qualche fratta frutta, 

E svina e svena di botto una botte: 

Poscia per pesci lasche prese all’esca. 

Ma il letto allotta alla frasca fu fresca. . 

48 Lasciàngli come il bruco in sulle frasche 
Rinaldo e Fuligatto insino al giorno. 

Che a questo modo smalliran le lasche, 

E il mosto e ciò che la sera mangiorno , 
Percb’ altra fantasia par che mi nasche. 
Sento di lunge chiamarmi col corno, 

£ suona quel che chiama, quanto e’ potè, 
Chè qui comincian le dolenti note. 



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CANTO VENTESIHOTBRZO. 



207 



49 0 Ricciardetlo, ove t’ho io lasciato? 

Tu non sai, lasso, del fuluro ancora: 
Omè ch’io veglio il mondo avviluppato! 
Un serpente esce della terra fdra 
Con sette bocche, e fuoco arà gittata, 

E molla gente con esse divora; 

Farà tremar le mura di Parisi, 

E Montalban, chè v’ è sol Malagigi. 

60 Non creder vendicalo il Veglio sia; 
Ben sorgerà di lui qualche rampollo, 

E tanta gente per lui morta ha, 

Ch’ ognun di sangue si vedrà satollo; 
Andrà sozzopra tutta Pagania, 
lo sento già della rovina il crollo, 

E fìa sentilo insin giù d* Acheronte, 
Perchè spianar si vedrà più d’un monte. 

51 Parrà che in GiusafTà dica la tromba: 
Venite lutti all* eterno giudicio, 

Uscite del sepolcro e della tomba. 

Recate il bene scritto e ’l maletìcio; 

Omè già negli orecchi mi rimbomba! 
lo veggo rovinare ogni edifìcio. 

Nè pietra sopra pietra rimanere. 

Tanto che Giove potrebbe temere. 

62 Veggo i lioni uscir delle spelonche, 

E tigri, e r altre fiere aspre arrabbiate, 

E tante lance andar per l’aria tronche, 

E piangerle fanciulle scapigliale; 

Uscir gli spirti delle infernal conche, 

E degli abissi l’ anime mal nate : 

Tu li darai ancor pace, omè meschina 
Gerusalem, se ’l tuo Sion rovina. 

63 lo veggo tutta in arme Babillona 
E gli stendardi già levali al vento ; 

Non è contenta Anlea della corona, . 
Non è del padre suo lo sdegno spento : 
Già mosso è il campo, e la tuba risuona: 
O Carlo, presto sarai in gran tormento: 
O Dio, la terra già triema e l’abisso, 
Credo tu sia di nuovo crocifìsso. 




208 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



64 Io veggo il sole oscurare e la luna, 

E come a Giosuè fermarsi accenna. 

O quanta gente in Francia si raguna! 

Correrà sangue il gran Home di Senna : 

Ben si sfoga a suo modo la Fortuna, 

E fiacca in terra e in mar più d’ un’ antenna. 
Direm quel che segui, nel nuovo canto, 

Colla virtù del Santo, Santo, Santo. 



NOTE. 



2. Aveva il Sol. Costrnisci « il | 
marìn laolo, la snperficie del mare I 
arava coverto il sole, cioè il sole era I 
tramontato sotto il msre, era notte, i 
— Cedevon gli tqwidranti ee. Cioè 
i quadranti , ossia le meridiane erano 
divenute inutili , essendo notte, e bi- 
sognava aver ricoiso agli oriuoli per 
conoscere le ore. 

6. E fe'di sangue ee. Con strana 
iperbole paragona il sangue versato 
da Fuligatto al lago di Fucecchio; 
lago, o piuttosto palude della Tosca- • 
na , che prende nome da una antica 
terra posta sulle sue rive. 

42. nieco ee. Nipote, voce che 
forse viene dai francese neveu; ma è 
antica e disusata. 



45. congiuralo. Socio, compa- 
gno, in buon significato. 

^ tomo. Sustantivo da tornare, 
che vai quanto cadere. Viene, secon- 
do il Menagio, da titubare; onde il 
francese tomber. 

54 . a pigliar lucciole. A perder 
tempo. 

45. 'I pellieino. Il fondo delle 
vangaiuole , dove si riduce il pesce 
presovi. 

47. bretta ee. Meschina, misera- 
bile. Questa stanu porge I’ esempio 
di ciò che si chiama bisticcio, cioè 
scherzo, che risulta da vicinanza di 
parole differenti di significato e simili 
di suono. Questa figura è chiamata 
generalmente da’ Greci 7raptydssi$. 



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CAIVTO TEIVTESIMOQ1JARTO. 



4xmio(DBìaoin)» 

Trecentomila e più persone andranno 
Sopra Parigi , e le oondnce Antea ; 
(^gione di lai guerra e del gran danno 
È Ganellun che il tradimento crea. 
Impaniati i giganti in forno vanno, 

E Orlando a Antea di la battaglia rea. 
Di finta pace Falserooe ha l’arte, 

Ma pacifica in fine Antea si parte. 



1 Non chi comincia ha meritato, è scritto 
Nel tuo santo Evangel, benigno Padre ; 
Gonvien che tu mi tragga fuor d’Egitto, 

Per gire in parte di salute madre : 

11 popol de’ Cristian Oa presto afflitto: 

Aiuta tu le tue fedele squadre, 

l^h' io non posso altro far, che la mia penna 

Tosto non bagni nel sangue di Senna. 

2 E benché il ver malvolentier qui scriva, 
Gonvien eh’ io scriva pur come altri scrisse, 
Per^non far come all’ altra istoria argiva 
Omer troppo esaltò gli error d’ Ulisse, 

E del figliuol famoso della Diva ; 

Non so se il vero appunto anche si disse : 
Accetta il savio in fin la vera gloria, 

E cosi seguirem la nostra istoria. 

3 Rinaldo e Fuligatto e Ricciardetto, 
Guicciardo, Alardo si ritroverranno. 

Nè so quando si fìa, non 1’ ho ancor detto: 
Per multi error pel mondo insieme andranno 
Non fu questo al principio mio concetto: 

Per tanto a Montalban si torneranno, * 
E quivi finiran gli ultimi giorni; 

£ chi non vuol tornar di lor, non torni. 

18 * 



210 



IL MORGÀNTB MAGGIORE. 



4 Non SO se Fulieatlo Montalbano 
Vetirà, chè |>cl caromin forse fìa morto: 
lo cominciai a cantar di Carlo Mano; 
Convien che ’l mio cantar pur torni a porlo, 
K eli’ io punisca il^radilor di Gano 

D' un tradimento già eh’ io veggo scorto 
Cogli occhi della mente in uno specchio; 

E increscemi di Carlo, eh’ è pur vecchio. 

5 O Carlo, avventurato presto in cielo, 

Tu sarai trihnlato al mondo ancora. 

Che (mr |>ensando al cor mi nasce un gelo ; 
Tornato è Gano, e notte e di lavora, 

Ch’ el mal del traditor ne va col pelo : 

E Carlo 4il modo usato crede e ignora , 

Che il traditor si stia maggesale sodo, 

E non pensassi ogni malizia e frodo. 

6 Del Veglio il gran sir già della montagna 
Rimase un fìgliuol detto Buiaforle, 

E per paura si fuggi in Ispagna, 

E il re Marsilio lo tenne in sua corte ; 

Perchè l’alta reina egregia e magna 
Aniea cercava di dargli la morte, 

E molto il persegui colle sue squadre, 
Ricordala dell’ odio del suo padre. 

7 Venne costui nell’ arme valoroso. 

Ma molto fu .superbo e arrogante, 

E in piccol tempio diventò famoso, 

E fece as.sai per la fede alTricanle ; 

Portala un baslon duro e ponderoso. 

Ed avea membra quasi di gigante, • 

E molto amava il re Marsilio questo. 

Come altra volta Ga più chiaro il lesto. 

8 Intanto la gran fama in tutto suona 
Della reina gloriosa Aniea, 

Che adorar si facea in Babillona 
Né più Semiramisse si dicea ; 

Ella tenea lo si'eltro e la corona 
Dell’ Oriente, e pur nel cor avea 
La morte del suo padre, e tempo as|>etta 
Contro a’ Cristian per far crudel vendetta. 



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CANTO VBNTESIHOQDABTO. 



211 



9 Ed 09 'ni volla ch’ella andava a mensa, 

Gli era il pan sottosopra innanzi volto, 

Che denotava del Soldan roffensa, 

£ r odio che nel petto avea se|)olto : 
Proverbio è, chi ben siede, al fin mal pensa; 
Ebbe pur loco il suo pensiero stolto, 

Chè nel cor femminil può molto sdegno, 

E Ganellon vi misse ogni suo ingegno. 

10 Era tornato, come io dissi, Gano, 

E molte volte lettere avea scritto, 

£ rinnovato l’ odio del Soldano 
E che Rinaldo si sta per l’Egitto; 

E come mollo vecchio è Carlo Mano, 
Ch’ornai si potea dir per gli anni afflitto; 

Che dirizzassi sua famosa insegna 
In Francia, e presto con sua gente vegna. 

11 Teneva Antea gran corte e baronia, 

E chi più crede poi (loter, piò erra: 

Chi una cosa, chi l’altra dicia, 

Che si dovessi a’ Cristian muover guerra ; 

£ ricordava ounun la villania, 

Come Morsantc avea guasta la terra, 

£ come Orlando pose il campo a torlo, 

E fu cagion che il lor signor sia morto. 

12 E lutti in fine un di fecion concilio. 

Dove l'alla reina ed ognun disse. 

Ed accordàrsi scrivere a Marsilio, 

Che inverso Francia con gente venisse. 
Apparecchiassi tutto il suo navilio, 

E dalla parie di Spagna assalisse ; 

Inlanlo Antea a Parigi verrebbe, 

E gran vendette ognun di lor farebbe. 

13 A Siragozza questa impresa piace, 

E perch’egli era in Francia imbasciadore 
Re Rianciardino, e trattava la pace 
Fra re Marsilio e Carlo imperadore; 

Poi che quest’ allro parer capace. 

Fu rimandato per esso a furore, 

£ che tornassi battendo le penne , 

£ colle trombe nel sacco ne venne. 




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21*2 



IL MOBGANTK MiGOIOBB. 



14 E ordinò gran popol saracino 

Il re Marsilio e per terra e per naare ; 

Ma ritornalo il savio Bianciardino, 

Cominciò questa impresa a sconfortare : 

E seppe inaino a’ tempi di Pipino 
Tante cose a Marsilio ricordare, 

Che gli mostrò la guerra assai dubbiosa, 

E consigliollo ai fln di stare in posa. 

16 Era pur savio il re Marsilione, 

E molto a Bianciardin prestava fede ; 

E ratfreddossi , intese le ragione, 

E scrisse a Antea che ’i tempo noi concede ; 
Ch’ avea da Carlo Man buona intenzione : 

E cosi Bianciardin diceva e crede. 

Che in piccol tempo sua Corona magna 
Farà la pace, e renderà la Spagna. 

16 Avea Carlo la Spagna racquietata. 

Per coronarne il suo nipote e conte, 

E di tutta Aragona e di Granata ; 

E Ferrau morto era già in sul frante : 

Ma [rarchè questa è cosa assai vulgata, 

E tante lunghe storie ne son conte, 
Ritorneremo alla reina Antea, 

Che di nuovo a Marsilio riscrivea. 

17 Ma poi che in mezzo di lutto il consilio 
Afrarte e lette le lettere fumo. 

Fu la risposta fatta da Marsilio, 

Che teneva e di piombo e di coturno; 

E mollo piacque a tutto il suo concilio,' 

E disse come Diomede a Turno, 

Che si pentiva del tempo passato, 

Chè poco aveva con Carlo acquistato. 

15 Iscrisse adunque la reina a Gano, 

Che dovessi aguzzar tutti i suoi ferri, 

E come il re Marsilio spera invano, 

E Bianciardin gli par di lunga l’erri. 

Che rendessi la Spagna Carlo Mano, 

E mostragli per datler mcn che cerri ; 

Che il confortassi a dargli aiuto e presto. 

Che il tempo accomodato proprio è questo. 



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CANTO VENTE8IMOQUARTO. 213 

19 Or chi vorrà insegnare al traditore 
CommeUer qualche scandoi, qualche frodo, 

Sarà come chi insegna al buon sartore > 

Tener I’ anello in dito, o fare il nodo; 

Non è guarito Gan del peccatore, 

E scrisse al re Marsilio in questo modo : 

Salute in prima al gran signore Ispano 
Manda il suo caro umil servitor Gano. 

20 Tu vuoi, Marsilio, far come fa quello 

Che giuoca a’ scacchi, e pensa d’ un bel tratto, 

£ poi che r ha veduto, d’ un più bello 
Ricerca, e non gli basta scaccomatto: 

11 lupo vuol far pace coll’ agnello, 

E che si scriva per suo detto e fatto; 

E statico il roonlon sia dato e’ cani, 

E tu sarai quel desso e' tuoi Pagani. 

21 Loica non è questa, ognun la intende. 

Salvo che Bianciardin, che tu mandasti; 

Il qual forse costì del senno 'vende. 

Ma qui non arrecò tanto che basti: 

Non so come le celere or distende ; 

Ma perchè molto me lo commendasti. 

Io feci più che tu non hai richiesto, 

E conferì’ quel che non era onesto. 

22 E dissi pur che non credessi a Namo, 

E mollo meno al duca di Brettagna, 

r.h’ ognuno ha sotto l’esca il fuoco e l’amo: 

E’ si pensò recarne in man la Spagna: 

E’ m’ incresce che qua noi ne ridiamo, 

E presto arai la pace alle calcagna; 

Cioè Orlando il nipote di Carlo, 

Che tutti siam d’ accordo a coronarlo. 

23 Tu hai pur tanto tempo combattuto 
Con Carlo, che oramai debbi sapere. 

Che vorrebbe dal ciel qualche tributo. 

Poi che Piovo suo ebbe le bandiere; 

O forse Bianciardino è troppo astuto, 

E non ti lascia ogni cosa vedere: 

Però se appresso a te quel savio liensi, 

Fa che tu anche come savio pensi. 



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214 



IL MORGANTK HAGGIORB. 



S4 Ch’io non ho Bianciardin per uom si grosso, 
Ch’ e’ creda che la Spagna si rendesse, 

£ però il capo ritrovar non posso 
Del filo a questa tela che si tesse; 

Ma so che presto Orlando li fìa addosso, 

Chè molto son qua larshe le promesse. 

Di dargli in ogni modo la corona 
Di Granata, e di Spagna, e d’ Aragona. 

25 Vero è che a questi giorni io intesi cosa, 

Che allor li giudicavo più che saggio, 

E come Anien la reina famosa 

('.on molla senle in qua facea passaggio; 

Ed era il lcm|)o a voler còr la rosa, 

Appunto come al principio di maggio: 

E credo ancor tu sentirai lo scoppio; 

Pensa col tuo favor s’ egli era a doppio. 

26 Tanto è, che Carlo non fu poi più lieto, 

E credo ancor Ch’Orlando alibi paura; 

Ma e’ sa simular come discreto, 

E tutlavolla rimedj procura: 

£ se vuoi pur eh’ io dica ogni secreto, 

E’ Iriemnn qua di Parigi le mura, 

Ed ognun già se gli arriccia la chioma, 

Chè ’l barbaro Annibai par vada a Roma. 

27 Or non bisogna al prudente consiglio: 

Io so che tu cognosci il Mainetlo, 

Tu lo tenesti in corte come tiglio, 

E riscaldasti la serpe nel petto; 

Io veggo il regno tuo con gran periglio. 

Ed arai presto a pigliar pel ciutTelto 
Un gran lion, che li parrà rapace: 

Questo fìa forse e la.S|)agna e la pace. 

28 Or di a Bianciardin dunque a tua posta, 

Ch’ io non so ben se ti. consiglia o sogna ; 

E non mandare in drielo altra risposta, 

E scrivi a Anlea, che so che ti bisogna: 

E pensa ben, che se Orlando s’accosta. 

La sua corona è tua milera e gogna, 

E lutto il popol tuo veggo in esilio: 

Or io t’ ho detto il mio parer, Marsilio. 






CANTO VKKTeSIHOQUAHTO. 21tf 

SU La lettera a Marsilio porla un messo, 

Il qual trovò dov’era a Siragozza: 

Bacioe la mano in terra genuflesso, 

Che presto gli vorrebbe veder mozza. 

Marsilio cognoscea il sigillo impresso, 

E lesse, e il messo impicca per la strozza: 

E intese, come pratico e discreto, 

Quel non mandare altra risposta indrieto. 

30 E scrisse a Babillona alla reina 
Ch’avea mutala nuova opinione, 

E tutta la sua gente saracina 
Apparecchiava sotto il gonTalone; 

E parte ne fìa presto alla marina, 

E cento mila o più sopra l’arcione: 

E Baluuante fìa suo capitano, 

E mandògli la lettera di Gano. 

31 Ab, disse Antea, tu se’ pure il maestro 
De’ tradimenti, Gan, ma s’ io ritorno 

in Francia più, t’appiccherò il capestro; 

E tutte le sue gente s’ assetlorno. 

Sicché gli arder sanza numero equestre 
Dugento mila o più si rassegnorno 
Di Persia e quasi di tutta Soria, 

D’ una bella e forbita compagnia. 

32 Non si ricorda Antea più di Rinaldo: 

Sapea che per lo Egitto era già vecchio; 

Era passalo quel si ardente caldo; 

E tultavolta attende al suo apparecchio: 

Intanto Gano ostinato e ribaldo 
Attento sempre teneva l’orecchio, 

E dubitava di ciò che gli è detto, 

Chè non è tradilor sanza sospettp. 

33 E ordinava ogni di feste e giostra. 

Acciò che ognuno attenda a sollazzare, 

£ sempre il primo caldo si dimostra, 

Ch’Orlando si dovessi coronare: 

Quest’ è pure il campion della fé nostra, 

Dicea con Carlo; è sapea simulare: 

E ciò, eh’ e’ dice, in mezzo il cor gli tocca, 

Che par che gli esca San Matteo di bocca; 



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21$ ' IL MOBGANTB MACGIOBE. 

34 E Luca, e Marco, e Giovanni, e poi Cristo, 
s O Iradilor malvagio, 0 ScarioUo, 

V V,' Tu n’ hai pur falle più che Giuda a Cristo ; , 

-• ‘ < Ma non sanza cagion si dice un mollo : 

Chè '1 sahalo non paga sempre Cristo, j 
/ .. E non vi fla poi in fine un qualtrm rollo; j 

I Non è del pagamento il tempo giunto: j 

’ Colui che ’l tempo fe’, sa il tempo appunto. 

36 Carlo si slava in Parigi contento; 

Era già vecchio, e pur canuto e bianco; 

Pensa che in Gano il mal seme sia spento; 

E pur se non è sazio, almen sia stanco; 

I Ma egli aveva a ogni piaga unguento, 

{ £ ’l collel tossicalo sempre al fianco, 

£ lascerà la pelle ornai col vezzo: 

E non è peggior mal che quel da sezzo. 

36 Intanto le novelle son venule. 

Come Marsilio raguna gran gente, 

£ molte nave in mar già son vedute. 

Che s’ apparecchion conlinovamenle; 

Ma non son le malizie conosciute 
Di Gano, ancora ignun non sa niente: 

Vero è che la partita cosi sùbita 
Di Bianciardin fa eh’ ogni savio dubita. 

37 Carlo fe’ tutto il consiglio chiamare, 

£ Ganellone il primo fu in bigoncia, 

E seppe, come e’ suol, ciaramellare; 

E le sue malizielle in modo acconcia. 

Che Carlo ancor se ne lascia menare : 

Ma Turpin savio la ballala sconcia, 

. E disse: Gan, tu puoi dire a tuo senno, 

Chè non s’ accordan le parole e ’l cenno. 

SS Riprese adunque Namo le parole ; 

Andò per molle vie girando quello, 

E riuscì poi in fine dove e’ vuole, 

E rovesciògli in capo un gran cappello. 

11 duca Astolfo fece come e’ suole. 

Non as|)etlò che si tocchi il zimbello : 

£ disse: Ganellon, tu ne fai troppe, 

E non sai ben che le bugie son zoppe. 



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Cìnto ventcsihoquabto. 



217 



3£( E perù si cognosce a quelle il vero. 

Ma dopo Astolfo il conte Orlando disse: 

O Gan, questo ermellin sarà poi nero; 
Meglio era il primo di che tu morisse, 
Anzi nato non fussi al nostro impero; 
Quanto mal, quante guerre, quante risse 
Son per te seguitate, orrendo mostro. 
Nimico a Dio, infamia al secol nostro! 

40 Aveva il signor prima di Brettagna 
Consigliato: A me par che innanzi tratto, 
Sanza saper se c’è dolo o magagna. 
S’impicchi Ganellon, chè fia pur fatto ; 
Noi daremo un di tutti in una ragna. 
Come stornegli in qualche luogo piallo. 

Ma non fu ben questa parola intesa. 

Che presto in Roncisvalle sarà tesa. 

41 Kizzossi dopo Salamone .4vino, 

Perchè Gan si scusava, e disse: Aspetta, 
Non ti vidi io parlar con Bianciardino 
Nell’orlo, e in qua e in là far la civetta? 
Che dicevi tu i salmi o il maltutfno? 

Va, impiccali tu slc.ss$ alla giubbelta. 
Ch’io non so come la terra sostienli; 

Non se’ tu sazio ancor di tradimenti? 

42 Disse il Danese: Ascolta un poco. Gatto; 
Quel di che Bianciardin li disse: Taci; 

E slrìnseti, io ti vidi, pur la mano; 

Per certo tu trattavi altro che paci: 

E’ m’ incresce tu ciurmi Carlo Mano, 

Che non cognosce ancor di Giuda i baci; 
Ed io già veggo le lanterne e’ fusti, 

Come reo tradilor che sempre fusti. 

43 Gan pur al fine al Danese rispose: 

Io son sempre il berzaglio a ogni mira. 
Ognun fa sopra me sue belle chiose; 

Non mi riprenda il mio signor con ira: 

Con Bianciardino io dissi molle cose. 

Come l’una parola un’altra lira, 

E balza a’ testamenti nuovi e vecchi ; 

Tu ci sentisti, perchè avevi orecchi. 



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218 



IL HORGINTB MAGOIOBE. 



44 E nel giardino nn di sendo rimasi , 

Dove Avin m’ ha vedalo civettare, ' 

Mi conferì saoi fatti e certi casi, 

Come suol T uno amico all’ altro fare, 

Per consigliarsi^ e non vi stemmo qaasi : 
Colai eh’ è giusto, non suol dubitare; 

Al peccator suoi ben parer l’un due, 

E eh’ ogni mosca sia per l’ aria on grue. 

45 Io mi son, Carlo, a sofferire avvezzo, 

E ho fatto buon gusto e buono orecchio ; 

E quando il falso attorno è ito un pezzo, 
Convien che il vero appaia in ogni specchio : 
Cosi fusai quel giorno stato il sezzo 

Ch’i’ venni in corte ov’ io mi trovo vecchio. 
Lasciata la mia patria e qualche regno, 

Per riportarne ingratitudo e sdegno.* 

46 lo me n’andrò cosi vecchio in Maganza, 

E qualche volta, poi ch’io sarò morto. 
Conosciuta sarà quest’ arroganza, 

.Che mille volte m’ha incolpato a torto: 

Tu hai dato a coslor troppa baldanza, 

I O Carlo, 0 Carlo, e la pena io ne porto ! 
i Ma in fin tra’ can si resterà la rabbia, 

I Ch’io farò ben; chi pensa mal, mal abbia. 

47 Disse Ulivieri: Ah traditor ribaldo! 

Io scoppio, Carlo, io non posso tacere; 

E’ si par ben che non c’è più Rinaldo, 

Ch’ e’ ti farebbe ancor l’ olio tenere. 

E non potè per ira star più saldo, 

E levossi turbato da sedere ; 

E dette al conte Gano una guanciata. 

Che nel viso e nel cor riman segnata. 

48 Ah Ulivier, tu piangerai ancora 
In Roncisvalle, e sarai malcontento; 

Questo è quel di che Maddalena adora, 

E sparge a’ piedi il prezioso unguento : 

Questa ceffata è fuoco che lavora, 

Che fia col sangue de’ Cristiani spento; 
Vedrai che in Ganellon può questo sdegno 
Tanto, che ’l cielo ancor ne farà segno. 



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CANTO VBNTESmOQCABTO. 



219 



49 Era Ulivieri alle volte superbo 
Gan bisognoe ch’avessi pazicnzia, 

E disse: Va pur là, ch’io le la serbo: 
Carlo, questo m’ è fatto in tua presenzia : 

E dipartissi sanza dir più verbo. 

Carlo gridava: Ah poca reverenzia! 
Superbo, arroganton, bestiale e matto, 

Io li farò quel che tu cerchi, un tratto. 

60 Disse Ulivieri : A te si vorre’ dare 
Tanto i n sul cuL che diventassi rosso, 

.E farli a Gano il tuo mignon frustare, 

l/Che l’ ha sempre trattalo come uom grosso. 
jj Carlo si volle di sedia levare, 

Il E trasse il pugnai fuor per irgli addosso; 

/ Se non che Orlando al Marchese di Vienna 
i Che si levassi dalla furia accenna. 

61 Poi disse a Carlo Magno il suo parere : 
Che tempo non gli par da perder tempo; 
Ma che si debba al caso provvedere. 

Acciò che i lor remedj sieno a tempo; 

E che il consìglio dovessi assedere 
L’altra mattina, e ritornar per tempo. 

Da poi eh’ egli era la sera adirato ; 

Chè chi s’ adira non è consiglialo. 

62 E perchè molli autor hanno qui dello. 
Che Ulivier diè la ccITata a Gano, 

Quando e’ fu poi con Bianciardino eletto; 
Farmi che il lor giudicio sia assai strano, 

A mandar con isdegno e con dispetto 

A trattar pace col gran sire ispano 
Un traditor com’era Ganellone: 

E scambian Bianciardin da Falserone. 

63 In questo tempo arrivava a Marsilia 
Una nave trascorsa per fortuna, 

E raccontava una trista vigilia 
Di mala festa che non si digiuna ; 

E come Anlea già ben trecento milia 
A Babillona e per tutto rauna, 

E come in Francia la guerra è giurala, 

E tuttavia s’apparecchia Tarmata. 



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220 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



64 II perchè Carlo il consiglio chiamoe , 
E i paladini/e il lor parere inlese ; 

E parve a lutti, e cosi si fermoe, 

Che si mandassi in Ispagna il Danese, 
Perchè già Macomelto là adorne , 

E sapeva il costume del paese; 

E che menasse, per ogni rispetto, 
Astolfo e Berlinghieri e Sansonetto. - 



65 Ed ordinò per tutta Francia Orlando 
Le città, le fortezze e le castella, 

Intìno alla marina capitando. 

Acciò che fussi preparata quella; 

E fece in ogni parte andare il bando,. ^ 

Ch* ognun presto sìa in punto in sulla sella, 
E tulli i franchi arcier sieno a Parigi,'* 
Dinanzi a Carlo, il di di san Dionigi. 



66 E in poco tempo raccozzato fue I 
Della Franca (.ontea, di Normandia, 
Silanda, Ilanda e I’ altre isole sue, v' 
Da Rossiglion, Navarca e Piccardia, 

E d’altri luoghi cento mila o pine: 
Giunse a Parigi questa compagnia 
Di molte lingue e di molti paesi, 

Conti, prìncipi assai, ’duchi e marchesi. 



67 Ma innanzi che i Cristian sieno assembrati , 
Arrivata è la gente saracina 

In molli porti, e per forza smontali, 

Ed occupavan tutta la marina : ’ fu 
Verso Parigi si son dirizzali <icn A. 

Sotto le insegne della lor reina; - - ^ 

E cuopron le montagne, e’.colli, e’ piani, 
Guastando tutti i paesi cristiani. 

68 Aveva Anlea menati due giganti, ^ 
Ch’eran venuti del mar della rena, J 
Che non si vide mai maggior briganti ; ‘ 

Dodici braccia lunga era la schiena,' >*•- 
Pensa che il resto poi sia due cotanti : 

E porlavan due coste di balena, 

E dove e’ giungon dinanzi o di dietro, i 
Ogni arme sgrelolavan come vetro. 



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CANTO VKNTESIMOODARTO. 

69 Eran quesli giganti molto fieri 
Cattabriga chiamati, e Fallaibacchio ; 

Gli oomin parean fantaccini di ceri, 

E tristo a quel eh’ aspetterà il batacchio ; 

Ch’ e’ leverà la mosca di leggieri, 

E sopra l’elmo schiaccerà il pistacchio: 

E innanzi a tutta la turba venieno, 

E par ebe triemi lor sotto il terreno. 

60 Vengon costor, saccheggiando e scorrendo, 
Verso Parigi, ogni cosa rubando. 

Castelli e ville e borghi e case ardendo , 

Come è usanza, e le donne sforzando. 

Uomini e bestie e fanciulli uccidendo ; 

Della qual cosa è malcontento Orlando, 
Quando senti la lor bestiale ingiuria, 

E rassettava le sue gente a furia. 

61 Diceva Gaoo: Or non son io quel desso, 

C’ ho fatto questa volta ì tradimenti : 

Fa sempre be'ne, e giudica te stesso. 

(Ah traditor, tu sai che tu ne menti I) 

E sempre intorno a Cario era il più presso , 
Dicendo: Imperador, di che spaventi? 

Non dubitar quando e’ c’ è il Conte nostro. 

E più fedel parea che il paternostro. 

62 Già eron presso a quattro leghe o manco 

I Saracini, e i giganti con loro; 

II capitano innanzi ardilo e franco. 

Che si faceva chiamar Sicomoro : 

E gli stendardi il campo avevon bianco , 
Dov’era un Macometlo in allo d’ oro : 

E Antea lieta si venia appressando, 

Ch’ avea gran voglia rivedere Orlando. 

63 Era apparito in que’ di gran prodigi. 
Portenti, augorj, e segni e casi strani; 

Piovuto sangue per lutto Parigi, 

Urlavan giorno e notte tulli i cani : 

Intanto a Monlalbano è Malagigi , 

E vide in gran pericolo i Cristiani; 

Venne a Orlando, e l’arte sua giltorno, 

E tulle queste cose interprelorno. 



19 * 



222 



IL H0RGANT8 HAOGIOBE. 



64 E ben coKnobbon come Gano è quello 
C’ ha fallo quesfa volla al modo amico. 

Per vedere a suo modo un bel macello; 

Ala non è lera|H) or farselo nimico ; 

Inlanlo Aniea s’appressa e '1 suo drappello. 
Che non am?iuf{ne a’ Kij»anli al bellico ; 

Ma sopra gli slendardi son vedali, 

E dalla lunga due monli Icnuli. 

66 Diceva Orlando: Quesli giganlacci, ’ 

Può far cose si grande la Nalura 1 
Per Dio, Malgigi, fa che lu gli spacci, 

Perch’ e’ non son come gli allri a misura. 
Disse Malgisi : Che vuoi lu eh’ io facci ? 

Or non aver de’ giganli paura ; 

Che dirai lu, s’ io gli piglio alla pania, 

£ tulio il campo per le risa smania? 

66 Manda Ulivieri incontro alla reina, 

A saper la cagion del suo venire, 

E perché tanta genie saracina ” 

Condotta ha in Francia, per farla morire; 
Che cosi mostra la nostra dottrina, 

E non potersi a sua posta partire : 

Ma serba nella mente. Orlando, questo, 

E fa pur eh’ Ulivier cavalchi presto. 

67 Ulivier, come Orlando disse, andoe 
Dov’era Aniea, e scese di Kondello, 

E inginocchiossi, e poi la salutoe, 

E così fece la reina a quello : 

E poi che si fu ritto, l’ abbraccine. 

Perchè Ulivieri ancor gii par pur bello ; 

E disse, poi che per la mano il prese: 

Ben sia venuto il mio gentil Marchese. 

68 O Ulivier, tu non invecchi mai; 

Ancor dipinta par questa persona: 

Non ti ricorda quand’ io ti lasciai 
Malcontento una volta in Babillona? 

E molte volle di le sospirai, 

Benché il Soidan ne perdé la corona, 

E seguitò, come lu sai, la guerra, 

E guasta è ancor per Morgan le la terra. 



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CANTO VBNTESIHOQOABTO. 



223 



C9 ('osi va questo mondo, Ulivier mio: 

Or la vendella d’ un tanto signore 
Lecito e giusto par eh’ io ia face’ io : 

Per la giustizia e pel debito amore 
Combatto, per la Fede, e pel mio Dio, 

Per cercar fama e riportare onore ; 

Poi mi ricordo di Semiramisse, 

Di cui tante gran cose n mondo scrisse. 

70 Or lasciam questo : Ch’ è del nostro Orlando ? 
Ch’io non credo, Ulivier, veder quell’ora 
Ch’io sia con seco un poco ragionando. 

Tanto ancor sua prodezza m’innamora: 

Kinaldo per lo Egitto tapinando. 

Sento, sen va, chè mi dispiace ancora; 

Chè s’io l’avessi ritrovato in Francia , 

Forse che più non gittavo la lancia; 

71 Come quel dì che tu n’ avesti sdegno, 

E tanto spìacque al fìgliuol di Alilone: 

E s’io potessi acquistar questo regno, 
lo lo farò, chè così vuol ragione: 

IMa sempre Carlo col suo titol degno 
Istarà in sedia con reputazione; 

Però che questa al fin non è mia opra. 

Ma cosi dato, Ulivicri, è di sopra. 

72 Prima che noi giù combattiamo in terra, 

È fatta su nel ciel questa battaglia, 

E già fra lor terminata la guerra. 

Dove tutto in un tempo si ragguaglia. 

Che il futuro e il preterito non erra : 

E ’ncrescemi, Ulivier, se Dio mi vaglia, 

D’ aver fatto a cammin pure assai danno ; 

Ma tu sai ben come le guerre fanno. 

75 Io ho di tanti paesi e si strani 

Gente, eh’ AnnìbaI non ne menò tante. 

Quando e’ venne alla guerra de’ Romani ; 

Qui son linguaggi di tutto Levante, 

Sanza intender l’ un l’altro, come cani ; 

Ma se ci fussi, Ulivieri, or Morgante, 

Noi proverremmo questi compagnoni 
Con quel battaglio e con questi bastoni. 



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224 



IL HOBGANTE MAGGIORE. 



74 E disse lor che toccasstn la roano 
A Ulivier, perch’egli è buon compagno; 
£ com’egli era un famoso Cristiano, 

De’ primi paladin di Carlo Magno ; . 

Ma r uno e l’ altro gigante villano 
Gli fece prima uno sguardo grifagno, 

£ con un atto superbo piegossi, 

£ con fatica alla tnano accoslossi. 

76 Ulivier rise, e guardò in viso Antea; 

£ alzò quanto può la mano in suso. 

Acciò che Fallalbacchio non sei bea, 
S’egli avessi più giù chinato il muso,r 
Perchè la bocca d’ un forno parca ; 

E disse : lo son co’ giganti pur uso ; 

Ma questi sono, Antea, si smisurati, 

Che non mi paion bacalar da frati. 

76 Non bisognava con questi Nembrotto 
Facessi, per toccare il ciel, la torre, 

Ché bastava 1’ un sopra e l’ altro sotto. 

Se si potessi in sulle spalle porre; 

Ma non l’ arebbe un argano condotto : 

£ perchè insieme ragionare occorre. 

Se vuoi eh’ io dica, mandagli via tosto, 
Chè bestiame mi par da star discosto. 

77 £ poi che molte cose furon dette, 

£ partiti costor, disse il Marchese: 
Dunque tu vieni in iln, per far vendette 
Del gran Soldan, se le parole ho intese: 
Io non voglio allegarti un ben gli stette, 
Chè ’l vero a tutto il mondo fu palese, 
Perch’ e’ m’ increbbe di vederlo morto ; 
Ma .sai ch’egli ebbe della guerra iFtorto. 

78 £ Ricciardetto ed io mancò pur poco 
Che da lui non avemmo ingiusta pena ; 
Tu eri a Montalbano in festa e ’n gioco, 
£ noi stavamo in carcere e in catena, 
Sanza speranza, in tenebroso loco. 

Dove lume non vien, se non balena: 

Non parve opera degna del Snidano, 
Sendo por paladin di Carlo Mano. 



— 0 .-.;, 



..Uuogic 



CANTO TENTESIMOQCARTO. 



225 



79 Lasciam la ìsloria star di Marcovaldo, 

E il tradimento che fe’ l’ Amostante, 

Ghè sai ben come la notte il ribaldo 
Attorto prese il tuo signor d’ Angrante, 

Se non che venne il suo fratel Rinaldo : 

Or perchè di’, dalle potenzie sante 
Procedon nostre risse al mondo giue. 

Cosi la morte del Soldan tuo fue. 

80 Tu sai che il Veglio fu vostro nimico : 
Rinaldo per tuo amor andò ammazzano; 
Ma non potè, chè a Cristo si fe’ amico 
Poi su quella montagna egli e ’l cavallo. 
Che predetto al Soldan fu per antico 
Che r uccidrebbe, e tutto il mondo salto; 
Però se così dato era per sorte. 

Incolpa i fati e ’l del della sua morte. 

81 Pur, se tu se’ cosi deliberata 

Di voler del tuo padre vendicarti. 

Non fia la nostra eccellenzia mancata ; 

£ se vuoi con Orlando riprovarti. 

Ti manderò del guanto la giornata , 

E credo a questa parte satisfarti : 

E per tua parte lo saluteroe, 

E a tua posta mi dipartiroe. 

82 Rispose Antea: In ogni modo io voglio 
Di nuovo con Orlando riprovarmi, 

E so eh’ io perderò pur come io soglio, 

E del Soldano io intendo vendicarmi ; 

Non so se a torto o ragion me ne doglio. 
Ma sia che vuol, chè debito mio parmi 
Che qualche lancia pur per lui sia rotta, 

Da poi che tanta gente ho qua condotta. 

83 Per tanto al tuo signor farai ritorno: 
Saluta per mia parte tutti quanti. 

Massime Orlando ; e di eh’ elegga il giorno 
Della battaglia, e noi verremo avanti. 

E di nuovo l’un l'altro rabbracciorno : 

'Ma nel partire, i superbi giganti 
Usoron molto i Cristian minacciare, 

E che volevon Parigi spianare. 



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226 



IL MORGANTB MAGGIORE. 



' SA Ulivier ritornò colla risposta, 

£ riferì ogni cosa ad Orlando, 

E come Antea è parala a sua posta ; 

E de’ giganti venia disegnando, 

Ch’ ognuno avea di balena una cosla, 

E quel eh’ al partir disson minacciando ; 

E che a natura gli avanzò matera, 

Quand’ ella fece questa tantafera. 

85 E come egli ebbe ogni cosa contato. 
Orlando conferì con Malagigi ; 

Disse Malgigi : Fa che al tempo dato 
In punto sien le gente di Parigi ; 

E la battaglia si facci in sul prato. 

Come altra volta già, di San Dionigi: 

Ch’ io so che Antea con la gente pagana 
Vorrà far aito presso alla Humana; 

86 E de’ giganti tu ne riderai : 

Tu li vedrai impaniati come tordi. 

Cosa che più non si vidde ancor mai ; 

Fa che in sul fatto tu me lo ricordi, 

Chè certo so ti maraviglierai : 

Un’altra cosa fa che non li scordi. 

Che con Gan nulla non ne ragionassi. 

Che qualche maliziella non pensassi. 

• 

87 II campo a San Dionigi diputossi; 

E il dì che la battaglia era futura. 

Con que’ giganti Antea rappresentossi , 

Ch’ a Marte e agli uomin facevon (>aora : . 
Carlo si fece la croce, e segnossi, 

E disse: Questo non può far natura; 

Questi son mostri si feroci e strani. 

Che poco vai qui gli argumenli umani. 

8S Cosi diceva Salamene e Namo : 

Io credo che gli mandi Satanasso; 

Per mio consiglio drento ci torniamo, 

Chè non facessin d’ uomini un fracasso ; 
Facciam che con Orlando noi intendiamo : 
Ch’ a lasciar que’ baston cader giù basso, 
Chi sarà quel che sotto a lor si ficchi. 

Se fussi bene Atlante o Slambernicchi ? 



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CANTO VBNTBSIHOQOARTO. 



89 Carlo fe’ presto il nipote chiamare, 

E disse: A que’ giganti hai tu pensato? 
Ché l’uno e l’altro, a vederlo, mi pare 
Qualche corpo fantastico incantato. 
Rispose Orlando: Non ne dubitare, 

Chè Malagigi ha due volle aflermato. 
Ch’io lasci a lui de’ giganti la briga, 

E l’un diavolo, sai, l’altro gastiga. 



90 



Carlo pur gli occhi a’ giganti lenea, 
E volentier tornerebbe in Parigi; 

E per paura ognun si ristrignea, 

Chè sopra il prato già di San Dionigi 
Vengono innanzi alla gente d’ Aniea: 
Orlando s’accostava a Malagigi; 

Vede che quello incantava, e borbotta, 
Perch’ e’ voleva gittar l’ arte allotta. 






91 Disse Malgigi : Aspetta un poco, Orlando; 
Tirati a drielo. Orlando si scostava : 

Allor Malgigi venia disegnando 
Carattere e sigilli, e preparava 
Le candarie e’ pentacoli; ma quando 
Vennon gii spirti ch’egli scongiurava. 
Tremò la terra, come vento fossi, 

E l’ aer tutto in un punto turbossi. 

92 In questo, in mezzo il prato hanno veduto 
Un uom, che parea stran più che Margotte; 
E zoppo, e guercio, e travolto, e scrignoto, 
E di gigante avea le membra tutte. 

Salvo che ’l capo era a doppio cornuto: 
Saltella in qua e in là come le putte, 

E scherza, e ride, e piu giuochi fa quello, 
Ch’ un«Fraccurrado o uno Arrigobello. 

93 E suona una zampogna o zufolino, 

E accostossi a que’ giganti, e tresca, 

E fa certi atti come Scuccobrino, 

E intorno a lor la più strana moresca ; 

E spesso toma come un babbuino, 

O come scimia fa la schiavonesca : 

Sicché e’ guardava questa maraviglia 
L’un campo e l’altro, e rìtenea la briglia. 



227 



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228 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



94 A poco a poco questa Glaslroccola . V 
Questi giganti tabaccava, e sdrucciola; 

E quel fantin, come chi spesso smoccola, 

Si vede or si or no come la lucciola ; 

Sicché comincia a girar lor la coccola, 

Chè non parea che gli stimi una succiola; 

E ognun ride a veder questa chiappola, . 

• Quantunque ancor non s' intendea la trappola. 

/ • 

96 Hai tu veduto il can colla cornacchia,' 
t^ome s|)esso betTato indarno corre ? 

Ella si posa, e poi si beva' e gracchia; 

Cosi costor non si poteano apporre : 

Dunque Malgigi ne trarrà la macchia ; 

E ogni vòlta che gli volean porre 
Le mani addosso, egli spariva, o sguizza; 

Tal che i giganti scoppion per la stizza. 

96 Ma come Antea questo vide di botto, 

Fra suo cor disse : Que’ giganti matti 
Non inlendon l'inganno che v’é sotto: 

Questo è di Malagigi de* suoi tratti. 

Che certo il mio disegno m’ ara rollo. 

Intanto colui pur facea certi atti; 

E per tentarli nella pazienzia, 

Le chiappe squadernò, con reverenzia. 

97 Guarda se vuole il Margultin la baia: 

E’ va lor tra le gambe per dispetto. 

Impronto più eh’ una mosca culaia. 

Ecco apparire intanto un bel boschetto, 

Tondo, impaniato com’ un’ uccellaia. 

Non falsa illusion, ma con effetto; 

La frasca naturai, la pania, e ’l vischio, 

E la civetta, e gli schiamazzi, e ’l fischio. 

98 II gigantin nel boschetto si tuffa. 

Come il tordo talvolta o altro uccello ; 

Poi gli dileggia, e fa ceppino e struffa, 

E faceva con bocca e con 1’ anello : 

Questi giganti, irati per la buffa, 

Come sparvier si chiuson drieto a quello ; 

E ’n qua e in là pel boschetto si volsono. 

Tanto che tutte le frasche raccolsono. 




CANTO VBNTBSIHOQOABTO. 



229 



99 E diventoron due gran cerracchioni 
Co’ rami intorno dal vento flaccati: 

Or fate lima lima a’ mocciconi, 

Che cosi tosto si sono impaniati I 
E' volevon menar pure i bastoni, 

Ma non potean, chè sono avviluppati; 

^Gridavon forte con urta feroce, 

. .Che tutto il campo stordiva alla voce. 

dOO Disse Malgigi : Andate loro addosso , 

Ch’ io non posso altro far colla mia arte. 

11 perchè Orlando il pi'imo si fu mosso, 

£ drieto a lui molla gente si parte : 

E accoslàrsi al raacchion follo e grosso 
Con lance e dardi, e frugavan da parte; 

£ ognun par che si studi e punzecchi. 

Ma bisognava turarsi gli orecchi. 

dOl Già era tutto il popol di Parigi 
Corso di fuori al rumore a vedere ; 

Ma poi che pure alla Gne Terigi 
Questi giganti non vede cadere, 

Fe’ come savio , e corse in San Dionigi ; 

E sanza in terra scender del destriere. 

Calò giù presto una lampana, e prese 
Un torchio, e 'I fuoco in un tratto v’accese. 

d02 Or chi sentisse mugghiare i giganti. 
Giurato arebbe, tanto erano in cruccio. 

Che fossin quivi i demon tutti quanti; 

Ma ritornalo Terigi in un succio 
Col torchio, ognun s’ allargava davanti; 

Ed accostato come al capannuccio, 

11 fuoco a questi appiccava dintorno; 

E cosi in fumo in un punto n’ andorno. 

d03 Questi non furon Sidrac o Misacche, 

A mio parere, al tempo di Nabucco, 

Chè ’l fuoco al cui non risparmiò le lacche. 
Come Dio volse, e non parve ristucco 
Da portar 1’ acqua colle salimbacche : 
Dunque Terigi è de’ Cristiani il cucco ; 

Chè se i giganti rovinavan giue, 

Arebbon morti cento uomini o piue. 

II. so 



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IC MOMQAMTB MAGGIOBB. 



104 Or écci un punto qui che mi bisogna 
Allegar forse il verso del Poeta : 

Sempre a quel ver, c’ha faccia di menzogna, 
È più senno tener la lingua chela, 

Che spesso sanza colpa fa vergogna: 

Ma s’io non ho gabbato il bel pianeta, 

Come Cassandra già, non è dovuto * 

Che il ver per certo non mi sia creduto.. * 

105 lo veggo tuttavia questi giganti 

Cogli occhi della mente, e so ch’io ho scritto 
Appunto i loro effetti e i lor sembianti, 

Si eh’ io non parlo simulato o Sito: 

Venga chi vuol con sue ragioni avanti, 

Ch’ io lo farò poi al fin contento e zitto ; 

£ dirà : Ciò che l’ autor qui scrisse. 

Par che sia tratto dell’ Apocalisse. 

106 Chi mi dicessi : Or qui rispondi un poco ; 

Se Malagigi avea quest’arte intera, 

Polea pur far, come il boschetto, il foco, 

E strugger que’ giganti come cera. 

Nota che l’ arte ha modo e tempo e loco ; 

Che se l’ opinion qui fussi vera. 

Sare’ troppo felice un negromante. 

Anzi signor dal Ponente al Levante. 

107 Ma quello Dio che impera a lutti i regi. 

Ila dato termine, ordine e misura; 

E non si può passar più là che i fregi. 

Però che ad ogni cosa egli ebbe cura : 

£ fatture, e au ruspi e sortilegi 

Non posson far quel che non può Natura ; 

£ le immagin più oltre son di ghiaccio. 

Perchè e’ fe la potenzia nel suo braccio. 

108 £ se Paulo già vide arca na Pet, I j 
Fu per grazia concesso à^'qualcEinDe , 

Acciò che quel potessi i Farisei 
Confonder colle sue sante dottrine ; 

Ma gli spirti infornai, malvagi e rei, 

Privati son delle virtù divine : 

Ma perchè pur molti segreti sanno. 

Per virtù naturai gran cose fanno. 



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CANTO VBNTBSIMOQUARTO. 



231 



109 Vanno per l’aer come accel vagando 
Altre spezie di spirili folletti, . 

Che non furon fedel nè rei già quando 
Fu stabilito il numer degli eletti: 

Non so se ’l naio Palmier qui venne errando, 
Che par di corpo in corpo ancor gii inetti, 

. Onde e’ punge la niente con mill’ agora. 
Esser prima Euforbia e poi Piltagora. 

HO E forse qui s’inganna il Tianeo, 

Che si ricorda, dice, esser pirato, 

E come e’ prese un altro in mar più reo, 

E come gentilezza gli ebbe usato. 

Or tu potresti dir qui d’ Asmodeo ; 

E io rispondo ch’egli è figurato 
Il detto della Bibbia, dove e’ narra 
Come egli uccise que’ mariti a Sarra. 

HI Dunque Malgigi e gli altri negromanti 
Ci posson cogli spiriti tentare ; 

Ma non poteva uccidere i giganti 
Per arte, o il fuoco i dèmoni appiccare : 
Polea ben fare apparir lor davanti 
Il bosco, e lor vi potevano entrare 
E non entrar ; eh’ a nessuno è negato 
Libero arbitrio, che da Dio c’ è dato. 

H2 Potean gli spirti ben portare il fuoco. 

Ma non poteano accenderne favilla: 

Cosi vo discoprendo a poco a poco. 

Ch’io sono stato al monte di Sibilla, 

Che mi pareva alcun tempo un bel giuoco: 
Ancor resta nel cuor qualche scintilla. 

Di riveder le tanto incantate acque. 

Dove già r Ascolan Cecco mi piacque. 

113 E Moco, e Scarbo, e Marmorea allora, 

E r osso biforcato che si chiuse • 

Cercavo, come fa chi s’ innamora : 

Quest’era il mio Parnaso e le mie Muse; 

E dicone mia colpa, e so che ancora 
Convien eh’ al gran Minosse io me ne scuse, 
E riconosca il ver cogli altri erranti , 
Piromanti, idromanti, e geomanti. 



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233 



IL MOR GANTE MAGGIORE. 



414 Or ritorniamo a’ Pagan', che atapiti 
Per maraviglia tenean gli occhi all’ erta. 
Diceva Antea : ('ostor dove son iti ? 

Ché la Oamma dal fumo era coperta : 

Son cosi tosto due monti spariti ? 

E non poteva ignuna cosa certa 
Sapere ancor della lor morte sùbita, 

Se non che pur di Malagigi dubita. 

415 Ma poi che vide il segno del Quartiere, 

E ’ntese ben che ’l conte Orlando è questo , 
E riconobbe l’ elmetto e ’l cimiere ; 

Fecesi innanzi con sua gente presto, 

E dismontata in terra del destriere. 
Abbracciò Orlando quanto parve onesto , 
Che già di Vegliantino smontato era. 

Ed alzato dell’ elmo la visiera. 

416 Poi gli diceva con destre parole : 

Che caso è questo de’ giganti strano ! 

^ Malagigi può tanto, quanto e’ vuole: 

Non so se s’ è in Parigi o in Montalbano ; 

E’ fa fermare in ciel la Luna e ’l Sole : 

Ma questo è poco onor di Carlo Mano ; 

Io mi credea co’ paladin di Francia 
Combatter con la spada e con la lancia. 

447 Non son venula qua, come Michele, 

A combattere, Orlando, con gli spirti ; 

Che se col fuoco infernale e crudele 
Ci struggi, a me conviene acconsentirti. 
Calar le sarte e raccoglier le vele : 

Ma non è certo di lauro e di mirti 
Questa corona che tu metti a Carlo, 

Che si vuol d’ altra gloria coronarlo. 

4IS Rispose Orlando: Il Marchese di Vienna 
Mi salutò per tua parte. Madama, 

E che tu se’ ritornata m’ accenna 
Per acquistar in Francia onore e fama, 

E far’che corra di sangue ancor Senna ; 
Veggiam se giusta cagion qua li chiama : 

Io su che del Soldan mi dolse e duole , 

Ma voler si convien quel che ’l ciel vuole. 



CANTO VBNTESIHOQOARTO. 233 

119 Tu sai ch’io li condassi a Babiilona, 

E rende’ del tuo padre in man lo scetro, 

£ di mia man ti messi la corona, 

Che si soleva dar pel tempo addietro 
A chi coir arme l’ acquista in persona ; 

Però le ragion tue son qui di vetro, 

Sendo per me reina coronata, 

Dond’ io pensai lo mi fossi obbligata. 

120 Se Malagigi come negromante 
Ucciso ha Fallalbacchio e Cattabriga, 

Uccider gli poteva anche in Levante, 

Se avessin come qua cercato briga, 

E non avevon forma di gigante; 

Cosi matto con matto si castiga. 

Ed è ragion che ’l giuoco qui s’intavoli, 

Ch’egli uccidessi i diavoli co’ diavoli. 

121 Or ti dirò quel eh’ Ulivier m’ ha dello. 

Che meco terminar vuoi questa guerra, 

E che combatte Cristo e Macometto 

Prima su ’n cielo, e noi quaggiù poi ’n terra: 

Per tanto io son parato, e li prometto, 

Per quello Dio eh’ è giusto e mai non erra, 

Se tu m’abbatti per forza di lancia, 

Tu arai tutto il reame di Francia. 

122 Rispose Antea : E cosi ti giuro io. 

Inverso Babiilona far ritorno. 

Se tu se’ vincitore ; e salto Dio 
Quanl’ io ho desialo questo giorno. 

Per veder tua prodezza. Orlando mio. 

E r uno e l’altro a cavai rimontorno, 

£ rimontati, e girato la briglia, 

Del prato ognuno a suo modo ne piglia. 

123 Non è spento il valor certo d’ Antea, 

Ma molto men d’ Orlando è la fierezza : 

Rivoltato il cavai ciascuno avea, 

E nello scudo la lancia già spezza: 

Ma r uno e l’ altro una torre parea. 

Che folgor non che forza umana sprezza ; 

Cosi la lancia pareggiala fue 
Da ogni parte per la lor virine. 

20 ’ 



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234 



IL MOBGANTB HÀGGIOHB. 



124 Trasson le spade, e detlonsi ben mille 
Colpi in sull* arme, e fér mirabii provo , 

E non si vide mai se non faville. 

Che volavan talvolta inaino a Giove ; 

Ma la battaglia è fra ’l Troiano e Achille , 
Chè l’uno e l’altro d’arcioii non si muove: 
Sicché laudar si polca questo e quello, 

Chè molto è pareggiato il lor duello. 

125 Intanto tutto il campo s* abbaruifa ; 
Comincia d’ ogni parte la battaglia : 

E bisognò che lasciassi la zulTa, 

Chè già tutta la gente si travaglia : 

Orlando allor fra le squadre si lutTa 
De'Saracini, e chi frappa e chi taglia; 
Tanto eh’ ognun gli volgeva le chiap|)e. 

Però che il cui gli facea lappe lappe. 

126 Già era Antea nella battaglia entrata. 
Lasciato Orlando, e trovato Ulivieri, 

Ed avea seco la mischia appiccata ; 

Ma sempre non si cade del destrieri : 

E benché l’arme sua abbi incantata. 

Si spiccò della zuffa volentieri , 

E riscontrossi con Gan di Maganza , 

Che fece il tristo e ’l cagnaccio all’ usanza. 

127 E lasciossi cader com’ un ribaldo ; 

Guarda se sa ancor far la bagattella, 

O se questo è ben serpe di ceraldo ; 

Ma presto fu riposto in sulla sella : 

Gualtier da Mulion, Avolio, Arnaldo, 
Angioli!! tra’ Pagani ognun martella , 

.\vino, Ottone, e ’l signor di Brettagna, 
Ognun nel sangue volontier si bagna. 

128 E chi creduto arebbe che ’l vecchione 
Carlo tener non si potessi in posa ? 

Credo che da Dio fussi spirazione : 

La bella s|)ada chiamata Gioiosa 
Tanti ne fesse il di sopra l’arcione, 

Che la terra si fece sanguinosa: 

E da quel giorno poi lo imperatore 
Questa spada mai più non trasse fore. 



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CANTO VBNTESIMOQCAnTO. 



235 



429 Era stato an aom Carlo molto de|;no 
Natura intese un uom pien di virtute, 

Di ^ran fortezza e di predito ingegno : 
Aveva molte cose già vedute, 

Di nobil sangue tenuto gran regno ; 

Ma non fur le sue* opre conosciute, 

E non ebbe la tuba di Lucano, 

Che sarebbe una Roma, un Carlo Mano. 






430 Cosi faceva il Duca di Baviera, 

. A cui r ultimo giorno è pur vicino ; 

Ma perchè il suo valore allo stremo era, 
Facea come fa lume a mattutino, 

E rompe, e urta, e sbaraglia ogni schiera: 
Insino all’arcivescovo Turpino 
Uccide anch’ egli, e faceva ogni male 
Pur colla spada, non col pasturale. 



43( Orlando poi che si parli da Antea, 
Avea pel sangue de’ Pagani un guazzo 
Fatto, che già verso il tìume correa. 
Tanti n’ uccide di quel popol pazzo ; 
Sempre in alto la spada si vedea , 

Si che di morti copriva lo spazzo ; 

E Yeglìantino alle volte si serra, 

E urta e caccia assai gente per terra. 

432 Bene è questo cavai quel Yeglianlino, 
Acciò eh’ error non pigli chi m’ ascolta , 
Che fu di Almonto degno Saracino : 

Cosi quando Baiardo alcuna volta 

Si dice, non è falso il mio Ialino, 

Chè fia coi signor lor la vita tolta : 

Ed è ragion , che la grazia del ciclo 
Conservi ognun che conserva il Yangelo. 

433 Gran cose il di faceva Sicomoro, 

Il capitano eh’ avea lo stendardo. 

Ch’era fra tutti il primo barbassoro, 

E grida a’ Saracin : Popol gagliardo. 
Morte, sangue, vendetta, carne, a loro; 
Fatevi innanzi, ignun non sia codardo, 
Tagliate tutti costor come cani : 

E cosi rincorava i suoi Pagani. 



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S36 



IL MOBGAMTE MAGGIORE. 



13A E’ si vedeva in alto tante spade 
Rosse, che Taria anche pareva rossa: 

E come spesso ne’ campi le biade 
Si piegono a quel vento c’ ha più possa , 
Poi rinforza più l' altro, e quel giù cade ; 
Cosi pur sempre la battaglia mossa: 

Ma insino a qui la prefata battaglia 
Egualmente fortuna ancor travaglia. 

135 Feciono in fine i Pagan tanto assalto. 
Che i Cristian non poteron sostenere, 
Tanto ch’il sangue due braccia fu alto, 

E fecion Carlo per forza cadere, 

E ritrovassi nel sangue allo smalto; 

E corsono insin sotto alle bandiere, 

E quivi in modo la zuffa appiccorno. 

Che ogni cosa per terra gittorno. 

136 Baldovino il fìgliuol di Ganellone, 
Ch’avea ben l’occhio per tutto tenuto. 
Poi che vide per terra it gonfalone, 

E come Carlo di sella è caduto; 

I Cercando va del figliuol di Milane, 

E domandava chi l’ abbi veduto : 

E tanto in qua e in là s’ andò aggirando, 
Ch’ ei ritrovò nella battaglia Orlando. 

137 E cominciò di lunge a gridar forte : 

E’ li convien soccorrere i Cristiani, 

0 ritornarci di drento alle porte: 

Noi siam qua minuzzati come cani. 

Ed ognun fugge dinanzi alla morte, 

E corron verso Parigi i Pagani, 

E tutte le bandiere son per terra; 

Caduto è Carlo, e perduta è la guerra. 

138 Non altrimenti il fer lion si scaglia. 
C’ha veduto di nuovo qualche armento, 
Ch’ Orlando si gittò per la battaglia 
Inverso gli stendardi come un vento ; 

Or se qui Durlindana punge e taglia. 
Tosto vedrassi , o se bisogna unguento : 

1 paladini cran per terra tutti 

Nel sangue imbrodolati, strani e brutti. 



CANTO VENTESmOQCÀRTO. 



237 



439 Avea già Sicamoro il capitano 
li bel vessillo, e voleva fuggire: 

Orlando gli tagliò netta la naano. 

Che per la pena credette morire; 

£ ritrovossi disteso in sul piano. 

Si che Zaccheo vi potea ben salire: 

Poi si rivolse a quella gente pazza. 

Tanto che presto la campagna spazza. 

440 Credo che Marte il di dicessi a Giove: 

Tu non avevi questo paladino, 

Quando i giganti fér l’ ultime prove, 

Ch’e’ non tremava lo scettro e 'I domino. 
Orlando a Baldovin disse poi : Dove > 

I Di’ che lasciasti il Ggliuol di Pipino? 

/ Baldovin lo menò dov’era Carlo, 

I E fecion sopra il cavai rimontarlo. 

141 Ulivieri era in una pressa stretta 

Di Mammalucchi, e fatto gli hanno cerchio; 
Ma tristo a quel che non fa la civetta, 

Chè non valeva di scrima coperchio : 

L’un sopra l’ altro attraversato getta; 

Qui si nuota nel sangue e non nel Serchio : 
E tanto adoperò colla sua possa, 

Ch’a più di cento la barba fe’ rossa. 

442 Aveva Orlando a cavai già rimesso 
Namo, e molti altri che smontati sono 
Sanza aver quivi lo stafllere appresso ; 

I Pagan cominciorno in abbandono 

A fuggir, come uccelli in aria spesso 
Per vento o grandin, per folgore o tuono, 

E non dicieno l’uno all’ altro, Vienne; 

Chè per paura mettevon le penne. 

443 E tanto fu per l’ aiuto d’ Orlando 
De’ Cristian nostri il furore e la rabbia. 

Che si vennon le squadre rassettando. 

Ed ognun par che gii spirti riabbia. 

Da ogni parte i Pagan ribnttando ; 

E spesso Antea si trovò quasi in gabbia : 

£ cosi fecion queste bestie matte 
1 tafani ingrassare e le mignatte. 



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238 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



4i4 £ se non fossi venata la notte, 

Non fu mai de’ Pagan si gran macello : 

Eran tutte le squadre in fuga rotte; 

Orlando insieme col suo colonnello . 

Gl’ infilza [)cr le fosse e per le grotte : 

Ma il Sol r altro emisperio facea bello, . 

E bisognò per forza a questa volta ' 

Da ogni parte sonare a raccolta. 

145 Chiese Antea Iriegua la sera ad Orlando 
Per venti di , j)er sep[>ellire i morti ; 

Ma e’ converrà col fuoco ire abbruciando , 

O che il fiume o il diavoi ne gli porti : 

E per venire la storia abbreviando, 

Orlando si tornò drento alle porti ; 

E sopra tutto Gan non è contento, 

Se non iscambia questo tradimento. 

146 Or chi vedessi il sanguinoso agone 
Dove fu la battaglia presso a Senna, 

Se avessi un cor di pietra o di lione. 

Gli tremerebbe come a me la penna: 

Sepolte eran nel sangue le persone. 

Or hai tu, Antea, dato in Francia la strenna 
Alla tua gente c’hai fatta morire, 

E non sai quel che di te dee seguire. 

147 Lasciamo Orlando in Parigi tornato, 

E ritorniamo a Marsilio in Ispagna, 

Che poi che v’ era il Danese arrivalo, 

£ cognosceva sua prodezza magna , 

Pargli che ’I vento gli avessi spannalo 
£ spinto sopra la siepe la ragna, 

E aspettava le nuove di Francia , 

Come Antea abbi provata sua lancia. 

148 Perchè e’ conobbe del suo stalo il rischio ; 
E intanto spacciò il fante Ganellone, 

£ bisognò ebe dicessi che il vischio 
D’ Orlando non temeva l’ acquazzone ; 

E che i giganti si calorno al fischio, 

E Antea quasi scoperto ha il groppone : 

Conie e’ si fa quando e’ casca giù il tordo, 
Che il cui si pela fra morto e balordo. 



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CANTO VBMTESUOQDABTO. 



239 



149 E rimandò di nuovo imbasciadore 
In Francia a Carlo a ritentar la pace, 

E dir che fiianciardin non fece errore 
Del suo partir, ma la cagion si tace : 

E mandò Falseron uom di gran core. 
Prudente, e molto nel parlare audace; 

Giunse a Parigi, e fu dinanzi a Carlo, • 

E cominciò in tal modo a salutarlo. 

160 .Quello Dio grande che ciascuno adora. 

Il qual fp' le sustanzie separate 

Che volgon sopra noi 'questi segni ora , 

Salvi e mantenga 1’ alta maestate 
Di Carlo Magno, e chi suo scettro onora, 
Orlando e gli altri, in gran felicitate : 
Marsilione il mio signor ti manda '• 

Salute, e molto ti si raccomanda. 

161 La cagion perchè a te m’ ha qui mandato, 
Serenissimo erede di Pipino,' 

Dal qual tu non se’ già degenerato ; 

È perch’ e’ crede che il re Bianciardino 
Nel suo partir ti lasciassi ammiralo , 

Che così presto si messe a cammino, 

E non ti fece la ragion capace. 

Mentre ch’égli era in sul bel della pace. 

152 Or nota, impcrador, come discreto: 
fiianciardin si partì per buon rispetto; 

Ma non importa or dir questo secreto,' 

Che parrebbe disforme al nostro effetto; 

Basta che ancor tu ne sarai ben lieto, 

E tutto a luogo e tempo ti Ga detto : 

Sai ch’ogni cosa vuol principio e norma, 
Accordar la materia colla forma. 

163 Ma questo un’altra volta, com’io dissi. 

Sarà con altra tuba manifesto ; 

Però non pensar più perchè e’ partissi, 

Ch’ un di ti sarà poi chiosato il testo : 

Tant’ è, eh’ io vengo a dir quod scripti scripti, 
Però che ’l mio signor m’impose questo, 

Per conGrmar con la tua Maestate 
Pace, che sia di buona volunlale. 



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IL MOBGANTE HAGGIORE. 



164 E non bisogna replicare adesso 
La Spagna : chè Marsilio dice e crede, 

Che ciò che Carlo gli avessi promesso 
Nella selva Ida, osserverà la fede; 

E perchè intenda, in ordin s’era messo 
Cento mila a cavai con molti a piede 
• Per dar soccorso a tua degna corona, 

Poi che venne il furor di Babillona. 

166 Ma perchè il re Marsilio intanto intese 
Com’ egli era venuto Sansonetto 
Inverso Spagna, e il possente Danese, 
Astolfo e Berlinghier quasi a diletto , 

Per discrezione ognun di noi comprese, 

E’ basta solo Orlando a tutti a petto : 

E vo’che questo si resti fra noi, 

Antea mal consigliala fu da’ suoi. 

156 Credo tu sappi come Buiaforte, 

Pigliiiol del Veglio già della montagna, 

A Siragozza è con Marsilio in corte, 

E molto in verità d’ Antea si lagna ; 

Che se il suo padre al Soldan diè la morte. 
L’uccise con la lancia alla campagna, 

Come dato era dall’ eterne rote, 

E non ci ha colpa lui, nè il tuo nipote. 

167 Or lasciam questo: se tu intendi, Carlo, 
Come vero e magnalmo imperadore, 

Voler Marsilio come e’ l’ama amarlo. 

La prima pace fa che sia nel core ; 

E se vi fussi restalo alcun tarlo. 

Ognun con carità lo sbuchi fore: 

£ ciò ch’io dico è del suo petto propio, 

Chè le parole formale qui copio. 

168 Arebbe Bianciardino, ogn’ altro, ch’io. 
Saputo meglio orar che Falserone ; 

Ma ciò ch’io l’ho narralo, sallo Dio 
Che tutto è stalo con affezione : % 

E sai eh’ io ci ho perduto il figliuol mio. 
Quantunque e’ non mori come un poltrone. 
Ma colla spada rinchiuso in sul ponte, 

SI eh’ io perdono ogni mia ingiuria al Conte. 



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CANTO VENTESIMOQUARTO. 



241 



459 E non potè più dir, ma lacrimando 
Si levò in piè, tanto il dolor 1’ assalse, 

E abbracciò più volle e strinse Orlando : 

Non so se queste lagrime son false. 

Carlo nel volto si venne cambiando, 

Tanto il savio parlar co’ gesti valse. 

Orlando ginocchione e reverente 
Gli domandò perdon molto umilmente. 

160 Poi disse Carlo : Savio imbasciadore. 

Tu sia per molte cose il ben venuto ; 

Del re Marsilio l’ offerte e 1’ amore 
Accetto, c grazie rendo al suo saluto : 

E Bianciardin, se si parti a furore 
Per obbedire, ha fatto il suo dovuto; 

E non ricerco la cagion di questo, 

^Con ciò sia cosa che non pare onesto. 

161 Di quel che molte volte ragionarne. 

Credo tu il sappi, e io me ne ricordo. 

Della pace, e di Spagna, e sa qui Namo, 

Che mai da quel eh’ è giusto non mi scordo: 
E’ si parli, tu se’ venuto ; e siamo 
Orlando e gli altri paladìn d’ accordo , 

Che voi legnate tutti i regni ispani. 

Non come Mori, ma come Cristiani. 

162 E la cagion, perchè e’ venne il Danese, 
Non fu nè per Antea nè per sospetto ; 

E altra volta lìen le cose intese. 

Come tu ancor di Biancìardino hai detto : 

E so che il re Marsilio alle mie imprese 
Aiuto darà sempre con effetto ; 

Chè la salute di Spagna e di Francia, 

Credo che sia la pace e non la lancia. 

163 E manderò qui il mio caro nipote 
A Siragozza, se bisogna, o Gano, 
Quantunque egli è contento come e’ puole 
Di dar la Spagna, anzi gli pare strano ; 

E so che queste cose ti son note, 

Ch’ acquistata 1’ avea colla sua mano : 

Ma voglio al re Marsilio esser fratello, 

Chè sai che in corte sua m’ allevò quello. 

11 . 21 



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242 



IL MOBGANTB MAGGIORE. 



164 Io non vo’ ragionar d’Anlea per ora, 

Il fin gli mostrerà quel ch’ella ha fallo, 

£ piangeranno Babillona ancora, 

Chè certo il suo consiglio fa di matto: 

Ognun che nasce, sai convien che mora ; 

E se ’l suo padre fa morto e disfatto, 

Come tu di', dal ciel venne soa morte, 

£ non si dolga Antea di Buiaforte. 

165 Di Ferraù so che m' increbbe tanto, 

Ch’ ancor si come te ne son dolente ; 

Ma io ti so ben confortar di tanto. 

Che l’ anima saa in ciel visibilmente 
Fa portata dagli Angel con gran canto; 

£ come e’ si mori com’ oom valente : 

Or non tocchiam più là, dove e’ ci duole ; 

Sia fatto in fin ciò che Marsilio vaole. 

166 Tu te n’andrai con Gano a riposare, 

£ altra volta insieme parleremo ; 

Farmi tempo il consiglio licenziare, 

£ so che in un parer ci accorderemo. 

E fecelo da tatti accompagnare. 

0 Carlo, a questa volta, o Carlo, io temo. 

Che al rimedio del mal iarde venisti , 

Perché tu o vpn lupo eommùisU^ 

167 Orlando e latti i baron son d’ intorno 
A Falseron, ch’era uom molto stimalo. 

Ed al palazzo di Gan lo menurno : 

I £ Carlo per la man l’ ha accompagnalo : 

£ giostre e feste si fece ogni giorno. 

Acciò che quel se n’ andassi onorato , 

Chè così piacque a ciascnn d’ onorarlo , 

Perchè e’ vedessi la gloria di Carlo. 

168 Or se qai Ganellon nel lardo naot^, 

E 'I zucchero trabocca alla caldaia , 

Per discrezion, lettore, intendi e nota; 

E se parea nel letto una ghiandaia : * 

Egli avea rossa ancor latta la gota ; 

Ma il can, quando e’ vuol morder, non abbaia : 
Sicché e’ non parla di questo il ribaldo. 

Ma frappava altre cose di Binaldo. 





CANTO VBNTESlMOQtlARTO. 

469 E Malagigi avea di nuovo fatto 
L’arte, e sapea ciò che diceva Gano, 

,/£ dicea con Orlando: O Carlo matto, , 

H Chè non si può chiamar più Carlo Mano , I 
Tutti sarete malcontenti un tratto; i 
E cosi fu dello imperio troiano , 

Poi che 1’ ultimo termin fu venuto. 

Che non era a' Cassandra il ver creduto. 

470 Orlando aveva nel suo petto sdegno , 

Che Carlo mille volte gli ha promesso 

Di coronarlo, e dargli stato e regno ; ^ 

Ma come Ganellon gli stava appresso , 

Cosi sempre era rotto ogni disegno, 

£ non parea che fussi più quel desso : 

Si che non vai Malagigi riveli, 

Che tutti siam governati da’ cieli. 

471 Falscron con Orlando un giorno disse, 

Ch’ avea pur voglia rivedere Antea 

E ’l campo, pria che di Francia partisse ; 

E che con seco pensato già avea , 

Che sare’ ben che con esso lui gisse 
E r conte Gan, se cosi gli parea, 

E Ulivieri : e cosi s’ accordorno, 

E tutti inverso del campo n’ andorno. 

472 Venne Antea incontro, come questo intese 
Chè Falserone er’ uom d’alta eccellenzia, 

E salutollo, e del cavallo scese; 

E rimontata, con gran reverenzia 

Saluta Gano, ed Orlando, e ’l Marchese: 

Poi gli menò per più magnifìcenzia 

Pel campo a spasso a lor consolazione. 

Poi a vedere un ricco padiglione. 

0 

473 II padiglione era una cosa magna, 

E drento v’ era il caso istoriato 

Del Veglio; come e’ fu quella montagna 
Ch’addosso al padre è col cavai cascato; 

E come Babillona ancor si lagna ; 

E come v’era Morgante arrivato, 

E col battaglio guastava la terra ; 

E come Orlando gli mosse la guerra. 




244 



IL KORGANTE MAGGIORE. 



174 Tutto facea, per conservar costei ^ 

La vendetta del padre alla memoria : 

Ma Falseron, eh’ è falso più di lei, 

Poi eh’ egli ebbe notata ben la istoria , 

Gli disse: Stu volessi, io li direi 

Che questo è in verità poca tua gloria : 

La prima cosa, s’io non son ben cieco. 

Tu porti, Antea, la tua vergogna teco. 

175 E portila di seta e d’ oro ornata : 

Or fa che tu dipinga la vendetta. 

Se mai vien tempo tu sia vendicata ; 

Ma il tempo non vien mai chi non l’ aspetta: 
Rade volte la cosa non pensata 
Riesce a chi la vuol pur fare in fretta ; 

Ma certo, onor cercar non ti bisogna. 

Da poi eh’ egli è sì bella la vergogna. 

176 Non so se le parole ognuno intende | 
Che Falseron come malvagio ha dette'. 

Però che dall’ un lato Antea riprende, 

E par che la conforti "a sue vendette , 

O se pur questa celerà si stende. 

Che come amico in mezzo quel si mette 
A trattar pace a qualche suo disegno ; 

Ma so che in altra parte va il mio ingegno. 

177 Rimase tutta spennecchiata Antea, 

E confirmò il suo dir, perch’ ella tace ; 

Però che in questo modo lo intendea. 

Che si vuol ricordar di quel che piace : 

E perchè generoso core avea , 

Determinò di far con Carlo pace, 

E ritornarsi inverso Babillona ; 

Chè gentil almo volentier perdona. 

178 Falseron seguitò le sue parole; 

Non so se volea far pur come e’ disse, 

O se sarà poi falso come e’ suole : 

Tant’èche Antea, innanzi che partisse. 
Venne in Parigi , e fece ciò eh’ e’ vuole , 

E Carlo con sua man la benedisse; 

E ognun fu della pace contento, 

E dette al fin le sue bandiere al vento. 



CANTO YENTESIHOQOARTO. 



245 



179 Io lascio Antea da Parigi partire 
Si tosto, e par ch’io gli tolga di fama; 
Chè mi bisogna un’ altra tela ordire 
Tanto sottil, che par grossa la trama; 
Chè, poi che Falseron si vuol partire, 

A Siragozza altra tuba mi chiama : 
Com’io dirò nell’altro afflitto canto, 
Dove fìa pe’ Cristian sol doglia e pianto. 



sr oTC. 



2. E del /igliuol ee. D’ Achillo 
figliuolo di Teli. 

23. Ed era il tempo ee. Cioè era 
il tempo oppòrtuaissimo. 

37. la battala teoneia. Guasta 
r artificiosa trama di Gano. ' 

41 . alla giubbetta. Lo stesso che 
alle ginbbette , ciaè alle forche. Ginb> 
betta o giubbetto in questo significato 
yiene dal francese gtiet , e in origine 



forse dal latino gabai, detto per ga- 
baine, che pur significava supplizio , 
patibolo. Gabalum erucem dici vele- 
rei volimi, cosi Nonio Marcello. Dan- 
te fece dire a Rocco de’ Mozzi, il quale, 
dato fondo alle sostanze sue , per 
isfnggir povertb s’ appiccò : 

E fai giubbetto a me delle mie case. 

In/.. XIII, 151. 



31 * 



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246 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



CA]«TO VEWTESimiO^lJlMTO. 



Si manda Gano plenipotenriario 
Da Carlo Magno al re Marailione , 

Per trattar pace ; ma tratta al contrario , 
Per aempcr maotenerai nu gran briccone. 
Da’ segni apparsi in ciel si fa lanario, 

E Malagigi a scongiurar si pone 
Perchè tornio Rinaldo e Ricciardetto 
De’ nemici a sfondar le rene e ’l petto. 



1 Insino a qui là taa destra, Signore, 

Assai mi fu ganza altro filo o ingegno 
A uscir d’ ogni laberinto fore ; 

Ma ora in parte tanto oscora vegno , 

Che convien che qui mostri il tuo splendore 
li modo a colorir nostro disegno : 

Per tanto i tuoi Cristian ti raccomando. 

Ma sopra tutto il tuo campione Orlando. 

2 O Carlo, tu se’ pur deliberato. 

Di mandar con disdegno al tuo nimico 
Un Iraditor che t’ ha sempre ingannato ; 

Non sai tu quanto possi un vizio antico 
In un cor traditor sempre ostinato : 

Tu pensi il re Marsilio fare amico; 

La pace fìa col sangue e con la lancia , 

E piangerà tutto il regno di Francia. 

3 Falserone avea già chiesto licenzia ; 

E Ganellon con lui dovea partire, 

E inginocchiossi alla magnitìcenzia 
Di Carlo, e dimandò s’ altro vuoi dire. 

Carlo rispose : Nella tua prudenzia 
Mi fido, e so eh’ io non posso perire ; 

Tu sa’ ’l proverbio, e puoi insegnare altrui : 
Commetti al savio, e lascia fare a lui. 



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CANTO VBNTESIHOQCINTO. 247 

t 

4 Abbraccia Orlando poi quel fraudolente, 

E innanzi che la pace si conchiuda, 

Lo domandò, se gli avea a dir niente. 

Che gli scrivessi; e trafelava e suda. 

Tante abbracciate fa viziatamente: 

Poi baciò Uiivier come fe’ Giuda, 

Ed appiccossi com’ una mignatta ; 

E disse: Questa sia per pace fatta. 

5 Sorrise, e disse fra sé il Borgognone : 

O rabi, o ave, io so che tu ne menti. 

11 duca Namo, e ’l savio Salamene, 

Ottone, e gli altri parean malcontenti; 

Ed ebbon sempre fórma opinione. 

Che Gan pensassi a nuovi tradimenti: 

Ed avean detto il lor parere a Carlo, 

Che non dovessi a ’gnun modo mandarlo. 

6 Ma benché questa andata ognun pur danni. 

Lo imperalor non vi ponea l’orecchio; 

Chè quando egli è barbato per molti anni , 
Convien che molto possi un error vecchio; 

E par di sé medesimo s’ inganni. 

Chi s’ é sempre veduto in uno specchio: 

Era il tempo venuto al tristo pianto, 

Che Malagigi avea predetto tanto. 

7 Pareva a Carlo a suo modo dipingere 

Un uom, come era Gan, da queste pratiche. 

Da saper ben dissimulare e tìngere. 

Dove a trattar s’ avea cose rematiche : 

E ’l traditor si faceva sospingere. 

Mostrando ornai che gli pesi le natiche. 

Ch’era pur vecchio e molto cagionevole; 

Si che la scusa parca ragionevole. 

8 E diceu: Manda il fìgliuol di Milonc, 

A trattar queste cose della Spagna, 

Ch’a lui più crederrà Marsilione. 

E non dicea dove sta la magagna. 

Che questo tordo avea bianco il groppone. 

Da rimanere alla pania o la ragna; 

('ioé prigion da non lasciare in fretta : 

E mostrògli più volte la civetta. 






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248 



IL MORUANTE MAGGIORE. 



9 Perché e’ pensava: se costui vi resta, 
Marsilio arà ciò che vuole a sua posta 
Sanza metter più lancia in su la resta, 

E dirà a questa eh’ ella è buona posta ; 

E conosceva la spiga alla resta, 

Ché Falseronc ha veduto alla posta, 

E le sue maliziette avea ben conte, 

E consigliava che v’ andassi il Conte. 

40 Dicendo a Carlo: Il re Marsilio sa, 
Ch’Orlando é malcontento, perché e’ fu 
Colui che in ver la Spagna acquistata ha, 

E morto Serpentino e Ferraù : 

lo ti dirò la pura verità, 

Io il manderei sanza pensarvi più : 

E basti : io dico : io so : tu intendi : mandalo , 
Chè potrebbe pur nascer qualche scandalo. 

41 E nel partir avea detto ad Orlando: 

Io so che ’l mio signor qualche giannelto ' 

Ti manderà in qua presto, perché, quando 
Io mi parti', già me l’aveva detto. 

Cosi di giorno in giorno cavalcando 
Scn va con Falseron quel maladetto; 

Ed avea l’arco e l’ archetto parato, 

E aspettava d’ esser domandato. 

13 Domandò Falseron più volte, come 
E’s’intendea con Orlando il Marchese; 

E quando e’ crede averlo per le chiome, 

La nebbia strinse, e fumo e vento prese, 

Ch’a Siragozza vuol condor le some. 

Gano e’ rispose : Messer Albanese , 

E salta pur di Bacchinone in Arno , 

E il Bacchinone é chi tentava indarno. 

13 Intese Falseron, come discreto. 

Che Ganellon con Marsilio riserba 
A scoprir della mente il suo segreto, 

E ruminava altro che Geno o erba ; 

Si che forse meglio era starsi cheto , 

Perchè e’ vedeva ancor la sorba acerba : 

Ed avea d’Ulivier notato il molto, 

E ’l bacio dato come Scariollo. 



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. CANTO VBNTÉSUfOQOINTO. 249 

44 £ scrisse al re Marsilio, che veniva 
Imbasciadore il signor di Maganza , 

Che porterà la palma coll’ uliva, 

Che r onorassi più. su che I’ usanza ; 

Che forse i suoi pensier verranno a riva , 

£ insino a qui n’avea buona speranza , 

Se si meliessi diligenzia a queslo : 

Ch’a bocca poi gli chioserebbe il testo. 

45 Quando Marsilio intese come Gano 
£ra mandalo, come falsa rozza. 

Per onorarlo ogni signor pagano 

£ tutta la sua corte insieme accozza : 

Intanto trapassando un colle, un piano, 

S’ appressa Ganellone a Siragozza : 

Sicché Marsilio si parli in persona, 

£d ognun seguitava la corona. 

46 Quindici miglia fuor della cittale 
Venne Marsilio incontro a Ganellone , 

Con tulle le sue gente ammaestrate. 

Che giunti, ognuno smonti dcirarcione; 

£ molle cerimonie ebbe ordinale, 

£d acconciossi in bocca Cicerone , 

£ scese in terra, come appresso è giunto; 

Ma Ganellon sapea la soia appunto. 

47 £ disse: Che vuoi tu, Marsilio, fare? 

Non debbe al servo far per certo queslo 
Il mio signor che mi dee comandare: 

£ dismonlalo della sella, presto 
Si volle al re Marsilio inginocchiare. 

Se non eh’ e’ disse : £’ non sarebbe onesto, 

Sendo mandato dal tuo imperadore. 

£d abbracciarsi con sincero amore. 

4S Tutti i baroni in terra inginocchiati 
Ganellone abbraccioron con gran festa; 

£ poi eh’ e’ furon tutti rimontali , 

Si trasse il re Marsilio una sua vesta 
Dove eran certi falcon ricamati, 

£ messe al conte (ìano indosso quésta 
Colle sue man con gran magniflcenzia. 

Per dimostrar maggior benevolenzia. 



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280 



IL M0R6AMTB MAGCIORB. . 



19 Poi gli dicea pel cammin ragionando : 

Come sta Carlo? eh* è del daca Namo ? 

Ch’ è d’ Ulivier? eh’ è del mio caro Orlando ? 
Ora ecco il nostro Gan qui ch’io tanto amo. 
Ecco il tuo Bianciardino; e cavalcando 
Àvea sempre alla bocca o l'esca o l’amo: 

E il trailitor gli ride l’occhiolino, 

Ed abbracciò più volte Bianciardino. 

20 Ma poi che furon presso alla città, . 

L’ alla reina e molle damigelle 
Incontro venne, e grand’ onor gli fa; 

E saltan tutte della sella quelle : 

E Ganellon dicea Ser Benlesà: 

Cadute in terra qua mi par le stelle, 

O le ninfe fuggite di Diana. > 

Disse la dama : Ch’ è di Gallerana T 

2 < Rispose il conte Gan: Magna regina , 
Gallerana m’ impose una imbasciata. 

Che bench’ ella sia fatta parigina. 

Non ba la patria sua dimenticata ; 

E forse assalleravvi una mattina 
A Siragozza, e non sarà aspettala. 

Ch’ogni uccello abborrisce al suo nimico, 

E riveder s’ allegra il nido antico. 

22 E nel partir mi diò questo gioiello; 

Ma maggior cose disse arrecherebbe. 

Rispose presto la reina a quello : 

Gallerana farà quel eh’ ella debbe , 

Di riveder la patria e ’l suo fratello, 

Che so che poi contento si morrebbe ; 

E ciò che manda lei, sia il ben venuto, 

E cosi quel da eh’ io I’ ho ricevuto. 

23 Per Siragozza si facevan balli, 

E giuochi, e personaggi, e fuochi, e tresche, 
E chi correva dinanzi a’ cavalli ; 

Buffoni e scoccobrin fanno moresche; 

E geltan da’balcon fior bianchi e gialli, 

Le dame addosso alle gente francesche, 

E lutti i moricin gridon per ciancia : 

Mongioia, o Carlo, e San Dionigi, e Francia. 



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CANTO VENTESIMOQUINTO. 251 

34 E pareva quel s;iorno veramente, 

Che tornò Furio alla città degna alma, 

Che correva a veder tutta la gente, 

E non mancò se non gittar la palma : 

Ma cosi tosto sarà ancor dolente ' 

Questa città, eh’ oggi parea si in calma , 

E reputava sua salute Gano, 

Che dovessi portar la pace in mano. ' 

25 Era il palazzo del re Bianciardino 
Presso alla corte di Marsilione : 

Il re con tutto il popol saracino 
Accompagnoron quivi Ganellone, 

Acciò che qualche diavoi tentennino 
Tentassi Gan, ch’era la tentazione; 

E cosi va Furcifer con Fnreifero, 

Da poi che ’l diavoi vuol tentar Lucifero. 

26 L’ altra mattina il consiglio adunalo; 

Marsilio fece una sedia parare 

D’ incontro a sé, perchè il sinistro lato 
Non si potessi dal destro notare ; ' 

E Gan con grande onor fu accompagnalo,, 

E tutto il popol veniva ascoltare 
Lo imbasciador, che di Francia è venuto; 

Ch’ ognun s’ avea della pace creduto. 

27 Posti a sedere il re Marsilio e Gano, 

Quivi era Falserone, e Baluzante, 

E Bianciardino appresso, e Gallerano, 

E lo ArcalifTa, ed alcuno Ammirante: ' 

Guardalo un tratto il gran popol pagano. 

Quel traditor, che le sa tntte quante, 

Rivolse il viso al re Marsilione, 

Poi cominciò le sua degna orazione. 

28 Quel vero Dio, che fece la natura, 

E dette prima alle angeliche squadre 
La forma, il loco, il moto,’ e la misura. 

Poi nel campo Amascen fe il nostro padre ; 

Che crealo non fu, ma creatura, 

Onde tutti dannò la prima madre ; 

Salvi e mantenga il bel vessillo e degno 
Del re Marsilio in grande stalo e regno. 



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2S2 



IL HOKGANTE MAGGIORE. 



29 Del mio signor l’alta corona e magna 
Mi manda a le, famoso Saracino, 

A far la pace, e renderti la Spagna, 

Come trattalo fa con Bianciardino ; 

Cioè sotto tua insegna si rimagna: , 

E giura a te per I’ ossa di Pipino, 

Che vuol che questa sia, poi che ti piace. 
Ultima, vera e intemerata pace. 

30 Ma perchè e’Saracin vengon da Sarra, 
Che non tenne la legge di Macone, 

Come la vostra bibbia e nostra narra. 

Vuol che tu abbi la juridizione ; 

Cioè che tu comandi, imperi, c garra. 

Ma che più oltre non sare’ ragione. 

Che chi è battezzato si sbattezzi. 

Acciò che Cristo non si scandalezzì. 

31 E perchè al conte Orlando fu promesso 
Di coron arlo di questo paese. 

Sappi eh’ Orlando il primo m’ ha commesso, 
E mostro il petto a|)crto e ’l cor palese. 

Che vuol che sia tutto tuo regno espresso : 

E non guardar che giurassi al Marchese, 

Non menar la sua sposa Alda la beila. 

Se già non fussi coronata quella. 

32 Dunque, Marsilio, tu non hai perduto 
D’avere il Mainetto tuo allevalo. 

Che si ricorda ben, come è dovuto. 

Quanto in tua corte tu l’abbi onorato ; 

E pentesi aver teco combattuto : 

Se non eh’ e’ dice : il tempo è pur passato 
Con fama, insin che l’uno e l’altro è veglio 
Ed ogni cosa reputa pel meglio. 

33 Da ogni parte che tu vuoi, Marsilio, 

Ti proverrò che Carlo t’ama e stima. 

Perchè molto conforme è il tuo ausilio, 

E per l’altra ragion ch’io dissi prima. 
Quando tu I’ allevasti come fìlio : 

E se tu ti levassi troppo in cima 

Tra le guerre di Francia c della Spagna, 

Quando si i>erdc, c quando si guadagna. 



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CANTO VBNTESIMOQCINTO. 



253 



34 Ma sempre assai s’ acquista d’ ogni parte, 
Cioè che vi s* acquista esperienzia : 

Carlo ha ben Ietto nelle antiche carte, 

Ed Alcuin fatta ha la sapienzia, 

£ legge in ogni facultate e arte ; 

Per tanto io fermerò questa sentenzia, 

Che non s’acquista sanza ostacol fama, 
Perchè l’ una virtù l’ altra a sè chiama. 

36 E però consigliava Scipione, 

Che si dovessi conservar Cartagine, 

Acciò che Roma avessi oppugnazione 
In terra, e cosi in mar qualche voragine. 
Per non istarc in ozio le persone. 

Se surgessi d’ Annibai qualche immagine : 
Perchè e’sapea ch’ogni virtù quel doma, 

E che doveva ancor far cader Roma. 

36 Dico cosi, che il tuo certame o gara 
Con Carlo l’uno e l’altro ha fatto degno, 
Chè combattendo e vivendo s’ appara, 

E intanto onor s’acquista, fama e regno; 
Però la tua grandezza gli fìa cara. 

Poi che tutto riesce al suo disegno : 

Vera cosa è che pel regno di Francia 
Più sicura è la pace che la lancia. 

37 E perchè Falseron detto ci avea. 

Come tu avevi già le gente armate 
In punto, poi che sentisti d’ Antea; 

E la ragion che non furon mandate. 

Fu eh’ ognun già del Danese sapea; 

Carlo ringrazia la tua maestate, 

E offerisce a te, quando e’ bisogna, 

La Francia, la Brettagna e la Borgogna ; 

58 Inghilterra, la Fiandra, e sua possanza, 

I paladini, e tutta la sua corte, 

E tutte le mie forze di Maganza, 

£ in un corpo due anime consorte, 

Pace, lega, amicizia e fratellanza. 

Che divider non possa altro che morte, 

Aller allerius onera portando; 

E cosi confìrmato ha il nostro Orlando. 



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284 



IL MOROANTB MAGGIORE. 



39 Molte altre cose ancor Ganellon disse, 

Che fe’ maravigliar chi intorno ascolta, 

£ replicò tutte le guerre o risse, 

Che Demostene parve a quella volta ; 

E donde prima l’ origin venisse ; 

Tanto che fu quest’ orazion raccolta, 

E scritta, e mollo commendalo quello 
Che gl’ inlinse la lingua nel cervello. 

40 E lenlò insin della Fede Marsilio, 

Dicendo : A le sol una cosa or manca, 
Perchè l’ anima tua ne va in’ esilio. 

Giù nell’ Inferno , dove è Malabranca ; 
Ricognoscere il padre vero e ’l Glio : 

(Guarda se polea poi ciurmare in panca !) 
Che se tu confessassi il ver Vangelo, 

Tu saresti felice al mondo e in cielo. 

41 Tutto faceva il Iraditor con arte, 

Ch’ un certo Sanlaficca parer vuole: 
Marsilio, come e’ venne a questa parte. 
Mostrò che l’avea tocco dove e’ duole, 

E disse : Ognun si legga le sue carie. 

Chè conobbe di Gan ben le parole: 

E fece la risposta egregia e magna / 

Di Carlo, e della pace, e della Spagna. 

42 Poi fìnse una sua certa novellella : 

In una selva presso a Siragozza, 

Per quel ch’io ndi’ già dir sendo in Tolletta, 
Dove ogni negromante si raccozza, ■ 

£ una buca nello entrare stretta, , 

Ma poi sotterra molto spazio ingozza. 

Dove stanno a guardar sei gran colonne 
Certi spirti gentil con varie gonne, 

43 L’ una colonna dicon che par d’ oro. 
L’altra d’ argento, e poi rame, e poi (efro; 
L’altra è di stagno lutto poro e soro ,; .jt 

E r ultima di piombo, s’ io non erro : . ^ 
Io non credetti alcun tempo a costoro, . - ' 
Però che il ver colla ragion l’ afferro ; , 
Sicché già molti vi mandai in effetto,.^,. 

E ritornali cosi m’ hanno detto ; , yj* is- - 



Diyi;;.. i,vvìoo;^k 



CANTO VENTESIMOQUINTO. 



255 



41 Queste colonne son significate 

Per le sei Fede, e quella d’oro è prima: 

L’ altre, secondo poi le qualitate, 

Di grado in grado più e men si stima ; 
Quivi son le carattere segnate. 

Di cui convien ch’ogni anima s’imprima, 
E la Fede sua elegga in questo chiostro 
Prima che infusa sia nel corpo nostro. 

4ò Gli spiriti che guardan questo loco. 
Mentre l’ anime passano, ognun priega; 
Elle sen vanno come uccello a giuoco, 
Volgonsi a quella ove il desio le piega ; 
Perché ancor semplicette sanno poco, 

Ma pur libero arbìtrio non si niega ; 

Quella cb’ abbraccion , poi la fede è loro : 
Bealo a quel eh’ abbracciato arà l’ oro. 

46 Io parlo per parabola , chi intende, 
Ch’io so che tu se’ pur quel Gano antico, 
A cui bianco per nero non si vende, 

E non si scambia il dattero col 6co ; 

Ma soprattutto un giusto amor raccende. 
Di riveder si caro e vero amico : 

E ringrazio colui che l’ha mandato. 

Non so se Carlo, o dal cielo ordinalo. 

47 Poi che il parlar tra costor fu finito, 

E partito il gran popol saracino. 

Il conte Gan con gran corte n’ è ito 
Al bel palazzo del re Bìanciardino: 
Marsilio fece un solenne convito 
L’altra mattina ordinar nel giardino, 

E Gan vi venne e portò quella vesta 
Cbe gli donò, per far più allegra festa. 

48 Ma dentro nella mente sua lavora 

Un pensier, ch’era amaro, oscuro e fosco; 
E dicea: Che farò? pentomi ancora: 

Questo peccato, poi ch’io lo conosco, 

' Tanto è più grave ; e già s’ appressa l’ ora. 
Ma r anima avea già bevuto il tosco : 

E non isperi ignun con Dio concordia, 
Passato il segno di misericordia. 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 

49 O sodalizio, 0 nialadetlo loco, 

Dove fa perpetralo tanto male I 
Vennon quante vivande e feste e giuoco 
Richiedeva il convito trionfale, 

E ciò eh’ io ne dicessi sare’ poco : 

Il traditor crudele c micidiale. 

Benché lutto turbalo è in suo segreto, 

Si dimostrava il di più che mai lieto. 

50 Avea da Falseron Marsilio inteso 
Ciò che Gan pel cammino aveva fatto, 

E che nel parlar suo poco ha compreso ; 
Se non che tanto n’aveva ritratto. 

Che gli pareva vederlo sospeso, 

E non mostrassi quel che drente è piatto 
E che volessi a lui dir qualche cosa 
Che ancor nella sua mente era dubbiosa. 

51 E Bianciardin, ch’era con Gan mollo 
Provalo avea, per iscalzargli il dente. 
Tutti i suoi ferri, e poi del tarabuso 

Gli artigli, e non avea fallo niente; 
Sicché .Marsilio restava confuso, 

Che interpelrar noi polea facilmente ; 

E conosceva, che v’ è macchia e dolo ; 
Ed accordàrsi che e’ tentassi solo. 

52 Dopo molli piacer, solazzi e balli. 
Canti, giuochi, butfon, come é usanza, 

E corso cervi , alepardi e cavalli , 

Per onorare il signor di Maganza; 
Marsilio chiamò a sé certi vassalli, 
Perchè s’aveva a ballare altra danza, 

E tìnse che la festa ornai rincresca , 

E ordinò eh’ ognun fuor del parco esca. 

53 Rimasi soli Marsilione e Gano, 

Il re si volse con allegra fronte, 

E disse : Imbasciador, presa la mano. 

Tu sai il proverbio: la mattina' il monte 
Vicilare alle volle è grato e sano ; 

Poi verso sera vicilàr la fonte. 

Era già vespro e più che mezzo il giorno 
E cosi inverso una fonte n’ andorno. 



CANTO VENTESIMOQOINTO. 

6A Posti a sedere e rigaardato un poco, 
Laudò la fonte Gan, ch’assai gli piacque, 
Però che lutto è circondato il loco 
Di pomi, e fresche e cristalline Tacque; 
Ma non polerno spegnere il gran foco 
Onde principio al gran peccato nacque : 
Poi cominciò Marsilio come amico 
A ragionar con Gan del tempo antico. 

55 E cominciossi insin dal Mainetto, 

E come Gallerana amassi quello. 

Mentre ch'egli era in corte giovinetto 
Molto pronto, leggiadro, e savio e bello; 

E come prima s’ avvide, nel petto 
Ardea di questi amanti Mongibello, 

E che per gentilezza tacer volse 
Di quel che in verità spesso gli dolse. 

66 E che pensava d’aversi allevato, i 
Nón altrimenti che ’l suo Zambugeri, 

Un altro figlio di lui proprio nato, > 
Perchè lo tenne in corte volentieri 
E molto fu alcun tempo onorato ; 

E che fatti gli avea molli piaceri: 

Poi gli volse la punta della lancia, ' 

Come in mano ebbe lo scettro di Francia. 

67 E disse poi delle guerre passate; - ^ 

E quante ingiurie gli avea fatte Carlo 
Onestamente furon ricordate; 

Dicendo : A sicurtà con teco parlo ; 

Con parole pur destre accomodate. 

Per mostrar come al cor gli rode un tarlo, 
A ricordarsi del tempo preterito, 

E ch’aveva da lui cattivo merito. 

68 E che gli aveva tre volte la Spagna 
Tolta, e volea pur coronarne iTConte; 

E ricordava al signor di Magagna, 

Non di Maganza, tutte le sue onte; 

Che per veder se Marsilio si lagna 

Da beffe, gli occhi affisa nella fonte : 

E non guardava sè, come Narciso, 

Ma gli atti e’ gesti di Marsilio al viso. 



22 * 



2«8 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



69 E Marsilio anche, poi che vide allento 
Gano in su questo, riprese speranza, 

G le vele adattò secondo il vento, 

E mutò presto nuovo suono e danza; 

E mostrò che il valor suo non è spento, 
Ch’avea tesoro ancor mollo e possanza, 

E come e’ fussi Orlando un giorno morto. 
Che mostrerebbe a Carlo egli avea il torto. 

60 Questo dicea, come prudente, quello, 
Per veder se alla trappola guidarlo 
Volea quel Iradilor malvagio e fello, 

Che poco poi si curava di Carlo : 

Ma come egli ebbe tocco quel zimbello. 
Non bisognò più Gano stuzzicarlo. 

Nè tirar si che si spicchi la coda, 

E il capo alzò pien di malizia e froda. 

61 Quest’ultimo parlar fu quella chiave 
La qual con mille ingegni aperse il core 
A Ganellon, tanto volse soave: 

E sospirò più volle il traditore, 

Come chi cosa dir vuol dura e grave ; 

Poi disse: O savio, astuto tentatore, 

Che mi costringi a scoprir le mie colpe. 
Noi sarem, veggo, in un sacco due volpe. 

62 Tu vuoi che muoia Orlando, e cosi sia, 
£ Ulivieri; e sai della guanciata 

Che mi diè in corte, e della ingiuria mia. 
Che nel core e nel volto è ancor segnala : 
E Falseron credette per la via 
Avermi , e Bianciardin qui la ballala 
Più volle ha ribeccala , e ’l suo palagio 
Mi desti, chè a tentar quello avessi agio. 

63 E Falseron fe’ in Francia l’abbracciate 
Col conte Orlando ; e del suo Ferraue 
Furon tutte le ingiurie perdonate; 

Non so se colla lingua o col cor fue : 

Tutte le vostre astuzie ho ben notale : 

E ritentò più d’ una volta e due. 

Se li poteva in qua guidare Orlando ; 

Però il venne co’ baci sciloppando. 



Digi 



CANTO VENTESIMOQUINTO. 

61 Ma perchè fòrmicon vecchio è di sorbo, 
Che non isbuca aU’accella o al marlello, 
Ta potresti aspettar, Marsilio, il corbo, 
Chè sai eh’ egli è molto malvagio uccello ; 
Ed ha con teco l’-animo si lorbo, y 
Ch’ a ^iragozza non verrebbe quello, 

Che si tien della Spagna ingiuriato. 

Donde e’ pensava d’ esser coronato. 

65 Ma s’ io> tei conducessi in Roncisvalle? 
Io non li chieggo, come Giuda, argento; 
Ma vuoisi queste cose ben pensalle, 

E misurar non che una volta cento ; 

Chè questo'è grave peso alle mie spalle: 
Nè vo’ che sia chiamato tradimento,' 
Ch’io porlo d’ Ulivier nel viso il segno, 

E lecito ogni cosa è per isdegno. 

66 Quando Marsilio intese Ganellonc, 

Che va su per la fratta a buon 'cammino , 
Parvegli tempo a metter l’artimone, 

E non calare or più il limon Ialino ; 

E va per Bianciardino e Falserone, 

Per un uscio segreto del giardino ; 

E ritornò dove il malvagio conte 
Ganellone aspettava a quella fonte. 

67 E replicò ciò che gli aveva dello. 

Però che a questi nulla era segreto ; 

E come egli avea aperto il core e ’l petto, 
E molto ognun di lor si fece lieto. 

O Iradilor ribaldo e maladello. 

Che non cura più Dio nè suo decreto I 
E disse : Tante (e n’ ho falle ornai, | ^ 
Cristo, che questa mi perdonerai. ^ 

6S L’ anima mia dove ella debbo gire, 
Credo che sia l’ alloggiamento or preso, 

E non può la sentenzia preterire ; 

Ulivier tante volle m’ha offeso. 

Ch’io non intendo viver nè morire. 

Che merito per merito fla reso : 

E s’ io non porlo questa ingiuria meco. 
Contento me ne vo nel mondo cicco. - 



260 



IL HOBGANTB MAGGIORE. 



69 Era Gan tradilor dì sua natura, 

Prescilo più che Giuda Scarìollo ; 

• Ma non ofTenda ignun senza paura 
Della vendetta, e noli bene il molto, 

Che per disperazion l’uom s’assicura, 

E dice : Se il disegno Sa pur rotto. 

Come fortuna alle volte ingarbuglia, 

Che fia? mori’ io, moria una mosca in Puglia. 

70 11 tradimento Gano ha disegnalo, 
Ch’Orlando in Roncisvalle venir debbe 
A ricevere un don che tìa mandalo, / 

Il qual sempre tributo poi sarebbe ; 

E Carlo appiè di Porlo abbi aspettato; 

E che quivi la pace si farebbe. 

Dove Marsilio andar vuole in persona 
E inginocchiarsi a sua santa corona. 

71 E che voleva infìn baciargli il piede, 

E far con lui sincera e vera pace ; 

E che se il Mainelto suo rivede. 

Dirà qual Simeon : Come a le piace, 

I.’ anima mia ornai. Signor, recede; 

E tulle cose, che parran capace, 

Digcsle, esaminate a parte a parie. 

Con mille scallrimenti e con mill’ arte. 

72 Orlando in Roncisvalle, come io dico, 

Per fare al re Marsilio compagnia. 

Che paressi deposto ogni odio antico, 

E il tributo ricevere, il qual fla 
il Le frutte amare di Frate Alberico. 

Il Ma mentre Ganellon questo dicia, 

Jl Cadde la sedia ove Marsilio siede, 
t E la cagion non s’ intendeva o vede. 

73 Ma miraeoi non è quel che il ciel vuole: 

Poi appariron gran prodigi e segni, 

E si turbò in un tratto in aria il sole; 

E’ nugoli, che d’acqua eran già pregni, 
Cominciorno a tonar, come far suole 
Quando par Giove più crucciato sdegni : 

E vento c furia e grandine e tempesta 
Subito apparve : o Dio, gran cosa è questa 1 



DigitÌ2edb)Co^k 



CANTO VENTESIMOQDINTO. 

74 ' £ mentre spaventali eran costoro, 

Venne una folt^or che cadde lor presso, 

La qual percosse di cima un alloro, 

£ abbruciollo, e insi no in terra è fesso. 

O Febo, come hai tu que’ bei crin d’ oro 
Cosi lasciato fulminare adesso? 

Dunque i suoi privilegi il lauro or perde. 
Che per ogni stagion suol parer verde? 

75 Disse Marsilio: O Macon, che fia questo? 
Chè certo esser non può sanza misterio; 

O Bianciardino, io ti dirò il ver presto. 
Questo è cattivo augurio al nostro imperio. 

< Intanto venne un Iremuolo rubesto. 

Che scosse questo e quell’ altro emisperio ! $ 
Falseron si turbò tutto nel volto, 

£ anco a Bianciardin non piacque mollo. 

76 Ma per paura nessun non si mosse : 

In questo mezzo sopra loro apparse 
Un vampo, che parca di fuoco fosse ; 

£ r acque viddon traboccate e sparse 
Fuor della fonte, che parevon rosse ; 

£ ciò che quelle toccorno, tutto arse: 

Sicché d’intorno abbruciò la gramigna, ' 
Chè r acqua bolle, e pareva sanguigna. 

77 £ra disopra alia fonte un carrobbio, 
L’arbor, si dice, ove s’impiccò Giuda: 
Questo più ch’altro misse Gano in dubbio, 
Perché di sangue gocciolava e suda. 

Poi si seccò in un punto i rami e ’l subbio. 
Sicché di foglie si spogliava e muda ; 

£ cascò in capo a Ganellone un pome. 

Che tutte quante gli arriccia le chiome. 

78 Gli animai che nel parco eran rinchiusi 
Cominciorno tra lor tutti ad urlare ; 

Poi si rivolson musi contra musi 
£ insieme comincioronsi a cozzare : 

E cosi stetton gran pezzo confusi 
Marsilio e gli altri le cose a mirare, 

£ non sapeva ignun quel che si facci. 

Tanto l’ira del ciel par che minacci. 



202 



IL MOHGANTE ‘MAGGIORE. 



79 Ma benché nel giardin le triste aguria ‘ 
Apparissin, di fuor non fu sentito 

Per la città, nè da’ baroni in curia, 

Ondo Marsilio è poi più sbigottito : 

£ poi che fu passata questa furia, 

E ognuno era attonito e smarrito, 

(Cominciò Bianciardino a eonfortargii. 

Ed a suo modo i segni a interpetrargli. 

80 E mostrò con sua arte e sua dottrina. 

Che questi segni appariti si strani 
Dinotavan l’incendio e la mina, 

E ’l sangue che fìa sparlo de’ Cristiani ; 

Ma Ganellone altrimenti indovina, 

* f ^ ^ E ben conobbe gli argomenti vani : 

E tutta quella notte insino al giorno 
Varie cose alla mente ebbe d’ intorno. 

SI E combattè col senso la ragione. 

Poi vinse sua natura maladetta: 

L’ altra mattina il re Marsilione 
Mandò per tutti i savi di Tolletta, 

('oine colui eh’ è in gran confusione, 

Che dovessino a luì venire in fretta ; 

E non si fida a Bianciardin di questo, 

Chè non s’ accorda ben la chiosa e ’l lesto. 

82 A Siragozza vennon tulli quanti, 

A disputar sopra questa malera, 

Magi, aslrolagi e molli negromanti, 
Vaticini, e auruspi, che ve n’ era 
Gran copia allora, e famosi e prestanti : 
Marsilio contò lor la cosa intera, 

E comandò che debbin dire a quello 
Il ver, come a Nabucco Daniello. 

83 Furono insieme adunque gl’indovini, 

E disson, dopo molto disputare, 

, Che si polea per Carlo e’ |)aladini 
Il sangue e queste cose inlerpetrare. 

Come contro a Marsilio e’ Saracini ; 

E d’ alcun easo poi parliculare 
Ebbon tra lor diverse opinione; 

Pur fecion tulli una conclusione. 



CANTO VENTESIMOQCINTO. 263 

84 La folgor che l’alloro avea percosso, 

Interpetrar si polca facilmente, 

Chè Cesare o poeta, e non nom grosso, 

Si solea coronarne anticamente; 

Però sarebbe uno. imperio rimosso: 

Poi disse un vecchio, tra lor sapiente. 

Che del carrubbio il caso era si strano. 

Che lo lasciava interpelrare a Gano. 

85 Questa parola a Gan dette terrore. 

Più che non fece il fatto per sé stesso : 

Non so se pur questo indovinatore 

Si disse a caso, come avviene spesso, 

O conosceva Gan per traditore. 

Gan gli rispose: Egli è più tuo interesso 
Che ogni cosa a Marsilio distingua,' 

Che si vorrebbe cavarti la lingua. 

86 Riprese il re Marsilio il negromante, 

E dette a tutti alla fine licenzia ; 

E accordàrsi e’ si traessi avante 
Il tradimento con gran diligenzia, 

E che si metta la gente affricante 
In punto, e tutta la lor gran potenzia : 

E soprattutto ognun di loro intese 
Che si levassi di Spagna il Danese. 

87 Intanto Ganellone a Carlo scrisse. 

Com’egli aveva la pace ordinata, 

E bisognava che Orlando venisse 
In Uoncisvalle colla sua brigata ; 

E del tributo e d’ ogni cosa disse, 

E replicò tutta la intemerata ; 

E che venissi appiè di Porto presto. 

Dove aspettar Marsilio pare onesto. 

88 E disse: Il re Marsilion ti manda 

Un don che sare’ degno in cielo a Giove, 

Una ricca corona, una grillanda. 

Con un carbonchio mai più visto altrove. 

Che riluce la notte d’ogni banda, 

Quand’ella è bene oscura, e quando e’ piove; 

E oltre a questo una ricca collana 
Di pietre preziose a Gallerana. 



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264 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



8» Mandagli un vel, eh’ è tulio lavorato 
D’oro e di seia, e drenlo al foco imbianca, 
E però Salamandra è appellato ; 

Dove alcuno scrillor forse qui manca : 

Un dente d’elefante smisurato, 

E di serpente un corno e una branca, 

Due selvaggi lion fuor di misura. 

Che a ognun fanno a vedergli paura. 

90 Pel parco ancor molti destri alepardi, 

Che in pochi salti raggiungon le fiero, 

E tigri e cefi c bissanti gagliardi, 

E coccodrilli e giraffe e pantere ; 
jMóndati tanti starobecchini e dardi. 

Turcassi e archi di mille maniere, 

Brenuzzi e cinti e molti cordovani, 

F<alcon, girfalchi, e ghezzi e cani alani. 

91 E poi che fur caricati i cammelli 

Di ricche merce e d’ogni arnese vario. 
Bertucce e babbuini e soprasselli , 
V’aggiunse il re Marsilio un dromedario. 

Il qual t’arrecherà tanti gioielli, 

Che non avea tanto tesoro Dario , 

E s’ io il dicessi, e’ non sare’ creduto; 

E questo Ga poi sempre il tuo tributo. 

92 Mandati ancor due spiriti folletti, 

Floro e Paresse, e fiarlerai con loro 
In uno specchio dove e’ son costretti , 

E molte cose degne dirà Floro: 

Cento bianchi destrier, cento giannetti. 

Con tutte le lor selle e briglie d’ oro. 

Al conte Orlando, c molle carovane 
Di drappi, arnesi e cose soriane. 

93 A Ulivieri una leggiadra vesta. 

La qual tutta di gemme è ricamata : 

Dieci mila seraflì o più vai questa. 

E poi che fu la pace divulgata, 

Per Siragozza si fa fuochi e festa, 

E tutti i gran signor della Granata 
Vengono a corte a Marsilio adorarlo, 

E non si grida se non pace e Carlo. 



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CANTO VENTKsmOQUIKTO. 2GK 

94 Credo per grazia il eie! in’ ha riserbalo 
A (anlo bene, innanzi eh’ io sia morto: 

E parmi il luogo che s’è disegnalo, 

Di venire a San Gianni piè di Porlo, 

Che sia proprio al bisogno accomodalo ; 

Ma io sarò costà, credo, di corto : 

Intanto fa che la tua corte adorni, 

E che tu scriva al Danese che torni. 

95 La lettera il messaggio appresentoe 
A Carlo, e mai non si vide più lieto, 

E nel consiglio a tulli la mostroe, 

E chiama Ganellon savio e discreto: 

Ma Namo già non se ne rallegroe; 

E giudicava ognun nel suo segreto. 

Che Ganellon gillassi il giacchio tondo 
A questa volta, e che toccassi il fondo. 

96 E perchè Orlando andato era in Guascogna , 

E non voleva a Parigi più stare. 

Ed avea seco il duca di Borgogna ; 

Carlo gli scrisse eh’ e’ dovessi andare 
In Roncisvalle presto, ove bisogna 
Il re Marsilio e ’l tribolo aspettare : 

E che e’ dovessi deporre ogni sdegno,' 

Chè non gli mancherebbe stato e regno. 

97 E mandògli la lettera, che scrisse 
Gano ; e giurava per la sua corona , 

Poi che son terminale l’ aspre risse. 

Ed Antea ritornata a Babillona , 

Benché d’accordo di Francia partisse, 

(Lhe gli voleva rilorre in persona 

E Babillona e Persia e la Soria, 

E dar di tutto a lui la signoria. 

98 Chè, poi ch’egli era il campion ver di Cristo, 
Volea che ’l suo sepolcro lui guardassi. 

Che tolto aveva a’ nimici di Cristo : ___ 

Per tanto al tutto in Roncisvalle andassi ; 

E perchè tanto umiliossi Cristo, 

A Marsilio ancor lui si umiliassi : 

(Vedi s’egli era all’usato pur cieco I) 

E che menassi il conte Anselmo seco, 
t. 23 






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266 



IL 'horgantb maggiore. 



Questo è quel conte Anseimo, che si dice 
Che in Roncisvalle fe’ mirabii cose, 

Donde l’ anima in ciel n’ andò felice. 

Orlando in man la lettera ^li pose. 

Ulivier questa andata contradice ; *' 

Ma poi seguire Orlando si dispose, ' 
Perchè pur era una volta cognato, 

E lungo tempo l’ avea seguitato. . 

Or oltre in Roncisvalle Orlando va. 

Per obbedir, com’ e’ fe’ sempre, Carlo : 

Non so se Rafael con lui sarà ; 

Cjedo che si, chè non dovea lasciarlo: 

Forse che no; ma pinttosto verrà 
Cogli altri in paradiso accompagnarlo, ' 
Dove r anima giusta e benedetta 
Nella gloria de’ martiri s’ aspetta. 

Rispose a Gan lo imperàdor, eh' avea 
Ogni cosa ordinato, e la pa^enza 
Il tal di di Parigi esser dovea, 

E commendava la sua diligenzia. 

^r come il traditor questo intendea. 

Dal re Marsilio pig%va licenzia; 

<, Enel partire ordinavà^gni cosa. 

Acciò che a tempo fiorisca la rosa. 

102 E reputava Gan tanto gagliardo 
Orlando, che gli parve e’ bisognassi 
Cento mila Pagan nel primo sguardo ; 

Nella seconda schiera ne cacciassi 
Dugento mila, e poi nel retrogoardo 
Altrettanto di tutti non mancassi : 

Chè il terzo di, se la battaglia dura. 

Ognuno arebbe d’ Orlando paura. 

, 103 E disse: Intendi ben quel ch’io ti dico, 

Marsilio; a questa parte abbi rispetto. 

Però che e’ fu fatato per antico. 

Che il terzo di nessun gli regge a petto ; 

E so che prezza poco ogni nimico; 

£ Carlo molte volte me I’ ha detto, 

Ch'e’fu fatalo iniìno in Aspramonte, 

Al tempo d’AgoIante e del re Almontc. 



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CANTO VENTESIMOQUINTO. 267 

i 04 E che colle sue man Tan^iol Michele 
Gli cinse quella spada Durlindana, 

E fecel cavalier di Dio fedele, 

Che difendessi la fede cristiana ; 

Benché alcun dica più dolce che mèle, 

Che fu San Giorgio e la Fata Morgana : 

Ma credi qualche cosa sia di questo, 

Perchè la pruova lo fa manifesto. ^ 

•105 * Orlando è uom che non are’ paura 
Di Marte, se venisse con sua insegna, 

E farà cose il di sopra natura. 

Ch’animo cesareo nel suo cor regna; 

E anche ci bisogna aver qui cura 
A Ulìvier, ch’io credo con lui vegna, 

E arà forse seco il conte Anseimo, 

Che miglior cavalier non s’ allaccia elmo. 

106 Però secento mila combattenti 
De’ miglior della Spagna ti bisogna : 

E non sia ignun che consigli altrimenti, 

Ch’ Orlando so ti farebbe vergogna : 

Parmi da far certi provvedimenti, 

E non ti paia cosa che si sogna ; 

Ché chi vuol quelle gente pigliar tosto. 

Come le pecchie gli pigli col mosto. 

107 Però si mandi innanzi caricali 

Di vino e vettovaglia assai cammelli. 

Che come e’ fieno un poco riscaldati , 

Al primo assalto vinceranno quelli ; 

Tanto che i primi Pagan fien tagliati. 

Poi torneranno di leoni agnelli ; 

Pur la seconda schiera fia ancor rolla; 

La terza no: tu vincerai allotta. 

108 Ma fa che in Roncisvalle sien per tempo. 

Prima che ignun la corazza s’ aflìbbi, 

Che non aran cosi d’armarsi tempo, 

E sconteranno i datteri e’ zibibbi ; 

Ché se le cose si faranno a tempo. 

Gli uomini son sanza arme come nibbi : 

Salvo che Orlando e’ paladin faranno 
Cose che scritte non si crederanno. 

A 






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268 



IL H0B6ANTE MAGGIORE. 



109 Poi disse Gano : Una cosa ci resta ; 
Baldovin mjo figliaol vi raccomando, 

Il qual verrà con la cristiana gesta, 

Però che e’ vuol sempre esser con Orlando. 
Disse Marsilio : La mia sopravvesta 
Gli porta e di cosi, ch’io gliela mando, 

E vo’ che sempre per mio amor la tenga, 

E che con questa in Honcisvalle venga. 

110 Poi che fu ordinato il tradimento, * • 

E recato la hibbìa e I’ alcorano , 

E dato a lutti quanti il sacramento. 

Da Siragozza si partiva Gano ; 

Marsilio volea dargli orò ed argento, 

Ma Ganellon non vi porse la mano, 

E fece un ben, che sarà il primo e ’l sezzo, 
Ché ricever non vuol di sangue prezzo. 

111 E tanto ha cavalcato il traditore. 

Che in pochi giorni a Parigi arrivava ; 

E come e’ giunse ov’é lo imperatore, 

Carlo l’abbraccia, e quasi lacrimava 
Di tenerezza che gli venne al core ; 

E Gan poi questo e quell’ altro abbracciava : 
Par che venga da far qualche sant’ opra, 

E tutta quella corte va sozzopra. 

112 Pensa, lettor, che il traditor rassetti 
Tutte sue bagattelle e sue bugie ; 

E mandragole e serpe e bossoletti, 

E polvere e cartocci e ciurmerie 
Mostrassi, e tutti sciogliessi i sacchetti: 

E lo stagnon dell’ utriaca aprie. 

Ma non mostrò, chè l’ha nascoso, e sallo. 
L’arsenico, il happello e il risagallo. 

113 E poi con Gallerana cicalava, 

E disse come la reina Blanda 

A Siragozza un giorno l’aspettava, 

E però molle cose non gli manda : ' 

Poi Carlo tuttavia sollecitava, 

' E sempre l’ onor suo gli raccomanda, 

E eh’ e’ menassi la sua corte adorna : 

E pure al fatto d’ Orlando ritorna. 






CANTO VENTESIHOQUINTO. 



269 



414 Carlo si studia, che par che Irafeii: 

Non dice come a Giuda : ad quid v enisti ? 

Chè Ganellon gli ha portati i Vangeli, 

£ son proprio di man de’ Vangelisti ; 

E non pensava a tanti amari Teli, 

Insin che gli fìa detto un dirupUti: 

Morto è Orlando e la sua gente tutta, 

E la tua Francia bella ornai distrutta. 

115 Io avevo pensato abbreviare 

La istoria, e non sapevo che Rinaldo 
In Roncisvalle potrebbe arrivare : 

Un Angel poi dal ciel m’ha mostro Arnaldo, 
Che certo uno autor degno mi pare, 

E dice: Aspetta, Luigi, sta saldo, 

Chè fìa forse Rinaldo a tempo giunto. 

Si eh’ io dirò come egli scrive appunto. 



116 E so che andar diritto mi bisogna, 

Ch’io non ci mescolassi una bugia, 

Chè questa non è istoria da menzogna; 

Chè come io esco un passo della via. 

Chi gracchia, chi riprende e chi rampogna. 
Ognun poi mi riesce la pazzia ; 

Tanto che eletto ho solitaria vita, 

Chè la turba di questi è infinita. ^ 

117 La mia accademia un tempo, o mia ginnasia, 
È stata volentier ne’ miei boschetti, 

E puossi ben veder l’ Affrica e l’Asia; 

Vengon le ninfe con lor canestrelti, 

E portanmi o narciso o cplocasia, 

E cosi fuggo mille urban dispetti : 

Si ch’io non torno a’ vostri- ariopaghi. 

Gente pur sempre di mal dicer vaghi. 

118 Poi che Malgigi vide Carlo Mano, 

Che come un bufol drieto al suo disegno 
Si lasciava guidar pel naso a Gano, 

Si parli da Parigi per isdegno, 

E fece l’arte usata a Montalbano, 

Per saper dove, in qual paese o regno, 

Si ritrova Rinaldo e’ suo’ fratelli, 

Chè lungo tempo non sapea di quelli. 



270 



IL HORGANTB MAGGIORE. 



-119 Uno Spirto chiamato è Asiarotte, 

Molto savio, tcrribii, molto foro, 

Questo si sta i;iù nell' infernal grotte ; 

Non è spirto folletto, egli è più nero : 

Malgigi scongiurò quello una notte, 

E disse: Dimmi di Rinaldo il vero. 

Poi ti dirò quel che mi par tu faccia ; 

Ma non guardar con si terribil faccia. 

120 Se questo tu farai, io ti prometto 

Cb’a forza mai più non ti chiamo o invoco, 
E d’ardere alla morte un mio libretto. 

Che ti può sol costringer d’ogni loco, 

Si che poi tu non sarai più costretto. 

Per che lo spirto, braveggiato un poco , 
Islava pure a vedere alla dura. 

Se far potessi al maestro paura. 

121 Ma poi che vide Malgigi turbato, 

Che voleva mostrar Panel dell’arte, 

E in qualche tomba P arebbe cacciato ; 
Volentier sotto si misse le carte, 

E disse: Ancor tu non hai comandato. 

E Malagigi rispose: In qual parte 
Si ritrovi Rinaldo e Ricciardetto 
Fa che tu dica, e d’ogni loro effetto. 

122 Rinaldo le piramide a vedere 
È andato di Egitto, gli rispose 
Questo dèmone; e se tu vuoi sapere 
Tutti i suoi fatti, io t’ho a dir tante cose. 
Che ’l sonno so non potresti tenere. 

Disse Malgigi : Delle più famose 

Notizia voglio, e però non t’ incresca ; 

Ma di più forte, acciò che ’l sonno m’esca. 

123 Rinaldo Fuligatto aveva seco. 

Disse Asiarotte, infino a qui l’ho detto. 
Quando altra volta ne parlai già teco; 
Guicciardo suo. Alardo e Ricciardetto 
Vollon veder tutto il paese greco, 

E poi passar d’ Ellesponto lo stretto, 

Perchè e’ sapevon per antica fama 
Del monte eccelso che Olimpo si chiama. 



CANTO VENTBSIMOQDINTO. 271 

124 E poi che e’ faron tre giorni montati, 

Perchè pure a salir si suda e spasima, 

Sendo in alto una notte addormentati. 

Uccise Fuligatto la fantasima : 

Credo ch’egli eran tanto aflaticali. 

Che per l’ affanno venissi quest' asima ; 

Chè il sangue al cor per le vene s’accolse, 

E cosi mal della impresa gli colse. 

I2ò Rinaldo il seppellì come e’ potea , 

E terminò pur di veder la cima ; 

Vide che sotto le nugole avea, 

E lettere gran tempo scritte prima 
In sulla terra scolpite leggea , 

Che vento o pioggia non par che l’ opprima ; 

Ma poi trovò, nello scendere il monte. 

Una strana Chimera ad una fonte. 

126 Uccise questa, che fu maraviglia, 

Chè mai nessun più non v’era arrivato, 

Ch’ affisar sul questo mostro le ciglia. 

Col guardo suo non 1’ avessi ammazzato : 

Poi verso il Cair rivolse la briglia. 

Poi vèr Damasco; e al GiafTo arrivalo. 

Volle vedere il sepolcro di Cristo. 

Benché il dia voi non dicessi Cristo ; 

127 Disse il sepolcro dei monte Calvario 
Poi lasciàr quivi ciascuno il destriere; 

E telson chi cammei, chi dromedario, 

E ’l monte Sinai vollon vedere: 

E perchè il vento si messe contrario. 

Fumo a perieoi di non rimanere 
Tutti annegati in quel mar della rena, 

E con fatica io passorno appena. 

125 E sopra a Sinai salili, e scesi 
Da quella parte ove il gran fiume corre, 

Vollon vedere anche molti paesi, 

E dove fu di NembroUe la torre ; j' \ 

Poi ritornali, e’ lor destrier ripresi. 

Saliti prima al bel monte Taborre, 

Trascorson fino in India al prete Ianni, 

E combalteron là molli e moli’ anni. 




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IL HORGiNTE MAGGIORE. 



^29 Tanto che sol v'era un signor rimaso, 

Il qual non si voleva battezzare, 

E ridurre alla fede di Tommaso: 

Ma perchè più non vollon soggiornare , 
Rinaldo se n’andò verso l’Occaso, . 
E volle il grande Atlante superare, odO 
^ Sanza curarsi o di fatica o gìeio, 

.Forse per torgli dalle spalle il cielo.-' 2 

130 Poi vide i segni che Ercole già pose, i 
Acciò che i navicanti sieno accorti 

Di non passar più oltre, e molte cose > ) 
Andò veggendo per tutti que’ poKit' ^ ^ 

E quanto eli’ eran più maravigliose, > ^ 
Tanto pareva più che si conforti: 

E soprattutto commendava Ulisse, 

Che per veder nell’ altro mondo gisse. ^ 

131 Or finalmente si tornò in Egitto, •>« * 

E ha molte provincie battezzate òdd 
Credo ch’egli abbi l’animo diritto,^ 

Di non tornar mai più in Cristianìtate 
E so che molte volte v’ ha qua scritto, \ 
Ma non ci son le lettere arrivate, 

Chè s’ egli avessi seco avuto Orlando, ^ ‘ 
Sarebbe mezzo il mondo a suo comando. 

152 Già era Malagigi stato attento ^ 

Tre ore o più, che quel demone ha detto, 
E disse: Non dir più eh’ i’ m’addormento 
Sol t’ ho chiamato per questo rispetto , 

Che lo vadi a Rinaldo in un momento,' 

E che tu porti lui con Ricciardetto , 

In Roncisvalle, dove aspetta Orlando 
E so che intendi , io te gli raccomando. 

133 Disse Astarolte: E’ non si fideranno. 
Rispose Malagigi : Entra in Raiardo; 
Rinaldo e Ricciardetto vi saranno : ^ 

Guicciardo non imporla, e cosi Alardo; 

E inverso Montalban si torneranno: 

Ma fa che a questo tu abbi riguardo, 

Che non rincresca a Rinaldo la via, 

E che in tre giorni in Roncisvalle siaT^. 




CANTO VKNTESIMOQUINTO. 



273 



134 Un’altra cosa li bisogna dire, 

Ch’io son da un pcnsier lutto smarrito, 

E non posso la mente mia chiarire: 

Tu sai che Carlo di Francia è partilo; 

Di questa andata che debbe seguire, 

Se Orlando in Koncisvalle fìa tradito; 

E quel che fece il Iraditor di Gano 
A Siragozza col gran re Pagano. 

136 Disse Aslarolle: A giudicare è scuro, 

S’ io non pensassi tutta questa notte, 

£ non sarebbe il giudicio sicuro, 

Chè le strade del ciel son per noi rotte ; 

Noi veggiam come aslrologi il futuro. 

Come tra voi molte persone dotte, 

Chè non camperebbe uom nè animale. 

Se non che corte abbiam tarpate 1’ ale. \ 

156 Dir lì potrei dei Testamento Vecchio, 

E ciò eh’ è stato |)er lo antecedente; 

Ma non viene ogni cosa al nostro orecchio, 
Perch’ egli è solo un primo onnipotente. 
Dove sempre ogni cosa in uno specchio. 

Il futuro e ’l preterito, è presente : 

Colui che tutto fe’, sa il tutto solo , 

E non sa ogni cosa il suo Figliuolo, -j 

137 Però dir non li posso , s’ io non penso. 
Quel che debbe seguir dì Carlo Mano : 

Sappi che tutto questo aere è denso 

Di spirti , ognun coll’ astrolabio in mano, 

E ’l calcul lutto, e ’l laccuin remenso : 
Minaccia il ciel di qualche caso strano, 

£ sangue, tradimento, guerra e storpio. 
Però che Marte angolare è in Scorpio. 

135 E perchè meglio intenda , in ascendente 
Si ritrova congiunto con Saturno 

Nella revoluzion tanto polente, 

Che non fu tanto alle guerre di Turno ; 
Questo dimostra occision di gente , 

E quanti casi lerribil mai fumo, 

E mulazion di stati e di gran regni : 

E non soglion mentir mai questi segni. 



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IL HOBGANTE MAGGIORE. 



139 Non SO se a questi dì tu hai ben notate 
Quelle comete che sono apparite, 

Veni e Dominus, Ascone appellate, 

Che mostran tradimenti, e guerre, e lite, 

E morte di gran principi, e magnate: 

E anche queste mai non son mentite. 

Si che a me par, per quel ch’io intendo e veggio. 
Che s’ apparecchi quel ch’io dico, e [)eggio. 

140 Quel che Gan con Marsilio abbi trattalo. 

Non so, eh’ io non v’avea la mente volta ; 

Credo che sia quel ch’egli è sempre stato, 

Però questa fatica mi sia tolta : 

E so che un seggio è per lui preparato, 

E s’ io ho la sua vita ben raccolta. 

Piangerà le sue colpe in sempiterno 
Tosto r anima trista nello inferno. 



141 Diceva Malagigi : Tu m’ hai detto 
Un punto che mi tien lutto confuso. 

Che il Figliuol tutto non sappi in effetto 
lo non intendo il tuo |>arlar qui chiuso. 
Disse Astarotte : Tu non hai ben letto 
La bibbia, e parmi con essa poco uso; 
sJ Chè, interrogato del gran di il Figliuolo, 
/V Disse che il Padre lo sapeva solo. 



142 Or nota, Malagigi, se tu vuoi 
Ch’io dica pur la mia difSnizione, 

£ domanda i teologi tuoi poi : 

Voi dite in una essenzia tre persone, 

O vero una sostanzia, e cosi noi. 

Un atto puro sanza ammistione; 

Però che questo di necessitate 
Convien che sia quel che tutti adorate. 



143 | Un motor donde ogni moto deriva. 

Un ordin donde ogni ordin sia construtlo , 
Una causa a lotte primitiva. 

Un poter donde ogni poter vien tutto. 

Un foco donde ogni splendor s’avviva, 

^n principio onde ogni princìpio è indotto, 
n saper donde ogni sapere è dato, 

Jn bene donde ogni bene è causato. 



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CANTO VENTESIHOQDINTO. 



275 



144 Questo è quel padre, e quel monarca antico, 
C’ha fatto tutto e può tutto sapere, 

E non può preterir l’ ordin eh’ io dico, 

Chè ’l cielo e ’I mondo vedresti cadere : 

Or s’ io non son, com’ io solca già, amico. 

Non posso in quello specchio più vedere, 

Dove apparisce or forse i nostri guai. 

Benché il futuro io noi sapessi mai. 

-146 £ se Locifer l’avessi saputo, 

E’ non avea tanta presunzione; 

E non sarebbe nel centro caduto , 

Per voler la sua sede in Aquilone ; 

Ma non aveva ogni cosa vedalo, 

Onde e’ segui la nostra dannazione: 

E perchè il primo lui fu in questa pecca. 
Caduto è il primo lui nella Giudecca. 

146 E non aremmo invan tentati tanti. 

Che lutti son felicitali in cielo ; 

Se non che, come io dico, tulli quanti 
Agli occhi della mente abbiamo un velo : 

E non arebbe il gran Santo de’ Santi 
Satan, come voi dite nel Vangelo, 

Tentato e poi portalo in sul pinacolo, 

Infin che pur conobbe il suo miracolo. 

147 E perchè tutto fa perfellaroenle, 

E lutto ha circonscrillo e terminalo, 

E ciò che fece gli è sempre presente, 
Perch’e’fu con giustizia esaminato, 

Nola che mai questo signor si pente; 

E se alcun dice che e’ s’ è rimutato. 

Dico che il falso qui pel ver si stima, 

Chè cosi era nell’ ordine prima. 

148 Dimmi, rispose Malagigi, ancora, 

Chè tu mi pari qualche angel discreto: 

Se quel primo motor, eh’ ognuno adora. 
Conosceva il mal vostro in suo segreto, 

E vedeva presente il punto e l’ora, 

£’ par che e’ sia qui ingiusto il suo decreto, 

£ la sua carità qui non sarebbe, 

Perchè creali e dannati v’ arebbe, 



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276 



IL MORGANTE HAGGIOBE. 



H9 E prescili imperfetti e con peccati; 

E tu di’ eh’ egli è giusto e tanto pio , 

E non ci è spazio a esservi emendati : 

E par che partigìan si mostri Dio 
Degli angeli che son lassù restati, 

Che conobbon il ver dal falso c ’l rio, 

E se il fine era o tristo o salutifero, 

E non seguiron , come voi. Lucifero. 

460 Crucciossi com’ un diavolo Aslarolte, 

Poi disse : E’ non amò più Micaelle, 

Che Lucifer, quel giusto Sabaotte, 

E non creò Cain peggior che Abelle ; 

Se r un superbo è poi più che Nembrotle, 

L’altro è tutto disforme a Gabrielle, 

E non si pente e non esclama Osanna, 

Libero arbitrio I’ uno e l’ altro danna. 

-161 Questo fu quel che ci ha dannali tulli, 

E lungo tempo per la sua clemenzia 
Ci comportò, per non ci far sì brutti, 

Insino al termin della penitenzia ; 

E non possiain più in grazia esser redutti, 

Chè giusta è data la nostra sentenzia : 

E non ci tolse il proveder suo il tempo, 

Chè la grazia al ben far fu sempre a lempo. 

162 Giusto è il Padre e’I Figliuolo, e giusto il Verbo; 
E fu con gran pietà la sua giustizia, 

E non fu men d’ingrato che superbo 
Il peccato di tutti e la malizia; 

E non si pente il nostro animo acerbo. 

Però che ciò che dal volere inizia. 

Conosciuto il ver prima per sè stesso. 

Non tentato d’ alcun, mai fu dimesso. 

163 Non conobbe Adam vostro il suo peccalo, 

Però dimessa fu questa fallenza. 

Perchè il serpente l’ aveva tentato : 

Dispiacque sol la sua disobbedienza ; 

Però di Paradiso fu cacciato, 

E riservato della penitenza 
La grazia, e pace della sua discordia, 

E l’ olio ancor della misericordia. 



CANTO VENTESIHOQDINTO. 



277 



‘ISi Ma la natura angelica corrotta 
Non può più ritornar perfetta e intera. 

La qual peccò come natura dotta, 

E per questa cagion poi si dispera; 

Chè se quel savio non rispose allotta, 

Quando Pilato -domandò quel ch’era 
• La verità, fu che l’aveva appresso, 

Sicché questo ignorar gli fu dimesso. ‘ 

155 Se non che nel ben far perseveralo 
Non ha costui, quando le man s’imbianca; 

E non sarebbe anche Giuda dannato. 

Che si penti, ma la speranza manca, 

Sanza la qual nessun mai ha salvato, 

E ’l dello d’Origen non lo rinfranca: 

Nè sia chi l’altra opinion concluda. 

In diehu s illis salv ahilur Juda. 

156 Dunque un primo è nel ciel che lutto intese, 
Da cui tutte le cose son create, 

E creando, e dannando, non ci ofifése, 

Ma fe lutto in justizia e in veritale ; 

Il futuro e ’l preterito ha palese, '' 

Chè, come io dissi, è di necessitate 
Che tutto appaia a quel signor davante. 

Da cui procede ogni virtù informante. 

157 E poi che del mio mal pur la cagione. 

Come maestro, m’ hai coslreltò io dica. 

Tu vorresti sapere or la ragione 

Per che e’ durassi invan questa fatica. 

Poi che vedea la nostra dannazione : 

Sappi che segnata è questa rubrica', 

E riserbala a quel signor giocondo ; 

Si eh’ io noi so , però non ti rispondo. 

158 Nè dello r ho per metterli alcun dubbio 
Ma perch’ io veggo che I’ umana gente 
Di molli errori avvolge a questo subbio, 

E vuol saper, sanza saper niente, 

Onde esca il Nil, non pur solo il Danubbio : 
Basta che tutto ha fatto giustamente, 

E giusto e vero è quel Signor di sopra, ' 

Come dice il Salmista, in ciascun’ opra. 

24 



II. 



278 



IL MORGAKTB MAGGIORE. 



/ 

159 E piMli e filosoG e morali. 

Queste cose, eh’ io dico, anche non sanno. 
Ma la presunzion vuol de’ mortali 
Saper le gerarchie come elle stanno ; 

10 ero SeraGn, de’ principali, 

E non sapea quel che qua giù detto hanno 
Dionisio e Gregorio, eh’ ognun erra 
- A voler giudicare il ciel di terra. ^ 

160 E sopra tutto a questo ti bisogna ‘ 

Non ti Gdar di spiriti folletti. 

Che non ti dicon mai se non menzogna, 

E metton nella mente assai sospetti, 

E farebbon più danno che vergogna : 

E perchè intenda, e’ non vengon costretti 
Nell’acqua o nello specchio, e in aria stanno 
Mostrando sempre falsitate e inganno. 

161 Vannosi l’un con l’altro poi vantando 
D’aver fatto parer quel che non sia: 

Chi si diletta ir gli uomini gabbando, 

Chi si diletta di GlosoGa, 

Chi venire i tesori rivelando , 

Chi del futuro dir qualche bugia ; 

Si ch’io t’ ho letto un gentil mio quaderno, 
Chè gentilezza è bene anche in inferno. 

162 Or basti, disse Malagigi, questo : ‘ 

Dimmi al presente quel che fa Marsilio. 

Disse Astarotté : Io tei dirò e presto ; 

A Siragozza ha chiamato a concilio 

11 popol tutto, e veggo manifesto 
Gran gente d’ arme e di molto navilio 
Apparecchiarsi, e lui nel volto lieto , 

Ma non dice a persona il suo segreto. 

163 Potresti tu ritrar qualche parola 
Di Falserone o del re Bianciardino ? 

Disse Astarotté : E’ basta questa sola. 

Che qualche tradimento m’ indovino. 

Or non più, disse Malagigi, vola, 

E piglia inverso Rinaldo il cammino, 

E porta in Roncisvalle, ov’io t’ho detto. 
Quanto più presto lui con Ricciardetto, 




CANTO VENTESIMOQUINTO. 



279 



164 Rispose il dia voi: Ricciardetto ha seco. 

Per quel ch’io veggo, un leggiadro cavallo 
Che gliel donò lo inaperador là greco , 

E non vorrebbe a ’gnun modo lasciallo ; 

Però se in groppa a fiaiardo lui reco, 

Questo destrier non poire’ seguitano : 

Tanto che troppo ci terrebbe a tedio; 

Ma per servirti ho pensato un rimedio. 

166 lo dirò (>er tua parte a Rubicante, 

Che porti Ricciardetto, o a Farfarello, 

Che tentano un signor là di Levante 
Perchè e’ voleva battezzarsi quello : 

Tu se’ tanto famoso negromante. 

Che sanza mostrar libro o altro anello. 

Per compiacerti, dello infcrnal chiostro 
Verrebbe Belzebù principe nostro. 

166 Disse Malgigi: Se non vien costretto. 
Potrebbe questo spirito ingannarmi, 

E gittare in uii fiume Ricciardetto ; 

Dimmi, Astarotte, s’io posso fidarmi. 

Disse Astarotte: Non aver sospetto. 

Non ti bisogna adoperare altr’ armi ; 

E nota una parola, che ignnn saggio | 
Non fa mai cosa a suo disavvantaggio. \ 

167 Tu potresti cacciarlo in qualche tomba. 

Ma non bisogna, chè ti stima ed ama. 

Tanto il tuo nome giù fra noi rimbomba; 

E vuoisi in ogni loco amici e fama. 

Poi si parti, che parve d’una fromba 
Quando il sasso esce, che per l’aria esclama; 
Anzi folgore proprio par che fosse ; 

E la terra tremò, quando e’ si mosse. ■ 

168 Or lasciamo Astarotte andar per l’ aria. 
Che questa notte troverrà Rinaldo : 

La nostra istoria è si fiorita e varia, 

Ch’ i’ non posso in un luogo star mai saldo : 
E non sia altra opinion contraria, 

Chè troppo belle cose dice Arnaldo; 

E ciò che dice, il ver con man si tocca. 

Che mai bugia non gli esce di bocca. 



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280 IL MOBGANTE MAGGIORE. 

V" ' 

d«9 E ringrazio il mio car non Angi olin o, / v 'J'~ 
i Sanza il qual molto laboravo invano , 

Piuttosto un Cherubino o SeraGno, 

Onore e gloria di Montepulciano, 

, ì Che mi dette d’ Arnaldo e d’ Alenino 

I i Notizia, e lume del mio Carlo Mano; 

II Ch’io ero entrato in uno oscuro bosco: 
r Or la strada e ’l sentier del ver conosco. 

^70 E bisognava che Rinaldo veglia, 

Se non che Carlo non avea rimedio: 

Che se non fussi sua^potenzia degna, 

Che mollo tenne la battaglia, a tedio, 

Marsilio ne venia colla sua insegna, 

£ posto arebbe alla Gne l’ assedio 
Dove era Carlo a San Gianni di Porto, 

£ forse Gan non sarebbe al Gn morto. 

<71 Era il Danese di Spagna tornato, 

E Bcrlinghieri, Astolfo e Sansonetlo, 

£ Carlo appiè dì Porto hanno trovalo, 

£ mollo di Marsilio avevon detto. 

Che Ganellone avea tanto onorato. 

Che parca lor da pigliarne sospetto 
£ come e’ fece nel parco il convito; 

Ognun dicea quel eh’ egli avea sentito. 

<72 Carlo pure all’ usalo si credea ; 

Il |)crchè Astolfo e Berlìnghier partissi , 

£ Sansonelto ; eh’ ognun Gan vedea 
Sempre con Carlo che fa pissi pissi : 

E ’l tradì tor , che la birba sapea. 

Volle con lor Baldovino anche gissi. 

Per orpellare e coprir le sue colpe : 

Guarda 'se questo fu tratto di volpe I 

<73 E nel partir sopra l’ armi la vesta ^ , 

Gli misse, che Marsilio avea mandata. 

Dicendo: Ornai la tua divisa è questa. 

Tanto è degno colui che I’ ha donata ; 

E vo’ che tu la porli in guerra e in festa : 

Saluta Orlando e tutta la brigala, 

E di che facci al re Marsilio onore, 

Chè cosi piace al nostro imperadore. 




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CANTO VENTESIHOQOINTO. 



281 



174 In questo il re Marsilio ne venia 
Con le sue gente per trovare Orlando, 

E ognuno si vantava per la via 

D’ uccidere il nimico minacciando ; 

Diceva un certo Arlotto di Soria : 

La testa d’ Uiivieri al tuo comando, 

Che sai ben quanto m’ è stato nimico. 

Ti porterò, Marsilio, come io il dico. 

175 E Falseron vòlea cavare il core 

Al conte Orlando che il suo 6glio uccise ; 
Non si ricorda in Francia il traditore 
Che l’abbracciò più volte, e pianse, e rise. 
Marsilion, che disiava onore. 

In questo modo le schiere divise, 

E ricordossi ben di mano in mano 
Di tutto l’ordin ch’avea dato Gano. 

176 Però la prima schiera cento mila 
Volle che fussi sotto Falserone; 

E messevi di satrapi una fila. 

Gente di pregio e d’ alta condizione ; 

Come colui che l’ opera compila , 

Siccome savio, con gran discrezione: 

Fra gli altri un re di fama e gagliardia, 

Ch’ io dissi appresso. Arlotto di Soria. 

177 Turchion, Fidasse e Finadnsso nero, 

Ch’ era ben sette braccia per lunghezza, 

E porta un bastonaccio sodo e fiero. 

Il qual tant’arme, quante e’ trova, spezza; 
Non basta a questo il giorno un cimitero. 
Tanti n’ uccide per la sua fierezza : 

Il re Malprimo, e Malducco di Frasse 
Credo che ancora in questa schiera entrasse. 

178 Dico ch’io credo di questo Malducco, 

Che nella terza lo mette Turpino, 

Acciò che ignori non mi ponga al baucco , 
Che mi sia riprovato un bruscolino. 

Che il popol ne fa poi suo badalucco ; 

Ma nella schiera del re Bianciardino 
Dugento mila cavalier vi misse 
Marsilio, avvegnaché di più si disse. 

24 * 



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282 



IL MOHGANTB MAGGIORE. 



179 Ed evvi un re, chiamalo Chiariello 
Di Portogallo, e ’l re Margarilonne, 

Balsamin, Fieramente, e ’l re Fiorello, 

E Buiaforle, e il gran re Sirionne, 

E tanti altri signori in un drappello. 

Che tanti mai non ne vide Ilionne ; 

L’ ultima schiera fu di Balugante, 

Col resto delle gente tutte quante. 

180 Io chiamo qui Turpin mio testimonio. 
Trecento mila è questa schiera terza; 

Quivi era l’ Arcaliffa, e ’l re Grandonio, 

Che portava un baslon come una sferza 
Con certe palle, e pareva un demonio 
Nero , e con questo baston non ischerza ; 

E chi ’l vedeva sanza l’elmo in faccia, 

Dicea: Quel garre, e bestemmia, e minaccia. 

181 Orlando in Roncrsvalle era venuto 
Con la sua schiera osata anticamente. 

Ed aspettava Marsilio e ’l tributo, 

Che verrà presto si miseramente : 

Il campo in ogni parte è sprovveduto, 

E già per tutto era sparta la gente : 

Orlando a spasso, per darsi diletto. 

Ispesso andava col suo Sansonelto. 

182 E Sansonetto, Qgliuol del Saldano, 

Era del conte Orlando innamorato. 

Che per suo amore era fatto Cristfano, 

Allor che nella Mecca fu arrivato ; 

E sempre lo seguia per monte e piano , 

Tanto che spesso il Soldan fu ammirato : 

Ma Ulivier por mal contento slassi, 

E confortava il campo s’ afforzassi. 

183 Aveva il re Marsilio già mandalo 
Molti cammelli innanzi, e vettovaglia, 

E Bianciardin con essi era arrivato 
Appunto il di dinanzi alla battaglia ; 

E mollo avea Orlando confortalo 
Di pace, e d’ogni cosa lo ragguaglia, 

E che volessi il re Marsilio amico, 

£ lasciar questa volta ogni odio antico. 



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CANTO VENTESIHOQUINTO. 



1S4 Poi finse insino a Carlo dover ire, 

Con certi scallrimcnti suo’ malvagi , 

£ seppe al re Marsilio riuscire, 

Per altra via tornato come i Magi, 

E d’ Orlando e del campo a riferire, 

Ch’ alloggiato era con assai disagi : 

Di guardie, ascolte, e d’ogni cosa narra. 
Che non vi si vedea solo una sbarra. 

186 Fece Marsilio una bella orazione 
La notte a tutti, dove e’ fecion atto, 

£ cominciò: Laudato sia Macone: 

Chè sempre quello invoco, onoro, esalto; 

£’ convien por ch’io dica la cagione. 

Prima noi siam co’ Cristiani all’ assalto. 

Per quel eh’ io v’ ho condotti in questo loco; 
£ vorrei mòtto dir, ma il tempo ó poco. 

186 Ognun sa quanto tempo combattuto 
Io ho con Carlo Magno e co’ Cristiani, 

Tanto che vecchio son fatto e canuto, 

£ quanto sangue sparto è de’ Pagani, 

£ non ho con Orlando mai potuto 
Essere un tratto in su’ campi alle mani, 

Ch’ io sarei forse fuor d’ un lungo affanno 
Che s’ apparecchia o con salute o danno. 

187 Tre volte m’ ha la Spagna ribellata. 

Come sapete, e parte d’ Aragona; 

Appena Siragozza m’ è restata : 

Ed or pensava mettersi corona 
Di tutti i nostri regni e di Granata, 

£ in Roncisvalle si truova in persona : 

£ Macon credo che dal ciel lo mandi, 

£ che la fede sua ci raccomandi. 

188 lo mandai Bianciardin, poi Falserone 
In Francia a Carlo, a domandargli pace. 

Poi eh’ io vidi la mia distruzione; 

Ma so eh’ al nostro Dio questo non piace : 

£ la risposta fu per Ganellone, 

Come sapete, superba ed audace, 

Che non volea che torni al Paganesimo 
La Spagna, o sbattezzar chi avea battesimo. 




284 . IL HOBGANTE HAGGIOBB. 

^ t^ 89 Cesare disse, che se jusiurando 
Cioè la fede che è dala e acceKa, 

Romper si debba, lecito era, quando 
Si fa per tener regno o per vendetta ; 

SI eh’ io non curo di tradire Orlando : 

E lecito fu ancor a vedovetta 
Per tradimento a lume di lanterne 
Riportarne la testa d’ Oloferne. ^ 

190 Non so se ignun di voi s’ ha bene inteso 
Del miracolo stato nella Mecche, 

Questo è che ’l nostro Dio si tiene olTeso ; 
Credo che fu di maggio il primo Alecchc, 
Ch’egli apparì nell’aria un vampo acceso, 

£ fu sentito dir Salamalecche, 

E l’ arca santa di sangue sudare : 

Non so se questo gran segno vi pare. 

191 Si eh’ io non veggo quel che far più deggio. 
Da poi che Macoraetto è in ciel crucciato. 
Tanto che sempre andiam di male in peggio; 
E non m’ è tanto di spazio restato. 

Ch’io possi appena più locarvi il seggio, 

Ch’ era pur già sopra ogni altro onorato : 

E so che presto verrà nelle mani, 

E l’arca e quel, de’ ribaldi Cristiani. 



192 lo v’ho per tanti paesi menati. 

Per tanti error, tante fatiche, affanni ; 
Tutti siam per morir nel mondo nati ; 
Venite ad onorar quesC’ullimi anni. 

Voi sarete nel ciel ben ristorati : 

Ren si ricorda de’ suoi Mussurmanni 
Macone, e serba a chi sia suo fedele 
Le fonte e’ fiumi di latte e di mèle. 

193 Però, militi miei, se voi sarete 

Quel ch’io v’ho lungo tempo conosciuti. 
Questo è quel di che voi vittoria arete ; 
Orlando sanguinosi i suoi tributi 
Ch’aspetta in Roncisvalle, voi il sapete. 
Come se schiavi ci avesse venduti : 

Ma se ancor taglian pur le nostre spade. 
Noi piglierem tutta Cristianitade. 



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CANTO VBNtESIHOQUINTO. 

igi Noi piglierem la Francia e la Borgogna, 
Inghilterra, la Fiandra e la Brettagna, 

’ La Normandia, Navarra e la Guascogna, 

La Piccardia, Provenza, e poi Lamagna; 

£ basta solo a me, quel che bisogna. 
Conservar la mia sedia antica e magna; 

Il resto, imperii e regni, si sia vostro, .. 
Chè sanza voi son nulla, e tutto è nostro. H 

196 E manderò poi Biancìardino a Roma ^ 
Al gran papasso, a comandar che vegna 
A Siragozza a pena della chioma; 

Se non, ch’io volgerò là la mia insegna, 

E in sull’ aitar che di Pietro si noma. 

Per mostrar più la mia grandezza degna , 

E come il ver profeta è Macometto, 
Mangeranno i cavalli a suo .dispetto. ~y!. 

196 Per tanto ognun si metta l’elmo in testa. 
La lancia in mano, e segua il suo stendardo 
Non so se a ricordarvi altro mi resta: 

Penso che si, eh’ ognuno abbi riguardo. 

Se voi vedessi la mia sopravvesta 
Che porla un giovinetto assai gagliardo, 

Fate che questo sia salvato solo, 

Però eh’ egli è di Ganellon figliuolo. 

197 Poi ch’egli ebbe finita l’orazione, 

E tutti i cavalieri ammaestrati. 

Rimontò a cavai Marsilione, 

E furon gli stendardi in alto dati ; 

£ nella prima schiera è Falserone, 

Con le sue gente, tutti bene armati, 

E Belfagorre avea nello stendardo 
Di color nero, e '1 campo era leardo. 

19S Nella seconda schiera è Bianciardino, 

Ed occupava tutta una montagna ; 

Però che molto popol saracino 
Avea con seco menato di Spagna, 

£ diguazzava il vento uno Appollino 
Nella ricca bandiera azzurra e magna : 
Questo Appollino offende più d’ un testo, 

E dice alcun che Treviganle è questo. 



286 



IL MOItGAMTE MAGGIUKE. 



199 La terza schiera guida Baiuganle, 

E pare un nuovo Marte in su l’arcione; 
Pensa che v’era più d'uuo Amostanlc, 
Però che in questa vien Marsilione, 

E lo stendardo suo venia davante, 

Dove era figurato il lor Macone 
. Mei campo rosso con due ale d’ oro ; 

I £ in questo modo si schieràr costoro. 

Or mi con vien lasciar Marsilio; il quale 
Inverso Roncisvalle s’ è diritto ; 

Perchè Astarotte anco avea seco l’ ale , 

E già Rinaldo ha trovato in Egitto, 

Ch* ancor bisogno non avea d’occhiale, 

£ lesse ciò che Malagigi ha scritto : 

Poi domandò quel messaggier chi sia. 

Che così tosto ha spacciata la via. 

201 E poi che r ebbe da presso veduto 
Perchè gli fece molto Gero sguardo , 
Sorrise, e disse: Tu sia il ben venuto; 

£ poi chiamava Guicciardo ed Alardo, 

E domandò se l’ avean conosciuto ; 

Ma Farfarel, che non v’ebbe riguardo, 
Appari lor in una forma oscura , 

Tanto che a tutti faceva paura. 

202 Ricciardetto era a contemplar rimaso 
Una certa piramide eh’ ayea 

Un cerchio d’ oro, e noi fe’ Chemi a caso. 
Che tutto il corso del ciel vi vedea ; 

L’ altra di Mucerin di Armeo Damaso 
Non cosi bella o degna gli parea : 

Forse la prima gli pareva brutta. 

Da que’ dodici satrapi costrutta. 

203 Ma poi che tutto da Rinaldo intese, 
Fargli miir anni di vedere Orlando ; 

E cosi tosto il partito si prese, 

Guicciardo, .Alardo ne vadin trottando 
A Montalban per qualche altro paese. 

E poi Rinaldo venia domandando : 

Sarebbe, dimmi, Astarotte, possibile. 

Che pel cammin tu ci porti invisibile ? 



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CANTO VENTBSIMOQUINTO. 



287 



204 Disse Astarolte : E’ fìa per certo : aspetta 
Tanto eh’ io mandi insino in Etiopia; 

E porteratli uno spirto nn’ erbetta. 

Che può far questo, e non pure eutropia; 

£ basta sol eh’ addosso te la metta, 

Ghè cosi è la sua natura propia; 

Chè, dove manca ragione o scienzia, 

Basta al savio veder la sperienzia. 

206 £ poi si volse ad un certo scudiere, 

£ disse : Va per quest’ erba, hiilusse. 
Binaldo guarda, e non seppe vedere 
Con chi quel parli, e paura gl’ indusse. 

Disse Astarotle : lo intendo il tuo lacere; 
Non chiamerei, se qualcun non ci fusse ; 
Sappi eh’ io ho mille demon qui intorno. 
Che m’ accompagnon di notte e di giorno. 

206 Disse Rinaldo : Adunque io son nel gagno 
De’ diavoli ! or su, qui siam, che tìa? 

Disse Astarotte: Ognun tìa buon compagno, 
O buon briccon, tu il vedrai per la via; 

Ed ogni di qualche convito magno 
Vedrai sempre, e parala l’osteria, 

E chiederai tu stesso le vivande, 

Ch’ io ti darò mangiare altro che ghiande. 

207 Noi abbiam come voi principe e duce 
Giù nell’inferno, e ’l primo è Belzebue; 

Chi una cosa, chi altra conduce, 

Ognuno attende alle faccende sue ; 

Ma lutto a Belzebù poi si riduce, 

Perché Lncifer rilegato fue 
Ultimo a tutti, e nel centro più imo. 

Poi eh’ egli intese esser nel ciel su primo. 

208 E se vuoi pnr che il ver presto ti dica. 
Non ti fidar di noi se non col pegno, 

Perchè alla vostra natura è nimica 

La nostra per invidia, e per isdegno; 

Tu mi dai dì portar questa fatica, 

Io fui già Serafìn più di te degno; 

Or per piacere al nostro Malagigì, 

Vedi eh’ io fo di bastagio i servigi. 



DiyMÌ^™ | by Goiiglc 



288 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



209 Ma perch’ io so che (n farai macello 
In Roncisvalle, volenlier ti porlo. 

E cosi Ricciardetto Farferello ; 

Ch’io vedrò certo molto popol morto, 

E correrà di sangue ogni ruscello : 

Chò sai ch’egli è de’ miseri conforto, 

Di veder come lor qualche altro afflitto; 
Però ti traggo volentier d’ Egitto. 

210 Venne Milnsse, e portò l’erba seco, 

E dettela a Rinaldo in un sacchetto, 

E disse : Dagli Antipodi l’ arreco. 

Disse Àstarolte: Dàlia a Ricciardetto. - 
Rinaldo guarda, e rimase al fin cieco, 

E disse : 11 vero, Àstarolte, m’ hai detto ; 
Per tanto andianne. E saltò in su Baiardo, 
Che questa volta gli parrà gagliardo. 

211 Quando Baiardo il diavolo sentiva^ 

Perch’ altra volta di questi alloggioe, 

Intese ben come la cosa giva, 

E come un drago a soffiar comincioe; 

E cosi r altro cavallo annitriva , 

E raspa e salta, e ’l cammin suo piglioe 
Con tanta furia, e cosi Aslarotte, 

Che r uno e l’ altro non sente di gotte. 

212 Lasciale le piramide, accadea 
Di Mirìde passar la gran palude ; 

Perchè AstaroUe a Rinaldo dicea : 

Che vuoi ch’io facci? e Rinaldo conclude : 
Parmi tu salti : e cosi si facea : 

Ma Ricciardetto pur gli occhi si chiude. 

Per non veder quanto il diavol vadi alto ; 
Tanl’ è che questa si spaccia in un salto. 

213 Poi cavalcando, e già per Libia entrato. 
Trovato ha il fiume, ovver palude o lago, 
Il qual Triton da Triionia è chiamalo; 

E poi più oltre lasciata Cartago, 

A destra il fiume Bagrade ha trovalo. 

Dove uccise il serpente Attilio o ’l drago. 
Onde e’ si dice ancor tante novelle, 

E come a Roma quei mandò la pelle. 



CANTO VENTESIHOQUINTO. 



289 



2U Ma vogliam noi che Rinaldo cavalchi, 

E non si facci però colezione, 

Benché la fretta del cammìn c’ incalchi? 

• Ben sai che no, chè non sare’ ragione. 
Disse Astarotte : Or su, qua tutti, scalchi; 
Apparecchiate la nostra magione. 

Disse Rinaldo : Che il becco s’ immolli, 

E poi cantando ce n’ andrcm satolli. 

216 In questo in su ’n un prato è apparito - 
Un padiglion che parea tutto d’oro. 

Ed ordinato subito un convito; 

Dunque da beffe non fanno costoro : 

Le mense acconce, e chi abbi servito, 

E tanti camerieri intorno loro. 

Con reverenze, e abiti si destri , 

Che parean tutti di nozze maestri. 

216 Chi butta alla lombarda il pannisello, 

£ acqua lanfa è trovata alle mani; 

Posti a sedere, ecco giunto un piattello 
Di beccafichi e di grassi ortolani : 

Vedi che anticamente questo uccello 
Era, e non pur ne’ paesi toscani; 

£ perchè qui non se ne crede altrove. 
Ambrosia o nettar non s’ invidia a Giove. 

217 £ come un dice gli ortolan, di bollo 
Par che si lievi in tanta boria Prato; 

Che però disse già il Piovano Arlotto, 
Ch’avea più volle in su questo pensalo. 
Perchè e’ sapeva e’ v’ è misterio sotto, 

E finalmente or 1’ avea ritrovalo : 

Cioè, che Cristo a Maddalena apparve 
In ortolan, che buon sozio gli parve. 

218 Vennon tante vivande in un baleno. 

Che mai convito si fe’ più solenne, 

E d’ ogni cosa si missono in seno, 

E vi fu insino a’ pavon colle penne; 

I cavalli hanno dell’ orzo e del fieno. 
Rinaldo quasi per le risa svenne, 

E dice: Questi mi paion miracoli; 

Facciam qui sei non che Ire tabernacoli. 



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290 IL MORGANTB MAGGIORE. 

219 E Ricciardello diceva : Fratello, 

A me par che noi siam bene alloggiati. 

Da poi che c’ è buon oste c buon piattello 
£ vernacce e razzesi delicati. 

£ Astarolte è intorno e Farfarello 
Col grembi ul come l’oste apparecchiali, 

£ dicean pur cosi piacevolmente : 

Messer, che dite? mancavi niente? 

220 Disse Rinaldo : Qui sta buono ostiere ; 
Venghin poi le vivande dell’ inferno, 

Ch’ io avea voglia di mangiare e bere ; 

£ so che per un tratto io mi governo, 

Ch’ io potrò cavalcare a mio piacere. 

£ finalmente buono scollo ferno. 

Poi domandorno onde 1’ oste abbia avute 
Queste vivande che son lor venule. 

221 Rispose il diavol : Questa colezione, 

£ le vivande che mangiato avete. 
Apparecchiava il re Marsilione; 

£ giunti in Roncisvalle lo saprete. 

Che i servi insieme ne fecion qnislione ; 

£ se del vostro imperador volete 
Ch’ io facci qui venir lesso o arrosto. 
Comanda por, ch è. ci sari tantosto. 

222 Andiam vìa prtfst^ pel nostro cammino, 
Dicea Rinaldo, chè il desio mi sprona 

Di risedere il mio gentil cugino; 

Ogni cosa j Astarotte, è stata buona. 

£ mentre (Questo dice il paladino, 

11 padiglion iton veggon nè persona: 

Per la qual cosa a cavai rimontorno, 

Ch’ era passalo più che mezzo il giorno. 

223 £ perchè il fiume fiagrade è pur grande, 
£ per la pioggia selle rami avea 

Fatti, e per tutto il paese si spande, 

Con Ricciardetto Rinaldo dicea : 

Noi smallirem) qui forse le vivande. 

Però che il nunr questo fiume parea; 

£’ ci convien saltar, questo è l’ effetto. 
Salliam pur tosto, dicea Ricciardetto. 



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CANTO VENTESIHOQUINTO. 



291 



221 Disse Rinaldo: 0 mio gentil Baiando, 
Tu non avesti ancor giammai vergogna; 
Or ti conosco se sarai gagliardo: 

0 Astarotle, andar qui ci bisogna 
Di salto in salto come il leopardo. 

Che forse ancor ila scritto per menzogna. 
Disse Astarotte: Non temer, Rinaldo, 
Attienti in su la sella, e sta pur saldo. 

226 Era Baiando 6er dì sua natura , 

E se non fusse anco Astarotte in quello. 
Saltato arebbe , e non are’ paura 
A trattar l’aria come lieve uccello; 

E cominciò quanto la terra è dura 
Come ’l gru per levarsi o altro uccello 
A trottar, poi si chiudea di gualoppo. 

Poi si levò che non pareva zoppo. 

226 Vedestu mai, lettor, di salto in salto 
Il pesce in mar, per ischifare il gurro? 
Così questo cavai ; ma va su alto, 

Da dir: Fetonte più basso ebbe il curro; 
Da creder prima che torni allo smalto, 
Che tocchi l’ aer dove e’ pare azzurro: 
Credo che Giono ebbe paura e sdegno, 

E dubitassi del suo scettro o regno. 

227 Passato il fiume Bagrade , ch'io dico. 
Presso allo stretto son di Gibilterra, 

Dove pose i suoi segni il Greco antico 
Abila e Calpe, a dimostrar ch’egli erra. 
Non per iscogli o per vento nimico. 

Ma perchè il globo cala della Terra, 

Chi va piu oltre, e non trova poi fondo. 
Tanto che cade giù nel basso Mondo. 

228 Rinaldo allor riconosciuto il loco. 
Perchè altra volta l’ aveva veduto, 

Dicea con Astarotte: Dimmi un (k>co, 

A quel che questo segno ha provedujo. 
Disse Astarotte : Un error lungo e fioco. 
Per molti secol non ben conosciuto. 

Fa che si' dice d’ Ercol le colonne, 

E che più là molti periti sonne. 



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292 



IL MORGANTE BIAGGIORE. 



229 Sappi che questa opinione è vana, 
Perchè più olire navicar si puote, 

Però che 1’ acqua in ogni parte è piana, 
Benché la terra abbi forma di ruote; 

Era più grossa allor la gente umana, 

Tal che potrebbe arrossirne le gote 
Ercole ancor d’aver posti que’ segni. 
Perchè più oltre passeranno i legni. 

230 E puossi andar giù nell’ altro emisperio , 
Però che al centro ogni cosa reprime : 

Si che la terra per divin misterio 
Sospesa sta fra le stelle sublime , 

E laggiù son città, castella e imperio; 

Ma noi conobbon quelle gente prime : 
Vedi che il Sol di camminar s’ afifretta. 
Dove io ti dico, che laggiù s’ aspetta. 

231 E come un segno surge in oriente, 

Un altro cade con mirabil arte. 

Come si vede qua nell’ Occidente, 

Però che il ciel giustamente comparte : 
Antipodi appellata è quella gente, 

Adora il Sole, e Juppiter, e Marte; 

E piante e animai come voi hanno, 

E spesso insieme gran battaglie fanno. 

232 Disse Rinaldo: Poi che a questo siamo. 
Dimmi, Astarotle, un’ altra cosa ancora: 
Se questi son della stirpe d’ Adamo, 

E perchè varie cose vi s’ adora , 

Se si posson salvar qual noi possiamo? 
Disse Astarotle : Non tentar più ora. 
Perchè più oltre dichiarar non posso, 

E par che tu domandi come uom grosso. 

233 Dunque sarebbe partigiano stalo 
In questa parte il vostro Redentore, 

Che Adam per voi quassù fussi formato, 

E crucifìsso lui per vostro amore: 

Sappi eh’ ognun per la Croce è salvato : 
Forse che ’l vero dopo lungo errore 
Adorerete tutti di concordia , 

E troverrete ognun misericordia. 



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CANTO VENTE6IMOQDINTO. 



293 



234 Basta che sol la vostra Fede è certa, 

E la Vergine è in Ciel gloriGcata; 

Ma nota che la porta è sempre aperta, 

£ inaino a quel gran di non fia serrata, 

E chi farà col cor giusta I’ offerta. 

Sarà questa olocausta accettata : 

Chè mollo piace al Ciel la obbedienzia, 

£ timore, osservanzia e reverenzia. 

235 Mentre lor ceremonie e divozione 
Con timore osservarono i Romani, 

Benché Marte adoÀssino e Junone, 

E Giuppiler, e gli altri idoli vani, ' ^ 

Piaceva al Ciel questa religione. 

Che discerne le bestie 'dagli umani ; 

Tanto che sempre alcun tempo innalzorno, ^ 
E cosi pel contrario rovinorno. 

256 Dico cosi, che quella gente crede. 

Adorando pianeti, adorar bene; 

£ la giustizia sai cosi concedè 
Al buon remunerazio, al tristo pene ; 

% Si che non debbe disperar merzede * 

Chi rettamente la sua legge tiene: 

La mente è quella che vi salva e danna. 

Se la troppa ignoranzia non ^\#inganna. 

237 Nola ch’egli è certa ignoranzia ottusa, 

O crassa, o pigra, accidiosa edrisla. 

Che, la porta al veder lenendo chiusa. 

Ricevette invan l’anima e la vista; 

Però questa nel Ciel non truova scusa : 

NoluU irileUigere, il Salmista 

Dice d’,alcun tanto ignorante e folle. 

Che, per bene operar, saper non volle. 

238 Tanto è, chi serverà ben la sua legge, 
Potrebbe ancora aver redenzione. 

Come de’ padri del Limbo shlegge ; 

£ che nulla non fe’ sanza cagione 
QueLprimo Padre eh’ ogni cosa regge: 

Si che il mondo non fe’ sanza persone. 

Dove tu vedi andar laggiù le stelle. 

Pianeti , segni e tante cose belle. 

25 * 



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294 



II. MOBGANTE HAGGIOBE. 



239 Non fa quello emisperio fatto a caso, 

- Nè il Sol tanta fatica indarno dora, 

La notte, il di, dall’ano all’altro occaso, 
Che il sommo Giove non arebbe cura, 

. Se fussi cèlaggiA vóto rimaso: 

E nota che l’angelica natura, * 

Poi eh’ a' le piace di saper più a dentro, 
Pa quella parte rovinò nel centro. 

240 Vera è la Fede sola <|e’ Cristiani, 

E giusta legge, e l>en frodata e santa: 
Tutti i vostri dottor son giwti e piani, 

E ciò appunto la scrittura canta ; 

E tutti ì- Giudei perfidi e ì Pagani, 

Se la grazia del €iel qui non rammnnta, 
Dannati sono, e le lor leggi tutte 
Dell’ Alcoran , de’ matti, e del Talmulte. 

241 Vedi quanto grid^ hanno i profeti 
Della Vergin, dell’alto Emanuello, 

E da quel tempo in qua son tutti cheti. 
Che il Verbo Santo si congiunse a queUo: 
Tante sibille, insin vostri poeti * 

Disson, che il secol si dovea far bello: 
Lèggi Eùtrea, del signor Nazzareno, 

Che dic^iisin eh’ e’ giacerà nel fieno. 

242 E se la prgva opinion de’matti 

I Aspetta altro Messia che ’l vostro ancora, 
E confessa i miraeoi ch’egli ha fatti , 

E come e’ disse a Lazzer : veni fora; 

E muli e ciechi sanava ed attratti,* 

Che negar non si può; certo ella ignora 
Che liberassi gli uomini e le donne 
Per la virtù del Tetragramatonne. 

243 E altro argumenlar non vi bisogna 
Contra a’ Giudei d’ Eliseo o d’ Elia: 

Che s’egli avessi detto in ciò menzogna, 
Com’ egli era mandato il ver Messia 
Dal padre, il qual sol veritale agogna. 
Perchè egli è vita, e verità, e via; 
Potestà non arebbe in quella vece,* * 

Di far le cose mirabii eh’ e’ fece. 



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CANTO VENTBSIHOQCINTO. 






S44 Io ho qaesle parole ritrattale * ' 

Ch’ io dissi, e forse Mal^i$;i m’ appunta, 
Che molle cose non son rivelale 
Al Figituol, quanto alla natura assunta; 

Si ch’io parlavo dell’ uraanilale; 

Ma la natura-divina congiunta. 

Perch’ella è sol la somma sapienzia. 

Ogni cosa ab inizio ha in sua presenzia. 

245 Disse Rinaldo: Or su, troviamo Orlando; 
Poi, perchè di’ colaggiù si fa guerra, 

lo voglio andar que’ paesi cercando, 

E passar questo mar dov’Ercol erra, 

Chè vivere e morir vuoisi apparando: 

Ma or passar ci convien Giubilterra; 
Lasciami un poco smontar dell’ arcione. 

Poi scese, fe’^j^esta breve orazione. 

246 Se tu se’,. Signor mio, deliberalo 
Ch’io vadi in Kom^valle, abbi raerzò 
Di me che son da'riimici portalo 

Per soccorrei« Orlando e la l^ fé; 
Kicórdali che il mar fu aliargl^,^ ^ '> 

Per salvar la tua gente a Moisé; 

E spira in me quel per me non intendo. 

In mania tuas me valde commendo. 

247 Come Baiardo alla riva fu presso, 

Parve che lutto di fuoco sfavilli. 

Poi prese un salto, e in aer si*fu messo: 
Ma cosi alto non saltano i grilli; 

E non è tempo di segnarsi ad^so, 

Chè non piace al demon nostri' sigilli : 

O potenzia del ciel, poi eh’ a te piacque, 
Maraviglia non tìa saltar quest’ acque. 

248 Ricciardetto ebbe paura é^ib^zzo. 
Perchè tanto alto si vide dh boftò,. 

Che si trovò con Farfarello al rezzo, 

£ dubitò; chè si vide il Sol sotto. 

Come se fussi tra-’l cielo e lui in mezzo; 

E ricordossi d’ Icaro del botto. 

Per confidarsi alle incerale penne; 

E con fatica alla sella s’ attenne. 



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4DA 



IL MORGANTB MAGGIORB. 



249 Rinaldo arebbe voluto in quel salto 
Poter del Sole aggiugnere alla chioma; 

Ma non potea, chè si trova più allo , 

Pèrchè queh giàrIioUo l’ acque giù toma: 
Baiardo quando^e' cascò in sullo smalto , 

" Anche non parve la sua forza doma , 

E poco cura il salto ch’egli ha fallo, 

E cadde in terra lieve come mi gatto. 

260 Diceva Ricciardetto a Farfarello, 

Come e’ giunse alla riva: Io ti confesso. 
Che questa volta io non son buono uccello. 
Però che il Sol non mi parea più desso, 
Quand’ io mi vidi volar sopra quello ; 

Credo ch’io ero al Zodiaco appresso; 
Troppo gran salto a questa volta fue: 
lo non mi vanterei di farne pine. 

251 II cavai si senti di Ricciardetto 
In un modo anilrir^phc par che rida. 
Perchè quel diavol he'prese diletto 
Delle pngolc che colui si fida; 

' E poi di^a : Non aver sospetto, 

O Ricciardetto, tu hai buona,guida. 

Dicea Rinaldo : Facciam questo patto,' 

Che in Roncisvalle si salti in un tratto. 

262 Rispose Ricciardetto: .Adagio un poco; - 
Volgi pur largo. Farfarello, a’ canti; 

Tu non ir cori come vadi il giuoco, 

O drento fr'fuor, poi le ne ridi e vanti: ì' 

Io sonò ^cor per la paura fioco , 

E sento T sensi tremar tulli quanti, '• 
E parmi i panni in capo aver rovesci , 

E cader giù nell’ acqua in bocca a’ pesci. 

263 Era la notle^ appunto cominciata, 
.Quando costoro hanno passalo Calpe, 

E poi la Spagna Betica trovata, ^ 

E vanno attraversando i piani e l’alpe ; 

E tosi costeggiando la^Granata, 

Si ritrovano ài buio come talpe: 

E di dormir per certo avean bisogno. 

Ma non è tempo a camminare in sogno. 



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CANTO VENTESIMOQUINTO. 



297 



2M £ capitorno al fiume detto Beti, 

Presso a Corduba antica, in un momento, 
Ove dicon gii storici e i poeti 
Nacque Avicenna , quel che il sentimento 
Intese di Aristotile e i secreti, 

Averroìs che fece il gran comento; 

Ma questo all’uno ed all’ altro cavallo 
Credo che fossi un saltellio da ballo. 

255 Egli avevon disposto di saltare: 

Orsù noi salteremo anche Guadiana, 

Un altro fiume che s’ avea a passare , 

Che dagli antichi appellato fu Ana; 
Laddove Gastulion posson mirare , 

Città famosa in quel tempo pagana : 

E anche il Tago più oltre saltorno, 

Presso a Tolleto, al cominciar del giorno. 

256 Che dirai tu, lettor, che un negromante, 
Sendo in Tolleto, avea chiamato a caso 
Quello spirto ch’io dissi, Bnbicante? 

Il qual verso lo Egitto era rimase, 

A tentar quel signore o ammirante;- 
E sendo dal maestro persuaso, 

Di saper quel che Marsilio facea. 

Molte cose di lui dette gli avea. 

257 E mentre col maestro suo favella , 

Vede Rinaldo, e vede Ricciardetto, 

Che fuor della città passano in quella ; 

E perchè e’ sa di costoro ogni effetto. 

Disse : Marsilio arà trista novella, 

Tanto ch’io ho del suo regno sospetto; 
Chè di qua passa, mentre io ti rispondo. 

Il miglior paladin ch’abbi oggi il mondo. 

25S Ed ha con seco un suo gentil fratello, 
Che Ricciardetto per nome è chiamato, 

£ portagli Astarotte e Farfarello, 

Chè cosi Malagigi ha ordinato: 

Rinaldo, il paladin ch’io dico , è quello. 
Che in Roncisvalle ne va difilato; 

E farà de’ Pagan credei governo. 

Si che doman trionferà lo ’nferno. 



298 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



269 Questa città di Tolleto solea 
Tenere studio di Negromanzia: 

Quivi di magica arte si leggea 
Pubblicamente e di Piromanzia: 

E molti geomanti sempre avea, 

E sperimenti assai d’ Uromanzia, ‘ ■ 
E d’altre false opinion di sciocchi, 

' Come è fatture o s[>esso batter gli occhi. 

260 Dicea quel negromante: Sai tu chiaro. 
Che questo sia il signor di Monlalbano? 

Se cosi fusse, e’ non ci fìa riparo. 

Disse lo spirto: Egli attraversa il piano, 
Chè que’ demoni ne’ cavalli entrare , 

E van per bricche , e d’ ogni luogo strano 
Sempre a traverso, e folgor par che sieno, 
£ domattina in Roncisvalie fieno. 

26t Disse il maestro : Sai tu ignun rimedio , 
Che si potessi impedire il cammino 
In qualche modo, e di tenergli a tedio? 
Rispose Rubicante: Io m’ indovino. 

Che presto aranno dalla sete assedio 
1 lor cavalli a un certo confino. 

Dove bisogna attraversare un monto. 

Sopra il qual nella cima è una fonte. 

262 Credo che a questa si riposeranno, 

E aran voglia di mangiare e bere. 

Però che multo alTannati saranno; 

Io posso adunque loro persuadere 
Di dar bere a’ cavalli: e se beranno. 

Quasi appiè questi vedrai rimanere, 

E non saranno in Roncisvalie a tempo, 

Chè la battaglia Qa doman per tempo. 

263 Perchè quel santo che Galizia onora 
Arrivò una volta a quella fonte 
Tutto aflannato, come fien questi ora, 

E riposossi, e lavossi la fronte; 

Onde un pastor, che noi conosce e ignora, 
Che guardava le capre in su quel monte. 
Gli disse: Peregrin, mal se’ venuto 
A questa fonte, se tu v’ hai beulo. 



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CANTO VENTE8IHOQUINTO. 

264 Sappi eh’ Ognun che v’ha bealo mai, 
Subito par che spiritato sia ; 

Però, se tu beesti, in corpo Thai. 

Rispose il santo : Per la fede mia, 

Che questa volta tu non t’apporrai; 

Perch’io farò che pel contrario Ga, 

Che quanti indemoniati qua beranno. 

Gli spiriti d’ addosso fuggiranno ; 

266 E però, bestia, ritorna nel gagno. 

£ così doppia grazia render volle. 

10 manderò là presto .un mio compagno. 
Prima che sien montati in su quel colle, 
,Squarciaferro, uno spirito mascagno: 
Yedrem se ignun di lor Ga tanto folle, 

Ch’ e’ creda a questo all’abito e la voce: 

Tu sai il proverbio, che il tentar non nuoce. 

266 Rispose il negromante: Or ferma il punto, 
Pensa eh’ ognun abbi la sua malizia ; 

Questo Astarotte sa la ghirba appunto 

Della fonte e del santo di Galizia : 

Guarda che qui tu non resti poi giunto, 

Però che c’ è de’ cattivi dovizia ; 

Grattugia con grattugia non guadagna. 

Altro cacio bisogna a tal lasagna. 

267 Non so quel che Astarotte o Farfarello, 
Rispose Rubicante, facci o dica; 

Ma spesso par serrato un chiavistello, 

11 qual tu non tentasti per fatica, 

Chè non era chiavato il boncinello ; 

E cosi, per non legger la rubrica. 

La poca diligenza paga il frodo: 

Perde il punto il sartor che non fa il nodo. 

268 Solo una cosa contrappesa qui ; 

Che se Rinaldo in Roncisvalle va , 

Molti Pagan per lui morranno il di. 

Sicché lo ’nferno in gran festa sarà ; 

Però che verisimil par cosi : 

Ed Astarotte il suo conto farà. 

Che Belzebù non lo possi riprendere; 

£ so eh’ egli ha del cattivo da vendere. 



300 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



269 Or io t’ ho detto d’ ogni cosa il vero : 
Lasciami andare alla faccenda mia, 

Cb’ io non posso chiarirli il suo pensiero ; 

Ma si 0 no, tutto in suo arbitrio fia: 

Ecco qui in punto un gentil messaggiero ; 

Nota che il tempo fugge tuttavia. 

Intanto Squarciaferro si dimostra. 

Per non tediar tanto la istoria nostra. 

170 Or oltre, Squarciaferro, e’ ti bisogna 
Adoperar qui tutte le tue arti. 

Disse il maestro, e dir qualche menzogna; 
lo posso in molti modi ristorarti ; 

So che tu sai quel che ’l mio core agogna , 

Non bisógna le cose replicarti : 

Se non eh’ una parola sol ti dico, 

Ch’ io ti sarò ancor forse buon amicò. 

271 Già era al monte Rinaldo salito, 

E r uno e l’ altro cavallo affannato, 

E ’l messaggiero è a tempo apparito 
Allato all’ acque ; ed aresii giurato 
Che fusse un santo e devoto eremito. 

Con un baston, con un viso intagliato. 

La barba, i paternostri, col mantello 
Di frate Lupo, ma parea d’agnello. 

272 E stava allato alla fonte a sedere, 

E facea bao bao, e pissi pissi. 

Che par che venga da un Miserare, 

0 che dal vespro di poco partissi ; 

£ poi dicea : Ben vegnate, messere : 

Per carità vi ricordo, non gissi 
Più oltre un passo a cavarvi la sete. 

Perchè più acqua oggi non troverrete. 

273 Questa è la miglior acqua che sia al mondo, 
E non fa male a bestie nè persone : 

Questi cavalli ognun par sitibondo. 

Pigliate alquanto di refezione. 

E accostossi frate Ciullo Biondo 
All’acqua, che parea la divozione, 

E guazza quella come uno anitrino, 

E faceva a’ cavalli il zufolino. 



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CANTO VENTESIMOQUINTO. 

274 Or gusla qui, lellor, ben quel eh’ io dico, 
Che sempre in ogni parte si vorrebbe 
Aver, giusta sua possa, ognuno ainico, 

Chè nessun sa dove capitar debbe: 

Parea questo eremita un uomo antico, 

Tal che Rinaldo creduto gli arebbe, 

E più eh’ io credo Rinaldo credessi 
Che sol per santità colui il vedessi. 

4 

275 Perch’ egli era invisibil, come è detto: 
Per tanto, uditor mio, ti dico, nota, , 

Che Astarotte non era costretto 

Di scoprire a Rinaldo questa nota : 

E non sia ignun che si fidi in efietto. 
Quando egli è bene in colmo della ruota, 

Di non condursi a ogni cosa estrema, 

E ognun prezzi e d’ ogni cosa tema. 

276 Ognun sa quasi sempre dove e’ nasce, 

Ida nessun sa dove e’ debbe morire; 

Quanti son già felici morti in fasce, 

Pe’ casi avversi che posson venire? 

Quanti n^ uccide la speranza e pasce. 

Quanti gran legni si vede perire. 

Disse il Poeta, all’ entrar della foce! 

Benché fuoco né ferro a virtù nuoce. • 

277 Talvolta a discrezion d’ un zolfanello 
Si ritruova in un bosco, e di poca esca, 

E spesso un uom mendico e poverello ’ 

Ti può salvar, pur che di le gl’ incresca : 
Potea dunque Astarotle, come fèllo, 

Lasciar Baiardo andar pei*l’ acqua fresca. 
Ma perché gli era Rinaldo piaciuto, 

L’ ammaestrò che non abbi beuto. 

278 E disse: Posa, posa, Squarciaferro ; 

Non ti bisogna 1’ acque diguazzane, 

Chè le tue maliziette, sai, non erro ; 

E Malagigi, perchè.4utte salle. 

Ti metterà la coda in qualche cerro ; 

Ma se tu vuoi venire in Roncisvalle, 

Vienne con meco, e vedremo un bel fiocco, 
0 tu ritorna al tuo maestro sciocco. 



302 



IL MORGANTÉ MlfiGiÓRE. 

279 E di eh’ io fui cattivo insin nel cielo, 

' Pensi quei eh’ iè^son fallo negli abissi ; 

£ che m’ avea molto tondo di pelo, 

A creder che il suo inganno riuscissi;’ > 
E tu credevi abbagliarmi col velo, 

E che Uaiardo al tuo fischio venissi : 

Tra furbo e furbo, sai, non si camnlTa, 

, Vienne tu, dico, a veder questa zuffa. 

280 Rinaldo, quando intese il parlar, subito 
Si^fermò col cavai lurb^ e presto. 

Ch’era presso alla fontSlfi men d’un cubilo; 
E disse: Dimmi quel che vuol dir questo? 

O Astarolte, a questa volta io dubito, 

E hon intendo la chiosa nè ’l lesto : 

E perch’ io so che 1’ uno e l’ altro io erro. 
Vorrei saper che cosa è Squarciaferro. 

281 Disse Asiarotte: Or vuoi tu confessarti? 
Sappi che questo è un romito santo. 

Che veniva la sete a ricordarti, 

Come tu vedi ; e quel devoto ammanto 
Non è fatto per man de’ vostri sarti. 

Rinaldo lo squadrava tutto quanto. 

Poi disse: Frate, tu se’ pur de’ nostri ; 

Chi non ti orederebbe a’ paternostri? 

282 E poi eh’ egli ebbe ogni cosa saputo. 
Disse; Astarotle, tu se’ pure amico, 

E io ti son veramente tenuto, 

E tanto in verità t’ affermo e dico : 

Se mai per grazia e’ sarà conceduto • 

Che il ciel ridiuti il suo decreto antico, 

Sua legge, sua sentenzia o suo giudizio, 
Ricorderommi d’un tal benelizio. 

283 Altro certo offerir non ti posso ora : 
L’anima chi la diè credo sua sia. 

Il resto tutto sai convien che mora : 

O sommo amore, o nuova cortesia! 

(Vedi che forse ognun si crede ancora 
Che questo verso del Petrarca sia. 

Ed è già tanto e’ lo disse Rinaldo ; • 

Ma chi non ruba, è chiamalo rubaldo.) 



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CANTO TENTESftlOQVWTO. 303 

284 Disse Aslarolle : Il baon volére accetto ; 

Per noi fien sempre perdute le chiavi , 

Maestà lesa, infinito è il difello ^ 

O felici Cristian, voi par che lavi 
Una lacrima sol corpugpooàl (ietto, « 

E dir: Signor, ttòt soli peccao i ' i. 

Noi peccammo una volta' e iir sempHérno 
Kilegati siam tutti nello inferno. ' 

2S6 Chè pur se dopo un miliope e mille • 

Di secol noi sperassim rivedere . . 

Di queir Amor le minime favillè, ■ . 

Aficor sarebbe ogni peso leggiere : " ■ , ' ' 

Ma che bisogna far queste [loslillet 
Se non si (luó, non si debbe volere ;• . 

Ond’ io ti priego, che tu sia contento , 

Che noi mutiamo altro ragionataentò. 

286 ' Or oltre, padre santo; non bisogna, ^ 

• Disse Rinaldo, arrossir però in volto/»' ’ 

Rispose Squarciaferro in la vergogna : > 

Non t’accostar, ma s’ io l’avessi còllo?. 

Disse Astarotte: O Malagìgi in gogna 
Ti metterà, prima che passi molto, . 

O tulli in Roncisvalle insietfie andremo^ * 

Poi nello inferno ci ritornereido. ' » 

287 E so che vi sarà faccenda assai . ** * - 

Per la virtù di questi paladim, ' 

E come ghezzo slaiTier ne verralf',-^ . 

E fa che allato a Rinaldo cammini.' ■ 

Rispose Squarciaferro : Or lo vedrai. 

E poi in un tratto apparirqno ferini ^ 

Neri, arricciati, e gli occhi coinè fobea,, ' 

E Irasmutossi in ghezzo a poco a fioco. 

288 E poi rivolse a Rinaldo lo sguardo, ^ 

E disse: Andianne, ch’io sono indiano^ 

E non son più quel romito bugiarde: ^ 

La pace è fatta. E loccògli la meno. . - 

Allor Rinaldo moveva Baiardo, ' 

E monti e balzi ogni cosa era pianò;** • 

Si che di poco .si mostrava il giorno,*^ 

Che presso a Siragozza capitorno. 



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304 



R MORGA'NTE MAGGIORE. 



289 Rinaldo, quando vede Siragozza 
£ ’l fiume Iber, pargli una cosa strana 
Cbeicosi tosto la via fussi mozza, 

£ ricordassi pur di Luciana ; 

Non so se questa volta parrà sozza: 

£ come c’ giunse sopra alla fiumana, 

Disse: Astarotte, poi che presso siamo. 

Io vo* per mezzo la terra passiamo, 

•290 E squadrar le fortezze d’ ogni banda : 

, Però di questo mi contenterai; 

£ quel che facci la reina filanda, 

Dimmi, ti priego, ch’ogni cosa sai. . 

Disse Asiarotte : la punto è la vivanda, 

^ £ se COI) essa desinàr vorrai; 

■ , Appiè della sua mensa ci porremo ; 

Non dqmandar se noi trionferemo. 

29t ' .Qr m’ ha’ tu il gorgozzul grattalo e l’ occhio, 
' Disse Rinaldo, eh’ io veggo la fame, 

£ non è tempo a indugiarsi il finocchio ; 

Noi ci staremo un poco colle dame : 

£ gralterem col piè loro il ginocchio, 

E udirera dir mille belle trame 
D U Ptoncisvalle. e forse il tradimento. 

K^ose il diavoi : Tu sarai contento. 

r 

292 ■'•£ come e’ fumo in Siragozza entrati. 

Non v^si vede bestie nè persone, 

Cbè solo i^moricini eron restati; 

E non si trova un uom per testimone, 

Cbè lutti alia battaglia sono andati 
In Roncisvalle con Marsilione : 

Dunque al palagio in corte dismontorno: 

La prima cosa, i destrier governorno. 

.293 ' E farfarello il famiglio facea, 

£ orto e fien traboccava a’ cavalli; 

Perchè il maestro di stalla dicea : 

Chi è costai ? a certi suoi vassalli. 

Ognun rispónde che noi conoscea; 

Ma Farfare! due occhi rossi e gialli 
Gli strabuzzò, poi gli fece paura 
Con un baston eh’ è di lunga misura. 



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CANTO VENTESIMO QUINTO. 



30» 

294 E difise: L’arcifanfan di Baldacco 
È venuto madonna a vicilare: 

Questo baston, se addosso le 1’ attacco, 

Ti farà d’altro linguaggio parlare ; ' • 

E attendeva a dar deli’ orzo a'* maccK>, 

Si che faceva colui disperare ; é 
E perchè ignun non uscissi dei guscio, 

E’ s’ arrecava col bastone all’ uscio. 

295 Rinaldo e Ricciardetto in sulla sala , 

E Astarottc intanto è comparilo: 

Vede che quivi si fa buona gaia, 

E non è nè veduto nè sentilo,' 

Perchè la turba d’intorno cicala, 

E cominciava a bollire il convito ; 

E Luciana ancor parca pur bella, 

Però eh’ allato alla reina è quella. 

296 Posonsi appiè della mensa a sedere: 

Ecco un piattello : Astatotte lo ciufla ; 

Onde e’ si volge ad un altro scudiere 
Colui che il porla, e cèti esso s’ azzuffa: 

Intanto la feina volea»bere, 

Mentre che sono in su questa baruffa : 

E Ricciardetfo s’ accoda pian piano, 

E poi gli lieva la tazza' di mano. 

297 Rinaldo intanto at(5tade a petlTnarsi; 

E d’ ogni cosa che lo aéafeV manda, 

E’ faceva la parte sua recarsi : 

I servi, a chi tolta era la vivanda, 

Cominciavon tra lor lutti azzuffarsi, 

E intanto grida la reina filanda : 

Che cosa è questa? e dove è la mia tazza ? 

Voi mi parete qualche ciurma pazza. 

298 Ognun colla «eina facea scusa. 

Tanto che in fine ella si maraviglia : 

Rinaldo star non voleva alla musa, 

E del laglier di Luciana piglia ; 

E Luciana, parcHra confusa, 

E in qdk e-in là rivolgeva le ciglia, 

E non sapeva fra sè che si dire, 

Chè la vivanda vedeva sparire. 

2C* 



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30G 



IL HORGANTB MAGGIORE. 

299 Egli era il di dinanzi nn lupo énlralo 
Nella città per mezzo della turba, 

E fu per male augurio intcrpetrato, 

Ché non* ganza cagion lupo s’inurba ; 

£ la rei na** la notte ha sognato,' 

Che uB gran lion la sua casa conUirba : 

E non sapea che ’l lione era presso. 

Cioè che quel di Rinaldo era desso. 

30U Si eh’ ella aveva questo sogno dello; 

E poi veggendo questi cITetli strani. 
Conturbato gli avien la mente e ’l petto. 
Dicendo : Egli è mal Segno’ pe’ Pagani ; 

E certo qualche spirito follellD, 

Da poi che son con Orlando alle mani. 
Annunziar ci vien trista novella. 

E cosi tutta avviluppala è quella. 

30t E Squarciaferro per piacevolezza 
Tra le gambe per sala s’attraversa 
A questo e quello, onde e! cadeva, e spezza 
O vetro 0 vaso, 4 qualche cosa versa : 

E tutto la reina raccapezza, *' 

E dubitava d’ogni'^osa avversa: 

E cosi tutti i bardo suoi d’'4nlorno ' 

Di que^i casi si bararviglierno. ^ 

302 , Rinaldo un pome, che si ohiàtoib musa. 
Ad un buflbnvBhe gli pareva sciocco. 
Trasse, e con eSso la bocca gli ha chiusa : 
Onde e’ si volge d‘ intorno lo ignocco, 

£ la reina o Luciani accusa ; 

Ma Ricciardetto gli dctle un barno'cco 
Nel capo, e come una pera è caduto : 

Ma ogni cosa guastò lo starnuto. 

303 Chè mentre scompigliato era il convito, • 
Non si potè Ricciardetto tenere, 

Ch’un tratto e due e tre ha starnutilo; 

E non potendo chi fosse vedere. 

Comunque questo romorfu sentito, 

A furia ognun si lieva da sedere'; 

, Si che in un punto si vòla la sala, > * 

E beato è chi ritrova la scala. 



CANTO VENTESIMOQUINTO. 



307 



304 Rinaldo tem|)o gli parve accostarsi 
A Luciaiia,che volea fuggire, 

. £afu tentato a costei palesarsi ; 

Ma dubitò di non farla stupire: 

Ella gridava, e voleva levarsi. 

Ma non potè tanto destro partire. 

Che gli appiccò due baci alla franciosa, 

E ogni volta rimase la rosa. ' 

30ó Già erano i cavalli apparecchiati , 

E lo statlicre è ritornalo ghezzo ; 

Rinaldo e Ricciardetto rimontati 
Si dipàrtiron trastullati un pezzo, 

. E lascion color tutti spaventati, ' , 

Che per fuggir not\, s’ aspettava il sezzo : 

E tutti quanti d’ accordo dicieno. 

Come il palagio di diavoli è pieno..- 

306 Rinaldo pel cammin po^agionando, 

Diceva : Ancora è Luciana bella : 

O Astarotte, io' mi ricordo quando 
, Giovane un tratto innamorai dì quella, 

A Siragozza per caso arrivando ; 

Questa fu alcun tempo la mia stella, 

E venne insino In Persia a ritrovarmi. 

Con Balugante e con gran gente d’ armi. 

307 Ed arrecommi un padiglion si bello^ . 

Che sempre per suo amor l’ho riservalo. 
Però che mollo artificioso è quello : 

Il foco da una banda figurato. 

Dall’ altra l’ aria con ciascuno uccello ; 

Poi nella terra ogni animai notato ; 

Nell’ acqua i pesci : ma qui dèi comprendere. 
Che il ver dì tutti non si possi intendere. 

308 Disse Astarotte : Questo padiglione 
Io il veggo come e’ mi fusse presente, 

Però che al nostro veder non si oppone 
O monti 0 mura : lo spirto è una mente, 

Che vede ove e’ rivolge sua intenzione ; 

Tu hai cercato il Levante e ’l Ponente, 

Ora all’ occhio mentale è conceduto 

Di riveder ciò che tu hai veduto. 



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1 

308 IL MORGANTE MAGGIORE. 

309 Ma perchè di’ che tulli ^li apimali 
Vi si veggop dell’ aria e della terra , 

Sappi che manca assai de’ principali ^ 

Di que’che l’emisperio vo^ro serra; 

Però fia buon, rimellersi gli occhiali : '' 

E perchè vegga Aslarolle non erra, 

A Montalban nella tua zambra è quello 
Padiglion, cerio, come hai dello,' bello. 

3(0 Disse Rinaldo: Tu m’hai punto il core, 

O Aslarolle, con si dolce orlica. 

Che se pur Luciana prese errore ' 

Nel padiglione, io vo’che lu mel dica; 

Ed io v’aggiugnerò per lo suo amore, 

Ch’io senio ancor de)ki mia fiamma antica: 

E ragionar di qualche bella cosa . 

Fa la vìa breve, piana, e men sassosa. 

311 Disse Aslarolle: La gran Libia mena 
Molli animali incogniti alle genti,' 

De’ quali Mcun si dice Anfisibena; 

E innanzi e indietro van questi serpenti. 

Che in mezzo di due capi hanno la schiena; 

Altri in bocca hanno tre filar di denti , 

Con volto d’uom, Manlicore appellati. 

Poi son Pegasi cornuti ed alali. 

312 Da questi è detto il fonte di Pegaso : 

Un altro, il qual Rinoceronte è detto. 

Offende con un corno ch’egli ha al naso, 

Perchè mollo ha 1’ Elefante in dispetto; 

E se con esso si riscontra a caso, *■ 

Convien che 1’ un resti morto in effetto : 

£ Callirafio il dosso ha maculato; 

E Crocula è di lupo e di can nato. 

3t3 Leucrocula è un altro animale. 

Groppa ha di cervio, e collo e petto e coda 
Di lion tutto, e bocca da far male, 

Ch’^è fessa, e insino agli orecchi la snoda, 

£ contraffa la voce naturale 
Alcuna volta per malizia e froda: 

E Assi un’ altra fera è nominata , 

Mollo crudel, di bianco indanaiala. 



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CANTO VBNTESlHOQDINTe. 



309 



314 E un serpente è dello Catoblepa,' 

Che va' col capo in terra e colla bocca 
Per sua pigrizia, e par col corpo repa; 
Secca le biade,' e I’ erbe, e ciò che tocca , 
Tal che col fiato il sasso scoppia c crepa. 
Tanto caldo velen'da questo fiocca; 

Col guardo uccide periglioso e fello. 

Ma poi la donnoletta uccide quello. 

3I& Icneumone, poco animai nolo, 
Coll’aspido combatte, e I’ armadura 
Prima si fa lutTandosi nel loto; 

Dormendo il coccodrillo, il tempo fura, 

E in corpo gli entra come in vaso voto; 
Però che tiene a|)erta per natura * 

La bocca, quando di sonno ha capriccio, 
E lascia addormentarsi dallo scriccio. 

316 Un’altra bestia, che si chiama Eale, 

I.a coda ha d’elefante, e nero e giallo 
Il dosso tutto, e dente di cinghiale. 

Il resto è quasi forma di cavallo; 

E ha due corni, e non par naturale, 

Chè può qual vuole a sua posta piegallo; 

Come ogni fera talvolta dirizza 

Gli orecchi e piega per paura o stizza. 

317 Ippolamo, animai mollo discreto, 

Quasi cavallo o di mare o di fiume. 

Entra ne’ campi per malizia a drielo; 

E se di sangue superchio presume , 
Cercando va dove fusse canneto 
Tagliato, e pugne, come è suo costume. 
La vena, e purga 1’ umor tristo allotta. 

Poi risalda con loto ov’ ella è rolla. 

318 E non ti paia opinion qui folle. 

Che da quel tratto è la flebotomia. 

Perchè natura benigna ci volle 
Insegnar tutto per sua cortesia; 

Non si passa di questo, se non molle. 

Il cuoio, tanto doro par che sia: 

Co’ denti quasi di vetro ferisce, 

E con la lingua forcuta anitriscc. 



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310 



II. HOUGANTE MAGGIORE. 



319 Lionlofono è poco conosciuto, 

Che del lione è pasto venenoso : 

Tragelafo è come becco barbuto: 

Toos, il qual non è sèmpre piloso, 

La state è nudo, e di verno velluto: 

Licaon è come lupo famoso : 

Altri animali appellati sono Alci, 

Cavai silvestri, e traggon di gran calci. 

320 Poi soivBissonti, buoi silvestri ancora, 
Cbe nascon molto in Sciffa c in Germania ; 
E un serpente che si chiama Bora ; 

E Macli è bestia, eh’ a dir pare insania. 

Che con lè giunte niente lavora, 

^«Si che dormendo rimane alla pania; 

Perché appoggiato a un alber s’ accosta, 

E chi quel taglia lo piglia a sua posta. . 

321 E Celi sono altri animali strani 
Che nascon nelle parli d’Etiopia, 

C’ hanno le gambe di drieto e le mani 
Dinanzi, come forma umana propia; 

Questi vide ne’ giuochi Pompeani 
Prima gi^ Roma, c poi non ebbe copia : 

E Gano a questi giorni a Carlo scrisse, 

E, come falso, di questi promisse. 

322 E una fera Tarando è chiamata. 

La qual, dov’ella giace, il color piglia 
Di quella cosa ch’ella è circondata; 

Si che a vederla la vista assottiglia : 
Un’altra ancora è Salpiga appellala^ 

Che nuoce assiti sanza muover le ciglia : 

E SpettàQco, Arunduco, e molti angue, 
Che pur Medusjj^non creò col sangue. 

323 Poi son Chelidri serpenti famosi, 

Fdipsa, Emorrois c Caferaco, 

Saure e Prester, lutti velenosi; 

E non pur nota una spezie di draco; 

E animali incogniti e nascosi 

Che stanno in mare, e chi in palude o laco 

E molti nomi slran di basilischi 

Si Iruova ancor con vari effetti e fischi. 



VB^T£SlMOQIIi^TO. 

324 Draeopopode, Armene e Calcatrice, 

. Irundo, Assordio, Arache,' Altinanile , 

Cenlupede e Cdrondc e Rimalrice, 

Naderos molto è solitario immite, 

Beruse e Bop e-Passer e Na;lrice, 

Che Luciana non avea sentite, r 
E Andrio, Edisimon e Arbalrafla; 

E non si ricordò della GiraQa. ^ 

325 E degli Qccelli Ibia, che>?par cicogna, 
Perchè e’ si pasce d’ uova di shrp^nte ; 
Passi il cristeo al tempo che bisogna 
Con l’acqua salsa, chi v’ h«^poslo nt^te. 
Rivolto al culo il becco per zampogna 
Che la natura sagace e prudente 
Intese, mediante questo uccello^ 

Apparar poi i fisici da quello. 

326 Agotile, appellato caprimulgo, 

Poppa le capre sl/phe il latte secca; 

E Chite, uccello ignorato dal vulgo,' 

La madre e '1 padre in senettute imbecca: 
Un altro è appellato Cinamulgo, ~ 

Del qual chi mangia, le dita si lecca, 

E non ispari il ghiotto quésto uccello, 
Perchè di spezierie si pasce quello. 

327 Meonide ancor son famosi uccelli , 

Che fanno appena creder quel eh’ è scritto; 
Però eh’ ogni cinque anni vengon quelli 
Di Meone al sepolcro insin d’ Egitto : 
Combatton qurvi, o gran misteri e belili 
Mostrando pianto naturale afflitto,' 

Come facessin l’ esequie e ’l morloro. 

Poi si ritornon nel paese loro. 

328 Ed Ardea quasi l’ aghiron simiglia. 

Che fugge sopra i nugol la tempesta ; 
GoreduI ciò che per ventura piglia , 

Del cor si pasce , e I’ avanzo si resta ; 
Carità vola e parrà maraviglia. 

Per mezzo il foco, e non incende questa. 
Nè so se ancora un uccel conoscete, 

Nimico al corbo, appellalo Corele. 



311 . 



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312 



lU HOBGANTB MAGGIOtlE. 



329 E un uccel, che di siate si vede* 

Dopo la pioj^gia, si chiama Driaca, 

Che la nalura creò senza piede ; 

£ A'iilon, che gridando s’indraca 
Drieto alla volpe, se 1’ asina vede, 

Amico il segue, e con esso si placa: 
Bislarda è grave; e dir non ne bisogna, 
come vii, si pasce di carogna. 

330 Non so se del Calandro udito hai dire. 

Il qual, posto all’ infermo per'obbietto. 

Si volge indrielo, se quel dee morire; 

Cosi al contrario pel contrario effetto: 

Ibor come cavai s’ ode anilrire: 

Luce Lucidia, un pulito uccelletto, 

Tanto che quasi carbonchio par sia. 

Sicché di notte dimostra la via. 

331 Incendola, col gufo combattendo. 

Vince il di lei, c il gufo poi la notte: 

Ma soprattutto Porfirio commendo, 

Un certo uccel che non teme di gotte ; 

Chè ciò che piglia lo mangia bevendo, 

SI eh’ e’ vuol presso la madia e la botte : 
L’un piè par d’oca, perch’ e’ nuota spesso; 
E l’altro, con eh' e’ mangia, è tutto fesso. 

332 Or s’ io volessi de’ pesci coniare, 

E tante forme diverse narralle, 

Sarebbe come in Puglia annumerare 
Le mosche, le zanzare e le farfalle ; 
lo veggo la battaglia apparecchiare, 

E non saremo a tempo in Roncisvalle. 

Or lasciam questi cosi ragionando : 

Cristo ci scampi, se si può, Orlando. 



NOTE. 



3t ■ tarabuso. È il (arabnso un 
ucce! di padule che ha il collo Inn- 
ghiaaimo e il becco lungo, auzzo, gros- 
so e tagliente , il quale quando e’ met- 



te nell’ acqua fa cosi gran romore che 
sembra il muggito d’ un toro. È lo 
stesso che l ’ ardea stellaria. Con 
tutto questo discorso il Poeta vuol si- 



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CANTO VENTESIHOQUINTO. 313 



gnìficare cbe BiaaciardÌDo aveva ado- 
perate tutte sue arti per far dire a 
Gano ciò eh’ e’ covava , ma cbe non 
v’ era riuscito. 

69. mori' io ec. Cioè , morto io 
sarebbe come se non fosse morto al- 
cuno. La Puglia è paese assai caldo , 
e però abbondantissimo di mosche, e 
simili insetti. 

72. Le frutte amare ec. Alberi- 
go dei Manfredi , signori di Faenza , 
frate gaudente, essendo in discordia 
con certi suoi consorti , e bramando 
di torgli dal mondo, finse volersi con 
loro riconciliare , e li convitò magni- 
ficamente ; ma al recarsi delle frutta 
uscirono , secondo eh’ egli aveva ordi- 
nato , alcuni sicarii che uccisero molti 
de’ convitati. Vedi Dante, Inferno, 
Canto XXXIII 

74. Dunque i $uoi privilegi ec. 
Credevasi dagli antichi che il lauro , 
come quello in cbe da Apollo era 
stata convertita Dafne , non potesse 
esser tocco dal fulmine. 

77. subbio. Il tronco dell’albero, 
cosi chiamato per una certa analogia 
con quel legno lungo e rotondo , sul 
quale i tessitori avvolgono la tela or- 
dita. — e muda. Mudare si dice pro- 
priamente degli uccelli quando rin- 
nuovan le penne. Qui per similitudine. 

404. più dolce che mèle. Credulo. 

469. Angiolino, Angiolo Polizia- 
no.— d’Armif do e d’ Alcuino ec. Am- 
bedue scrittori delle cose di Carlo 
Magno, e de’ suoi tempi. 

478. al hauceo. Forse al bacuc- 
co, che è un certo arnese di panno il 
quale serve per mettere in capo a uno 



er cuoprirgli il volto, e impedirgli il 
en mandar fuori la voce. 

204. entropia. Pietra che reputa- 
vasi rendere invisibile chiunque l’avesse 
indosso. La supersfiziosa credenza che 
avevasi della virtù di questa pietra, 
forma il bizzarro argomento della no- 
vella di Calandrino. 

206. gogna. È propriamente il 
luogo dove si ricoverano le bestie ; 
eaula. Qui è posto figurat. 

208. boslàgio. Facchino, porta- 
tore; dal greco Sasrà^stv, cbe vai 
condurre, portare, 

218. Facciam qui sei ec. Gli 
Apostoli presenti alla trasfigurazione, 
proposero di eriger quivi tre taberna- 
coli , uno per Gesù Cristo , uno per 
Elia, e uno per Mnsè. Vedi San Lu- 
ca, Cap. IX, V. 35. 

219. razzesi. Era il razzese un 
vino che faceva nella riviera di Genova. 

242. Tetragramatonne. Tetra- 
grammata, nome composto di quattro 
lettere, e si dice specialmente dell’Inef- 
fabile e Santissimo nome di Dio, 
che del Tetragrammato Jebova si vede 
formato presso gli Ebrei. 

26H. .mascagno. Scaltrito, vafer. 

267. Jfa spesso ec. Spesso una 
cosa pare difficile, ed essa è agevolis- 
sima a fare. 

298. Rinaldo star ec. Stare alla 
musa, o musare, significa stare oziosa- 
mente a guisa di stupido , tratta forse 
la metafora dall’ atto che fanno le be- 
stie quando per difetto di pasciona, o 
per istanchezza , malinconia , o altra 
cagione si stanno stupidamente col vi- 
so levato. Vedi Varchi, Ercolano. 



it. 



27 



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314 



IL MOHGANTE MAGGIORE. 



CA^O AENTESmOSESTO. 



All’armata di Francia in Roncisvalle 
Con tal forza s’ oppongono i Pagani , 

Che i paladini voltano le spalle , 

E molti e molti son tagliati a brani : 

Scorre nel monte e scorre per la valle 
De’ Saracini il sangac e de’ Cristiani ; 

Arrivano Rinaldo e Ricciardetto , 

E non fanno sperar cattivo effetto. 

1 Benigno Padre, a questa volta sia 
La tua somma pietà più che mai fosse : 
Manda il tuo Arcangel con sua compagnia, 
Che le spade del cicl sien falle rosse ; 
t^hé tanto sangue in Roncisvalle fìa, 

Che correrà pe’ fiumi e per le fosse, 

Poi che r ultimo giorno è pur venuto. 

Che Malagigi ha più tempo temuto. 

3 O Carlo, omè quanto sarai meschino. 
Quando vedrai de’ nuovi casi avversi, 

£ morto il tuo nipote e paladino ! 

0 tristi, affiilti, o lamentabii versi ! 

O traditor Marsilio Saracino, 

Or potranno i tuo’ inganni al fin vedersi I 
O Ganellon, tosto sarai contento 
D’aver condotto il sezzo tradimento! 

3 Avea colui, eh’ ancor Prometeo piange. 
Cavato il capo fuor dell’orizzonte 
Di fuoco e sangue, ond’e’parea che Gange 
Mostrasse de’ Cristian le future onte ; 
Quando appresso si scuopron le falange 
Del re Marsilio e de’Pagan già a fronte, 

E apparivan sopra una montagna 
A poco a poco le turbe di Spagna. 



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CANTO VENTESIHOSBSTO. 



4 Or chi vedesse al vento gli stendardi 
Bianchi, azzurri, vermigli, e neri e gialli, 

E serpenti e lion, cervieri e pardi, 

E sentissi il tumulto de’ cavalli, 

E r anitrir per le tube gagliardi ; 

Islupefalto sarebbe-a guardalli. 

Tanti strumenti e vari segni e strani 
Si sentiva e scorgeva de’ Pagani. 

5 Ma GuottibuofG, che ne dubitava, 

Ch’ era famoso vecchio Borgognone, 

Ognidì con Orlando ricordava, 

Che si facessi altra provvisione, 

E tuttavolta il campo rafforzava ; 

Orlando, qual si fusse la cagione, 

A questa volta non ci ponea cura, 

E non parca che conosca paura. 

6 Ulivier avea il di dinanzi detto 
Che fatto avea molto terribil sogno, 

Tanto che messo gli aveva sospetto. 

Perché di Daniello avea bisogno. 

Orlando disse: Chi fa col barletto, 

Pensa quel che farebbe con un cogno; 

Ed avea detto in suo linguaggio, e tosto, 
Onestamente, che sognava il mosto. ' ‘ 

7 Credo che Orlando, come antico e saggio. 
Conosceva il suo mal già presso al fine; 

Ma non mostrava net volto il coraggio. 

Ed aspettava corona di spine 

Ornai di Spagna e ’l tributo e I’ omaggio : 

E poco vaglion le nostre dottrine; 

Però che, quando un gran periglio è presso, 
Difflcii molto è consigliar sé stesso. 

8 La mattina Ulivier per tempo è ito 

In su’n un monte, e Guottibuofii v’era, 

Che sempre stava la notte assentito,' 

E ordinava le guardie ogni sera : 

Intanto, com’io dissi, è comparito 
Del re Marsilio già la prima schiera, ! 

E conobbe gl’ inganni de’ Pagani , 

Che cominciavon già a calare a’ piani. 




316 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



9 E disse: O GuoltibuoQi, eiili è venuti) 

L’ ultimo dì per la gloria di Carlo ; 

Il Conte nostro non l’ ha mai creduto, 

Che si voleva il rampo rafforzarlo: 

Questo è Marsilio traditore astuto, 

Ch’ a tradimento viene a ritrovarlo ; 

Però che segno di pace non parmi, 

Ch’ io veggo a tutti rilucer qua l’ armi. 

10 Or son le profezie di Malagigi 
Adempiute per sempre a questa volta : 

Io sento insin di qua tremar Parigi : 

O Gancllon, tu hai pur fatto colta, 

E ristorato Carlo de’ servigi. 

E dello questo, al cavai dette volta, 

E scese presto gualoppando il monte, 

£ ritrovò dove lasciato ha il Conte. 

11 Aveva Orlando strana fantasia 
Quella mattina ; e veggendo venire 
Ulivier che correva tuttavia, 

Gridò da lungi: Questo che vuol dire? 
Disse Ulivier: Mal, per la fede mia; 

Non volesti iersera appena udire : 

Marsilio è qua che t’ arreca il trihulo 
Con l’arme; e ’l mondo è con seco venuto. 

12 Tulli i baroni ad Orlando d’ intorno 
Fumo in un tratto, e ognun confortava 
Che si dovessi sonar presto il corno : 
Orlando presto in sul cavai montava 

£ Sansonetto, e in sul monte n’ andorno : 
E come e’ giunse, d’ intorno guardava, 

E ben conobbe che Marsilio viene 
Per dar tributo di future pene. 

13 E poi si volse verso Roncisvalle, 

E pianse la sua gente dolorosa, 

£ disse: O trista, o infortunata valle. 

Oggi sarai per sempre sanguinosa! 

Quivi eran molti già intorno alle spalle, 

E lutti consigliavano una cosa. 

Da poi che por il caso è qui trascorso. 

Che si chiamassi coi corno soccorso. 



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CANTO VENTESIMOSESTO. 



317 



14 ' Era salito in su questa montagna 
Astolfo, e Berlinghier, presto, ed-Avino, 

£ riguardando ognun per la campagna, 
Veggendo tanto popol saracino : 

Abbia pietà della tua gente magna, 

Dicevan tutti ,_^o franco paladino; 

Va, suona il Òdrno quanto puoi più forte, 

Ch’ ogni cosa è men dura che la morte. 

ih • Rispose Orlando : Se venisse adesso 
Cesare, Scipio, Annibaie, c Marcello, 

E Dario, e Serse, e Alessandro appresso, 

£ Nabucco con tutto il suo drappello, 

E vedessi la morte innanzi espresso. 

Con. la falce atlìlata o col coltello,;! 

Non sonerò perchè e’ m’ aiuti Carlo, 

Chè per viltà mai non volli sonarlo. 

16 Tornossi adunque con sue gente Orlando, 
E ’l campo fece con gran furia armare : 

Per tutto Roncisvalle è ito il bando 

Ch’ ognun presto a cavai debbi montare ; 

E Turpin va colla Croce segnando,' 

£ cominciava lutti a confortare 
Ch’ ognun morissi volentìer per Cristo, 

E ricordar la passion .di Cristo. 

17 Or chi vedessi il campo armare’ in fretta, 
Certo pietà gliene verrebbe al core; 

Come ogni cosa, a chi il contrario aspetta. 
Par che più porti dolcezza o terrore : 

£ risonava più d’ una trombetta 
Per Roncisvalle con certo clangore. 

Che parea proprio al giudicio chiamassi 
In Giusaffà, sì che i morti destassi. 

18 Pensa eh’ ognun con gran furore assetti 
Quivi i cavalli e sue armi raggruppi ; 

E chi gridava e batteva i paggetti, 

E tutti sieno occupati i galuppi; 

E alcun 1’ armi al contrario si metti, 

£ le parole co’ fatti avviluppi, 

Si come avvien nelle gran cose spesso, 
Gridando: Arme, arme, i nimici son presso. 

27 * 



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318 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



19 Già eran latli i paladini inaUnie 
Rislrelli con Orlando, a consiiiliare 
Della ballaglia che ciascon qui leme, 

Come e’ si debba le gente ordinare: 

Orlando per doloi^àospira e geme, 

E non poteva a gnun modo parlare, 

D’ aver condotto si miseramente 
In Roncisvalle a morir la sua gente. 

20 E Uiivier dieea: Caro cognato, ** 

Meglio era, omè^ tu m’ avessi ci^jhito : 

Già è piò tempo eh’ io t’ ho predtèato 
Ch’ io avevo Marsilio conosciuto 
Traditor prima che fussi crealo; 

E tu credevi e’ mandapi'il tributo: 

E Carlo aspetta le mummie a San Gianni : 

Di Gan, non credo che nessun s’ inganni, 

21 Salvo' che lui, poi che gli crede ancora, 

E ha condotti a questa morte tutti ; 

Ma quel Marsilio, se nessun lo ignora, 

Fra molli vizi lutti osceni e brutti, 

Una invidia ha nell’ ossa che ’l divora,. 

Che si conosce finalmente a’ frutti; 

10 l’ho sempre veduto in uno specchio 

Un tristo, un doppio, un vii traditor vecchio. 

22 Malgigi è quel che lo conosce appunto, 

E mille volte pur le I’ ha già dello; 

E che e’ dovessi il campo stare in punto. 
Gridato hq tanto, ch’io n’avea sospetto: 

' Non m’ hai «t-edulo; ora è quel tempo giunto 
Che tanti annunzi tristi hanno predetto: 

Or hai tanto bramalo, or mi perdona. 

Come nespola in ca[>o la corona. 

23 Orlando non rispose a quel che disse 
Uiivier, perchè il ver non ha risposta ; 

E benché la risposta pur venisse. 

Le parole non vengono a sua posta : 

11 campo intanto a ordine si misse, 

E per far allo ad Orlando s’ accosta, 

Che fece a tutti ordinar colezione. 

Poi disse pur quest’ uHima orazione. 



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CANTO VENTESIMOSESTO. 



319 



24 ‘ S’ iv'ij^vessi pensalo, il Iradilore 
Marsilio in questo modo a vicilarmi 
Venissi, come ingiusto e pec'eatore, 

' lot arei prei>arato i cori e l’ armi ; , 

W,|)CTcbè sempre gli portai amore, 

(^edca che cosi lui dovessi amarmi, 

£ che fussi sepolto ogni odio antico: 

~ Chè qualche volta ognun pur torna amico; 

26 Salvo che lui, che per viltà perdona , 

E resta fur la piente acerba e. cruda: 

Per tanto io gli confermo la corona 
T)e’ traditori, e scuso or Gano e («lada. 

Ch’io non trovo in lui cq^ che sia buona ; 

Ma fa come sparvier chè in selva muda. 

Che l’ assicura, e par eh’ e’ sia^la fede ; 

Poi , se tu il lasci un, tratto, itai non riede. 

26 Ecco la fedp or di Melchisedecche, 

Un uom eh’ è di più lingue che Babelle, 

Da dirgli Alecsalaìn Salamalecche , ■ 

Proprio un altro Cain che invidia Abelle : 

Ma forse sarò io nuovo Lamecche, 

Forse lo spirto è quel d’Achitofelle , 

Forse di Marsia , che s’ asconde al cielo 
Di corpo in corpo, anzi al signor di Deio. 

27 Or por chi inganna^gnun anche sè inganna , 
E non sia ignun che a sè stesso si celi , 

Perchè pursè medesimo al Gn danna: 

Se voi sarete alla morte fedeli , 

Ristoreravvi colla dolce manna 
' Il Signor vostro degli amari feli ; 

E se il pan del dolor mangialo avete. 

Stasera in paradiso cenerete ; 

28 Come disse quel Greco anticamente 
Lieto a’ suoi già, ma disse — Nello inferno. 
Vedete in sulla grata paziente 
Lorenzo, per fruir quel gaudio eterno : 

Volgi quest’ altro: o giusto amor fervente ! 

Che non senlia d’altro foco lo scherno: 

Chè dolce cosa è volontaria morte. 

Quando l’anima è in Dio costante e forte. 



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IL HORGANTE MAGGIORE. 



29 Qaant’ io per me, qaal mansueto agnello 
Me ne vo, come Isacche, al sacrificjo, 
Bench’ io vegga già fnor tutto il coltello ; ' 
Ch’io sento già quell’ eterno gìudicio, 

Dove fia giudicato il buono e il fello, 

Tosto fìa ministrato il grande oficio : . 

Fenile henedicli patrp mei ; 

E nell’ inferno discacciati i rei. 

30 Però, mentre di vita ancor ci avanza. 
Perchè il fine è quel eh’ ogni cesa onora ; 
Ognun di paladi^, mostri possanza. 

Acciò che il cor^ solamente mora : 

Ed abbiate buon cor sanza speranza, 

Perch' io non so quel che si fìa ancora ; 

E spesso ove i rimedj sono scarsi , 

Fu a.moNi salute il disperarsi. , 

31 E’ m’ ihcresce che Carlo in sua vecchiezza 
Vedrà forse pur fin posto at suo regno 

Di Francia bella, e di sua gentilezza, 

Perch’ egli è stato imperalor pur degno ; 

Ma ciò che sale, al fin vien poi in bassezza : 
Tutte cose mortai vanbo ad un segno; 
Mentre 1’ una sormonta, un’altra cade; 

Cosi fìa forse di Cristianilade. 

32 £ increscemi del mio fratei Rinaldo, 

Ch’io non lo vegga innanzi alla mia morte 
A punir questo traditor ribaldo; 

£ come cosa immaginata forte. 

Non posso in un proposito star saldo ; 

E par che nella mente mi conforte 
Un pensier, che mi dica: egli è qui presso: 

E guardo ognun eh’ io veggo, s’ egli è desso. 

33 La cagion perchè il corno io non sonai, 

È per veder quel che sa far fortuna : 

Non vo’che ignun se ne vanti giammai 
Ch’ io lo sonassi per viltà nessuna: 

Prima fìen tenebrosi in gielo i rai. 

Prima il sole arà Inme dalla luna. 

Forse a Marsilio pria trarrò l’orgoglio, 

£ con questo pensier sol morir voglio. 




CANTO VENTESIHOSESTO. 



321 



34 E olirà queslo , e’ noi concede il loco; 
Perchè da noi a Carlo è (anlo spazio, 

Che il suo soccorso gioverebbe poco; 

10 vo’che Ganellon si facci sazio: 

Ma innanzi che partiti siam da giuoco, 

' Noi farem di costor si fatto strazio, 
Ch’esemplo sarà al mondo quanto e’ dura, 
Si eh’ io non ho della morte paura. 

36 La morte è da temere, o la partita. 
Quando l’anima e ’l corpo muore insieme ; 
Ma se da cosa Gnita a inGnila 
Si va qui in ciel fra tante diademe, 

Questo è cambiar la vita a miglior vita: 

Or abbiate in Gesù perfetta speme, 

E vita e morte rimettete in quello 
Che salvò da’ lion già Daniello. 

36 Un Glosofo antico, detto Tale, 

La prima cosa ringraziava Iddio 
Che fallo I* aveva uom, non animale ; 

Però , se cosi fusti e voi ed io. 

Consegue or che l’ effetto sia mortale : 
Dunque è proprio dell’ uomo, al parer mio. 
Amar quanto conviensi il breve mondo. 

Ma soprattutto il suo Signor giocondo. 

37 Kicordalevi ognun di que’buon Deci, 
C’hanno sol per la patria fallo tanto, 

E molli altri Roman famosi e Greci, 

Per lasciar poi nel mondo un piccini vanto; 
Del qual fo poco conto, e sempre feci. 
Rispetto a conseguir quel regno santo. 
Dove è Colui che sparse il giusto sangue. 
Per liberarci dal mortifero angue. 

38 Non crediate d’ Orazio o Curzio sia 
Felice il nome come il vostro certo. 

Perchè quello a salute al mondo Ga ; 

Ma r anima non ha qui premio o merlo: 
Mentre ch’io parlo con voi, tuttavia 

Mi par tutto veder già il cielo aperto, 

E gli angeli apparar su con gran fretta 

11 loco che perdè la ingrata setta. 



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322 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



39 Io vc^e^o un nugolello in aria, un nembo, 
Che certo vien per voi di paradiso; 

E sia di Mioael si scuopre un lembo, 

Tal ch’io non posso contemplarlo fiso: 

Farmi vedervi giubilare in grembo 
Di quello Amor che tutto applaude in riso, 
Come quc’ padri giù nel sen d’Àbramo, , 

E che tutti già in ciel felici siamo. 

40 Però vi do la mia benedizione ; 

E come tutti assolverà Turpino, 

É falla in ciel la nostra assoluzione. 

E dello questo, pigliò Vegliantino, 

E saltò della terra in su l’arcione, 

E disse : Andianne al popol saracino. 

E pianse in sul cavallo amaramente. 

Quando e’ rivide tutta la sua gente. 

41 E disse un’altra volta: O dolorosa 
Valle , che presto i nostri casi avversi 
Faran per molli secoli famosa. 

Tanto sangue convien sopra te versi, 

Tu sarai ricordata in rima e in prosa; 

Ma se prieghi mortai mai giusti fersi. 
Vergine, i servi tuoi ti raccomando, 

E non guardare al peccatore Orlando. 

42 Intanto l’arcivescovo segnava, 

E tutta quella gente benedisse; 

E dice: lo vi perdono ; e confortava, 

Ch’ ognun pel suo Gesù lieto morisse. 

Cosi piangendo I’ un I’ altro abbracciava, 

E poi la lancia alla coscia si misse; 

E la bandiera innanzi era di Almonte, 

La qual fu acquistata in Aspramente. 

43 Or ecco la gran ciurma de’ Pagani, 

Che Falserone ha presso i suoi stendardi , 
Ch’eran tutti calali giù ne’ piani, 

E dicea: Questi Franciosi e Piccardi, 
Quando in su’ campi saremo alle mani. 
Tosto vedrem se saranno gagliardi; 

Oggi ila vendicalo il mio figliuolo: 

E minacciava il conte Orlando solo. 



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CANTO VENTESIMOSESTO. 



323 



44 Io v’ho pur, cavalieri, a lutti dello, 

Ognun di questo amnacstralo sia , 

Che, come Orlando si muove in effetto, 

E’ non sia ignun che mi tagli |a via ; 

Io gii trarrò per forza il cuor del petto: 

Ognun si scosti, la vendetta è mia; 

Chè Ferrali, s’ìo non ne sono errato. 

Degno fu certo d’ esser vendicalo. 

46 E’ si sentiva i più slran naccheroni , 

E tante busne e corni alla moresca, 

Che rimbombava per tulli i valloni, 

E par che degli abissi quel suon esca : 

Tanti pennacchi, tanti stran pennoni. 

Tante divise, la più nuova tresca 
Era cosa a veder per certo oscura, 

E fatto arebbe a Alessandro paura. 

46 L’ anitrir de’ cavalli, e il mormorare 
De’ Pagan che venivan minacciando, 

Ch’ ognun voleva i Cristian trangugiare, 

E soprattutto Falserone Orlando; 

Parea quando più forte freme il mare 
Scilla e Cariddi, co’ mostri abbaiando: 

£ tutta l’aria di polvere è piena. 

Come si dice del mar della rena. 

47 Quivi eran Zingani, Arbi e Soriani, 

Dello Egitto, e dell’ India, e d’Etiopia, 

£ .soprattutto di molli marrani , 

Che non avevon fede ignuna propria. 

Di Barbcria, d’altri luoghi lontani: 

E Alcuin, che questa istoria copia. 

Dice che gente di Guascogna v’ era ; 

Pensa che ciurma è questa prima schiera ! 

48 Ed avean pur le più strane armadure 
E’ più stran- cappellacci quelle genti; 

Certe pellacce sopra il dosso dure 

Di pesci, coccodrilli e di serpenti, 

£ mazzafrusti, e grave accette, e scure; 

E molli colpi commettono a’ venti, 

Con dardi, e archi, e spuntoni, e stambecchi, 
E catapulte che cavon gli stecchi. 



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324 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



49 Quivi già i campi I’ uno all’ altro accosto, 
Da ogni parte si gridava forte ; 

Chi vuoi lesso Macon, chi l’altro arrosto ; 
Ognun volea de| nimico far torte : 

Ddnque vegnamo alla battaglia tosto. 

Si eh’ io non tenga in disagio la morte, 

Che colla falce minaccia ed accenna 
Ch’ io muova presto le lance e la penna. 

60 Orlando aveva alla sua gente detto: 

Della battaglia ognun libero sia : 

Qui non è cavalier se non perfetto, 

E Micael vi farà compagnia. 

Astolfo il primo si mosse in effetto, 
■Vennegli incontro Arlotto di Soria ; 

E r uno e I’ altro abbassò la sua lancia, 

E Siragozza si sentiva e Francia. 

6t Or non ci far questa volta vergogna : 
Pòrtali, Astolfo, come paladino ; 

Atlienti al legno forte, e, se bisogna, 
Abbraccia quel come un tuo nipotino. 

Però che Arlotto sorian non sogna, 

Che vien di verso il campo saracino : 

E con sopportazion lutto sia detto, 

Che invero Astolfo n’ aveva difetto. 

62 Tanto che come la lancia ebbe in resta, 
E Ulivieri ad Orlando dicea : 

Che si che Astolfo farà bella festa! 

In questo tempo allo scudo giugnea 
Il Saracin con si fatta tempesta. 

Che mancò poco che non s’ apponea 
A questa volta d’ Astolfo il Marchese ; 

Se non che a sghembo la lancia lo prese. 

63 Astolfo feri lui discretamente, 

Perchè la lancia alla vista gli appicca ; 

E fu quel colpo per modo possente, 

Ch’ un palmo e mezzo di ferro gli ficca; 

E mandò presto fra la morta gente 

L’ anima , e ’l corpo di sella gli spicca : 
Adunque Astolfo ha fatto il suo dovuto, 
Poiché il Pagano e non Ini è caduto. 



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cìnto ventesihosesto. 



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64 Allora il franco Angiolin di Baiona 
Diceva : Orlando , io vo’ il colpo secondo. 

£ dello questo, nn suo giannetto sprona, 
Che miglior corridor non avea il mondo : 
Vennegli a petto un gran sir di corona, 
hlolto crudel, di sangue sitibondo, 

Malducco detto, del resno di Frasse; 

E caloron le la nce ambo giù basse. 

66 E r uno e 1’ altro poneva al baucco,^ 

Chè r uno e 1’ altro di porre è maestro ; 

Ed Angiolin pel colpo di Malducco 
Se n’ andò quasi in sul lato sinestro ; '' 

Ma non pertanto è il suo valor ristucco: 

£ perchè e’ pose ai Pagan, molto destro. 

Gli fe’ toccar coll’elmetto la groppa. 

Tanto che ruppe del c imier la coppa. 

66 E se non fusse che trasse il cavallo, 
Quando e’ senti che ’l pennacchio lo'tocca. 
Sicché traendo aiutava rizzailo. 

Era la corda rasente alla cocca. 

Avino intanto saltava nel ballo. 

La lancia abbassa , e ’l corridor suo brocca : 
Chi meco vuol giostrar, gridando forte. 
Venga a trovarmi, e troverà la morte. 

67 Partissi della schiera de’ Pagani 

Re Mazzarigi, un uom mollo superbo, 

Che confessò la legge de’ Cristiani, 

E rinnegò poi Cristo, e ’l Padre, e ’l Verbo; 
E come e’ fumo ristretti alle mani, 

Il colpo del Pagan fu molto acerbo : 

Pure Avin gli rispose colla laòcia. 

Ma questa volta della morte ciancia. 

66 Ulivier si fe’ innanzi con Rondello, 

Che non potea più star saldo alle mosse : 

Il re Malprimo, come e’ vide quello. 

Dall’ altra parte a rincontro si mosse : 

Or qui, sanza operare altro pennello. 

Si cominciono a far le lance rosse 
£ gli scudi, e le falde, e le corazze, 

£ le barde a dipigner paonazze. 

I. 28 



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326 



IL MOHGANTK MAGfilOBE. 



69 11 Saracin percoteva il Marchese, 

E nello scudo la lancia gli attacca, 

Tal che più oltre la punta si stese, 

£ una costa del petto gli ammacca, 

Chè la corazza e ’l giubbon noi difese; 

Ma pur la lancia alla Qne si fiacca, 

£ Ulivicr di cader consigliossi, 

£ in qua e in là molte volte piegossi. 

60 Pur la sua gagliardia, la sua Gerezza 
Non si nascose a questa volta certo, 

Chè la sua lancia non si piega o sfiezza. 
Ma tutto quanto lo scudo gli ha aperto, 

£ la corazza gli parve una rezza ; 

Sicché Majprimo si truova diserto, 

Chè gli misse nel cor proprio la lancia, 

£ mostrò pur le prodezze di Francia. 

61 Falseron, quando ha veduto cadere 
Cosi subito morto del cavallo 

Un tal campion, cominciava a temere: 
Quest’ è, disse, un miraeoi sanza fallo; 

Qui non si giostra a dimino o vìere: 

0 Macon, come lasciasti cascallo ! 

£ mollo fu di tal caso turbato. 

Perchè Malprimo era il primo stimato. 

62 Ulivier non si misse nella pressa 

De’ Saracin, eh’ ancor gli duole il petto: 
Intanto in resta la lancia avea messa 
Turpino, e salta che pare un capretto, 

Chè non è tempo a cantare or la Messa ; 
Vennegli incontra Turchion maladetto 
Con la sua lancia con superbia, e luria. 

Per vendicar di Malprimo la ingiuria. 

63 £ nello scudo alla treccia gli colse, 

£ ruppel come bambola di specchio. 

Si che dal petto fatica gli tolse; 

Ma Turpin sa ancor 1’ arte cosi vecchio: 

E perchè il Saracin civettar volse, 

£' gli accoccò la lancia a uno orecchio, 

£ schiacciò 1’ elmo e ’l capo come al lordo, 
£ in questo modo lo guarì del sordo. 



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CANTO VBNTESIIIOSESTO. 



327 



64 Orlando aveva nel soo colonnello 
Di Normandia quel possente Riccardo, 

E GuoUibuodì, e ’l conte Anseimo, quello 
Che tanto fu questo giorno gagliardo, 
Avolio, Avin, Berlinghieri e ’l fratello, 

E Sansonelto, e 'I buon duca Egibardo, 

E tutti gli altri paladin di Francia, 

Gente eh’ ognun porterà ben sua lancia. 

66 Or quando Orlando e la schiera sì mosse, 
Pensa chi legge, che il furore e ’i rombo 
Di Vulcan parve la fucina fosse; 

Tanto eh’ a Giove n* andò su il rimbombo, 
E Marte credo nel ciel si riscosse : 

E tante lance si calamo a piombo, 

Cb’ un vento par ch’ogni cosa abbattessi, 

E il cielo e ’l mondo e I’ abisso cadessi. 

66 Falseron, ch’avea tanto desialo 
Di ritrovarsi alle man con Orlando, 

Fu d’ un altro proposito mutato. 

Quando e’ lo vide venir furiando, 

Che Lucifer pareva scatenato : 

Appollin, disse, io mi ti raccomando, ' 

Non mi lasciar cosi morire in fretta''. 
Lasciami far del mio figliuol vendetta. 

67 Ma come Orlando a Falseron fu presso : 

0 traditor, gridò di lunge forte. 

Questo non è quel che mi fu promesso, 

Di perdonar di Ferrali la morte; 

Or si conosce traditore espresso 
11 tuo Marsilio e tutta la sua corte. 

Che si vorrebbe con teco impiccarlo: 

Questo è il tributo che s’ aspetta a Carlo? 

68 Non li vergogni d’ avermi tradito, 

E dato il bacio come Scariotio, 

Quando di Francia ti fusti parlilo? 

E non si vide mai crucciato o rotto 
Orlando, quanto quel di fu sentito; 

Poi lasciava la lancia andar di botto, 

E prese Falserone appunto al petto, 
Gridando : Or chiama il tuo can Macomelto. 



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328 



ir, MORGANTE MAGGIORE. 



S9 Maraviglia fa grande, al parer mio, 

Che gli passò Io scudo, ch’era d’osso 
D’an certo pesce, come piacque a Dio, 

E ’l plastron sotto molto duro e grosso; 

E benché Falscron presto morio. 

Niente della sella si fu mosso , 

Tanto che ignun del suo caso s’ accorse : 
Orlando col cavallo oltre trascorse. 

70 Poi ritornò , chè volea pur vedere 
Di Fàlseron come la cosa vada, 

Chè nel passar non lo vide cadere; 

Ma come questo toccò colla spada. 

Subito cadde fra’ morti a giacere: 

E maraviglia non fu perché e’ cada. 

Ma perchè, come alla terra fu giunto, 
Dicon che il corpo dispari in un punto. 

71 Or hai tu, Falseron, la tua vendetta 
Fatta, e condotto a Siragozza Ganol 
La gente sua vi corse con gran fretta: 

E scesi in terra, e distesa la mano , 
L’arme trovoron, come quando getta 

II guscio il granchio, che dentro era vano. 
0 nuovo caso, o segno, o gran portento. 
Quanto Dio abbi in odio il tradimento ! 

73 Quando i Pagan Falseron vidon morto. 
Ognuno spazzerebbe la campagna , 

Tanto ne preson terrore e sconforto; 

Ma d’ ogni parte era tesa la ragna , 

Chè il re Marsilio, per veder più scorto. 
Recato s’era in sull’alta montagna, 

E circondava tutta quella valle, 

I Sicché voltar non potevon le spalle. 

I 

' 73 Fecesi innanzi quel corbacchion nero. 

Che si chiamava tra lor Finadusto, 

Con un baston che non era leggiero ; 

E sette braccia il Pagano era giusto: 
Berlinghier vide venir qtkesto cero, 

E non guardò perchè e’ fosse gran fusto , 

E ’l baston grave e marzocchiuto e grosso, 
Ma con la lancia gli correva- addosso. 



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CANTO TBNTESIMOSESTO. 



329 



74 Egli aveva una scoglia di lesludo 
Questo ghiottone adattato a suo modo, 

E porta quella al petto per iscudo; 

La lancia il passa, benché e’ fussi sodo: 

E tanto è il ferro temperato e crudo. 

Che gli sbarrò della piastra ogni nodo , 

E un giubbon si grosso di catarzo. 

Che non pareva per quello anche scarzo ; 

75 E cacciògli nel petto più che mezzo 
Il ferro: benché e’ non fosse mortale 
Il colpo, pure e’ gli delle ribrezzo; 

E se non fusse che il cavai misse ale, 

E’ non senlia mai più caldo né rezzo; 

Ma cosi tosto non fugge uno strale 
Che si diparta da corda di noce , 

Come quel presto il portò via veloce. 

76 Era venuto intanto Gallerano « 

Con molta gente, e ha seco Fidasso: 

Or qui comincia a insanguinar più il piano, 

E nuove lance rovinano in basso; 

E fassi innanzi ogni buon capitano : 

Orlando fa come un vento fracasso, 

Ed avea sempre appresso il conte Anseimo , 
Che facea spesso risonar qualch’ elmo. 

77 Ulivieri Altachiara avea ristretta, 

E ritornalo é già nella battaglia ; 

Gualtier d’ Amulion quivi si getta, 

E Baldovin come un lion si/Scaglia: 

Avino, Avolio, Ottone, ognuno affetta. 
Come le rape, di questa canaglia; 

Angiolin di Bellanda, e Guottibuoffì, 

Dando e togliendo di maturi ingolli. 

78 Marco e Matteo, eh’ ognun dice del Piano 
Di San Michele, ed io trovo del Monte, 

Per Roncisvalle con la spada in mano 

A molli avevon frappata la fronte; 

Il duca Astolfo, anco non mena invano, 

E Turpin caccia le pecore al monte: 
Angiolin di Bordea solo era morto 
De’paladin, ma gli fu fallo torlo. 

58 * 



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330 



IL HOBGàNTR MAGOIOBB. 



79 Or lasciam cosi il campo insieme strcìlo: 
Non vogliam noi che ne venga Rinaldo 
Alla baUaglia col suo Ricciardelto? 

Che ne venia con un desio si caldo , 

Ch’ a ogni passo ha domandalo e detto 
Quel che faceva Marsilio ribaldo: 

E Astarotle ogni cosa dicea, 

Che la battaglia tuttavia vedea. 



80 E Ricciardetto si consuma e rode, 
Quando sentia la battaglia rinforza, 

E d’Ulivieri e d’ Orlando alle lode, 

E come il cam|>o de’ Pagan va ad orza ; 
E benché pur dall’un canto ne gode. 
Fargli mill’anni mostrar la sua forza , 

E ritrovarsi nel mezzo alle busse , 

/ ,E gittò l’erba che delle Milusse. 

/3l E come presso a Roncisvàlle sono 
Calati' giù da’ monti Pirenei, 

Ove e’s’ udia della battaglia il tuono, 

Del siion dell’arme e degli s|tessi omei, 
Dicea Rinaltlo : lo credo che sia buono 
( Dico cosi quel eh’ io per me farei ) 

Che s’ assaltassi il campo saracino 
In mezzo, dove è quaggiù Bianciardino. 



82 




Disse Astarotle: Bianciardino è quello 
Ch’altorno va con quella sopravvesta ; 

Noi ce n’andremo or io e Farfarello 
Tra le campane, e soneremo a festa. 
Quando vedrem che tu farai macello : 

E Squarciaferro ti si manifesta, 

( Rogalus rogo, intendi quel ch’io dico) 

Che in ogni modo vuol esser tuo amico. 

Non creder, nello inferno anche fra noi 
Gentilezza non sia: sai che si dice. 

Che in qualche modo, un proverhio fra voi 
Serba ogni pianta della sua radice. 

Benché sia tralignalo il frutto poi ; 

Or non parliam qui del tempo felice: 

Qui é Marsilio, e qua combatte Orlando: 
Valete tn pace : a le mi raccomando. 



» 



/ 



/ 

I 



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CANTO VENTBSIMOSESTO. 



331 



84 Rinalilo non sapea formar parole 

• Alla ri8|K>sla accomodale a quello, r 
E ringraziare Asiarolte suo vuole, / 

£ cosi Squarciaferro e Farfarello; 

Poi gli rispose : Astarotte , e’ mi duole 
Il tuo partir, quanto fossi fratello : 

E nell’ inferno ti credo che »a . 

Gentilezza, amicizia e cortesia. | 

85 E se lecito t’ è quel eh’ io dico ora, ^ i> 
Qualche volta mi torna a rivedere , - ' 

E Squarciaferro, e Farfarello ancora, ‘ 
Ch’io penso sol di potervi piacere ; 

E quel Signor, che la mia legge adora. 
Prego , se '1 prego dovessi valere , 

Che vi perdoni, e che ciascun si penti, 

Ché ristorar non vi posso altrimenti. 

86 Disse Astarotle: Se vuoi eh’ io domiA)di, 
Una grazia sol chieggio, qual puoi farmi, 

E poi contento da le me ne mandi; 

Tu facci a Malagigi liberarmi , 

£ in qualche modo me gii raccomandi : 
Però che sempre potrai comandarmi, 

Chè di servirti non mi Ha fatica ; 

E basta solo Astarotte tu dica.’ 

87 Ed io li sentirò sin dello inferno , 

E verrà per mio amor qui Farfarello. 

^ Io ti sono obbligato in sempiterno , 

Disse Rinaldo, e cosi il mio fratello ; 

Però, non che una lettera, un quaderno 
Iscriverò di buono inchiostro a quello , ' 

E farà ciò che vorrai, Malagigi ; 

Pensa s’io posso farti altri servigi. 

$8 E manderògli un messagger volando, 

£ scriverò della tua cortesia ; 

£ cosi farò scrivere a Orlando , 

Si dolce e stata la tua rompagnia. 

Disse Asiarotte : A le mi raccomando. 

£ dispari co’ suoi compagni via. 

Che parve proprio un baleno sparissi, 

E che la terra di sotto s’ aprissi. ;. 



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332 



IL MOBGANTE MAGGIOBE. 



S9 






91 




Roncisvalle una certa chiesetta 
Era in quel tempo, ch’avea due campane; 
Quivi stetton coloro alla veletta , 

Per ciuflar di quell’ anime pagane, 

Come spaVvier tra ramo e ramo aspetta : 

E bisognò che menassin le mane , 

E che e’batlessin tutto il giorno l’ali, 

A presentarle a’ giudici infernali. 

^ Pensa quel di se menoron la coda 
Eaco, il gran Minosse e Kadamanla; 

£ quel Satan se tu credi eh’ e’ goda, 

E se Caron nella sua cimba canta , 

Rassetta i remi, e le vele rannoda 
Col mataflìone, e la vela rammanta ; 

£ se si fece più d’una moresca 

Giù nello inferno, e tafferuglio e tresca. 

A E cosi in ciel si faceva apparecchio 
D’ ambrosia e nettar con celeste manna , 

E perchè Pietro alla porta è pur vecchio. 
Credo che molto quel giorno s’affanna ; 

E converrà ch’egli abbi buono orecchio. 
Tanto gridavan quelle anime Osanna 
Ch’ eran portale dagli angeli in cielo ; 

Sicché la barba gli sudava e ’l pelo. 

Or ritorniamo a Rinaldo, che assalta 
Il campo in mezzo ; e come e’ dette drente. 
Subito rossa si fece la malta , _ 

E ara fatto buono scaltrimenlo ; 

Ché, non sapendo Marsilio la falla, ^ 
Dubitò nel suo cor di tradimento. 

Che non fussi tra lor congiura o setta, 

Chè non si può sempre esser savio in fretta. 



93 




Avea Marsilio il suo popol pagano 
E ’l campo ben diviso, e ordinato 
Chi dovessi ferir di mano in mano: 
Rinaldo, eh’ ancor questo avea pensalo, 
.Sapea il perieoi d’ ogni capitano. 

Che guasto non gli sia I’ ordine dato: 
Perchè e’ si vede per es|ierienzia. 

Che la battaglia è solo obbedienzia. 



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CANTO VENTK81MOSESTO. 



333 



M Non li partir di qui, se a le non torno, 
Cioè eh’ io ti ci trovi o vivo o morto; 

Fa che tu sia alla bocca del corno. 

La tramontana, o nave surla in porto; 

£ perchè molti già prevaricorno , 

L’ un più che I’ altro capitano accorto 
Conobbe del nimico qui il periglio, 

E come savio fe’ nuovo consiglio. 

95 Parve a Marsilio, che stava a vedere. 
Che i Pagan combattessin co’ Pagani, 

Cbè non potea di Rinaldo sapere, 

E bisognò che calassi giù a’ piani : 

Perchè e’ vedeva abbaruHar le schiere, 

E non v’ è contrassegni di Cristiani ; 

E disse: Gano è un malvagio gatto, 

E Bianciardin chi sa quel che s’ ha fallo? 

96 E dubitò che non sonassi a doppio. 
Perchè pur era stato in Francia a Carlo, 
Che non avessi arrecato qualche oppio, 

E volessi con esso addormentarlo ; 

E già sentir gli pareva lo scoppio. 

Tanto forte comincia a immaginarlo. 

Che tradimento nel campo non fosse: 

Per la qual cosa a gran furia si mosse. 

97 Rinaldo, quando Marsilio ha vedalo . 
Diceva a Ricciardetto : E’ cala il monte ; 
Lo star qui, tutto sarebbe perdalo: 

Tempo fia ora a ritrovare il Conte. 

E perchè egli era molto combattuto 
Da ogni parte, e di drieto^e da fronte, 

E Ricciardetto in qua e in' là si scaglia, 

E urta, e rompe la calca, e sbaraglia; 

98 Rinaldo aspetta che ’l cerchio sia fallo, 
E com’ e’ vedde tondo il rigoletto, 

Baiardo fece girare in un tratto, 

£ volle un colpo fare a suo diletto, 

E trasse in modo an rovescio di piatto, 

•. / Che il capo spicca dal busto di netto | 
y A venti 0 più, se chi scrive non erra, 

' ^£ caddon tutti i mozziconi in terra. , 



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334 



IL HOBGANTE MAGGIORE. 



99 E qnatido e’ faron veduti cadere, 

Ognun si scosta per la maraviglia ; 

E dicevano, alzate le visiere: 

Chi é costui eh' ogni cosa scompiglia? 

Rinaldo Orlando voleva vedere, 

E in verso il campo girava là briglia 
Dove combatte la gente di Francia, 

E tolse a un eh' era appresso la lancia.' 

100 Orlando, quando lo vide venire 

Con tanta furia, come e’ fu più presso, ’ 
Giuralo arebbe, al cavallo, allo ardire. 

Che lussi certo, come egli era, desso; 

Intanto vede il bone scoprire, 

E non 'capea d’ allegrezza in sé stesso : 

E fu tanto il desio che il cor gli serra. 

Che cadde quasi del cavallo in terra. 

•101 E Ricciardetto il suo segno ha scoperto, 

E Ulivieri intanto é quivi giunto; 

E poi che questi ha conosciuti certo. 

Tanto gaudio nel cor sente in un punto. 

Che gli spirti vilal, quel sendo aperto, 

j E già per l’arteria di sangue munto, 

H Usciron quasi della ròcca fora, 

I Chè spesso avvicn eh' uoin d’ allegrezza mora. 

I 

102 Gran festa Orlando alla line facea. 

Ritornalo in sé stesso, al suo cugino; 

E domandava, e Rinaldo dicea 

De’ suoi processi e del lungo cammino, 

E ciò che Malagigi fatto avea: 

E Ulivier tornato in suo domino, 

Istupefatlo ancor tutto e smarrito, 

Lazzer pareva del sepolcro uscito. 

t03 II campo de’ Pagan s’ era scostato, 

Chè i paladin ristretti erano insieme, 

E mollo avevon questo danneggialo. 

Tanto eh’ ognun di lor forza pur teme : 
Orlando mille volte ha rabbracciato 
Rinaldo pure, e d’ allegrezza geme, 

E spera ancor di salvar la sua gente. 

Quando e’ riguarda il suo cugin possente. 



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CANTO VENTESIMOSE8TO. 



335 



404 E fece il campo rinfrescare intanto, 

£ rassettar, cbè n’ aveva bisoi^no; 

E poi dicea con Rinaldo da canto: 

0 fralel mio, tanto vederli agogno, 

Cbe qaand’ io t’ bo ben rimirato alquanto,. 

Io penso pur s’ io ti icario qui in sogno : 
Ringrazio il cielo, e più altro non cbieggio, 
Cbe innanzi alla mia morte io ti riveggio. 

405 Vorrei cbe tu m’avessi in altro modo 
Trovalo, a venir qua Gn dello Egitto; 

Pur tuttavolta di vederti godo, 

E par eh’ e’ fugga ogni pensiero afflitto: 

E bench’ io non mi dolga, anche non lodo 
Che lu non m’abbi, è tanto tempo, scritto; 
Quantunque doppio sia questo conforto. 
Vederti vivo, ov’ io pensavo morto. 

406 Sappi oh’ io t’ bo più lettere mandate. 
Disse Rinaldo, e cosi Ricciardetto; 

Ma non sono a buon porto capitate, 

Ed ogni cosa quel demone ha detto: 

Or lasciam le parole addentellate, 

Cbè lutto il mondo qua li veggo a petto: 
Dimmi, cugin, quel cbe tu vuoi eh’ io faccia, 
Cbè ’l tempo è breve, e fortuna minaccia. 

407 Quel traditor, non dico di Maganza, 

Anzi Marsilio, anzi altro Scariotto, 

Rispose Orlando, ci dette speranza 

Di far la pace, e inganno v’era sotto: 

Cosi con questa piletta leanza, 

Carlo aspetta a San Gianni il sempliciotto, 

^ Ed io qui venni per certo tributo, 
j II qual tu vedi in che modo è venuto. 

408 Poi che tu ti partisti, e io rimasi. 

Par che il ciel sopra me disfoghi ogni ira, 

E mi sono avvenuti i più slran casi. 

Che la fortuna, che in più modi gira. 

Tanti non credo che ne intenda quasi ; 

Onde r anima mia sempre .sospira, 

Ch’ io so che mi persegue un gran peccalo, 
Del qual più tempo è eh’ io bo dubitato. 



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336 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



i09 Da poi in qua eh’ io uccisi Donchiaro, 

Non mi potò mai più bene incontrare : 

Nè creder tu che mi fusse già caro, 

Ma il mìo signor mi potea comandare ; 

Forse quel sangue innocente si darò 
Vendetta debbe or nel cielo esclamare. 

Il qual con Carlo ha conceputo sdegno, 

Che assai dato gli avea d' onore e regno. 

410 Credo, Rinaldo mio, s’ io non m’ inganno. 
Ch’oggi tutti morremo in questa valle, 
Benché tanti Pagan prima morranno, 

('.he sempre si dirà di Itoncisvalle. 

Disse Rinaldo: Non ti dar più atTanno, 

Ecco Marsilio che t’ è già alle spalle. 

Con tutto il popol di Serse e di Dario; 

Non c’è più tempo a tanto corollario. 

411 Marsilio a Biancìardino aveva detto. 

Poi eh’ egli scese con sua gente al piano : 

O Bianciardin, tu m’ hai messo sospetto, 
lo non lo intendo questo caso strano; 

Orlando è là colla mia gente ap|)etto; 

Rinaldo so eh’ è in paese lontano, 

E al presente si truova in Egitto 

Con Ricciardetto ; cosi Gan m’ ha scritto. 

412 Rispose Bianciardin: Qua son venuti 
Due cavalier valenti e bene armati, 

E benché molto gli abbiam combattuti. 

Per forza’ son tra le schiere passati 
E dispariti, e poi non gli ho veduti; 

Credo che sieno diavoli incantati : 

Ché r uno e 1' altro è paruto invisibile, 

£ fatto han quel che non parea possibile. 

413 E’ si vedea sempre in alto le mane, 

E in modo le percosse spesseggiare. 

Che sonavano a doppio due campane : 
lo vidi intorno a questi un cerchio fare, 

£ seguir cose che non sono umane, 

Ché si senti una spada fischiare 

D’ un certo manrovescio tondo e giusto. 

Che a venti il capo levò dall’ imbusto. 



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CANTO VENTESIUOSESTO. 



414 Perchè Marsilio rispondeva allotta: 
Questi son masnadier di Malagigi : 

Farmi la nostra schiera malcondotta, 

Chè. innanzi vien la gente di Parigi: 

Veggo che il campo fugge in volta rotta. 
Intanto vien gridando Mazzarigi: 

Aiuto presto, noi siamo a mal porto, 

Il campo è rotto, e Falserone è morto. 

416 Quando Marsilio udì queste parole. 

Si fece a Mazzarjgi incontro presto, 

Perchè di Falseron troppo gli duole, 

E domandava pur: Che vuol dir questo? 
Rispose Mazzarigi : Cosi vuole 
Macon, che a questa volta è disonesto; 

E per tagliar più le parole corte , 

Sappi eh’ io fuggo, ed ho drieto la morte. 

416 Orlando a Falseron tolse la vita, 

E Ricciardetto è venuto e Rinaldo, 

E spezza il ferro, e I’ ossa e’ nervi trita; 
Pensa se ’l campo ^i può tener saldo: 

Però tutta la gente s’ è fuggita. 

Disse Marsilio: Becco, can ribaldo! 

O Macon crudelaccio, e sanza fede, 
Maladetto sia tu, e chi li crede. 

417 Io non l’adorerò più in Pagania, 
Traditor, ghiotto, pien d’ogni magagna: 
Può fare il ciel che qua Rinaldo sia? 

Tu se’ venuto per ogni campagna 
Accompagnarlo, come quel Tobia: ' 

Ora arem noi riavuta la Spagna, 

Or sarà vendicato Ferrane ; 

Maladetto sia egli, e ’l cielo, e tue. 'f 

418 Era Marsilio un uom, che in suo segreto 
Credea manco nel ciel che negli abissi, 
Beslemmiator, ma bestemmiava cheto. 

Por questa volta volle ognuno udissi: 

E se fu anche gentile e discreto. 

Come in altro cantar già dissi e scrissi , 

Io il dico un’ altra volta, e parlo retto. 

Che questo non emenda altro difetto. 




IL MOBGINTE MAGGIOBE. 



-119 Ch’e’ sapeva anche simulare e Gneicre 
Caslilà, santimonia e devozione, 

E la sua vita |>er modo dipingere, 

Che il popoi n’ ebbe un tempo esf>ettazionc. 

Ma perch’ io sento la battaglia stringere, 
j Diciam che si doiea di Falserone,'- 
^ £ bestemmiava il ciel devotamente. 

Pur com’ io dissi, in modo ch*^ ognun sente. 

-120 Sia maladetto il di, che ’l conte Gano 
A Siraeozza quel malvagio venne. 

Che mi mostrò di porre il cielo in mano, 

Dov’io credetti volar sanza penne; 

Ch'e’ mi rendea la Spagna Carlo Mano 
D’ accordo in pace : o quante volte avvenne , 

Che si ricorda un detto savio antico, 

^ Che 1’ uomo ha solo il meglio per nimico! 

12t O Bianciardin, tu mi dicesti tanto, 

Allor ch’io vidi la fonte turbare, 

Ch’ io mi dovessi confortare alquanto , 

Però che quel dovea signiflcare 
De’ Cristian solo il loro ultimo pianto : 

Dicesti eh’ era il sangue, che versare 
E sparger si dovea de’ cor cristiani , 

Ma pure al fìn sarà quel de’ Pagani. 

122 Ed io pur semplicetto fui e folle, 

£ non credetti a tanti strani auguri ; 

Ché qualche deità benigna volle 
Amraestrarmi de’ casi futuri , 

Sanza chiamar gli spirti nelle ampolle , 

£ i negromanti a interpretare oscuri : 

Omè, che ’l ver m’apparve in chiaro specchio, 
Ma troppo a quel ch’i’ volli posi orecchio I 

123 Ed or tra male branche son condotto, 

£ Falserone è morto, e più non posso; 

Il campo al primo assalto è quasi rollo, 

E so che Carlo a furia sarà mosso , 

Che il tradimento sentirà di botto: 

Tanto che tosto Ibèro sarà rosso, 

Ch’e’ mi par già veder di sangue sozza 
E in pianti e strida e urla Siragozza. 




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CANTO VBNTB8IHOSESTO. 



339 






iSb 



■126 






•127 



, Intanto il gran tnmnlto de’ Grintiani 
Innanzi s’ avea messo a saccomanno 
Il cam(>o che fuggiva de’ Pagani, 

Come innanzi a’Iion gii armenti fanno, 

0 spesso in parco i cavrioli e i dani; 

Tal che le grida a’ nugoli su vanno, 

£ soprattutto Rinaldi gii caccia, 

E, mentre uccide l’ un , l’ altro minaccia. 

Quando Marsilio ha veduto venire 
Il campo suo'cosi miseramente , 

Riprese, come disperato , ardire;- 
E innanzi pinse tutta la sua gente, 

E disse: Io so che mi convien morire, 
Ma qualcun altro ancor sarà dolente; 

Si che le schiere ambo scontrate sono, 

E rimbombava in ogni parte il suono. 

Rinaldo, quando e’ fu nella battaglia , 
Gli parve esser in ciel tra’ cherubini 
Tra suoni e canti, e nel mezzo si scaglia, 
E minacciava qiie’can saracìni: 

Tutti sarete straziali, 'canaglia I 
E cominciava a fa r de’ moncherini . 

E mozziconi e uomini da sarti 
£ spesso appunto faceva due parti. 

E cosi dalla parte de’ Pagani 
Eran venuti con Marsilio innanzi 
Uomini degni e tanti capitani. 

Ch’io non credo con lor molto s’avanzi 
E faranno ben contro a’ lor sovrani , 

E insegneranno a’ Franciosi i romanzi, 
Forse la solfa della Margherita , 

Ch’ ognuno al fin ci lascerà la vita. 



a I 

herini , /’ 

ti; V 
parti. \ 



’i 



12S Bianciardinò avea seco Chiariello 
Di Portogallo, un re famoso e forte. 
Fieramente di Balzia, e il re Fiorello, 

E Balsamin, eh’ è peggio che la morte. 
Che sarà pe’ Cristian mortai flagello ; 

E s’ io non l’ ho più detto, Buiaforte 
V’era, figliuol già del famoso Veglio, ' 
Che facea forse, a non venirvi , il meglio. 



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3i0 



II. MOBGANTB MAGGIORE. 



] 



129 Brasbacca v’ era , e il re Margherilonne, 
E Matlafirro un feroce pagano, 

Che non si fe’ più strazio d’ Ateonnc, 
Quanto costui farà d' ogni Cristiano ; 

E non si lasci indrieto Sirionne, 

Che porla un bastonaccio sconcio in roano : 
Questi eran tutti salto una bandiera 
Di Bianciàrdin nella seconda schiera. 



1.30 E nella lerza schiera vien davanle 
Sotto r insegna dello Dio Macone 
Grandonio, I’ ArcalilTe e Baluganle, 

In compagnia del re Marsilione ; 

E Zambuger, che ancora è piccol fante, 
E vuol trovarsi al marziale agone, 

E molli gran haron là della Spagna, 
Tanto che molto è questa schiera magna. 




132 




E’ si vedeva in manco d’ un baleno 
Tante lance abbassate, eh’ e’ parea 
Ch’ e’ Iriemi sotto a’ cavalli il terreno. 
Tanta gente in un tratto si movea: 

Taccia chi scrisse Canni o Transimeno, 

Chè Marte, credo, paura n’avea, 

E Giuppilerre alla ròcca sua cresca 
A questa volta più d’una bertesca. J 

Orlando disse : Con Marsilione 
Lasciate a me la bailaglia, perch’io 
Lo tratterò come il suo Falscrone , 

E pagherà de’ suoi peccali il fio ; 

Chè non crede il ribaldo anche in Macone, 
£ spergiuralo ha nel cielo ogni Iddio , 

Coinè vero inarran malvagio e fello. 

E tutta yolla va cercando quello. 

Baldovio, che di Gano era figliuolo, 

Nella battaglia è colla spada eniralo , 

E trascorreva a suo modo lo stuolo 
De’Saracin, eh’ ognun s’ era allargalo, 
Tanto che spesso si ritrova solo ; 

Della qual cosa e’s’è maraviglialo, 

E non sapeva inlerpelrare il lesto , 

Chè sua prodezza non dovea far questo. J 



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CANTO TENTESIMOSESTO. 

134 Or chi vedesse il conte Anselmo il giorno 
Cose vedrebbe inaudite e nuove; 

Egli avea sempre assai Pagan d’ intorno, 

Ma poi in un tratto gli mandava altrove : 

E Sansonetto si faceva adórno 
Per la battaglia di mirabil prove ; 

E Terigi anche venia punzecchiando. 

Che si pascea de’ rilievi d’ Orlando. 

135 Ulivier colla spada suona spesso « 

Qualche bacino, o qualche cemmamella 

E quanti Saracin vengono- appresso. 

Non portavan più oltre le cervella , \ 

Che tutte saltan fuor del capo fesso; 

Tanto eh’ a molti avanza briglie e sella, 

E ognun fugge la furia di Vienna, 

Che con le spade quel di non accenna. ^ 

136 11 valoroso duca d’ Inghilterra 

Fece quel di quel che in molli anni ferno 
Già molli cavalier mastri di guerra : 

O quanti Saracin manda all’inferno I ^ 

Le strette schiere a sua posta disserra. 

Non si fe’ mai di bestie tanto scherno ; 

E Berlinghier ritrovò Finaduslo 
Con quel bastone all’ usalo pur giusto. 

137 E benché mollo con lui sia piletlo, 

Si ricordò dell’ eccellenzia antica, 

E non polendo ferirlo all’ elmetto. 

Perchè egli aggiugne allo scudo a fatica , 
Alzò la spada insino al gorzaretto : 

E se tu vuo’, lettor, che il ver si dica. 
Vedrai che non ci lievo e non ci abborro, 
E’ levò il capo che parve d’un porro. 

138 Era il sangue allo insino alle ginocchia. 
Che correa già per la valle meschina, 

E Kicciardetlo col brando non crocchia, 

E molle volle attraverso sciorina ; 

E spicca i capi come una pannocchia ) 

Di panico o dì miglio o di saggina, 

E non poteva a ’gnun modo star saldo. 
Pensa quel di quel che facea Rinaldo. 



59 ' 




IL MOBfiAMTB MAGGIORE. 



139 Del Monte a San Michel pose Matteo 
La lancia alla visiera al re Fiorello , 

E prese appunto ov’ egli aveva un neq , • . 

E riuscì dì drieto pel cervello : 

Are’ quel colpo atterrato anche Anteo, 
Pensa se cadde in sulla terra quello. 

Non si poteva por più appunto a sesta, 
Benché a molti altri forerà la testa. 



140 Aveva il conte Anseimo il giorno seco 
Appre.sso sempre il buon duca Egibardo, 
Che a molti dette percosse di cieco', 

E spesso corse inaino allo stendardo; 

E disse: Che di’ tu, s’ io te lo reco? 

E molto fu reputato gagliardo: 

Tanto che il campo in modo spaventava , 
Ch’ ognun io fogge come fera brava. 



141 



i 



E’ si vedea, dove combatte Orlando, 
Prima che il busso agli orecchi pervegna 
Della percossa, in su tornato il brando. 
Come avvien dell’ accetta a qualche legna ; 

E Turpin poi non veniva segnando 

Col granchio in man, ma colla spada segna; 

Chè non è tempo la croce or si mostri, 

£ infìiza Saracin per paternostri. y 



142 Gualtier da Mulion pareva un drago, 

E Guuttibuoftl non volea fuggire. 

Ma colla spada va crescendo il lago, 

E cerca sol come e’ possi morire; 

Ognun più che ’i tafòn di sangue è vago. 
Si che quel verso si poteva dire 
^ Per la battaglia e |wl crudele scempio : 

V Sangue sitisti, ed io di sangue t’ empio. 



143 Angiolin di Baiona e di Bcllanda 
Ognun feriva mollo ardito e franco. 
Ottone il campo scorrea d’ogni banda, 
Aviii non si tenea la spada al tianco ; 
Rinaldo tanti a Asiarotle ne manda, 
Ch’ egli è già tutto trafelato e stanco ; 
Avolio e Marco, e ’l possente Riccardo, 
Ognun parca com’ egli era gagliardo. 



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CANTO VENTESmoSBSTO. 



3{3 



m La baUasHa veniva rinforzando, 

E in ogni parte apparisce la morte; 

E mentre in qua c in là combatte Orlando, 
Un tratto a caso trovò fiuiaforte, 

E in sulla testa gli dette col brando: 

E perché l’elmo è temperato e forte, 

O forse incantato era, al colpo ha retto; 

Ma della testa gli balzò di netto. 

145 Orlando prese costui per le chiome 

E disse: Dimmi, se non ch’io t’uccido. 

Di questo tradimento appunto, e come; 

£ se tu il di’, della morte ti Gdo : 

E vo’ che tu mi dica presto il nume. 

Onde il Pagan rispose con gran grido : 
Aspetta , Buiaforte , io te lo dico , 

Della Montagna del Veglio tuo amico. 

146 Orlando, quando intese il giovinetto , 
Subito al padre suo raOìgurollo ; 

Lasciò la chioma, e poi l’abbracciò stretto 
Per tenerezza, e coll’elmo baciollo: 

E disse : 0 Buiaforte. il vero hai detto. 

Il Veglio mio I e da canto tirollo: 

Di questo tradimento dimmi appunto. 

Poi che cosi la fortuna m’ha giunto. 

147 Ma ben li dico per la fede mia, 

Che di combatter con mia gente .hai torlo, 
E so che ’l padre tuo, dovunque e’ sia, 

Non ti perdona questo cosi morto. 

Buiaforte piangeva tuttavia. 

Poi disse: Orlando mio, datti conforto, 

Il mio signore a forza qua mi manda, 

E obbedir convien quel che comanda. 

14S Io son della mia patria sbandeggialo : 

. Marsilio in corte sua ra’ ha ritenuto, 

E promesso rimettermi in islato: 

Io vo cercando consiglio ed aiuto. 

Poi ch’io son da ognuno abbandonalo, 

E per questa cagion qua son venuto : 

E bench’ i’ mostri far grande schermaglia, 
Non ho morto nessun nella baUaglia. ^ • 



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344 



IL MORGAKTE MAGGIOBE. 



449 Io t’ ho tanto per fama ricordare 
Sentito a tntto il mondo, che nel core 
Sempre poi l’ebbi, e mi puoi comandare, 

E so del padre niìo I' antico amore ; 

Del tradimento, tu tei puoi pensare. 

Sai che Gano e Marsilio è traditore ; 

E so, per discrezion tu intendi bene, 

('.he tanta gente per tua morte viene. 

460 E Baldovin di Marsilio ha la vesta, 

Chè cosi il vostro Gano ha ordinato; 

Vedi che ignun non gli pon lancia in resta, 
Chè ’l signor nostro ce 1’ ha comandato. 
Disse Orlando': Rimetti l’elmo in testa, 

E torna alla battaglia al modo usalo; 
Vedrem che seguirci; tanto ti dico, 

Ch’ io l’ arò sempre, come il Veglio, amico. 

451 Poi disse: As(jelta un poco, intendi saldo. 
Che non ti punga qualche strana ortica ; 
Sappi ch’egli è nella zuffa Rinaldo. 

Guarda che il nome per nulla non dica. 

Che non dicessi in quella furia caldo: 
Dunque tu se’ dalla parte nimica? 

.Si che tu giuochi netto, destro e largo, 

Chè ti bisogna aver qui gli occhi d’Argo. 

452 Rispose Buiaforte : Bene hai detto ; 

Se la battaglia passerà a tuo modo , 

Ti mostrerò che amico son perfetto. 

Come fu il padre mio, eh’ ancor ne godo. 

Ma perchè il tempo a tante cose è stretto. 
Noi farem punto alla materia e nodo. 

Che sarà piena d’ angoscia e di pianto , 
Coll'aiuto del Ciel, nell’ altro canto. 



MOTE. 



3. Àvea colui. Cioè il sole , per 
cigioD del quale ancor piange Prome- 
teo, il quale sta legato aul Caucaso 



per avere ad esso furata la scintilla e 
dato il fuoco ai mortali. Vedi il Pro- 
meteo d’ Eschilo. 



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CANTO VBNTESmOSESTO. 



348 



28. quel Greco. Fu questi Leoni- 
da quando egorlaya i suoi al gran 
fatto delle Termopili. 

60. rezza. È una rete di refe a 
maglie minutissime , e anche una spe- 
cie di rete da pescare , altrimenti 
detta trayersaria. 

63. come bambola di specchio. 
Come un fantoccio di vetro. 

78. caccia le pecore al monte. 
Spinge innanzi I’ esercito. 

80. va ad orza. Piega, ya in 
rotta. 

90. Eadamanta. Radamanto.Fu 
fratei di Minosse ; e perchè con molto 
senno e giustizia regnò sulle Isole del 
Mediterraneo , finsero gli antichi che 
dopo la morte yenisse posto nel Tar- 
taro a giudicare i rei , i quali costrin- 
geya a confessare le proprie colpe. 



Pindaro lo chiamò giusto , nemico 
della adulazione. Mortagli Anfitrione, 
sposò Alcmena , la quale gli fu mo- 
glie anche nell’ Infermi, secondo rac- 
conta Virgilio nel VI ieWEneida, e 
Platone nel Gorgia. 

92. malta. Melma ; dal greco ptkì.- 
dr; che significa cera emollita, dal 
yerbo jutaXccivu, emolleo, lento. 

107. piletta. Piccola. Dal france- 
se petit. 

127. la solfa della Margherita. 
Far la solfa della Margherita , yale 
far I’ atto del morire. La solfa è pro- 
priamenta la scala delle note musi- 
cali, quale la inyeniò Guido Aretino, 
circa il 1 024 ; ma pigliasi anche per 
la Musica stessa. 

434. rilievi. Quel che diciamo 
gli ayanzi. 



CASrrO VEIVTESlllIOSETTOIO. 



jnm(B(Dmaaif(D» 

Bolle di Roncisyalle il gran conflitto: 

Si discosta dal campo il conte Orlando , 

Che tre volte in sua bocca un corno ha fitto, 
Soccorso al suo morir alto chiamando; 

Pieno d’ anni e di gloria ritto ritto 
Spira (come si legge] al ciel volando: 

Carlo e Rinaldo , in Siraguzza entrati , 
Marsilio e Bianciardin sono impiccati. 



1 Come poss’ io cantar più rime o versi, 
Siu;nor, che m’ hai condotto a scriver cose, 
Che ’l Sol par per pietà lacrime versi, 

E già son le sue luce tenebrose? 

Tu vedrai tutti i tuoi Cristian dispersi, 

E tante lance e spade sanguinose, 

Che s’ altro aiuto qui non si dimostra, 

Sarà pur tragedia la istoria nostra. 



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346 



II. MOHUANTE HAGGIOBE. 



2 Ed io pur commedia pensato avea 
Iscriver del mio Cario finalmente, 

Ed Alcuin cosi mi promettea; 

Ma la battaglia crudele al presente, 

Che 8* apparecchia impetuosa e rea , 

Mi fa pur dubitar drenlo alla mente: 

E vo colla ragion qui dubitando, 

Perch’ io non veggo da salvare Orlando. 

3 £ bench’e’sia sopraggiunto Kinaldo 
E Ricciardetto, tuttavolta io temo, 

Nè posso ancor giudizio dar qui saldo , 

Che non si vuol conducer mai in estremo; 
Marsilio è tanto cattivo e ribaldo, 

Ch’e’ farà forza di vela e di remo, 

(^hè vincere o morir qui gli bisogna , 

Se non che il danno abbraccia la vergogna. 

4 Orlando, poi che lasciò Buiaforte, 

Fargli mill’anni trovar Baldovino, 

Che cerca pure e non trova la morte, 

E riconobbe il cavai Vegliantino 

Per la battaglia , e va correndo forte 
Dov’ era Orlando, e diceva il meschino: 
Sappi eh’ io ho fatto oggi il mio dovuto , 

E contro me nessun mai è venuto. 

6 Molti Pagani ho pur fatti morire; 

Però quel che ciò sia pensar non posso. 

Se non ch’io veggo la gente fuggire. 
Rispose Orlando: Tu ti fai ben grosso 
Di questo fatto; sta ti vuoi chiarire. 

La sopravvesta ti cava di dosso ; 

Vedrai, che Gan, come tu te la cavi, 

Ci ha venduti a Marsilio per ischiavi. 

6 Rispose Baldovin : Se il padre mio 
Ci ha qui condotti come traditore, 

S’io posso oggi campar, pel nostro Iddio, 
Con questa spada passerògli il cuore ; 

Ma traditore. Orlando, non son io 
Ch’ io t’ ho seguito con perfetto amore ; 

Non mi potresti dir maggiore ingiuria. 

Poi si stracciò la vesta con gran furia. 



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CANTO VENTKSmO^ETTIMO. J_ 347 

7 E disse: Io tornerò nella battaglia, 

Poi che tu m’hai per traditore scorto; 

Io non son traditor, se Dio mi vaglia, 

Non mi vedrai più osgi se jion morto. 

E inverso l’oste de’Pasan^i scaglia , 

Dicendo sempre : Tu .m* hai fatto torto. 

Orlando si (>entea (Faver ciò detto, 

Chè disperato vide il giovinetto. 

8 Per la battaglia correa Baldovino, 

E riscontrò quel crudel Mazzarigi, ■ 

E disse: Tu se’ qui, can Saracino,- 
Per distrugger la gente di Parigi ? 

O marran rinnegato paterino , 

Tu sarai presto giù ne’ bassi Stigi. 

E tra.sse colia spada in modo a questo, 

Che lo mandò dov’ egli disse presto. 

9 Fece Marsilio, come dotto e saggio. 

Uno squadron ristretto di Pagani , 

Uomini tutti ch’avevon coraggio, 

E cominciorno a strignere i Cristiani ; 

Sicché del campo piglioron vantaggio i 
Quivi eran tutti quanti i capitani, 

E sopra tutti un infornai demonio,' 

Ch’io dissi prima, appellato Grandonio. 

do E per ventura trovò Sansonetto, 

Che combatteva al conte Orlando appresso, 

E cavògli la muffa dell’ elmetto 

Chè il capo gli ha come una zucca fesso : 

E come cadde in terra il giovinetto, 

Gualtier da Mnlion quivi s’é messo. 

Per vendicar, se potea, la sua morte; 

Ma non potea, chè non è tanto forte. 

di Ulivier s’accostò con Allachiara, 

E trasse al Saracin di molle botte , 

Che col bastone ogni cosa ripara ; 

Ed aveva a Gualtier le spalle rotte. 

Tanto che cadde per la pena amara, 

E innanzi vespro gii parve di notte ; 

Si che Grandonio col baslon fa fiacco. 

Che par quel d’ Ercol quando uccise Cacco. 



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348 



IL HQBGANTE MAGGIOBB. 



13 Orlando in altra parie combatteva, 

£ Sansonelto non avea veduto; 

E Ulivieri alla line ne leva , 

Tal che bisogna a questa volta aiuto, 

Perchè la scrima niente valeva : 

Intanto quivi Marsilio è venuto, 

E mentre innanzi il suo cavallo sprona. 

Si riscontrò col signor di Baiona. 

-13 Angiolin non aveva in man la lancia, 
Sicché Marsilio allo scudo gli porse 
Un colpo tal, che gli passa la pancia. 
Orlando, poi che in più luoghi soccorse 
Di qua di là la sua gente di Francia, 

Di Sansonetto alla fine s’ accorse ; 

E domandò Terigi ove sia quello , 

Né sa eh’ è morto questo raeschinello. 

-14 Disse Terigi : E’ combatteva dianzi, 

Dove tu vedi quella gente stretta. ! 
Orlando sprona Vegliantino innanzi ; 

E dove e’ vede il Marchese, si getta, ' 

Ch’ era già al resto agli ultimi e gli avanzi ; 
Però che v’ era corso con gran fretta 
Marsilio, i’Arcaliffa e Zambugerì,-^ 

E tutti son d’ intorno a UlivierL 

16 Quando Orlando Ulivier vide soletto, - 
Maravigliossi eh’ e’ si difendea , 

£ Vegliantin gli metteva sospetto,.-:; 

Perchè più oltre passar non volea,à£^:j 
Per non porre i piò addosso a Sansonetto : 
Ma quando Orlando lo ricono.scea, 

Gridò: Fortuna, tu m’hai fatto torto. 

Disse Ulivier : Questo ghioUon 1’ ha morto. 

16 Quando Grandonio questo gergo intese, 

E’ si fuggi, che non fuggi mai vento:: 
Marsilio e gli altri lasciorno il Marchese, 
Perchè lutti d’ Orlando hanno spavento. 
Orlando, poi che del cavallo scese, 

Di Sansonetto fece gran lamento ; 

Poi lo cavò tra quella gente morta , 

•i Sicché Terigi al padiglion nel porta.^^ 



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CANTO VENTESIHOSETTIMO. 



349 



Al Aslolfo andava pel campo scorrendo, 

£ rìscontrossì col re Balsamino ; 

E fìnalmenle 1’ un l’ altro ferendo, 

Un colpo trasse quel can Saracino 
Un tratto a Astolfo, non se n’avvedendo. 
Che la spada gli entrò nel gorzarino, 

E riuscì di drieto per la nucii^ ^ 

Tanto che morto lo mandò alla buca. 

48 Poi riscontrò quel Pagan maladelto 
Nella battaglia Angiolin di Bellanda, ^ 

E con un colpo gl’ intronò l’elnrietlo, 

E come morto per terra lo manda : 

Intanto quivi giugnea Ricciardetto, 

£ Angiolino a lui si raccomanda, 

E per r angoscia a fatica favella, 

E Ricciardetto lo ripose in sella. 

49 Orlando aveva morto Chiariello, 

In questo tempo, il re di Portogallo, 

£ Fieramonle accompagnato ha quello, 

£ in quella parte rivolse il cavallo ; 

Aslolfo giace morto, il meschinello : 

Avino aveva veduto cascallo, 

E veniva a cercar di far vendetta. 

Ma non poteva aprir la calca stretta. 

20 Orlando giunse, e con gran furia aprilla, 
£ fe’ de’ Saracin di sangue un golfo , \ 

Chè Durlindana ogni volta sfavilla. 

Tanto che acceso si sarebbe il zolfo : 

E parve un toro bravo quando assilla. 
Quando e* vedeva in sulla terra Aslolfo, 
Che sempre amato assai l’aveva in vita, 

E pensa pur come la cosa è ita. 

21 E ben conobbe come Balsamino 
Ucciso aveva il duca d’ Inghilterra ; 

Intanto si fe’ incontra il Saracino, 

E una punta per modo disserra, 

Ch’ egli arebbe forato il serpentino : 

Ma questa volta la scrima sua erra. 

Però che Orlando nella prima giunta 
Con Durlindana gli levò la punta. 

u. 80 



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3K0 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



22 E non gli aveva Chirone insegnalo 
Tanto che basti, ch’ogni scrima è invano : 
Orlando aveva l’occhio in ogni lato, 

E terminò di tagliargli la mano : 

E trasse un colpo in modo misuralo, 

Che Balsamin non se lo trova sano, 

Perchè le dila gli tagliava tutte. 

Salvo che al primo resta il gammaatte. 

25 E non potrà, se volessi far ora, 

Levar più d’ un colla mano , o dir sette 
.\l giuoco delle coma o della mora, 

O nasconder più in quella le huschelle : 
Avin soggiunse, e colla spada ancora 
Un vecchio col|>o all’elmetto gli dette. 
Tanto che in terra se n’andò cadavere. 
Gilè ’l capo gli spiccò come un pa|>avero. 

24 Rinaldo ritrovò quel Btiiaforle, 

Al mio parer, che sarebbe scoppialo 
Se non avessi trovato la morte : 

E come egli ebbe a parlar cominciato 
Del re Marsilio e di stare in sua corte, 
Rinaldo gli rispose infurialo: 

Chi non è meco, avverso me sia detto, 

E cominciògli a Irassinar l’ elmetto. 

25 E trasse un mandiritto e due e Ire, 

Con tanta furia, e quattro e cinque e sei, 
Che non ebbe agio a domandar merzè, 

£ morto catide sanza dire oraei; 

E cosi Buiaforte il peggio fe’: 

E Squarciaferro co’ suoi Farisei, 

I Come l’anima usci del cor [)0 fore. 

Parve che un pollo ciutfassi uno astore. 

26 Ricciardetto era a Rinaldo da canto, 

E non si potre’ dir quel eh’ egli ha fatto : 

E dove e’ crede acquistar gloria o vanto, 

E’ si chiudea un come uccel di ratto. 
Benché le starne gli danno nel guanto: 

E Tarpino ancor salta come un gatto, 

E non si può tener con cento strambe, 

E spicca nasi, orecchi, e mane e gambe. 




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CANTO VENTKSIMOSETTIMO. 



3S1 



27 Grandonio aveva trovato un bel giuoco: 
Egli aveva un baston come una trave, 

Tanto che I’ arme e’ le stimava poco ; 

E chi l’aspetta, per natura grave. 

Un vespro canta, che rimanea hoco 
E muto e sordo, e smarrisce la chiave ; 

Ma tanto in lìn poi s’andò aggirando, 

Ch^’ un tratto pur I* ha ritrovato Orlando. . 

28 E gridò: Guar’li, ghiolton maladetto, 

Che d’aver morto non ti vanterai 

Il mio più caro amico Sansonetto, 

Ma nello inferno la istoria dirai ; 

Non mi potevi far maggior dispetto, 

' Can, fi’ di can, tu te ne pentirai: 

Volgili a me: dunque tu vuoi fuggire? 
Cocchin pagliardo, e’ li convien morire. 

29 Grandonio, perchè Orlando avea veduto. 
Volle fuggir, chè morto giudicossi, 

E per paura ogni orgoglio è caduto ; 

Ma innanzi a Vegliantin fuggir non puossi, 
Chè tigre, o pardo, anzi uno uccel pennuto. 
Non credo a tempo questa volta fossi : 

Parea che ’l suo signor quello intendessi. 
Che Sansonetto vendicar volessi. 

30 E se fussi in quel punto lo Dio Marte, 
Per aiutar Grandonio in terra sceso. 

Armalo in sul cavai da ogni parte, 

E’ non r arebbe alla hne difeso. 

Nè |>er sua deità o forza o arte ; 

Tanto si tien di Sansonetto offeso 
Orlando, che la S|>ada aveva stretta. 
Gridando forte ancor: Malfusso, aspetta. 

31 E come il Saraci n fermo si volse. 

Alzò la spada in alto quanto e’ puote, 

E sopra l’elmo a traverso gli colse. 

Tanto che tutte divise le gote. 

Il petto e ’l corpo, onde l’ anima sciolse : 

E poi la spada la sella percuote, 

SI che pel mezzo ricise il cavallo ; 

Ma Vegliantin fe’ questa volta fallo. 



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3S2 



IL HORGANTB MAGGIOnC. 



32 Perchè la spada con tal forza viene , 

Che bisogna per forza inginocchiarsi ; 

Tanto che quasi si ruppe le rene, 

£ non poteva alla fìne rizzarsi, 

Chè Durlindana confida lo tiene. 

Che un braccio e mezzo si vide tìccarsi 
In su ’n un sasso cbe sotterra truova:. 

Per la qual cosa Veglianlin giù Wva. i 

33 E con fatica Orlando la ritrasse, 

E gridò: Vegliantin, che hai tu fatto? 

Tal che parve il cavai si vergognasse, 

E saltò in quattro destro come un gatto: 
Credo che ’l Cielo Orlando suo aiutasse 
Per grazia, come e’ fc’già più d' un tratto, 
Ch’aiuta sempre i buon, quando e’ bisogna; 
Però non fia quel eh’ io dico menzogna. 

3A Orlando fe' da (ìrandonio partita. 

Per la battaglia sospirando forte, 

Chè non aveva renduta la vita 
A Sansonetto però la sua morte ; 

E parea quando l’ orsacchia accanita 
Abbatte i rami, e spezza le ritorte, 

E ogni cosa si reca in dispetto; 

E gran vendetta fe’di Sansonetto. 

33 E per ventura Marsilio vedea, 

E una lancia ad un Pagano arrappa , 

Chè il cor con essa passar gli volea; 

Ma intanto un altro dinanzi gl’ incappa: 
Sicché la lancia nel petto giugnea. 

Tal che di drieto riesce la nappa , 

E passa il corpo ad un altro e la milza, 

E cosi fece di due una filza. 

36 Poi disse al re Marsilio : Il tem|)o è giunto 
A punir le deli’ opere lue ladre, 

Perchè tu meritasti un caprcslo unto. 

Mentre tu eri in corpo di tua madre. 

Ma Zambuger, che intese il caso appunto. 
Volle coprir collo scudo suo padre. 

Ma Durlindana il trattò come ghiaccio. 

Si che lo scudo gli tagliava e ’l braccio. 



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CANTO VENTBSIMOSETTIMO. 



383 



37 Zambu^er cadde per la pena in (erra, 

£ calpestato fu poi meschinello ; 

Il qual nuovo Tiron questa volta erra, 

Però eh’ egli era un semplicetto agnello 
Con un bravo lion'che ognuno atterra : 
Marsilio spari via come uno uccello, 

O come cervio spaventato in caccia ; 

E Zambuger non farà più alle bràccia. 

38 Fece Marsilio del 'braccio cercare. 

Acciò che questa reliquia devota 
Per le moschee si potàssi mostrare : 

Non so s’ignun, che legge, intende e nota: 
E comincia fortuna a bestemmiare, "'T " 
Che non volgeva a suo modo la mota, / 
Appollin, Belfagorre, e la sua setta, ^ 

E minacciava di farne vendetta. 

39 Ma non so come e’ sarà vendicato, 

Chè poco il di si parti poi da bomba. 

Tanto era ancor d’ Orlando impaurato : 
Credo piuttosto vorrebbe una fromba. 

Come disse Trason già col suo Gnato, 

Per trar discosto al sicuro la romba : 

Perchè quant’ è più il traditor sottile, 

Tanto più sempre per natura è vile. 

40 Un cerchio immaginalo ci bisogna, 

A voler ben la spera contemplare ; 

Cosi, chi intender questa storia agogna, 
Conviensi altro per allro immaginare : 
Perchè qui non si canta, e finge, c sogna; 
Venuto è il tempo da filosofare: 

Non passerà la mia barchetta Lete, 

Che forse su Misen vi sentirete. 

4t Ma perchè e’ c’ è d’una ragion cicale. 
Ch’io l’ho proprio agguagliate all’ indiane. 
Che cantan d’ogni tempo, e dicon male. 
Voi che lecgele queste cose strane. 

Andate drielo al senso litlerale, 

E troverelel per le strade piane ; 

Ch’ io non m’ intendo di vostro anagogico, 
O morale, o le more, o tropologico. 

30 * 



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354 



IL MOBGANTE MAGGIOBE. 



42 In questo tempo il re Margheritonne 
Colla sua scimitarra non ischerza. 

Ed avea seco quel gran Sirionne, 

Con un baston, eh’ ognun fugge alla terza : 
Perchè i Cristiani impauriti sonne, 

Come il cane al sonaglio della kerza, 

Chè si sentia le catene e le palle 
Sempre quel di sopra gli elmi sonalle. 

43 Uccise questo Angiolin di Bellanda 
D’una percossa, che fu si crudele 

Che il caj )0 gli schiacciò come una ghianda, 
E Marco e il suo fratei da San Michele : 
Einaldo è capitalo in quella banda. 

Per aiutare il suo popol fedele ; 

Vede costui che menava la mazza, 

E molta gente crudelmente ammazza. 



44 




E grida: Ah Saracin, che vuoi tu fare? 

Se’ tu venuto qua con un’antenna, 

Per voler nostra gente mazzicare? 

Volgiti a me, che la morte t’accenna. 

Poi lasciava Frusherta scaricare, 

E spezza l’elmo, e truova la cotenna, 

E parte il teschio e ’l collo , e passa 1’ omero , 
E divise costui come un cocomero. ^ 

Margherilon con gran furor si getta 
Addosso al prenze, e credette aiutallo: 
Rinaldo il capo pel mezzo gli afTctta, 

Come si parte una noce col mallo : 

Poi rovina la spada con gran fretta, 

E trovava la testa del cavallo ; 

Tanto che morto col suo signor cade. 

Perchè Frusherta non taglia, anzi rade. 



46 Bianciardin con gran gente venne avante, 
E Galleran. MattaGrro, e Fidasso, 
L’Arcalifla famoso, c Balugante, 

Brushacca il Sire, e .Malducco di Frasso, 

Ed alcun capitano e ammirante ; 

E cominciossi avviare un fracasso. 

Che par che caggi o rovini la torre 
Di Babel già, sicché ognun quivi corre. 



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V 



CANTO VENTESIMOSETTIMO. 



355 



47 Orlando cofse alle grida e ’l romore, 

E trovò Baldovino il poveretto, 

Ch’era già presso all’ ultime sue ore, 

E da due lance avea passato il petto: 

E disse : Or non son io più traditore ! 

E cadde in terra morto , cosi detto : 

Della qual cosa duolsi Orlando forte , 

E pianse esser cagion della sua morte. 

48 E fece al padiglion portarlo via : 

Poi si scagliò dove Rinaldo vide 
Che colla spada gran cose facia, 

E dove il popol de’ Pagan più stride 
Per la battaglia sanguinosa e ria : 

Benché la parte de’ Cristian non ride : 

Chi grida carne, e chi grida vendetta ; 

Verso questo tumulto ognun si getta. 

49 Quivi correva il buon duca Egibardo, 
Anseimo, Avino, Avolio, e Guoltibuotli , 

E Berlinghieri, ed Ottone, e Riccardo; 
Ognun vuol la sua parte degli ’ngolTi ; 

E Ricciardetto par tanto gagliardo. 

Che i miglior cavalier parevan golll: 

E soprattutto il buon Turpin di Rana 
1 Saracin come i mattoni spiana. yC, 

60 E’ si vedeva tante spade e mane, 

Tante lance cader sopra la resta ; 

E’ si sentia tante urie e cose strane. 

Che si poteva il mar dire in tempesta: 

Tutto il di tempelloron le campane, 

Sanza saper chi suoni a morto o festa : 
Sempre tuon sordi con baleni a secco, 

E per le selve rimbombar poi Ecco. 

61 E’ si sentiva in terra e in aria zuffa. 
Perché Asiarotte, non ti dico come, 

E Farfarello, ognun I’ anime ciuffa, 

E n’ avean sempre un mazzo per le chiome ; 
E facean pur la più strana baruffa, 

E spesso fu d’ alcun sentito il nome : 

Lascia a me il tale, a Belzebù Io porto. 

L’ altro diceva : Marsilio ancor morto ? 



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IL MORGANTE MAGGIORE. 



63 E’ ci farà stentar prima che muoia : 

Non gli ha Rinaldo ancor forbito il muso, 
Che noi portiam giù l’anima e le cuoia? ' 

O ciel, tu par questa volta confuso I 
O battaglia crudel, qual Roma, o Troiai 
Questa è certo più là eh’ al mondano uso. 

Il Sol pareva di fuoco sanguigno, 

E cosi r aria d’ un color maligno. 

63 Credo ch’^egli era più bello a vedere 
Certo kIì abissi il di, che Koncisvallc: 

Chè i Saracin cadevon come pere, 

E Squarciaferro gii portava a_balle ;“k 
Tanto che tulle le infernal bufere 
Occupan questi, ogni roccia, ogni calle, 

E le bolge, e gli spaldi, e le raeschile, 

E tutta in festa è la città di Dite. 

64 Lucifero avea aperte tante bocche, 

Che pareva quel giorno i corbacchini 
Air imbeccata, e trangugiava a ciocche 
L' anime che piovean de’ Saracini, 

Che par che neve monachina fiocche, 

Come cade 'la manna a’ pesciolini : 

Non domandar se raccoglieva i bioccoli, 

E se ne fece gozzi d’ anitroccoli. 

65 E’ si faceva tante chiarentane , 

Che ciò ch’io dico è disopra una zacchera : 
E non dura la festa mudemane, 

Oai, e poserai, e poscrilla, e posquacchera. 
Cóme spesso alla vigna le romane ; 

E chi sonava tamburo, e chi nacchera, 
Baldosa, e cicutrenna, e znfoletli, 

E tutti alTusolali gli scambietti. 

66 E Koncisvalle pareva un legame 
Dove fosse di sangue un gran mortilo, 

Di capi, e di |)educci, e d’altro ossame. 

Un certo guazzabuglio ribollito. 

Che pareva d’inferno il bulicame. 

Che innanzi a Nesso non fusse sparito : 

D vento par certi sprazzi avviluppi 
Di sangue in aria con nodi e con gruppi. 




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CANTO VENTESIMOSETTIMO. 



387 



57 I.a battaglia era tutta paonazza, 

Sicché il mar rosso pareva in travaglio , 
('.he ognun, per parer vivo, si diguazza: 
E’ si poteva gittar Io scandaglio 
Ver tutto, in modo nel sangue si guazza, 
E poi guardar come suol l’animiraglio, 
Ovver nocchier, se conosce la fonda, 

('.hè della valle trabocca ogni sponda. 

68 Credo che Marte di sangue ristucco 
A questa volta chiamar si potea, 

E soprattutto Rinaldo era il cucco, 

('.he con la spada a suo modo facea. 
Orlando intanto ha trovato Malducco, 

Che Berlinghieri ed Olton morto avea : 
Ma questa morte gli saprà di lezzo, 

Chè Durlindana lo tagliò pel mezzo. 

69 E Ulivier riscontrava Brusbacca, 

Che per Io stormo combatteva forte, 

E ’I capo e l’elmo a un tratto gli fiacca, 

. Ma non sapea ch’egli ha presso la morte; 
Chè rArcalilTa intanto di Baldacca 
Lo sopraggiunse per disgrazia a sorte 
A tradimento, e la spada gli mise 
Nel fianco, si che alla fine l’uccise. > 

60 Ulivier, come ardito, invitto e franco. 
Si volse indietro, e vide il traditore, 

Che ferito l’avea dal lato manco, 

E gridò forte: O crudel peccatore, 

A tradimento mi desti nel fianco. 

Per riportar, come tu suoli, onore: 
Questa sia sempiterna egregia laide 
Del re Marsilio e sue gente ribalde. 

6t E trasse d’Altachiara con tanl’ira. 

Che gli spezzò Telmelto e le cervella. 

Si che del Saracin l’anima spira. 

Che tutto il fesse insino in sulla sella; 

E come cieco pel campo s’agzira, 

E colla spada percuote e martella: 

Ma non sapea dov’e’si meni il brando, 

E non vorrebbe anche saperlo Orlando. 



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358 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



62 Orlando aveva il Marchese sentilo, 

E come il veltro alle grida si mosse; 
Ulivier tanto sangue gli era uscito, 

Che non vedeva in che luogo e’ si fosse: 
Tanto Ch’Orlando in sull’elmo ha ferito , 
Che non senti mai più simil percosse; 

E disse: Che fai tu, cognato mio; 

Or hai tu rinnegalo il nostro Iddio? 

63 Disse Ulivier: Perdonanza ti chieggio, 
S’io t’ho ferito, o mio signore Orlando; 
Sappi che più niente lume veggio. 

Si ch’io non so dove mi meni il brando. 
Se non che presso alla morte vaneggio , 
Tanto sangue ho versalo e vo versando ; 
Chè r Arcaliffa m'ha ferito a torto, 

Quel traditor, ma di mia man l’ ho morto. 

64 Gran pianto Orlando di questo facea , 
Perchè molto Ulivier gli era nel core, 

E la battaglia perduta vedea , 

E maladiva il Pagan traditore: 

E Ulivier cosi orbo dicea: 

Se tu mi porli, come suoli, amore. 
Menami ancor tra la gente più stretta , 
Non mi lasciar morir sanza vendetta. 

66 Rispose Orlando: Sanza te non voglio 
Viver quel poco che di vita avanza ; 

Io ho perduto ogni ardire , ogni orgoglio. 
Si ch’io non ho più di nulla speranza; 

E perch’ io l’amo , Ulivier , com’ i’ soglio , 
Vienne con meco a mostrar tua possanza, 
Una morte , una fede, un voler solo. 

Poi lo menò nél~mezzo dello stuolo. 

66 Ulivieri era nella pressa entralo: 

Come e’soleva la gente rincalcia , 

E par che tagli deli’ erba del prato , 

Da ogni parte menando la falcia , 

Chè combatteva come disperato , 

E pota , e tonda, e scapezzava , e stralcia , 
E in ogni luogo faceva una piazza , 

Chè come gli orbi girava la mazza. 



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CANTO VENTESIHOSETTIHO. 



359 



67 E tanto insieme per Io stormo vanno 
Orlando e Ulivier ferendo forte, 

Che molli Saracin traboccar fanno; 

Ma Ulivier già presso era alla morte : 

E poi che '1 padiglion ritrovalo hanno , 
Diceva Orlando: lo vo’che li conforle; 
Aspetta, Ulivier mio , che a te ritorno, 
Chè in su quel poggio vo a sonare il corno. 

68 Disse Ulivieri : Ornai non li bisogna ; 
L’anima mia da me già vuol partire, 

Che ritornare al suo Signore agogna. 

E non potè le parole espedire , 

Come chi parla molle volle e sogna; 

E bisognò quel eh’ e’ voleva dire 
Per discrezione intender , chè Alda bella 
Raccomandar volea, la sua sorella. 

69 Orlando, sendo spiralo il Marchese , 
Parvegli tanto solo esser rimaso , 

Che di sonar per partito por prese , 

Acciò che Carlo sentissi il suo caso ; 

E sonò tanto forte, che lo intese, 

E ’l sangue usci per la bocca e pel naso. 
Dice Turpino , che il corno si fesse , 

La terza volta che a bocca sei messe. 

70 II cavai d’ Ulivier niente aspetta , 

E ritornò nel campo tra’ Pagani, 

Come chi fa del suo sign or vendetta , j 
E morde per tre lupi e per sei cani ; 

E molta gente co’ calci rassetta, 

E colle zampe s’ arrosta i tafani : 

. Ma Ricciardetto, come vide questo , 
Giudicò d’ Ulivieri il caso presto. 

71 Rinaldo la battaglia ancor teneva : 
Balugante e Marsilio era fuggito , 

Il qual con Bianciardin fece allo lieva , 
Come il corno d’ Orlando ebbe sentilo; 

E drenlo nella mente si rodeva , 

Che del suo Zamhuger nulla ha udito, 

Qual per febbre lion si rode in gabbia: 
Dunque giusto marlir par la sua rabbia. 




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I 



360 



IL HOaCANTE MAGGIORE. 

lì Era lanlo il lerror eh’ avean d’ Orlando 
1 Saracin, che assai fuggiti sono 
Per la campagna e per le selve, quando 
Sentilo fu questo terribii suono: 

Dice Tnrpin, che per l’aria volando ' ^ 

Molli uccelli stordirono a quel tuono; X 
E maraviglia non fu Carlo udissi, 

Chè si pensò che la terra s’ aprissi. 

73 Or quel che fece allo estremo Rinaldo , 

Non ardisce narrar più la mia penna. 

Che pareva un serpente irato in caldo; 

£ questo , c l’ altro , e poi quello scotenna , 

E ributtava quel popol ribaldo, 

E non sapea del marchese di Vienna : 

£ rompe , e fiacca, e sdruce, e smaglia, e straccia, 
£ con gran furia innanzi se gli caccia. 

74 Baiardo ritto le zampe menava, 

E come l’ orso fa scostare i cani ; 

Talvolta un braccio o la coscia ciuflava , 

E sgretola quell’ossa de' Pagani, 

Come pan fresco che allotta si cava : 

Non fur lanlo crudel mai tigri ircani : 

Con tanta rabbia mordeva e dimembra , 

Tanto che Ecuba forsennata sembra. 

75 E Kicciardcllo facca cose ancora, 

Che l’autor, che le vide, noi crede: 

Egli avea fallo pel campo una gora: 

Bealo a chi polea studiare il piede , 

Chè non uccide , anzi proprio divora: 

Non fé’ Birraio di bestie mai prede 
Qual fa costui di^Saracini il giorno. 

Tanto ch’ognun gli spariva d’intorno. 

76 Dicami alcun che la storia compila , 

Tra Rinaldo, e Baiardo, e Ricciardetto, 

Che n’ uccison quel di ben trenta mila; 

Non so s’è vero o falso , io 1’ ho pur detto: 

Pensa Ch’Orlando n’ uccise una fila , 

E Ulivieri, Anseimo, e Sansunello; 

Ma la spada del ciel qui mi bisogna, 

Chè a torlo il ver non riporti vergogna. 



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J 



CANTO VENTESUIOSETTIHO. 



361 



TI Chi sa se Micael qui sconosciuto , 

Come altra volta là a Gerusalemme, 

N’ uccise, il dì quanti egli ara voluto , 

Oh’ a ogni colpo può segnare un’emme: 
Forse eh’ e’ venne a’ Cristiani in aiuto 
Da quel Signor che nacque in Betelemme , 
Il qual tien sempre degli amici cura; 

£ la forza del ciel non ha misura. 

78 E bisognava e’ vi ponga le mani , 

Chè i Cristian son venti mila secento, 
Contr’ a secento migliaia di Pagani; 
Tant’è, ch’io ci ho trovato fondamento, 
Tutti degni autor, modesti e piani. 

Che non iscaglion le parole al vento : 

E so che ’l nostro Turpino ed Ormanno 
iserivon quel eh’ è vero e quel che sanno. ' 

79 £ s’ alcun dice che Turpin morisse 
In Koncisvalle , e’ ment e per la strozza: 

Ch’ io proverò il contrario ,.e come e’ visse 
Insin che Carlo prese Siragozza, 

E questa istoria di sua mano scrisse; 

E Alcuin con lui poi si raccozza, 

£ scrive insino alla morte di Carlo , 

E molto fu discreto ad onorarlo. 

80 Dopo costui venne il famoso Arnaldo , 
Che molto diligentemente' ha scritto, 

E investigò dell’ opre di Rinaldo , 

Delle gran cose che fece in Egitto , 

£ va pel fil della sinopia saldo , 

Sanza uscir punto mai del segno ritto: 
Grazie che date son prima che in culla. 
Che non direbbe una bugia per nulla. 

81 Tornossi Orlando sbigottito in tutto 

Al campo , poi che il Marchese fu morto. 
Come chi torna dal funereo lutto 
Alla sua famigliuola a dar conforto; 

O come nave, sperando alcun frutto. 

Con gran iattura è ritornata in porto ; 

E duolsi ben di sua fortuna acerva. 

Ma molto ancor più della sua conserva. 

.. 31 



/ 

\ . 
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I 



3ti2 IL HUHGANTE MAGGIORE. 

S3 Non v’ ha trovalo il buon duca £g;ibardo, 

E Gunnihiinffì è morto in su la (arra, 

Avolio, Avino, e Gualtieri, e Riccardo: 

Però tanto dolor lo slrin:;e e serra, ' 

Che si fe’ più che I’ usato $;aKliardo, 

E disse : Ornai questa è I’ ultima ftuerrn ; 
Fammi, Signor, tu allo estremo forte, 

Ch’ io ti sarò fedele insino a morte. 

S3 Restava Anseimo c Ricciardetto allora^ 
Turpin, Rinaldo, e de' Paaan pur molla 
Gente, la qual si difendeva ancora. 

Benché per lutto e’.sonava a raccolta ! 

Orlando trasse Durlindana fora : 

Non so se questa Ha l’ultima volta: 

Credo che si, per non tener qui a bada. 

Che trarrà fuor questa onorata spada. 

84 Gran pianto fecion que’ pochi Cristiani 
D’ Ulivier, che restali erano al campo, 

E corainciorno a straziare i Pazani, 

E far zran cose all’ ultimo lor vampo; 

Tal che fuzgien que’ miseri profani, 

Senza trovar misericordia o scampo : 

V E non é tempo da dire al cui Vienne : 

Ma la baltaziia è già presso all’ araenne. 

85 E’ si vedea cader tante cervella, 

Che le cornacchie faran lafiferugia; 

Chi aveva men forale le budella. 

Pareva il corpo come una grattugio, 

\ O da far le bruciate la padella, 

' Tanto che falsa sarà la minugia : 

E perchè Orlando per grand’ira scoppia. 
Sempre la furia e la forza raddoppia. 

80 E’ si cacciava innanzi quelle torme, 

Ch’un superbo lion parca foresto. 

Che fa tremar Con la voce e con Forme, y 
E dice: In ogni modo fìa pel resto 
V A questa volla! e fa svegliar chi dorme, 
'-Anzi forse dormir chi era desto; 

Chè viver non volea più con dispetto. 

Poi che Ulivieri è morto e Sansonetlo. 



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CANTO VENTESIHOSETTIUO. 



3fi3 

87 Egli arebbe il di Cesare in iTessaglia 
Rotto, 0 il Barchino a Transinieno o Canni ; 

E’ si sentia rugghiar per la battaglia, 

Tanto che un verro par eh’ ognuno azzanni ; 

E braccia e capi e mani in aria scaglia. 

Per fìnir con onor questi ultimi anni : 

Chè-'l tem{M> è breve, e pur la voglia pronta, 

E dolce cosa è vendicar giusta onta. 

SS E dove e’ vede la gente, e' aggroppa. 

Come aquila gentil si chiude e serra ; 

Si che la schiera sbaraglia e sviluppa, 

E tutti gli stendardi caccia in (errac 
Pensa, lelLor, come il campo s’inzuppa ! 
Alla.|^rchesca si faeea la guerra ; 

Abbatte, e urta, e spezza, e sbrana, e strugge, 
Tanto che solo sperar può chi fogge. 

89 E’ si vedeva ora a poggia ora a orza 
La battaglia venirsi travagliando: • 

Il campo de’ Cristian facea gran forza; 

Tanto l’alto valor, 1’ ardjg d’ Orlando 
Folgore par, che nuUa cosa ammorza; 

E osni volta che menava il brando, 

E’ rimanea del maestro la slampa. 

Tanto che |>ochi di sua man ne scampa. 

90 E non pareva nè sorda nè cieca 
Certo quel di quella vecchia scagnarda. 

Che spesso alRIa la falce sua bieca. 

Poi raschia l’ unghia, e d’ Orlando pur guarda; 
Talvolta drìeto a Rinaldo si reca, 

E fassi quivi a suo modo gagliarda, 

Ch’ ognun s’appicca ov’e’vede guadagno; 

E Ricciardetto anche fu buon compagno. 

91 Rinaldo fece al crudel Gallerano 

Un tratto a caso il più bel moncherino, 

Perch’ e’ parea sopra il popol cristiano 
Un lupo in salva arrabbialo menino ; 

Che gli trovò con Frusberta la mano, 

E lo incanto gli fe’ del mal del pino, 

E dell’ abete, e del faggio, e del leccio, 

E non vi venne poi su il patereccio. 



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364 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



92 E benché i Saracin fugghino all’ erin , 
Un macco ne facea da Filistei ; 

, E quante volte calava Frusberla, 

Non ne faceva cader men che sei : 



I E’ se n’ andranno in qualche buco strano 
A sentir sotto come nasce il grano. 

93 Mostrava ancor tutto affannato e stanco 
Anseimo pur la sua virtù perfetta; 

Ma Mattafìrro gli venne dal fianco, 

E dette al suo cavai con un’ accetta ; 
Tanto che in terra il fece venir inianco, 

E poi gli corse addosso con grai|.^fretta ; 

E Gnalmenle gli cavò fuor l’ elmo^ 

In questo modo uccise il conte Anseimo. 

s 

9A Rimontò a cavai quel Mattafìrro, 

Colpi menando disperati e forti ; 

Rinaldo lo sgridò poi come un birro, 
tlicendo : Fama a tuo modo riporti. 

Non altrimenli che Marcello o Pirro, 
Uccider sanza elmetto uomini morti. 

E trasse un tondo di maestro vecchio, 

Che il capo portò via sopra 1’ orecchio. 

9j E poi trovò nella zuffa Fidasse, 

Che faceva il leprone e ’l piccinaco 
Tra gente e gente, e va col capo basso 
Per la battaglia diguazzando il laco ; 
Perch’ e’ sentia di Rinaldo il fracasso. 

Che par per Libia indiavolalo un draco: 
Ma pure un tratto Fidasse ridossi. 

Tanto che in terra per sempre acqualtossi. 

96 II cavai si rizzò di Ricciardetto, 
Indietro si, ch’e’convien che rovesci, 

E con r arcion se gli posa in sol petto : 

E’ Pagan sotto frugavano a’ pesci 
Con lance e dardi ; e restava in effetto 
Morto, eh’ un tratto non potea dir mesci ; 
Se non eh’ Orlando le cinghie e ’l cavallo 
Tagliò in un colpo, e poi fece rizzallo. 



4 




! Tanto che fia più d’ona tomba aperta, 
Chè, come dice Benedetto Dei, 



CANTO VENTESIHOSETTIHO. 



97 E gridò: Ricciardetto, hai tu paura? 

Piglia un altro cavai, che ce n’avanza. 

E Ricciardetto a saltar s’ assicura , 

Come de’ Paladin sempre era usanza, 

Sopra un cavai con tutta I’ armadura ; 

Ma qui resta il valor senza speranza , 

Benché il cor generoso si conforti. 

Perchè tutti ì Cristian quasi eran morti. 

9S E’ Saracin pochi restati sono , 

Benché Rinaldo e Turpin gli persegua: 

Ah Turpin vecchio, ah Turpin nostro buono, 
Qui non si ragionava or della triegua. 
Bianciardin fuggito era come un tuono, 
Marsilio e Balugante si dilegua, 

E vorrebbon trovar qualche via mozza , 

Che gli guidi in due passi a Siragozza. 

99 Terigi era rimase per un piede 
In terra avviluppato in certa stretta, 

E il suo signore Orlando non lo vede , 

Si che nel sangue si storce c gambetta. 

Che pareva un tocchetto di lamprede; 

Ma la gente pagana maladelta, 

Com’io dissi disopra, è già sparita. 

Si che per questo pur cam|)ò la vita. 

'JOO Orlando per lo affanno ricevuto 
Non pelea sostener più l’elmo in testa. 

Tanto aveva quel giorno combattuto; 

E perchè molto la sete il molesta. 

Si ricordò dov’ egli avea bevuto 
A una fonte , e va cercando questa ; 

E ritrovala appiè della montagna. 

Quivi soletto si riposa e lagna. , 

tOl Vegliantin, come Orlando in terra scese, 
Appiè del suo signor caduto è morto ; 

E inginocchiossi, e licenzia gli chiese. 

Quasi dicessi : Io t’ ho condotto a porlo : 
Orlando presto le braccia distese 
Air acqua, e cerca di dargli conforto ; 

Ma poi che pure il cavai non si sente. 

Si condolea mollo pietosamente. 



31 * 



366 



IL M0RG4NTK MAGGIORE. 



102 0 Vegliantin, (u m'hai servilo ianlo, 

0 Vealiaiilin, dov’è la lua prodezza? 

O Veglianlio, nessun si dia più vanto, 

O Vegliantin, venula è l’ora sozza: 

O Vegliantin, tn m’ bai cresciuto il pianto, 

O Vesiianlin, tu non vuoi piò cavezza ; 

O Vegliavtin, s’io U feci mai torto. 
Perdonami, ti priego,‘cosi morto. 

103 Dice Turpin, chè'ini par maraviglia, , 

Che, come Orlando — perdonami disse. 

Quel cavai parve ch’aprisse le ciglia, 

E col capo e co’ gesti acconsentisse ; 

Tanto che Orlando riprese la briglia, 

Forse pensando che si risentisse: a 

Dunque Pirramo e Tisbe al gelso fonte 1 / 
A questa volta è Vegliantino e ’l Conte. / \ ^ 

lOt Ma poi che Orlando si vide soletto , 

Si volse, e guarda inverso la pianura , 

C non vede Rinaldo o Ricciardetto, 

Tanto che i morti gli fanno paura. 

Thè jl sangue aveva trovato ricetto, 

E Roncisvalle era una cosa oscura : 

E pensi ognun quanto dolor quel porta. 
Quando e’ vedeva tanta gente morta. 

106 E disse : O lerque o qualerque beali. 

Come disse il Troian famoso ancora; 

E miseri color che son restati , 

Come son io, insino all’ ultim’ ora: 

Chè, benché i corpi sien per terra armali, 

L’ anime son dove Gesù s’ onora : 

O felice Ulivier, voi siete in vita. 

Pregate or lutti per la mia partita. 

106 Or sarà ricordalo Malagigi, 

Or sarà lulia Francia in bruna vesta. 

Or sarà .in pianto e lacrime Parigi, 

Or sarà la mia sposa afDdia e mesta: 

Or sarà quasi incullo San Dionigi, 

Or sarà spenta la cristiana gesta : 

Or sarà Carlo e il suo regno distrutto, 

Or sarà Ganellon contento in lutto. 



hy (winoìp 

: J 



CANTO VENTESIUOSETTIBIO. 



367 



407 Inlanto vede Terigi apparito, 

('.he come il lordo pur s’ era spaniate, 

£ tanto il suo signor cercando è ito, 

Che tinalmente l’ avea ritrovato : 

£ domandò quel che fusse seguito, 

E dove sia Rinaldo capitato: 

Disse Terigi : lo non v’ ho posto cura. 

E raccontò poi ben la sua sciagura. 

408 Dice la storia che Orlando percosse 
In su ’n un sasso Durlindana bella 
Più e più volte con tutte sue posse, 

Nè romper nò piegar non potè quella ; 

E ’l sasso apri come una scheggia fosse : 
E tutti i peregrin questa novella 
Riportan di Galizia ancora espresso, 

D’ aver veduto il sasso e ’l corno fesso. 

409 Orlando disse: 0 Durlindana forte, 

Se io t’avessi conosciuta prima, 

Com’ io t’ ho conosciuta ora alla morte. 
Di tutto il mondo facea ()oca stima, 

E non sarei condotto a questa sorte ; 

Io t’ ho più volle, operando ogni scrima. 
Per non saper quanta virtù in le regna, 
Riguardata, o mia spada tanto degna. 

410 Or ritorniamo a Rinaldo, che caccia 
I Saracini, e non truova più intoppo, 

Che si ritorna, Qnita la caccia, 

CoGoe il can richiamato di galoppo, 

Ower seguito indrieto per la traccia. 
Talvolta stanco, faticato e zoppo, 

Per la fatica e pel sudore andando ; 

Tanto che trova a quella fonte Orlando. 

411 Gran festa Orlando al suo cugin facea, 
E domandò come la cosa è ita : 

Rinaldo tutto atTannalo dicea. 

Come la gente pagana è fuggita; * 

E Ricciardetto e Turpin poi giugnea; 

E per far più la nostra storia trita. 

Dice Turpin, che il di di San Michele, 

Di maggio , fu la battaglia crudele. 



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368 



IL BfORGANTE MAGGIOHE. 



•112 L’ anno correva oUocentesmo sesto, 
Dominante il pianeta che vuol guerra, 

E bisognò che sia mezzo bisesto. 

Perchè un di naturai sopra la terra 
Istette il sole ; ond’ io non so, per questo. 

Se forse ancor lo astrologo qui erra. 

Cioè la terra, lo emisperio nostro, 

Ch’ i’ non iscriva anch’ io con bianco inchiostro. 

■113 Non so chi leggerà, come consente 
Che tanta gente però morta sia ; 

Ma perch’ io ho quella parola a mente , 

E Micael vi farà compagnia. 

Io non credo che Orlando veramente 
Avessi simulata la bugia. 

Ma eh’ e’ vi fusse il campion benedetto : 

E poi eh’ e’ fu di maggio sia ridetto. 

114 Sai che e’ si dice : noi non siam di maggio; 

E non si fa cosi degli altri mesi, < 

Perch’ e’ canta ogni uccel nel suo linguaggio, 

E r asin, fa que’ suoi ragli distesi ; 

SI che la cosa ridire è vantaggio: 

Ma non son tutti i proverbj compresi : 

Come a dir, che alla mensa non s’ invecchia. 
Che poco vive chi molto sparecchia. 

115 E per tornare alla materia mia, 

O vero, o no, con pace si comporti: 

Se Micael venne, il ben venuto sia; 

Se non vi venne, e’ basta che son morti: 

Colui che scrive istoria, o commedia, 

Convien che alla scritturasi rapporti, 

O grido, 0 fama, e quel che trova dica, 

In ogni cosa moderna o antica. 

■116 ' Or qui comincian le pietose note : 

Orlando essendo in terra ginocchione, 

Bagnate tutte di pianto le gole, 

Domandava a Turpin remissione ; 

£ cominciò con parole devote 
A dirgli in atto di confessione 
Tutte sue colpe, e chieder penitenzia, 

Chè facea di tre cose conscienzia. 



'■'■a 

^ V 



CANTO VBNTESIMOSETTIMO. 



369 



417 Disse Turpin: Qual è la prima còsa? 

Rispose Orlando : Majeslalis Icesce , 

Idesl in Carlo verta injuriosa ; 

E r altra è la sorella del Marchese 
Menata non aver come mia sposa ; 

Queste son verso Iddio le prime offese : 

L’altra un peccato che mi. costa amaro, 

Come ognun sa, eh’ io uccisi Donchiaro. 

418 Disse Turpino : E’ ti fu comandato; 

E piace tanto a Dio l’ obbedienzia. 

Che ti fla facilmente perdonato : 

Di Carlo o della poca reverenzia. 

Io so che lui se 1’ ha sempre cercalo : 

D’Alda la bella, se in tua coscienzia 
Sono stale tue opre e pensier casti, 

Credo che questo appresso a Dio ti basti. ^ 

419 Ha’mi tu altro a dir che ti ricordi ? / i.. 

Rispose Orlando: Noi siam tutti umani, 

Superbi, invidiosi, irosi, ingordi. 

Accidiosi, golosi, e in pensier vani. 

Al peccar pronti, al ben far ciechi e sordi: 

E cosi ho de’ peccati mondani. 

Non aver per pigrizia o mia secordia 
i L’ opere usate di misericordia. 



4!?o Altro non so, che sien peccali gravi. 
Disse Turpino: E’ basta un paternostro, 

E dir sol miserere, o vuoi, peccavi; 

Ed io l’ assolvo per l’ officio nostro 

Del gran Cefas, che apparecchia le chiavi. 

Per collocarti nello eterno chiostro. 

E poi gli dette la benedizione : 

Allora Orlando fe’ questa orazione. 

421 0 Redentor de’ fnìseri mortali , 

Il qual tanto per noi t’ umiliasti. 

Che, non guardando a tanti nostri mali. 

In quella unica Vergine incarnasti. 

Quel di che Gabriele aperse l’ali, 

E la umana natura rilevasti ; 

Dimetti il servo tuo, come a te piace. 
Lasciami a te. Signor, venire in pace. 




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370 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



iì2 Io dico pace, dopo lunga guerra, 

Ch’ io son per gli anni pur defesso e stanco; 
Rendi il misero corpo a questa (erra, 

Il qual tu vedi già canuto e bianco; 

Mentre che la ragion meco non erra, 

La carne è inferma, e l'animo ancor franco: 
Sì che al tempo accettabil tu m'accetti, 

Cbè molli suo chiamati, e |>ocbi etetti. 

'123 Io ho |)er la tua fede combattuto. 

Come tu sai. Signor, sanza ch’io il dica. 
Mentre ch’ai mondo son quaugiu vissuto: 
fo non posso oramai questa fatica; 

Però r arme ti rendo , eh’ è dovuto, 

E tu perdona a questa chioma antica ; 

Ch’ a contem|>lare ornai suo ufficio parmi 
La gloria tua, e porre in posa l’armi. 

124 Porgi, Signore, al tuo servo la mano, 
Tra’mi di questo laberinto fori, 

Perchè tu se’ quel nostro pellicano, 

Che pregasti pe’ tuoi crocifissori : 

Perch’io conosco il nostro viver vano, 
Fantlor vanilalum, pien d’errori; 

Che quanto io ho nel mondo adoperalo , 

Non ne ri|K>rlo al fin se non peccato: 

126 Salvo se mai fu nella tua concordia 
Di dover col tuo segno militare: 

Per questo io spero i>ur misericordia ; 
Bench’io non possi Doncbiaro scusare. 

Che forse or prega per la mia discordia : 

Ma perché tu sol mi puoi perdonare, 

\ t/ Benché a Turpino il dissi genuflesso, 

/ Di nuovo a te, Signor, mi riconfesso. 

' ' '' 

126 Quando tu ci creasti. Signor, prima. 
Perchè tu se’ magnalmo e molto pio, 

Credo che tu facesti questa stima. 

Che noi fussim figliuul tutti di Dio ; 

Se quel serpente con sua sorda lima 
Adam tentò, tu hai pagato il 6o, 

Come magno Signor, non obbligato. 

Poi che pur era di tua man plasmalo. 



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CANTO VENTESIMOSETTIUO. 



37» 



427 E perdonasti a tutta la natura , 

Quando lu perdonasti al |)rimo padre, 

E poi degnasti farti sua fattura, 

Quando tu assumesti in terra madre; 

Non so s’ io entro in valle troppo oscura; 
Dunque proprio i Cristian son le tue squadre : 
Io ho sempre difese quelle al mondo, 

Aiuta or me tu, mio Signor giocondo. 

428 Le legge, che in sul monte Sinai , 

Tu desti anticamente a Moisé, ’ 

Io r ho tutte obbedite insino a qui, 

Ed osservata la tua vera fé ; 

Però, giusto Signor, s' egli è cosi. 

Giustizia fa pur colla tua merzé. 

Perché a giusto Signor cosi conviensi, 

Che le sue petizion giuste ognun pensi. 

429 Non entrare in judicio. Signor, meco, 

Chè nel cospetto tuo giustificato 

Non sarà alcun, se tu non vuoi già teco, 
Perchè tutti nascerne con peccato; 

K ciò che nasce al mondo, na.sce cieco. 

Se non sol tu nascesti alluminato : 

Abbi pietà della mia senettule, < 

Non mi negare il porto di salute. 

450 Alda la bella mia ti raccomando. 

La qual presto per me fia in veste bruna. 

Che s’ altro sposo mai torrà che Orlando, 

Fia maritata con miglior fortuna : 

E poi che molle cose ti domando, 

Signor , se vuoi ch’i’ne chieggo ancor una, 
Ricordati del tuo buon Carlo vecchio, 

E di questi tuoi servi in eh’ io mi specchio. 

451 Poi che Orlando ebbe dette le parole. 

Con molle amare lacrime e sospiri. 

Parve tre corde o tre linee dal Sole 

- Venissin già come mosse da Iri. 

Rinaldo e gli altri stavan come suole 
Chi padre o madre ragguarda che spiri, 

E ognun tanta contrizione avea, 

Che Francesco alle slimite parca. 



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372 



IL MOBGANTE MAGGIORE. 



132 Intanto giù |)er quel lampo apparito 
Un certo dolce mormorio soave, 

Come vento talvolta , fu sentito 
Venire in giù, non qual materia grave : 
Orlando slava attonito e contrito: 

Ecco queir Angel che a Maria disse Ave, 

Che vien per grazia de’ superni Iddei, 

E disse un tratto : Fin galilei. 

133 Poi prese umana forma, e in aria stette, 

E innanzi al conte Orlando inginocchiato, 
Disse queste parole benedette : 

Messagsio sono a te da Dio mandato, 

E son colui che venni in Nazzarette, 

Quando il vostro Gesù fu incarnato 
Nella Vergine santa, che dimostra 

Quant’ eir è in ciel sempre avvocata vostra. 

$ 

134 E perch’ io amo assai l’ umana prole, 

Come piace a chi fece quel pianeta. 

Ti porterò lassù sopra quel sole, 

Dove l’anima tua Ga sempre lieta : 

E sentirai cantar nostre carole. 

Perchè tu se’ di Dio nei mondo atleta. 

Vero campion, perfetto archimandrita 
Della sua gregge sanza le smarrita. 

136 Sappi che in ciel fu bene esaminala 
La tua giusta devota orazion latria, 

Ch’ a tutti i santi e gli angeli fu grata, 

Sendo tu cittadin di quella patria ; 

E perchè la sua insegna hai onorata, 

E spento quasi in terra ogni idolatria , 

Dio t’ esaudirà pe’ tuo’ gran meriti ; 

Chè scritti son tutti i tempi preteriti. 

136 Però che t’ ha veduto giovinetto 
A Sutri, ove più volte perturbasti 
La corte del tuo Carlo a tuo diletto, 

E ciò che in Aspramente adoperasti , 

E in Francia, e poi in Ispagna; e Sansonetto 
E tanti nella Mecche battezzasti ; 

E riducesti al Ggliuol di Maria 
Gerusalemme, e Persia, e la Soria. 



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1 



CANTO VENTESIHOSETTIMO. 



137 E poi che Carlo intorno a Painpalona 
Più tempo s’era indarno atTaticato, 
V'enisii, e bisognò la tua persona, 

Chè cosi era già pronosticato, 
t'ome a Tròia d’ Achille si ragiona ; 

. £ poi che fu da Macario ingannato. 

In Francia andò; come fu tuo disegno, 

E racquistò la sposa insieme e ’l regno. 

138 £ Pantalisse il superbo Troiano, 

£ ciò che tu facesti per antico, 

Ferraù Serpentin ; di mano in mano, 
Notato è tutto, Adrasto il gran nimico; 

£ ciò che già nel corno egiziano 
Facesti, come a Dio perfetto amico, 
Mentre eh’ egli era il tuo Morgante teco, 
Forse lo spirto del quale è qui meco. 

139 II qual nel ciel li farà compagnia. 
Come soleva un tempo fare al mondo. 
Perchè tu il dirizzasti per la via 

Che lo condusse al suo stato giocondo; 

£ perch’ io intendo la tua fantasia. 

Poi ch’io dissi Morgante, io ti rispondo: 
Tu vuoi saper di Margotte il ribaldo; 
Sappi eh’ egli é di Belzebù giù araldo. 



140 £ ride ancora, e riderà in eterno 
Come solea, ma tu noi conoscesti, 

* Ed è quanto sollazzo è nello Inferno : 

Or perchè a Dio la morte tu chiedesti , 
Come que’ santi martiri già ferno, 

Non so se onestamente li dolesti ; 

Chè per provarti nella pazienzia 
Ha di te fatta ultima esperienzia. 

141 Vuoisi a Dio inclinar le spalle gobbe, 
E dir: Signor, fammi costante e forte 

, v , A patire ogni pena come Jobbe, 

/i'" SI eh’ io sia obbediente insino a morte; 

./e 11 qual, poi che’l voler di Dio conobbe, 

Contento fu d’ ogni sua atllitia sorte, 

Nè cosa alcuna più gli era rimasa. 
Quando e’ gli fece rovinar la casa. 



373 






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374 IL MORGANTB MAGGIORE. 

i 

142 £ perchè pur la moglie si dolea^, 

£’ disse : Donna mia, ora m’ ascolta : 
Dominui dedit, lui data l’ àvea, 

> Dominus ab$luUl, lui I’ ha ritolta, 

Sicul Domino placuil, tn ea 
Faclum est , cosi fatto è questa volta ; 

E poi, til nomen Domini, ebbe detto, 

Il nome del Signor sia benedetto. 

443 Ma se tu vani ancor nel' mondo stare, 
Iddio ti darà ben di nuovo gente, 

E tremerà di te la terra e ’l mare ; 

Ma perchè il nostro Signor non si pente , 
Que’ che son morti non posson tornare, 

" Thè tutti son mescolati al presente 

Tra gli angeli e tra’ santi benedetti, 

E nel numero assunti degli eletti. 

444 Non creder che color che son nel Cielo 
Yoiessin ritornar più quaggiù in terra, 

E ripor le lor membra al caldo e ’l gieio ; 
Però che quivi è pace ^nza guerra, 

£ non si muta più cogli anni il pelo: 

Ma quei Signor, che ’l suo voler non erra. 
Ti manderà, poi che tu vuoi, la morte, 
Com’ io su torno, nella eccelsa corte. 

446 Alda la bella, che hai raccomandala. 

Tu la vedrai nel Gel felice ancora, 
Appresso a quella sponsa collocata , 

Che il monte santo Sinai onora, 

E di gigli e di rose coronala. 

Che non creò vostro Ariete o Flora ; 

E serverà la veste oscura e ’l velo, 

InBn che a te si rimariti in Cielo. 

446 Carlo pe’ meKi suoi devoti e giusti 
' Conhrmato è nel corno della Croce, 

Con Josuè, con tutti i suoi robusti, 

D’ accordo tutti in Cielo a una voce ; 

E tu sarai con lui qual sempre fusti : 

Vedi quel Sol, che parca s\ veloce. 

Che non si cala all’Ocean giù in fretta, 

E già venti ore il tuo Signore aspetta. 



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CANTO VEME8IMOSETTIMO. 



375 



H7 E perché Carlo sarà qui di corto, 

II popol tuo fìa tutto seppellito, 

Chè si parti da San Gianni di Porto, 

Come il suon tanto rubesto ha sentito : 

Al traditor, che la tua gente ha morto. 

Perdona pur^ chè sarà'ben punito: 

E perché Iddio nel Ciel ti benedica. 

Piglia la terra, la tua madre antica. 

14 S Però che Iddio Adam plasmoe di questa. 

Sì eh’ e’ ti basta per comunione ; 

Rinaldo dopo te nel, mondo resta , 

Per difender di Cristo il gonfalone: 

E tosto faran su^gli angeli festa 
Di Turpin vostro pien d’ affezióne, 

E Ricciardetto anche al Signor mio piace: 
Rimanetevi, o servi di Dio, in pace. 

149 Cosi posto in silenzio lo parole, 

Si diparti questo messaggio santo: 

Oghun piangeva, e d’ Orlando gli duole. 

Orlando si levò su con gran pianto. 

Ed abbracciò Rinaldo quanto e’ vuole, 

Turpino, e gli altri; e adorato alquanto, 

Parea proprio Geronimo quel fosse. 

Tante volle nel petto si percosse. 

160 Era a vedere una venerazione, 

Nunc dimiuis mormorando seco. 

Come disse nel tempio il buon vecchione: 

O Signor mio, quando sarò io leco ? 

L’anima è in career di confusione: 

Libera me da questo mondo cieco , 

Non per merito già, per grazia intendo; . 

Nelle tue man lo spirto mio commendo. 

151 Rinaldo I’ avea molto combattuto ; 

E Turpino, e Terigi, e Ricciardetto, 

Dicendo : Io son dello Egitto venuto. 

Dove mi lasci, o cugin mio, soletto? 

Ma poi che tempo era tutto perduto. 

Inteso quel che Gabriello ha detto, 

• Per reverenzia alla fine ognun tacque ; 

Chè quel che piace a Dio sempre a’ buon piacque. 



‘ -J; 



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376 



II. MOKGANTE MAGGIORÈ. 



-152 Orlando ficcò in terra Oarlindana, > 

Poi r abbracciò, e dicea : Fammi degno. 
Signor, ch’io riconósca la via piana ; 

Questo sia in luogo di quel santo legno 
Dove pati la giusta carne umana. 

Si che il cielo e la terra ne fe’ segno ; 

£ non sanza allo mislerio gridasti : 

Eli, Eli; tanto martir portasti. 

163 Cosi tutto serafico al ciel fisso , 

Una cosa parea trasfigurata, 

E che parlassi col suo Crocifisso : 

O dolce fine, o anima ben nata , 

O santo vecchio, o ben nel mondo visso. 

E finalmente la lesta inclinata. 

Prese la terra, come gli fu detto, 

E l’anima spirò del casto petto. 

164 Ma prima il corpo compose alla spada, 

Le braccia in croce, e ’l petto al pome fìtto; 
Ma poi si senti un tuon, che par che cada 
Il ciel, che certo allor s’aperse al gitto; 

£ come nuvoletta che in su vada. 

In Exilu I$rael, cantar, de Egitto, 

Sentilo fu dagli angeli solenne; 

Chè si conobbe al tremolar le penne. 

166 Poi appari molle altre cose belle , 

Perchè quel santo nimbo a poco a poco 
Tanti lumi scòpri, tante fiammelle, 

Uhe lutto l’aer pareva di foco, 

E sempre raggi cadeau dalle stelle : 

Poi si senti con un suon dolce e roco 
Certa armonia con si soavi accenti. 

Che ben parea d’ angelici istrumenti. 

166 Turpino e gli altri accesi d’ un fervore 
Eran, che ignun già non parea più desso; 
Perché quel foco dello eterno amore. 
Quando per grazia ci si fa si presso. 
Conforta e scalda si l’anima e ’l core. 

Che ci dà forza d’ obbliar sè stesso : 

E pensi ognun quanto fussi il lor zelo. 
Veder portarne quell’ anima in cielo. 



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À 



CANTO VENTESIMOSETTIMO. 377 

'167 E dopo lunga e dolce salmodia, 

Ad alta voce udir cantar Tedeo, 

Salve Regina, Virgo alma Maria; 

£ guardavano in su come Eliseo, 

Quando il carro innalzar vide di Elia ; 

0 come tutto stupido si feo 
' Moisè, quando il gran rubo gli apparse: 

Insin che al Gne ogni cosa dispàrse. 

158 Sì che di nuovo un altro tuon rimbomba, 

Che fu proprio la porla in sul serralla ; 

Poi si senti come un rombar di Tromba, 

£ pareva di lungi una farfalla : 

Ecco apparire una bianca colomba, 

E posossi a Turpino in sulla spalla, 

A Rinaldo, a Terigi, a Ricciardetto; 

Or qui di gaudio ben traboccò il petto. 

169 Donde Turpino opinion qui tenne , 

Che questa fussi l’anima d’ Orlando; 

E che la vide con tutte le penne 
In bocca entrargli veramente, quando 
Carlo quel di poi in Roncis valle venne, 

£ eh’ e’ richiese l’ onoralo brando ; 

E bisognò che Orlando vivo fossi. 

Che innanzi a lui ridendo inginocchiossi. 

160 £ poi che son cosi soli rimasi, 

Rinaldo e gli altri, dopo lungo pianto, 

E’ s’ accordorno i dolorosi casi 

Carlo sentissi ben eh’ e’ venga intanto : 

Ma Terigi era come morto quasi 
Per gran dolor; pur riposato alquanto, 

A tutti parve, che montassi in sella, 

E che portassi la trista novella. 

161 Dunque Terigi da lor s’è partito, 

E lascia il suo signore Orlando morto. 

Or ritorniam , eh’ io non paia smarrito , 

A Carlo e la sua gente a. Piè di Porto ; 

Che, come il corno sonare ha sentito, 

Subito parve del suo danno accorto, 

£ disse a Namo ed agli altri d’intorno: 

Udite voi , com’ io, sonare il corno? 

32 * 



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378 



IL MOUGANTE HAGGiOBE. 



162 Quesla parola fa cb’ognuno ascolta ; 

Gan si turbò, che gli parve sentire: 

Orlando suona la seconda volta. 

Carlo dicea: Pur questo che vuol dire? 
Rispose Gan: Suona forse a raccolta, 

Perchè la caccia sarà in sui finire: 

Da poi che ognun qui tace, io li rispondo ; 
Che pensi tu, che rovini là il mondo? 

163 E’ par che ancor tu non conosca Orlando, 
Tanto che quasi ci hai messo sospetto ; 

Ch’ ogni di debbo per boschi ir cacciando 
Con Ulivieri e col suo Sansonelto; 

Non ti ricorda un’ altra volta , quando 
In Agrismonte, sendo giovinetto. 

Ognidì era o con orsi alle mani , 

O porci, 0 cervi, o cavriuoli, o dani? 

164 Ma poi che Orlando alla terza risuona, 
Perch’ e’ sonò tanto terribilulente , 

Che fe’ maravigliare ogni persona; 

Carlo, il qual era a sua posta prudente: 
Quel corno, disse, alla fine m’intrnona 
L’anima e ’l cuore, e fa tremar la mente. 
Ed altra caccia mi par che di bosco: 

Duoimi che tardi i miei danni conosco. 

166 Io mi son risvegliato d’un gran sogno, 

O Gano, o Gano, o Gan: tre volte disse; 

Di me stesso e non d’altri mi vergogno, 

A non creder che questo m’awenisse ; 

D’ aiuto e di consiglio è qui bisogno, 

Chè s’apparecchian dolorose risse: 

Voi siete, dico, mondi, ma non tutti, 

E parmi or tempo a giudicare a’ frutti. 

166 Pigliate adunque questo traditore: 

Meglio era al mondo e’ non fussi mai salo; 

O scellerato, o crudel peccatore! 

Misero a me, che son tanto vivutol 
Oh quanto ha forza un ostinato errore ! 

0 Malagigi, or t’avessi io creduto! 

Omè , tu eri pur del ver pronostico; 

Ed è ragion se il duol mi par più ostico. 



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CANTO VENTESIBfOSRTTIMO. 



379 



i67 Disse il Danese: Oh quante volte, Carlo, 
Tel dissi pure, e Salamene, e Namo, 

Ch’a Sira^oz/.a non dovei mandarlo, 

Che si vedea quasi scoperto l’amo; 

E Ulivier quando io vidi baciarlo, 
lo dissi: 0 Giuda, noi (i conosciamo: 

0 infamia del mondo e di natura. 

Tu sarai in fin la nostra sepoltura. 

-168 Ma tu non fusti da noi consigliato , 

Come si conveniva in questo caso. 

Perché tu eri in quel tempo ostinato. 
Intanto Gan si Iniova sanza naso , 

E come volpe da’cani è strazialo, 

E ’l capo e ’l ciglio pareva già raso ; 

E chi gli pela la barba a furore, 

Crucitìggi , gridando , il traditore. 

169 Ma finalmente consiglialo fu, 

Che incarcerato in una torre sia, , 

Dove si va per molti errori in giù , 

E come un laberìnlo parche stia; > 

E perchè tempo non è da star più, 

Carlo parti con la sua baronia, 

E serra l’uscio, ricevuto il danno: 

E cosi inverso Roncisvalle vanno. 

170 E ben conobbe che Marsilione .i • 

Era venuto colle squadre armate , 

Come aveva ordinalo Ganellone, 

E la sua gente è in gran calamitale; 

Che Orlando non sonò sanza cagione; 

Però che in caso di necessitale , ' 

Quando il suon troppo non fussi discosto, 
Avea con Carlo quel segno composto. 

171 Avea già il Sol mezzo passato il giorno, 
E cominciava a calare al Murrocco, 
Quando Carlo senti sonare il corno , 

E dipartissi dopo al terzo tocco; 

Chè cosi Namo e gli altri consigliomo, 

E lutti i lor pensier fumo a un brocco: ' 

E perché il tempo parea scarso forse, 

Carlo al suo Cristo all’ osato ricorse. 



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380 



II. MORGANTE MAGGIORE. 



173 O Crocifìsso, il qoal, già sendo in croce, 
Oscurasti quel Sol contea natura; 

lo ti priego, Signor, con umil voce, , 

Infìn ch’io giunga in quella valle oscura. 

Che tu raffreni il suo corso veloce, 

Acciò che al popol tuo dia sepoltura, 

E che non vadi si tosto all’occaso: 

Non mi lasciare in cosi estremo caso. 

175 Non pe’ meriti miei, che non son tali. 

Che come Josuè meriti questo; 

Ma perchè al volo mio son corte l’ ali , 

Acciò che in Roncisvalle io vadi presto: 
Vinchino i prieghi giusti de’mortali , 

Sì che più il tuo poter sia manifesto, 

L’ ordine dato dell’ eterne rote. 

Tanto ch’io truovi il mio caro nipote. 

174 Fermossi il Sol, ch’era turbato prima 
Per la pietà del suo popol cristiano. 

Per tutto l’universo in ogni clima: 

E dice alcun, ma par supervacàno , 

Benché e’ sia autor da farne stima, 

Che le montagne diventorno piano; 

Che Carlo aggiunse al suo prego ancor questo: 
Ma io qui danno l’autore e ’l testo. 

175 • Io me n’andrò con un mio carro a vela, 

E giugnerò le lepre e’ leopardi , 

Chè in piccini tempo la fama si cela 
Degli scrittor, quando e’ son por bugiardi; 

E rimangonsi al lume di candela 
La sera al fuoco annighi Itosi e tardi, 

E gente son presuntuose quelle , 

Tanto che Marsia ne perdè la pelle. 

176 Basta che Carlo dette le parole. 

Subito il priego suo fu esaudito , 

Sanza servar più l’ordine che suole 
Quel bel pianeta eterno stabilito: 

O clemenzia del Ciel, tu fermi il Sole 
A Carlo tuoi o amore infìnito! 

O chiaro esempio, che quel di ci mostra 
Quanto Dio ama l’umanità nostra! 



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CANTO VENTESIMOSETTIHO. 



381 



177 E cavalcando d’ ano in altro monte, 

Ecco Terigi doloroso e mesto, > 

Che ne venia diguazzando la fronte ; 

Ma come Carlo ha conosciuto questo. 

Subito disse: O mio famoso Conte, 

/ La sua loquela mi fa manifesto, Th' _ 

' Ch’annum;iar quel vien trista novella; 

Pcrch’ e’ pareva un uom di carta in sella. 

178 Giunto Terigi, a Carlo inginocchiossi , 

£ disse: 0 signor mio, tardi venisti; 

Sappi Ch’Orlando è morto, e più non puossi, 
E tutti i tuoi baron miseri e tristi. 

Carlo senteudoi, colle -man grafllossi. 

Disse Terigi : Se tu avessi visti 

Gli angeli, i quali il porlorno su in cielo. 

Non che gratDar, non torceresti un pelo. 

179 Sappi eh’ e’ chiese la morte lui stesso, 

E nel morir tanta contrizione. 

Che dal ciel Gabriel, quel santo'messo. 
Venne, e rispose alla sua orazione ; 

£ ogni cosa sentivam dappresso, 

Chè tutti stavam quivi ginocchione: 

Pensi ciascun quanto parea soave 
Veder quell’ angel che per noi disse Ave. 

ISO Rinaldo era venuto intln d’ Egitto, 

E Ricciardetto, e fatto 'hanno oggi cose. 

Che il re Marsilio si fuggi sconfitto : 

Tu vedrai le lue gente dolorose, ^ ' 

Per Roncisvalle, ognun nel sangue Otto, 

Chè son tutte le rive sanguinose : 

Non è niun eh’ a veder non lacrimassi; 

£ piàngon l’erbe ancor, le piante, e’ sassi. 

181 Io vidi Astolfo morto e Sansonetto, 

Che ti sare’ parato oggi gagliardo,^ 

Tanto che Orlando per questo dispetto 
(.acciò per terra a furia ogni stèndardo; 

£ Berlinghier fu morto il poveretto, 
Anselmo tuo e ’l valente Egibardo, 

Gualtier d’Amulione, Avolio, Avino; 

Non v’è, di tre, campalo un Angiolino. 



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3S2 



IL MOBGANTB MAGGIORE. 



182 L’ ArcalifTa ribaldo di fialdacco 
Uccise Ulivier nostro a tradiménto, 

E prima fe’ della tua gente .'un macco,. 

Tanto che molto ci dette spavento ; 

Riccardo cadde morto per islracco , 

Ottone e GuottibuoSI ognuno è spento, 

Marco e Matteo del Monte a San Michele 
Non fu battaglia mai tanto crudele. 

483 E Baldovin con certa sopravveste 
Oggi pel campo combatteva forte, 

£ come e’ si cavò di dosso questa, 

Da un Pagan gli, fu dato la morte ; 

Ch’ Orlando trasse l’ elmetto di testa 
A quel figliuol del Veglio, fiuiaforte, 

£ intese appunto come il fatto era ito, 

E come Gan fu quel eh’ avea tradito. 

t84 Turpin, Rinaldo, e Ricciardetto solo 
Campati son di tutta la tua. gente; 

Il resto è tatto morto dello stuolo, 

E in Roncisvalle gli lasciai al presente ; 

Però ch’io son venato quasi a volo, 

Per recarti novella si dolente : 

Poi che stato non v’è per mio dolore 
Oggi una lancia che mi passi il core ; 

-1S5 Da poi eh’ io ho perduto il signor mio : 

Tanto è, che più il tuo Gan non puoi scusarlo; 
£ commettesti un gran peccato e rio, 

Quando a Marsilio Io mandasti, Carlo: 

E se tu vuoi placar nel cielo Iddio, 

Pàlio squartar; ma mentre ch’io ti parlo. 
Sappi eh’ io sento della morte il gielo. 

Disse Terigi, e poi se n’ andò in cielo. 

186 Carlo ascoltava la trista novella , 

E Terigi veggendo a suo’ piè morto. 

Per gran dolor fu per cader di sella ; 

E disse : Ignun non mi dia più conforto. 

O battaglia per me crudele e fella ! 

O re Marsilio, tu m’hai fatto torto, 

Ch’ io avea fatto, come imperatore. 

La pace teco con sincero core. 



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CANTO VENTESIMOSETTIMO. 

187 Ma non credetti nn re di tanta fama, 

Di tanto scettro, e monarchia, e reuno, 
Sendo antico. proverbio, amar chi ama , 
Oscurassi cosi la gloria e ’l segno: 

O Ganellon, eh’ ordinasti la trama, 

E conducesti il mio'nipote degno * 

, In Roncisvallè a aspettar la sua morte. 
Maledetto sia il di ch’io t’ebbi in corte. 

188 Che féireiD noi, o Salamene, o Namo? 

O mia fortuna, ove mi suidi, b meni? 

In Roncisvallè, ove meschini andiamo 
Come ciechi smarriti sanzà freni. 

0 morte vieni a me, vien ch’i’ ti chiaiiio, 
Chè tu se’ più cnidel , se tu non vieni ; 

Ma se tu vieni a mia vita dogliosa, 

Tu sarai delta ancor per me pietosa. 

189 Namo diceva, e Salamene ancora : 
.Maraviglia non it se Orlando è morto ; 

Con questi patti della terra fora 

Trasse Dio. Adamo, e non gli è fatto torto : 
Tanto un légno il gran mar solca per prora, 
Ch’ a qualche scoglio si conduce o porto : 
Questa sentenzia è data pria che in fasce. 
Che morte è il fin d’ ogni cosa che nasce. 

190 Veggiam se in questo tempo, che ci resta 
Qualche cosa ancor far siamo obbligati. 

La qual sia proprio all’ uom da Dio richiesta 
Chè per bene operar tatti siam nati, 

E d’ogni savio la sentenzia è questa: 

Tu sai eh’ io ci ho quattro figliuol lasciati, 
Facciam eh’ e’ morti non restino al vento, 
Però che .’l elei non ne sare’ contento. 

191 Disse il Danese: In. Roncisvallè andremo, 
La prima cosa a ritrovare Orlando, ^ 

E tolti i morti poi seppelliremo, 

Sicché alle Sere non resliho in bando, 

Poi con Rinaldo- ci eonsiglieremo. 

E cosi Carlo venien consolando, 

E cavalcavan via d’ un buon galoppo, 
Quando e’ trovorno altro cattivo intoppo. 




IL HOnGA>TE MAGGIORE. 

192 Aveva Orlando pel tempo passalo, 

Com’ altra volta in molte istorie è dello, 
11 sepolcro di Cristo racquistato, ' 

E Ansuigi nobil giovinetto 

Con molla gente a guardia fu lascialo; 

• Si che dieci anni lo tenne in efletlo, 

Poi gli fa tolto per forza di lancia, 

E al presente si tornava in Francia. 

-195 E risconlrossi nello iraperadore : 

Carlo veggendo la gente venire, 

Dubitò di Marsilio nel suo core, 

Che noi venissi di nuovo assalire ; 

Ma non istetle molto in questo errore. 
Che la bandiera si vide scoprire 
Del campo bianco colla croce negra, 

Per dimostrar vittoria poco allegra. 

194 Giunto Ansuigi, per abbreviare, 

Gli disse come i Mori della Mecche 
Gerusalemme vennono a scalare 
Di notte, sanza dir salamalecche ; 

0 " Si che il sepolcro bisognò lasciare 
A guardia d’altri che Melchisedecche: 

E eh’ ayea ferma opinion, che Gano 
A questo fatto tenessi la mano. 

195 Disse Carlo: Tu, Iddio, fa la vendetta. 
Poi che il sepolcro in tal modo si ruba ; 
Sarebbe mai quel di che '1 mondo aspetta 
Quando e’ verrà quella terribii tuba ? 

E ricordossi della poveretta 
Afflitta vecchia e sventurata Eccuba, 

Che, dopo al pianto d’ ogni suo martoro. 
Ultimamente pianse Polidoro. 

196 E disse: Pazienzia, come Giobbe: 

Or oltre in lloncisvalle andar si vuole. 
Chè come savio il partito conobbe. 

Per non tenere in disagio più il Sole, 

Il qual non va per Forbite sue gobbe ' 
Per lo eccentrico il di, come far suoie; , 
Per obbedire il suo Signore e Carlo, 
Perchè chi il fece anche poleà disfarlo. 




CANTO VENTESIMOSETTIHO. 



385 



197 E poi che in Roncisvalle andar vogliamo, 

E perchè il Sole aspetta, come è detto. 

Dove era Orlando alla fonte arriviamo, 

E Turpino, e Rinaldo, e Ricciardetto, 

Ch’ ognun piangeva doloroso e gramo, 

E guardavan quel corpo benedetto : 

E come Carlo in Roncisvalle è giunto, 

Parve che ’l cor si schiantassi in un punto. 

198 E riguardava i cavalieri armati 

L’ un sopra 1’ altro in sulla terra rossa , 

Gli uomini co’ cavalli attraversati; 

E molti son caduti in qualche fossa. 

Nel fango in terra Ulti arrovesciati ; 

Chi mostra sanguinosa la percossa , / 

Chi il capo avea quattro braccia discosto, /> , , !-J- 
Da non trovarli in GiusafTà si tosto. 

199 Tanti squarciati, smozzicati e monchi. 

Tante intestine fuor, tante cervella, 

Parean ali uomini fatti schegge e bronchi. 

Rimasi in istran modo in sulla sella. 

Tanti scudi per terra, e lance in tronchi : 

O quanta gente parea meschinella ! 

O quanto fìa scontento piè d’ un padre, 

E misera colei che sarà madre ! 

200 Carlo piangeva, e per la maraviglia 

' Gli triema il core, e ’l capo se gli arriccia, 

E Salamene strabuzza le ciglia, 

Uggieri e Namo ognun si raccapriccia; 

Perché la terra si vede vermiglia, 

E tutta l’erba sanguinosa e arsiccia. 

Gli arbori e’ sassi gocciolavan sangue. 

Sicché ogni cosa si potea dir langue. 

201 Ma poi che Carlo ebbe guardato tutto. 

Si volse, e disse inverso Roncisvalle: 

Poi che in te il pregio d’ ogni gloria è strallo, 
Maladetta sia tu, dolente valle: 

Che non ci facci più ignun seme frutto. 

Co’ monti intorno, e le superbe spalle ; 

Venga l’ ira del cielo in sempiterno 
Sopra te, bolgia, o caina d’inferno. 

11. 33 



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386 



IL MORGA^TE BIAGGIORB. 



S 02 Ma poi eh’ e’ giunse appiè della monlagna, 
A quella fonte ove Rinaldo aspetta, 

Di più misere lagrime si bagna, 

£ come morto da cavai si getta; 

Abbraccia Orlando, e quanto può si lagna, 

E dice : O alma giusta e beneiìetla. 

Ascolta almen dal ciel quel ch’io ti dico, 
Perchè pur ero il tuo signor antico. 

205 lo benedico il di che tu nascesti. 

Io benedico la tua giovinezza , 
lo benedico i tuoi concetti onesti, 
lo bene<lico la tua gentilezza ; 

Io benedico ciò che mai facesti , 

Io benedico la tua gran prodezza, 
lo benedico l’opre alte e leggiadre. 

Io benedico il seme di tuo padre. 

204 E chieggo a te perdon, se mi bisogna. 
Perchè di Francia tu sai eh’ io ti scrissi, 
Quando tu eri cruccialo in Guascogna, 

Che in Roncisvalle a Marsilio venissi 

Coi conte Anseimo e ’l signor di BfH'gogna ; 
Ma non pensavo, omè, che tu morissi, 
-Quantunque giusto guidardon riporto, 

* Chè tu se’ vivo, e io son più che morto. 

205 Ma dimmi, fìgliuol mio, dov’ è la fede. 

Al tempo lieto già data ed accetta ? 

O se tu hai di me nel ciel merzede, 

Come solevi al mondo, alma diletta. 
Rendimi, se Iddio tanto ti concede. 

Ridendo quella spada benedetta. 

Come tu mi giurasti in Aspramonle, 

Quando ti feci cavaliere e conte. 

206 Come a Dio piacque, intese le parole. 
Orlando sorridendo in piè rizzossi 

Con quella reverenzia che far suole, 

E innanzi al suo signore inginocchiossi ; 

E non ha maraviglia, poi che il Sole 
Oltre al corso del ciel per lui fermossi: 

E poi distese, ridendo, la mana, 

E rendègli la spada Durlindana. 



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CANTO VENTESIMOSC1TIMO. 387 

207 Carlo (remar si senti lutto quanto 
Per maraviglia e per aflezione, 

E a fatica la strinse col guanto : 

Orlando si rimase ginoccbione, 

L’ anima si tornò nel regno santo : 

Carlo cognobbe la' sua salvazione ; 

Cbe se non fussi questo sol conforto, 

Dice Turpin cbe certo e’ sare’ morto. 

20S Quivi era ognuno in terra inginoccbiato, 

E tremava d’orrore e di paura, 

Quando vidono Orlando in piè rizzato. 

Come avvien d’ogni cosa oltre a natura; 

Però cb’ egli era in parte ancor armalo, 

E molto fiero nella guardatura : 

Ma perché poi ridendo inginoccbiossi 
Dinanzi a Carlo, ognun rassicurossi. 

209 Poi abbracciar molto pietosamente 
Carlo e tutti Rinaldo e Ricciardetto, 

E ragionorno pur succintamente 
Della battaglia e d’ ogni loro elTelto ; 

E ordinossi per la morta gente 
Dove fussi il sepolcro e il lor ricetto: 

Ma Carlo un corpo era colmo d' angosce, 

Cbè tanta gente non si riconosce. 

210 E disse: O signor mio, fammi ancor degno. 
Fra tante grazie cbe tu mi concedi, 

Cb’ io riconosca in qualche modo o segno 
La gente mia che quaggiù morta vedi ; 

Ch’io non so dove io sia, nè donde io vegno; 

E, come in GiusatTà, le mani e’ piedi 
E r altre membra insieme accozza, e mostra * 
Per carità qual sia la gente nostra. 

21 1 E poi che furon nella valle entrati , 

Trovoron lutti i Cristian, c’hanno insieme 
I membri appresso, e i volli al ciel levati, 
Perchè questo era d’ Adamo il buon seme. 

O Dio, quanti miracoli hai mostrati. 

Quanto è felice chi in te pon sua speme 1 

E tutti i corpi di que’ Saracini | 

Dispersi son co’ volli a terra chini. 



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388 



IL HORG ANTE MAGGIORE. 



212 Ringraziò Carlo Iddio devotamente, 

Che tante grazie gli avea conceduto ; 

Or qui comincia un mar tanto frangente 
Di pianto e duol, che non sare’ creduto : 

Chi truova il fìgliuol morto, e chi il parente, 
Amico, 0 frate; e quel riconosciuto. 
Abbraccia il corpo, e l’elmo gli dilaccia, 

E mille volte poi lo bacia in faccia. 

213 Carlo si pose per dolor la mano 

Agli occhi , quando Astolfo morto vide ; 

£ se potessi , come il pellicano 
Quando la serpe i suoi nati gli uccide , 

Lo sanerebbe coi suo sangue umano : 

Cosi per tutto quel campo si stride ; 

Rinaldo piange, Ricciardetto plora. 

Pensa se Namo anche piangeva allora. 

214 ) Qui ci bisogna più d’ una carretta, 

E tempo non è più tener quel Sole, 

Che per servire ai suo fattore aspetta : 

O Gdanza gentil, chi Dio ben cole I 

O del nostro Ancisan parola eletta I 
Il Ciel tener con semplici parole; 

O sicari Cristian, gran parte è questa 
Di quella fede che v’ è manifesta. 

215 Credo che quegli antipodi disotto 
Dubitassin fra lor più volte il giorno 
Che non fossi del ciel l’ordine rotto, 

Chè il bel pianeta non facea ritorno ; 

0 che fussi quel di l’ ultimo botto, 

£ ritornassi all’ antico soggiorno 
Prima che fussi il gran caos aperto, 

£ in dubbio stessi lo emisperio incerto. 

2t6 £’ se n’ andò pure all’ altro orizzonte, 

Finito un giorno naturale appunto : 

Forse la terra pensò, che Fetonte 
Avessi il carro novamcnte assunto : 

Carlo si stette con sua gente al monte 
La notte, insin che il mattin poi fu giunto, 
£ ordinò che la gente cristiana 
Portata fossi in parte in Aquisgrana. 



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CANTO VENTESIHOSETTIMO. 



389 



217 E molti corpi fumo irobalsimati, 

Massime tulli que’ de’ paladini, 

E alcuni furno a Parigi mandati, 

E per la Francia e per tutti ì conGni : 

E tanti padri furno sconsolati, 

E tante donne si stracciano i crini, 

E chi la faccia e chi ii petto s’ infranse, 

Ch’ AflTrica tanto o Grecia mai non pianse. 

218 E soprattutto pianse Alda la bella. 
Chiamando sè fra I’ altre dolorosa, 

D’ Ulivieri e d’ Orlando meschinella ; 
Dicendo : Omè, quanto febee sposa 

Del più degn’ uom che mai montassi in sella 
Fu' alcun tempo, or misera angosciosa 
Già non invidio sua felice sorte, 

Ma increscemi di me sino alla morte. 

219 0 dolce sposo mio, signore e padre. 

Or non ti vedrò io più Gero e ardilo, 
Quando tu eri armato fra le squadre : 

Non creder che mai prenda altro marito, 

Ma sopra il corpo e lue membra leggiadre, 
Chè sento in Aquisgean se’ seppellito. 
Giurerà come Dido Alda la bella. 

E cosi fece a luogo e tempo quella. 

220 Carlo fece il sepolcro al suo nipote 
In Aquisgrana, e ’l corpo quivi misse, 

E onorar lo fece quanto e’ puote. 

Prima che inverso Siragozza gisse. 

Dove poi furon le dolente note, 

E nel sepolcro lettere si scrisse, 

E conteneva in latino idioma: 

Un Dio, uno Orlando, e una Roma. 

221 £ tutta Francia pianse il suo campione, 

E spezialmente il popol di Parigi, 

Che non pianse più Roma Scipione; 

E falle furno esequie in San Dionigi, 
Vestile a nero tulle le persone : 

Ch’ usavan prima a’ morti i panni bigi, 
Come Pericle fe’ vestir già Atene, 

E parve annunzio di future pene. 

33 * 



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390 IL MOBGANTE MAGGIOBE. 

222 Astolfo in Inghilterra fu mandalo ; 

E dice alcun che Ottone era già morto; 

E mollo fu nella palria onoralo : 

Nè Sausonello eli fu fallo torlo, 

Anzi un ricco sepolcro ha ordinato 
Carlo a San Gianni, per lui, piè di Porlo : 
E fierlinghieri e gli altri suoi fratelli 
Ebbon tulli sepolcri antichi e belli. 

223 Ulivier fa seppellito in Borgogna, 

E lutto il popol fu di pianger roco ; 

Ma perchè molle cose dir bisogna, 

A Baluganle torneremo un poco. 

Che va cercando trovare altra rogna ; 

Non so se |>o’ il grattar gli |>arrà giuoco : 

E ritrovò la sua gente smarrita, 

Ch’era per boschi e montagne fuggita. 

22-» E terminò tornare in Roncisvalle, 

Chè non sapea se Orlando fussi morto , 

E volea le sue gente sotterrane : 

E come e’ fu su la montagna, scorto 
Che voleva calar giù nella valle , 

Rinaldo, come astuto e mollo accorto, 

A Carlo disse: Baluganle viene, 

10 lo conosco a’ contrassegni bene. 

223 Parali che in punto tua gente si metta , 
Da poi che Dio per grazia ce lo manda, 
Per cominciare a far nostra vendetta. 

11 perchè (.arlo subito comanda, 

Che si dovesse armare ognuno in fretta: 
Era apparita I’ alba a randa a randa , 
Quando la schiera de’ Pagan vien giue , 

Il terzo di che la battaglia fue. 

226 E consigliorno Salamone , e Namo , 

E Ricciardetto, e Turpino, é ’l Danese: 

O Carlo, poi che condotti qui siamo, 

E piacque sempre a Dio le giuste imprese, 
Baluganle e sua gente seguitiamo , 

Tanto che al fine sien le fiamme accese; 

E che si metta a sacco Siragozza, 

E Marsilio s’ impicchi per la strozza. 



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CANTO VENTESIMOSETTIHO. 



391 



227 E come fe’ Vespasiano e Tilo, 

V'^euderem' per ischiavi que’ marrani 
A corsari o pirati in' qualche lilo, 

Perchè son [>eg!<io che porci o che cani. 

E cosi presto* si 'prese partito. , ' 

E com’egli hanno scontrati i Pagani, 

' £’ cominciorno a gridar: Carne, carne, 

E morte , 'e sangue , e ogni strazio farne. 

22 S Rinaldo il primo calò giù la lancia, 

E grida a Balnganle: Ah traditore , 

Già non é spenta la gloria di Francia. 

E morto in terra il metteva a furore , 

Se non che il ferro gli striscia la guancia, 

E trova un altro Pagan peccatore; 

Si che la lancia gli caccia per gli occhi, 

E bisognò che giù morto trabocchi. 

229 Carlo aveva quel giprno Diirlindana; 

E vendicar volea con essa' Orlando, 

I E dice: Ben che la mia forza è vana 
I Rispetto al signor tuo, famoso brando , 

Non perdonare alla gente pagana. 

Con teco insieme lo vo vendicando: 

E poi eh’ e’ t’ ha ridendo a me renduto, 

Non è sanza cagion per certo suto. . 

230 O gloria al secol prisco, o lume, o specchio, 
O difensor della cristiana fede, 

O santo Carlo, o ben vissuto vecchio. 

Dell’alta fama di tua stirpe erede; 

Tu taglieresti a Malco l’altro orecchio: 

Cosi fa chi in Gesù si fida e crede , 

' y 

E bisognava al mondo lo venissi. 

Per cavarci di nuovo degli abissi. 

231 Baluuante trascorse Ira’Crisliani, 

Perché il cavallo a forza lo trasporla: 

Carlo, che il vide, con ambo le mani 
Alzò la spada, e tanto sdegno il [>orla, 

Che disse:' Tu n’andrai fra gli altri cani. I 
Tanto che cadde come cosa morta: 

E come Bnluganle in terra cade. 

Subito addosso gli fur cento spade. 



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392 



IL UOBGANTB MAGGIORE. 



232 E’ non si vide mai più spade a Roma 
Addosso a qualche (oro, quando in caccia 
IscioKo giù dal plaustro quel toma , 

Quando si fa la festa di Teslaccia ; 

Tanto che in fine la barba e la chioma 
Gli pela alcun, che l’elmo gli dilaccia, 

E chi voleva pur cavargli il core , 

Ma non poteva, tanto era il furore. 

233 E come Balugante morto fu , 

I Saracin fuggi von d’ogni banda: 

E s’ io non l’ ho qui ricordato più , 

II valoroso Arnaldo di Bellanda 
Molti Pagani il di in Cafarnaù , 

Anzi piuttosto allo Inferno giù manda : 

E cosi fu questa nuova battaglia 
Ui Balugante un gran fuoco di paglia. 

234 Furon costar presto abbattuti tutti, 

E fuggiron per boschi e per campagne ; 

E Balugante andò cercando frutti. 

Che il punson più che ricci di castagne: 

E poi che Carlo gli vide distrutti , 

Determinò di passar le montagne; 

E inverso Siragozza cavalcorno , 

E in ogni luogo i paesi guastorno. 

236 A fuoco, a sacco, a morte, in preda , in fuga, 
Le donne , i moricini e le fanciulle , 

Sanza trovare ignun dov’ e’ rifuga , 

Ammazzavano insin drento alle culle: 

(.arto dicea, che ogni cosa si struga , 

Pur che Marsilio e 'I suo regno s’ annulle. 

E cosi sempre per tutto il viaggio 
Parean corsari in terra a far carnaggio. 

236 Hai tu veduto innanzi alla tempesta 
Fuggir paslor con le lor pecorelle? 

Cosi fuggien la morte manifesta 
Quelle gente cacciate meschinelle; 

E insino a Siragozza ignun non resta. 

La notte e ’l giorno sempre in sulle selle: 

E passan valle, e piagge, e colli, e monti , 

E in ogni parte fer tagliare i ponti. 



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CANTO VENTESIMOSETTIMO. 



393 



237 Era la Spas;na in parte battezzata; 

£ inteso di Marsilio i tradimenti , 

E cosi tutti i Mori di Granala , 

Molti signor ne fiiron malcontenti , 

E Siragozza è qnasi abbandonata: 

Marsilio v’ avea drento poche genti , 

Che in Koncisvalle rimase eran morte, 

Tanto che Carlo s’accostò alle porle. 

233 Ke Bianciardin , che la novella sente , 

Disse a Marsilio : E’ fia Rinaldo questo. 

Ma non polevon creder per niente 
Che Carlo fussi venuto si presto , 

Ed avessi condotto tanta gente: 

E quel che più diventerà molesto , 

('.he non sapean di Balugante il caso, 

Che pel cammino indrieto era rimaso. 

239 Atteson lutti a rafforzar le mura; 

Rinaldo a una porla appiccò il foco: 

Or questo fece alla terra paura , 

Tanto che drento entrorno a poco a poco. 

Era la notte nebulosa oscura; 

Pensa, lettor, come egli andava il gioco: 

E vento , e pioggia , e tempesta, e furore , 

E lutto il popol levato al romore. 

2A0 II fuoco era appiccato in molle strade, 

K ’l vento certe flamine in allo leva, 

E qualche tetto alle volte giù cade , 

E le moschee e ogni cosa ardeva; 

E luccicar si vedea tante spade , 

Che Siragozza uno inferno pareva: 

Marsilione non sapea che farsi, 

E certo i suoi partiti erano scarsi. 

2+1 E quando e’ sente gridar: Francia, Francia, 
E (^arlo, Carlo; gli parve che il core 
Gli passassi un coltello, anzi una lancia. 

Tanto ne prese nel petto terrore; 

Perchè e’ conobbe in su ’n una bilancia 
Aver la vita, e lo stato , e l’ onore: 

E Bianciardin , tanto mascagna vol|)e, 

A questa volta ha purgar le sue colpe. 



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394 



II. HOBGANTE UAOGIOBE. 



242 Eran saliti sopra certe torri, 

Gridando forte alcun talacimanno, 

Come dicessi: Accorri, accorri, accorri, 

Aiuta il popol, Macou, mussurmanno: 

Ma tulle in One eran bucce di porri, 

Ch’ oi^ni cosa n’ andava a saccomanno; 

E urla e strida per tutto si sente, 

E pianti assai commiserabilmenle. 

243 Rinaldo aveva sbarrata la piazza : 

Le donne e le losetle scapigliale 
r.orrevan tutte come cosa pazza , 

E eran dalle gente calpestale. 

Ed ognun grida: Ammazza, ammazza, ammazza, 
Queste gente ribalde rinnegate: 

■ E cosi lutti parean di concordia 
Sanza pietà, sanza misericordia. 

244 Carlo aveva con seco un squadrone, 

E Durlindana sanguinosa in mano; 

Corse al palazzo di Marsilione, 

Gridando: Ov’ò quel malvagio marrano? 

E dismonlato in sul primo scaglione. 

La scala combattè di mano in mano: 

E come Orazio gran punta sostenne , 

Tanto che insino in sulla sala venne. 

245 Era apparita quasi I’ aurora , 

Quando il palagio di Marsilio è preso, 

E non si Iruova il traditore ancora; 

Ma poi che ’l fuoco per lutto era acceso , 

Al 6n convenne ch’egli sbuchi fora, 

E funne a Carlo portato di poso: 

I Carlo lo prese in quella furia pazza, 

E d’ un veron lo gitlò in sulla piazza. 

244 E cadde quasi addosso a Ricciardetto; 

E Ricciardetto, come in terra il vede. 

Gridò: Ribaldo! e presei pel ciuSello, 

E poi gli pose in sulla gola il piede, 

E scannar lo volea com’ un cavretto, 

Se non che disse: Abbi di me merzede, 

Tanto che Carlo da basso giù vegni, 

E Bianciardin, eh’ è nascoso, gl’ insegni. 



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CANTO VENTESIMOSETTIMO. 

317 Or chi volessi la città meschina 

In fuoco e in preda assimigliar la notte, 
Immaginar conviensi una fm-ina 
Giù nell’ Inferno in le più oscure grolle: 
Ognuno avea una rabbia canina , 

Che il sangue parea zuccher di tre colte : 

0 giustizia di Dio, tu eri appresso. 

Tu se’ pur giusto, e in ciel, tu se’ pur desso. 

24S Credo, Turpin colle sue mani accise 
Dugenlo o più, a non parer bugiardo; 

Non domandar sei nel sangue s’ intrise : 

E’ parea più rubizzo e più gagliardo , 

Che que’ch’avean le schiappe e le divise; 
Come se fussi la notte col cardo 
Kendulo il pelo alla sua giovinezza. 

Perchè tener non si potea in cavezza. 

S49 In questo tempo la reina Blanda 
Era con Luciana strascinata: 

Ella non ha più d’oro la grillanda, 

Eli’ era dalla furia traportata; 

Ella gridava, ella si raccomanda 
Che almen come reina sia ammazzata, 

E che non era in questo modo onore 
D’ un tanto degno e magno imperadore. 

StiO E pareva la furia di Erilonne, 

Per modo eran le chiome scompigliate : 

1 drappi ricchi, e le pur|>uree gonne 
Eran tutte per terra scalpitate: 

O infortunata più che 1’ altre donne, 

Venuta al fin d’ogni calamitale; 

Tanto ch’io credo questo esemplo basta 
Dell’ antica miseria di Jocasla. 

251 Rinaldo già nel palazzo era entralo, 

E quando e’ vide Luciana bella. 

Come Córebo parve infurialo 

Per Cassandra, la notte, meschinella; 

E comandò eh’ ognun fussi scostato. 

Tanto che porse la sua mano a quella, 

E liberolla da si stretta furia; 

E non sofferse gli sia fatto ingurìa. 



396 



IL UORGiMTB MAGGIORE. 



262 £ poi eh’ Ognun fu ritirato addietro: 

O Carlo, disse, io vo’che mi conceda. 

(Se mai grazia da te nessuna impetro. 

Si che tu sia di maggior gloria creda. 
Perchè a tanto signor, tanto alto scetro * 
Femmina pare alla fine vii preda) 

Che la reina e Luciana sia 
Libera data nella mia balia. 

265 Carlo rispose: 0 figliuol mio diletto, 
Come poss’ io negar le cose oneste ? 

10 vo’ che il fatto sia prima che ’l detto , 
Veggo che amore ancor ti sforza e investe. 
E per venire, uditore, allo efletto, 

£’ perdonoron solamente a queste 
Di tanta gente in tutta la cittade: 

11 resto al fuoco e al taglio delle spade. 

264 Era a veder la notte Siragozza 

A fuoco come Soddoma e Gomorra, 

E tanto più ch’ella è pel sangue sozza, 
Che par per tutto insino al fiume corra ; 
Però che alla franciosa qui si sgozza, 

E cosi arde come al vento forra 
Di secche piante insino alle radice 
Questa città , che fu già si felice. 

265 Parea talvolta che si dividessi 

L‘ una fiamma dall’altra, come è detto 
De’ due Teban già in una pira messi. 

E poi saltava d’uno in altro tetto. 

Come se un fuoco destinato ardessi : 

E che Tesifo e Megera ed Aletto 
Vi fusse, e Cerber latrassi il gran cane, 

£ vendicassin le ingiurie cristiane. 

266 Già si vedevan per terra le case 
Dirute ed arse e desolate tutte. 

Che pietra sopra pietra non rimase: 

Quante magne ricchezze eran distrutte! 
Quante colonne, piramide, e base 
Eran cadute I quanto parean brutte 

A veder sotto rimase la notte 
Quelle gente arrostite come bòtte ! 



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CANTO VENTESIHOSBTTIUO. 



397 



Sò7 Fatnmi Turpin niaravifiliar talvolta, 

Se non ch’io veggo poi eh’ e’ dice il vero, 
Quand’ io ho questa istoria ben raccolta ; 
Che molle madre drenlo al Gume Ibero 
1 propri figli in quella furia stolta 
Giltàr la notte con istran pensiero, 

Chè il furor tutto ministrava e guida, 

E non si scorge altro romor, che strida. 

268 E altre in mezzo gli giltàr del foco. 

Per non venire alle man de’ Cristiani, 

Ne’ pozzi e nelle fogne e in ogni loco ; 

Altre gli uccìson con lor proprie mani: 

O vendetta di Dio, qui sare’ poco 
Agguagliar la miseria de’ Troiani 

A tante afflitte e sventurate donne. 

Quando e’ menti del gran cavai Sinonne. 

269 Credo che Tito con Vespasiano 

Non fér de’ Giudei tanto, s’io non erro. 
Quanto costor di quel popol profano ; 

Pensa che insino a Turpin pare sgherro: 
Qual Sagunto o Cartagin d’Affricano; 

La cosa va tra I’ acqua e ’l fuoco e ’f ferro, 
E ’l fuoco par, com’ io dissi, penacer 
Pigli ciascun qual de’ tre più gli piace. 

260 ,,E se alcun pur si fuggiva meschino. 

In ogni parte la morte rintoppa, 

Chè Iticciardetto, e 1’ Danese, e Turpino, 

E Ansuigi per lutto gualoppa. 

Intanto è ritrovato Bianciardino, 

Ch’ era nascoso in un sacco di stoppa ; 
Rinaldo far gli volea pure il giuoco, 

E appiccarvi con sue mani il foco. 

26t Carlo gli disse : Io lo riserbo a peggio. 
Marsilio intanto in sala era legato 
Come un can per la gola, allato al sèggio 
Dov’e’ fu già da sua gente onorato; 

E non poteva ignun pigliar paleggio, 

Chè il palazzo era per lutto guardato. 

Acciò che cosa nessuna si fugga. 

Sinché la roba e la gente si strugga, 
u. 34 



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396 



IL HOBGANTE MiGGlOBE. 



262 Aveva Carlo un suo cerio schiavone 
Lungo tempo lenulo, dello l’Orco, 

Che godeva la uotic il ribaldone 

Nel sangue imbrodolato come porco : 

E stava all’ uscio con un gran bastone. 
Ch’egli avea fatto d’un certo biforco : 

E chi voleva fuggir dalle poste, 

Convien che prima contassi coll’ oste. 

263 Non si potea qui dir, come Biante: 

^ \ ^ • -f. lo me ne porto ogni mia cosa meco ; 

' ' ' Piuttosto molto ben le rene infrante 

Da quel baslon se ne portava seco : 

E s’ alcun pur gli scappava davante, 

Calò calò si potea dire in greco; 

Perchè e’ faceva le persone destre, 

E bisognava calar le fìneslrg. 

264 E pareva ogni cosa vetro o ghiaccio, 

Dove e’ giugtievan .quelle sconce botte : 

E scrive alcun dì questo ribaldaccio, 

Ch’egli arrosti de’ moricin la notte. 

Che gl’ infilzava io quel suo bastonacelo. 

Poi gli mangiò come porchette colle ; 

Ma perchè il caso lion mi pare onesto, 

Credo che Carlo non sapessi questo. 

265 E cosi fu questa città dolente ^ 

Con fuoco e sacco rovinala tutta. 

Si che, a veder la rovina e la gente. 

Una cosa pareva schifa e bruita ; 

E non è maraviglia veramente 
Che cosi in una notte sia distrutta, 

Chè le moschee rovinavano a ciocca. 

Tanto r ira dei ciel sopra trabocca. 

266 Avea già Anseimo e poi Chiron mandalo 
Carlo a Marsilio, per quel eh’ io ne ’ntendo ; 
E fu ferito 1’ un, l’altro ammazzato ; 

Cioè Chirone indrielo poi venendo : 

E Carlo aveva molto minacciato, 

Gerusalem, Gerusalem, dicendo. 

Tu piangerai, Siragozza ribalda. 

Nè pietra sopra pietra in le fia salda. 



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CANTO VBNTESIHOSETTIMO. 



39!) 



267 Or ecco il re Marsilio innanzi a Carlo, ' 
E lutto il popol cruciGggi grida ; 

Altri diceva e’ dovessi impalarlo , 

Ognun volea eh’ a suo modo I’ uccida : 

Carlo rispose, che volea impiccarlo, 

Chè il traditore al capreslo si Rda, 

A quel carrubbio, come Scariolto, 

Dov’ egli aveva ogni cosa condotto. 

268 E disse : Io vo’, Marsilio, che tu muoia - 
Dove tu ordinasti il tradimento; 

E Bianciardin, eh’ è padre d’ogni soia, 
Allato a te farà crocciare il vento. 

Disse Turpino: Io voglio essere il boia. 
Carlo rispose : Ed io son ben contento 
Che sia trattato di questi due cani 
L’ opere sante colle sante mani. 

269 E poi che furon drcnto al parco entrati, 
Carlo, veggendo intorno a quella fonte 
Arsa la terra e gli arbori abbruciali, 
iMaravigliossi, e cambiossi la fronte, 

E disse : O Bianciardin, quanti peccati 
Commessi hai qui con tue malizie pronte I 
0 scellerato abominevoi mostro, ^ 

O caso orrendo, o infamia al viver nostro ! 

270 E quando e’ vide quel carrubbio secco, 

E quello allòr fulminalo dal cielo. 

Parve che ’l cor gli passassi uno stecco, 

E che per lutto se gli arricci il pelo, 

E disse: O Iradilor Marsilio, or ecco 
Dove tu commettesti il grande scelo 1 
Ah crudel terra, che lo consentisti, 

E come Curzio lor non inghiottisti I 

271 Ecco ch’io ho pur ritrovale Torme; 

Però nessun con la coda le copra ; 

Chè la'divina giustizia non dorme, 

E pur il 6ne è il teslimon dell’ opra : 

Pensi ciascun, quando e’ fa cose inorme. 
Che la spada del ciel sia sempre sopra ; 

E s’ alcun tempo una cosa si cela, 

Nihil occuUum, lutto si rivela. 



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400 



IL MORGANTB MAGGIORB. 



4>* 

S72 O Falserone, io ho pur finalmenlè . 

Qui ritrovali tutti i tuoi vestigi : 

L’anima forse or del tuo error si pente, 
Tanti segni son qui, tanti prodigi; 

Tu abbracciasti come fraudolente, 

Quando tu ti partisti di Parigi, * , 

Oimè lasso, il mio degno nipote, ' '• 

Poi gli baciasti, ribaldo, le gole. 

273 0 Bianciardin , qui non bisogna esordia, 
Però eh' egli è da corda e da capresti 
Venuto il tempo , e non misericordia : 

Ed é ragion , che come voi facesti 
A questa fonte insieme di concordia 
II tradimento , ognun l’aria calpesti : 

Poi ve n’ andiate nello Inferno a coppia , 

Ché la giustizia e la malizia è doppia. 

274 Quando Marsilio si vede condotto 
Dove il peccato suo l’ avea por giunto , 

E che si Iruova a quel carrul>bio sotto , 

Si ricordò come il suo caso appunto 
Predetto aveva un negromante dotto. 

Tanto che fu più di dolor compunto; 

K Perchè e* gli disse: Non tagliar quel legno, 
Che qualche volta sarà il tuo sostegno. 

275 E poi pregò, come malvagio e rio , 

Che voleva una grazia chieder soia, 

Cioè di battezzarsi al vero Dio. 

Disse Turpin: Tu menti per la gola. 

Ribaldo, appunto qui l’ aspettavo io. < 
Rinaldo gli rispose : Oramai cola : 
f Non vo’che tanta allegrezza tu abbi, 

X Che in vita e in morte il nostro Dio tu gabbi. 

276 Sai che si dice cinque acque perdute: 

Con che si lava all’ asino la testa; 

L’altra una cosa che in fine pur pule; 

La terza è quella che in mar piove e rpsta ; 

£ dove gente tedesche son sute 
A mensa , sempre anche perduta è questa; 

La quinta è quella, eh’ io mi perderei 
A battezzare o marrani o Giudei. 



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.CANTO VBNTESIMOSETTIMO. , 401 

J77 Io non credo che I’> acqua 'di Giordano, 

Dove fu battezzato Gesù nostro , 

Ti potessi lavar come cristiano, 

Non che quest’ acqua , che mi pare inchiostro , 

- Di questa fonte , o d’ un color più strano. 

Pel miracolo ancor che Iddio ci ha mostro: 
Dunque tu pensi con questa malizia 
* Che non si satisfaccia alla giustizia? 

278 Con Bianciardino e col tuo Falserone 
Giù nell’ Inferno ti battezzerai , 

Disse Carlo, in quell’ acque di Carone, 

Quando la sua barchetta passerai ; 

E manderotti presto Ganellone, 

E qualche tradimento ancor farai. 

Acciò che l’arte non ispenta sia, 

Chè so che tu n’ hai in punto tuttavia. 

279 E poi che Iddio ha per te riserbato 
Questo arbor secco che c’ è qui davante , 

Dove ancor tìiuda si fu attaccato , 

Ci mostrerrai di colassù le piante. 

Disse Marsilio : lo mi son ricordalo 
Di quel che già previde un negromante ; 

Ma non lo intesi, omè, che questo legno , 

Disse , eh’ ancor mi sarebbe sostegno. 

280 lo ti confesso d’ averli tradito 

In molle cose già pel tempo antico: 

Ma poi eh’ io sono alla fine punito , 

Solo una grazia li domando , e dico 
Che gentilezza è d’ avere esaudito 
L’ultimo priego d’ogni reo nimico; 

Abbi pietà della mia atllilta moglie , 

Chè morte ogni odio , ogni cosa discioglie. 

281 Perchè, quando tu eri giovinetto. 

Che tu togliesti poi la mia sorella , 

Gaiafro il padre mio n’ avea sospetto , 

E sempre Blanda dicea meschinella: 

O re , che vuoi tu far del Mainello? 

Che colpa ha lui se la tua flglia è bella , 

E per piacergli abbatte ognuno in giostra ? 

Ben sai eh’ egli ama Gallerana nostra. 

34 * 



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402 



IL HORGANTE MAGGIORE. 



2S3 E sommcife avvedu(a in mille cose 
Ch’egli è lanlo infiammato di costei, 
Che non può contro le fiamme amorose 
Resister che son date dagli Dei; 

E cosi sempre in tuo favor rispose , 
Tanto che pur se’ obbligato a lei: 

£ mentre io verità tu eri in corte, 

Per mille vie già ti campò la morte. 

283 Galafro te’ mille volte disegno 
Di gastigarti de’ peccati tuoi ; 

Ma tanto adoperò questa il suo ingegno, 
Che finalmente lo ritenne poi: 

E perchè io so , come gentile e degno. 
Questo peccato all'anima non vuoi. 

Per la corona, che tu porti in testa, 

Ti raccomando e Gallerana e questa. 

384 Del corpo mio fa tu quel che ti pare; 
L’anima so nell’Inferno è dannata. 

Disse Turpin : Non tanto cicalare; , 
Questa è stata una lunga intemerata. ' 

E cominciava il cappio a disegnare, 

E la cappa e la tonica avea alzata : 

E accostossi a quel carrubbio presto, 

£ altaccollo a un santo capresto. 

285 Poi Bianciardin colle sue mani assetta. 
Che pareva il maestro lui quel giorno; 

£ appostò con l’occhio per giubbelta 
Un nespol, ch’era alla fonte d’intorno; 
E l’uno e l’altro si storce e gambetta. 
Cosi Marsilio al carrubbio lasciorno, 

E Bianciardino attaccato a quel nespolo; 
E Turpin gli levò di sotto il trespolo. 

286 Poi ordinò che la reina Blanda 
Carlo al suo padre fussi rimenata, 

E molti in compagnia con essa manda , 
Perch’ell’ era del regno di Granala: 

E poi che Siragozza d’ ogni banda 
Era per terra tutta desolata, 

Rassettò il campo e sua gente il Danese, 
E ’nverso Francia il suo cammin riprese. 



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CANTO VBNTESIMOSBTTIMO. 



403 



287 E come e’ fu l’alta vendetta e magna 
/■ Ynlgata e sparta per tmta Aragona 
£ pe’ paesi d’ intorno di Spagna , 

Laudava ognun di Carlo la corona: 

Nè creder eh’ un sol principe riraagna , 
Ch’ a visitarla non venga in persona ; 

£ Ognun par di tal cosa contento , 

£ cosi biasimava il tradimento. 

388 Vjmnon molli signor d’ ogni linguaggio, 
Mtfhìre che Carlo indrìeto si tornava, 

A giurar fede e tributo ed omaggio : 

£ cosi questa gente cavalcava. 

£ per non fare a’ mìei lettori oltraggio , 
Chè spesso il troppo cantar lungo grava, 
Convien ch’io chiami pur l’aiuto santo 
Alla mia istoria nel seguente canto. 



iroTK. 



42. ttrima. Scherma. 

22. Chirone. It famoso Centauro 
che alleTÒ Achille fanciullo. — gam- 
mautle. Ferro chirurgico, che serve 
a aprire i grossi tumori. 

23. le bìuehetle. Le cose rubate ; 
da buscare. 

24. Chi non è meco. Detto di 
Gesù Cristo. 

28. /t’ di con. Figlio di cane. 

34. neve monachina. Cioè non 
bianca, come suole, ma di un colore 
quasi tendente al rosso. 

55. chiarentane. Era la chiareo* 
tana una specie di ballo, e valeva an- 
che qualunque ballo. — Crai e pos- 
erai. Domani e doman F altro ; cor- 
rotto dal latino crai e post eros. 

81. acerva. Acerba. 

84. E non è tempo ec. Non sta- 
re a dire al cui vienne significa fug- 
gire con gran prestezza. 

87. il Sarchino. Annibale. 

91. mal del pino. Sorta di ma- 
lore che viene alle dita, e che il volgo 
crede poter guarire con certe super- 
stiziose fattucchierie. 



I 95. piceinaeo. Piccinaco signi- 
' fica nano, piccia piccino ; il pumilio 
I de’ Latini. 

412. Cioè la terra. Accenna qui 
al dubbio, che anche innanzi Galileo si 
aveva, che non il sole intorno alla ter- 
ra, ma questa intorno a quel si volgesse. 
I 444. noi non liam ec. Si suol 
' dire quando alcuoo vuol farci ripeto- 
I re alcuua cosa « e non siam di mag- 
gio , che si dicon le rose dne volte. • 
— alla mensa non s’ invecchia. Vi è 
anche un proverbio che dice « a ta- 
vola aon s’ invecchia. » 

435. oraxion latria. Latria , o 
Latria è termine de’Teolo^col quale 
viene da essi significato il culto che 
si rende a Dio benedetto, creatore e 
conservatore dell'Doiverso. Il Poeta lo 
I ba adoperato a modo di adiettivo. 

I 445. Che non creò ec. Che non 
i sono come quei fiori che nascono a 
voi in primavera. 

457. rubo. Roveto. 

468. si truova sanza naso. For- 
se lo stesso che rimaner con un pal- 
mo di naso , cioè trovarsi , o rimaner 



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404 



IL HOBGANTE MAGGIORE. 



col donno e colle beffe di coea «pera- 
U e noo conseguita , ebe i Latini di» 
cerano ; lupus hiat. 

ni. a un brocco. A un punto, 
a nno scopo medesimo. 

i75. Marsia. Il quale fu scorti- 
cato per avere avuta la presunzione di 
superare col sno flauto la* cetra 
d’ AtoIIo. 

225. a randa a randa. Per l’ ap- 
punto. appena appena. 

227. E come /'e’ec. CioA, e come 
fecero Vespasiano e Tito del popolo 
ebreo. 

243. toiMU. Fanciullette ; da to- 
sa voce lombarda. 

247. xuceher di tre cotte. Zuc- 
ohero di tre cotte , o di più cotte, si- 



gnifica zucchero raffinato, e migliore. 

250. scalpitate. Calpestate. -Jo- 
caeta. Cineasta madre e moglie di 
Edipo, la quale avvedutasi del suo in- 
cestuoso connubio ai uccise. Omero la 
chiamò Epicaste. 

251 . Coreho. Promesso sposo di 
Cassandra , la quale mentre egli vo- 
leva tor delle mani di Aiace , che la 
trascinava per i capelli , fu da Diome- 
de , o da Neoptolemo , o da Peneleo 
ucciso. Vedi Eneide, Lib. II. 

263. Biante. Savio della Grecia, 
ostentatore di povertà. 

270. Curzio. Che si gittò nella 
voragine, apertasi nel Pòro, per salute 
del popolo romano. 



CANTO VENTESmOTTAVO. 



4im<o<ùutaavis^ 

Or qui finiscon le dolenti note: 

Gano sopra d’ un carro è attanagliato ; 

H popolo lo infama e lo percuote, 

E okgli il viva allor eh’ egli è squartato. 
Turpin dal sacco suo 1’ anima scuote. 

Di gir pel mondo Rinaldo è incapato. 
Scrive in fine il cantor l’opre di Carlo, 
Acciò che dell’ oblio non v’ entri il tarlo. 



i .L’allima grazia, o mio Signor benigno, 
Perchè il fin mostra d’ogni cosa il latto. 
Non mi negar, chè ancor si mostra arcigno 
Innanzi al tempo non maturo il frutto : 

Fa eh’ io paia alla morte un bianco cigno 
Che dolce canta in su l’estremo lutto. 
Tanto eh’ io ponga in terra il mortai velo 
Di Carlo in pace, e l’anima a le in cielo. 



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CANTO VKNTESIMOTTAVO. 



405 



2 Perchè donna è costi, che forse ascolta. 
Che mi commise questa istoria prima ; 

E se per grazia è or dal mondo sciolta , 

So che tanto nel ciel n’è fatto stima, 

Ch’ io me n’ andrò con l’ una e l’ altra volta 
Con la barchetta mia, cantando in rima. 

In porto, come io promessi già a quella, 
Che sarà ancor del nostro mare stella. 

3 Inlìno a qui l’aiuto di Parnaso 

Non ho chiesto nè chieggo. Signor mio, 

O le muse o le suore di Pegaso, 

Come alcun dice, o Calliope o Clio: 
Quest’ultimo cantar drieto rimaso 
Tanto mi sprona e la voglia e ’l desio. 

Che mentre io batto i marinari e sferzo. 
Alla mia vela aggiugnerò alcun ferzo. 

4 Da Siragozza s’ è Carlo parlilo. 

Arso la terra, e vendicato fonte, 

E il traditor di .Marsilio è punito 
Dove e’ fece il peccato, a quella fonte; 

E cavalcando d’uno in altro lilo. 

In molti luoghi fe’ rifare il ponte, 

Ch’ egli avea prima pel cammin tagliato. 
Acciò che indrieto nessun sia tornato. 

6 E ritornossi a San Gianni di Porlo, 

E non sofferse a ’gnun modo passare 
Di Roncisvalle, ove il nipote è morto; 

E dicea sempre nel suo sospirare: 

Chi sarà quel che mi dia più conforto? 
Tanto eh’ ognun faceva lagrimare : 

Che farà più quest’ anima nel petto? 

La. vita mia ornai fìa sol dispetto. 

6 Or perchè alcun qui dice, Ganellone 
Sendo con certa astuzia scarcerato. 

Che gli appari si gran confusione 
Di nebbia che f avea tutto obumbrato, 

E ritornossi smarrito in prigione, 

Chè cosi lo guidava il suo peccato; 

Dico io, non so se conGrmar mel debbia. 
Per non parere uno autor da nebbia. 



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406 



IL MOBGANTE HAGGIORE. 



7 Rinaldo intanto ha confortato Carlo, 

E tutta insieme ad un i;rido la corte, 

Che il traditor si dovessi straziarlo ; 

E pensa o^nun della più crudel morte : 

A molti par che si debba squartarlo ; 

Altri dicean di tormento più forte, 

E ruote, e croce, e con ogni vergogna, 

E mitera, e berlina, e scopa, e gogna. 

8 E dopo mollo disputar fu Gano 
Menato in sala con gran grido e tuono. 
Incatenato come un cane alano; 

E tanti farisei d’intorno sono. 

Che pensan solo ognun (Caverne un brano: 
E mentre e’ volea pur chieder perdono, 

/e crede ancor forse Carlo gli creda , 

Rinaldo il dette a quella turba in preda. 

9 Carlo si stette a veder questa caccia: 

E come in mezzo la volpe de’ cani. 

Ognun fa la sua presa, ognuno straccia ; 

Chi lo mordea, chi gli storce le mani, 

E chi per dilegion gii spula in faccia; 

Chi gli dà certi scrgozzoni strani. 

Chi per la gola alle volte lo ciulTa, 

Tanto che il cacio gli saprà di mufTa. 

10 Chi colla man, chi col piè lo percuote; 
Chi fruga, e chi sospigne, e chi punzecchia; 
Chi gli ha con l’ ugne scarnale le gole. 

Chi gli avea tutte mangiate le orecchia ; 

Chi lo intronava, e grida quanto e’ puote; 
C.hi il carro intanto col fuoco apparecchia; 
Chi gli avea tratto colle dita gli occhi. 

Chi il volea scorticar come i ranocchi. 

11 E come e’ fu sopra il carro il ribaldo. 

Il popol grida intorno: Muoia, muoia I 
Intanto il ferro apparecchiato è caldo : 

Non domandar come e’ lo concia il boia, 
Ché non resta di carne un dito saldo. 

Che tutte son ricamate lo cuoii ; 

Si eh’ egli era alle man di buon maestro. 
Perchè e’ facea molto l’ uficio destro. 



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CANTO VENTESIUOTTAVU. 



407 



12 Egli aveva il ca presto d*oro al collo, 

E la corona de’' ribaldi in lesta ; 

Rinaldo ancor non si chiama satollo, 

E ’l popol rugghia con molla (em|)esta : 

E chi gillava la gatta e chi il pollo, 

E ogni volta lo imberciava a sesia : 

Non si dipigne Lucifer si brullo 
Dal capo a’ piè, come e’ pareva tutto. 

13 Fece quel carro la cerca maggiore : 

Chi si cava pattini e chi pianelle 

Per vedere straziare il traditore, 

Si che di can non si straccia più pelle ; 

Tanto tumulto, strepito e roraore. 

Che rimbombava insin sopra le stelle, 

CruciQgge, gridando, crucifìgge ; 

E ’l manigoldo tuttavia trafigge. 

14 £ poi che il carro al palazzo è tornalo, 

Carlo ordinato avea quattro cavagli; 

£ come a questi il ribaldo è legato, 

Cominciano i fanciulli a scudisciagli. 

Tanto che 1’ hanno alla One squartalo : 

Poi fe’ Rinaldo que' quarti gillagli 

Per boschi , e bricche, e per balze, e per macchie 

A’ lupi, a’ cani, a’ corvi, alle cornacchie. 

lò Colai Gn ebbe il maladetto Gano, 

Chè lo eterno giudicio è sempre appresso. 

Quando tu credi che sia ben lontano. 

Or forse tu, lettor, dirai adesso. 

Come gli abbi creduto Carlo Mano, 
lo li rispondo : era cosi permesso; 

Era nato costui per ingannarlo, 

E convenia che gli credessi Carlo. 

16 'f^ota, che Carlo Magno era uom divino, 

E lungo tempo avea tenuto seco 
Un dotto antico chiamato Alenino, 

E apparò da lui Ialino e greco, 

E ordinò lo Studio parigino; 

Or par che sia dello intelletto cieco : 

Onde alcuno autor, come prudente. 

Di Gauellon non iscrive niente. 



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408 



IL HOBGANTE MAGGIORE. 



17 E(1 io meco medesimo disputo, 
Quand’io ho ben raccolta la sua vita, 
Come e:;Ii abbi uno error tanto tenuto : 
Ma la natura divina è tradita, 

E non ha sanza misterio voluto; 

Ché la sua sapienzia è infìnita: 

Credo che Iddio a buon fine permette 
L’ opere sante, e cosi maladette. 

18 Però che Carlo per esperienzia 
Dovea molto saper, perchè ne’ vecchi 
Accade e non in giovane prudenzia. 

Poi eh’ eli’ è Ggurata con tre specchi : 
Avea buon naturai, buona scienzia; 

E come il tradilor gli era agli orecchi, 

E’ gli credeva ogni cosa a sua posta: 

Si eh’ io non fermo ancor la mia risposta. 

49 Molte volte, anzi spesso, c’ interviene 
Che tu t’arrechi un amico a fratello, 

E ciò che fa , ti par che facci bene, 
Dipinto e colorito col pennello : 

Questo primo legame tanto tiene, 

Che s’ altra volta ti dispiace quello, 

E qualche cosa li farà molesta. 

Sempre la prima impression pur resta. 

20 Avea già lungo tempo Carlo Magno 
Tenuto in corte sua Gan di .Maganza, 

E oltre a questo vi vedea guadagno. 

Però che Gano avea molta possanza, 

E qualche volta gli fu buon compagno: 

£ perchè molto può 1’ antica usanza, 

L’ abito fatto d’ uno in altro errore 
Facea che Carlo gli portava amore. 

21 Altri direbbe: dimmi ancora un poco: 
Gano sapea pur eh’ egli avea tradito, 

E eh’ e’ doveva alfine ardere il foco : 
Come non s’era di corte partilo. 

Acciò che riuscissi netto il giuoco, 

Sendo tanto mascagno e scalterito ? 

Credo eh’ io l’ abbia in altro cantar detto, 
Ch’ ogni cosa si fa per un dispetto. 



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CANTO VENTESIHOTTAVO. 



409 



22 Quando Ulivier percosse il viso a Gano, 

Io dissi allor come e’ si pose in core 

Di vendicarsi; chè !;li [)arvc strano, 

Sendo pur per natura traditore. 

Ricordati, lettor, del Lampognano, 

E non cercar d’ altro antico autore ; 

E sempre tien la paura in corazza, 

Chè il disperato al fin mena la mazza. 

23 Forse che Gano ancora avea speranza 
Di ricoprir con Carlo il tradimento; 

Ed avea tanta gente di Maganza, 

Che, come il conte Orlando lussi spento, 

Si confìdava nella sua possanza, 

Di poter le bandiere alzare al vento 
Col favor di Marsilio e con la lancia, 

E coronarsi del regno di Francia. 

24 Or lasciam questo traditor pe’ boschi, 
Com’ io dissi, pe’ balzi e per le fosse, 

Perch’ io son pien di molti pensier foschi : 
Non c’è il nocchier che la mia barca mosse, 
E bisogna che terra io riconoschi. 

Come se quella in allo mare or fosse; 

E rilevare il porto per ‘aguglia. 

Perchè la sonda alle volte ingarbuglia. 

25 Morto è Tarpino e seppellito* e pianto. 
Tanto ch’io tomo, nella prima vista. 

Di non uscir fuor del cammino alquanto, 

Chè mi bisogna scambiar timonista ; 

E nuova cetra s’apparecchia e canto: 

Ma perchè voltecgiando pur s’acquista. 
Forse che in porlo condurrem la nave. 

Di ricche merce ponderosa e grave. 

26 SI ch’io ricorro al mio famoso Arnaldo, 
Che m’accompagni insino al line e scorga. 
Tanto eh’ io ponga in quiete Rinaldo, 

E la sua destra mano al timon porga ; 

Che, poi che Gano ha squartalo il ribaldo, 

D' un zucchero candito è pieno in gorga, 

E riforbito s’ ha gli artigli e ’l becco, 

E tratto fuor della mente lo stecco. 

II. t*Ó 



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410 



IL MORGANTE MAGGIORE. 



27 E perchè egli ama ancor pur Luciana , 

Con molla genie la mandò a Parigi, 

Perch’ eli’ era nipote a Gallerana, 

E ballezzo»8Ì drente a San Dionigi, 

E accordossi alla fede cristiana : 

E tanto piacque al gentile Ansuigi, 

Perchè pur era ancor giovane e bella. 

Che Analmente disposata ha quella. 

28 E Ricciardetto con lei fu mandalo. 

Per piacere a Rinaldo in compagnia ; 

E ’l padiglion, ch'ella gli avea donalo, 

Rinaldo volle rendulo gli sia. 

Per ristorarla del tempo passato; 

E rendè cortesia per cortesia : 

E sempre il tenne poi sopra il suo letto ; 

E basti questo a lei e Ricciardetto. 

29 Rinaldo a Carlo Magno un giorno disse. 
Come c’ voleva di corte partire, 

E cercar lutto il mondo come Ulisse. 

\ Carlo di duol si credette morire; 

Ma Analmente poi lo benedisse, 

E non poleron nessun conlradire ; 

Chè, poi che vendicalo aveva Orlando, 

Volea pel mondo andar peregrinando. 

30 Gran pianto fece la corte di Carlo : 

Carlo gli parve rimaner si solo. 

Che non potè mai più dimenticarlo: 

Credo che questo fu 1’ ultimo duolo; 

E non voleva sentir ricordarlo. 

Come fa il padre che perde il Agliuolo : 

E tutta Francia ne fe’ gran lamento. 

Poi eh’ un tanto campion nel mondo è spento. 

31 £ credo in verità che cosi sia , 

Perchè pur molle cose ho di lui scritto ; 

E per virtù della sua gagliardia, 

E’ par eh’ io sia come costor già afflitto : 

E come peregrin rimase in via. 

Che va pur sempre al suo cammin diritto 
Col pensier, con la mente e col cervello, 

Così vo io pur seguitando quello. 



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t 



CANTO VENTESIMOTTAVO. 411 

32 E s’ i’ credessi di piacere ancora 
Alla patria, a color che leggeranno, 
t'ome avvien chi per fama s’ innamora ; 

Io piglierei di questa storia affanno. 

Però che al tutto chi ne scrive ignora : 

Ma se mie rime facultate aranno. 

Forse che il mondo ancor leggerà questo. 

Fin che I’ ultimo di fìa manifesto. 

35 Ma lo autor disopra, ov’io mi specchio. 

Farmi che creda, e forse crede il vero, 

Che, benché fussi Rinaldo già vecchio, 

Avea l’animo ancor robusto e fiero; 

£ quel suon d* Aslarotte nell’orecchio, 

Come disotto in quell’ altro emispero , 

Erano e guerre e monarchie e regni ; 

E eh’ e’ passassi al fin d’Ercule i segni. 

3A E perché ancor di lui quell’ AngioI disse : 

Ogni cosa esser può, quando Iddio vuole ; 

Acciò che quelle gente convertisse, 

Ch’adoravan pianeti e varie fole: 

E se ancor vivo un giorno e’ riuscisse 
Dall’altra parte ove si lieva il sole. 

Come molti miracoli si vede, 

Qual maraviglia? chi più sa men crede, 

36 Non si dice egli ancor del Vangelista? 

Benché ciò comparar par forse scelo : 

Ma dove il punto o il misterio consista 
Salto Colui che fece il mondo e ’l cielo : 

Questa nostra mortai caduca vista 
Fasciata é sempre d’ un oscuro velo, 

E spesso il vero scambia alla menzogna. 

Poi si risveglia, come fa chi sogna. 

56 E del Danese, che ancor vivo sia. 

Perché tutto può far chi fe’ natura. 

Dicono alcun, ma non la istoria mia; 

£ che si truova in certa grotta oscura , 

£ spesso armato a cavai par che stia. 

Si che, chi il vede, gli mette paura: 

Non so se è vera opinione o vana; 

E cosi della spada Durlindana. 



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412 



IL BIOKGANTE HAGGIOttEw 



57 E come Carlo la giltò nel mare, 

11 di della battaglia dolorosa, 

Si vede sopra l’acqua galleggiare, 

E mostrasi ancor tutta sanguinosa ; 

E se alcun va per volerla pigliare, 

Subito sotto si torna nascosa. 

Tutto esser può, ma, come caso nuovo. 

Colla mia penna' non 1’ affermo o approvo. 

ss Credo che ai tempo di que’ paladini, 

Perchè la fede ampliasse di Cristo, 

Sendo molto potenti i Saracini, 

Molte cose a buon fin permesse Cristo ; 

Che se non fusse stato a’ lor confini 
, Carlo a pugnar per la fede di Cristo, 

I Forse saremmo ognun maumettisti : 
i Ergo, Carole, in tempore venisti. 

39 ' Farmi Carlo e Domenico e Francesco 
Abbin tanto operato per la fede, 

Con le dottrine e col valor francesco, 

Ch’ io dirò forse che per lor si crede ; 

Chò il popol de’ Cristiani stava fresco. 

Se non che Iddio a’ buon servi concede. 

Perchè ogni cosa è da lui preveduto, 

Sempre al tempo opportun debito aiuto. 

40 'T Io mi confido ancor molto qui a Dante, 

Che non sanza cagion nel ciel so misse 
Carlo ed Orlando in quelle croce sante , 

Che come diligente intese e scrisse ; 

E cosi incolpo il secolo ignorante. 

Che, mentre il nostro Carlo al mondo visse, 
Non ebbe un Livio, un Crispo, vin Justin seco, 
O famoso scrittor latino o greco. 

41 Ma perch’io dissi altra volta di questo. 
Quando al principio cominciai la storia, 

Forse tacere, uditor, fia onesto. 

Poi eh’ io ho collocato in tanta gloria 
Carlo e Orlando: or basti sia per resto, 

Perchè e’ non paia vanitate o boria, 

A giudicar de’ secreti di sopra. 

Quel che meriti ognun secondo l’ opra. 



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CANTO VENTKSIMOTTAVO. 



413 



42 I Sempre i giusti son primi i lacerati : 

Io non vo’ ragionar più della fede ; 

Ch’io me ne vo poi in bocca a questi frali, 
Dove vanno anche spesso le lamprede ; 

£ certi scioperon pinzocherali 
Rapportano: il tal disse, il tal non crede ; 
Donde tanto romor par che ci sia : 

Se in principio era buio, e buio tìa. 

43 In principio creò la terra e ’l cielo 
Colui che tutto fe’ qual sapiente, 

E le tenebre al Sol facevon velo ; 

Non so quel che si tìa poi fìnalinente 
Nella revoluzion del grande stelo ; 

Basta che tutto giudica la mente: 

E se pur vane cose un tempo scrissi. 
Conira hypocritas lanlum, pater, dissi. 

44 Non in pergamo adunque, non in panca 
Riprendi il peccator; ma quando siedi 
Nella tua cameretta, se e’ pur manca. 

Salite colassù col piombo a’ piedi: 

La fede mia come la tua è bianca, 

E farolti vantaggio anche due Credi: 
Predicale e spianate lo Evangelio 
Colla dottrina del vostro Aurelio. 

45 E se alcun susurrone è che v’imbocchi. 
Palpate come Toma, vi ricordo, 

E giudicate alle man, non agli occhi, ‘ 
Come dice la favola del tordo : 

E non sia ignun più ardito che mi tocchi. 
Ch’io toccherò poi forse un monacordo, 

Ch’ io l^verrò la solfa e’ suoi vestigi ; 

Io dico tanto a’ neri, quanto a’ bigi. 

46 Vostri argomenti e vostri sillogismi. 
Tanti maestri, tanti bacalari. 

Non faranno con loica o sofismi, 

Ch’ alfìn sien dolci i miei lupini amari ; 

E non si cercherà de’ barbarismi , 

Ch’ io troverrò ben testi che fien chiari : 
Per carità per sempre vi sia detto, 

E non si dirà poi più del sonetto. 

35 * 



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411 



IL HORGANTB MAGGIORE. 



47 Io mi parti’ da San Gianni di Porto, 

Dov’ io lasciai il mio Carlo malcontento : 

Or perchè il Gne è di venire a porto 
Sempre d’ ognnn che si commette al vento, 
Noi penserem qualche tragello corto, 

Però eh’ un’ ora ornai parrebbe cento : 

Tanto la voglia è in sè più desiosa. 

Quanto più presso al Gne è ogni cosa. 

48 Carlo, poi ch’ebbe Ganellon punito, 

E giù rimesso un diavolo in inferno. 

Che r ha più tempo tentato e tradito, 
Fe’come sempre i sapienti forno. 

Che d’ ogni cosa figliar san partito : 

E redasse la corte e ’l suo governo 
In Aquisgrana, ove alcun tempo visse, 

E molle guerre fe’ pria che morisse. 

49 Ma perchè morte a nessun mai perdona. 
Non riguardando a tanto imperadore. 

Poi eh’ egli ebbe tenuta la corona 
Quaranzetle anni con supremo onore. 
L’anima sua il secolo abbandona, 

E ritofnossi a quel lieto Fattore, 

Che si ricorda ristorare in cielo 
I giusti e’ buon, come dice il Vangelo. 

60 E benché tante cose ha fatte prima 
Che non iscrisse Ormanno nè Turpino, 
Riserberem con altra cetra e rima 

A cantar le sue laude ad Alcuino, 

Che canterà le cose di più stima. 
Dell’infanzia tacendo e di Pipino; 

Come solevan ne’ tempi discreti 
Cantar le laude de’ morti i poeti. 

61 Furon molto l’ esequie celebrate, 

E tutto il mondo quasi in vesta negra, 
Massime tutta la Crìstianilate , 

E Francia poi non si vide più allegra. 

Or perchè molle cose ho pur lasciate. 

Acciò eh’ io dica la sua istoria integra. 
Tanto eh’ e’ sia anche il dotto satollo, 
Convien eh’ i’ invochi a questa volta Apollo. 



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CANTO VBNTESIHOTTAVO. 



415 



63 E per Deio, e per Delfo, e pel luo Cinto, 
Ti priego che tu temperi la lira, 

Per la tua bella Dafne e pe'r Jacinlo, 

E quel furor, che senti già, respira, 
Ismaro, e Cirra, Pindo e Aracinto; 

Tanto che quel temerario Tamira 
E Marsia invidia abbi alla cetra nostra, 
Mentre che Carlo ancor vivo si mostra. 

63 In Àquisgrana un certo citarista 
Kra in quel tempo, Lattanzio appellato. 
Molto gentil, molto famoso artista ; 

Per la qual cosa in alto fu montato. 
Raccolte molte cose in una lista. 

Della vita di Carlo ammaestrato ; 

£ innanzi ad Alcuin cantando disse 
Ciò che Tarpino ed Ormanno già scrisse. 

6t £ cominciossi a Carlo giovinetto. 

Come già sendo del regno cacciato. 

Morto Pipino il padre, poveretto. 

Con un pastore ha l’abito scambiato; 

E come e’ fu chiamato il Mainetio 
In corte, ove Gaiafro I’ ha accettato : 

E come e’ fussi a lui menato, e quando. 

Da un suo balio chiamato Morando. 

65 E come Gallerana innamorala , 

Dopo alcun tempo a lui si fece sposa, 

E come in Francia l’aveva menala; 

Poi dimostrò la sua virtù nascosa, 

' Quando egli ebbe la patria racquistata, 

E la corona in testa gloriosa : 

Perchè Pipino il suo padre fu morto 
Da Oldorigi a tradimento a torto. 

66 E come, essendo in Italia venuto. 

Con molla gente il mar passò Agolante, 
Per un buffone al quale ebbe credulo; 

E disse le battaglie tutte quante : 

f E come Carlo da Almonte abbattuto. 
Orlando, che anco era un picco! fante. 
Uccise Gnalmente questo Almonte 
Con un troncon di lancia a una fonte. 



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II. MORGAKTB MAGdlOBE. 

ó7 E di Gherardo, e Dombuoso, e Donchiaro 
Di Risa e di Riccier tulio canlossi ; 

E come poi c’ho in Francia ritornaro, 

Perchè più volte Spagna ribellossi, 

L’ ultima volta gli costò amaro : 

E come quella guerra cominciossi, 

E Ferraù come mori in sul ponte, 

£ Lazzera fa presa sopra il monte. 

68 E come poi alla Stella Serpentino 
Venne fuori a comballer con Orlando, 

E come morto rimase meschino ; 

Si che Carlo, la impresa seguitando. 

Riprese verso Navarra il cammino, 

A Pampalona alia fine arrivando : 

E della lunga e disperata guerra, 

Mentre che tenne assediata la terra. 

69 E come Orlando sdegnalo è partilo, 

E capitò nella Mecche al Snidano, 

E come Macchidante è al fin fuggito, 

E Sansonelto si fe’poi cristiano; 

E inverso Gerosolima fu ilo, 

E racquistò il sepolcro con sua mano : 

E riconobbe Ugon german fratello, 

E Sansonelto ne menò e quello. 

60 E ritornato a Carlo a Pampalona , 

Dove a campo era stato già molti anni, 
Intese che Maccario la corona 

£ la sua sposa togliea con inganni , 

E bisognava Carlo ire in persona 
A racquistare ì suo’ regali scanni : 

E Malachel lo portò finalmente, 

Dove Maccario poi restò dolente. 

61 Cosi ripresa la sua signoria, 

A Pampalona tornò come un vento ; 

£ come Desiderio di Pavia 
Prese la terra con iscaltrimento , 

E poi mandò a Marsilio imbascerìa. 

Ove Chiron fu morto a tradimento : 

E come Carlo con tutta sua setta 
Contra Marsilio giurò far vendetta. 



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CANTt) VENTESIMOTTAVO. 



417 



62 E finalmente si trattò la pace; 

£ come Ganellon fa poi mandato 
A Siragozza il traditor fallace, 

E come il tradimento ha ordinato ; 

E come Iddio mostrò che gli dispiace : 

E intanto Carlo a San Gianni è arrivalo; 

E come in Roncisvalle Orlando è giunto, 

E la battaglia, com’io dissi appunto. 

63 E ciò che addietro nel Morganle è scritto, 
Ogni cosa Lattanzio in alto disse ; 

£ come tutta la Persia e lo Egitto 
Alla fede di Cristo pervenisse ; 

E bisognò qui andar pel segno ritto: 

Non so se troppa mazza altrove misse, 

Chè P autor che Morgante compose 
Non direbbe bugie tra queste cose. 

64 E del Danese, e come e' fu Cristiano, 

E del cavai chiamato Diiraforte ; 

E che in prigione il tenne Carlo Mano, 

Quando quel dette a Carlotto la morte, 

Insin che venne quel Bravieri strano. 

Che abbattè tutti i paladin di corte; 

E come e’ fu della Marca signore: 

Ogni cosa diceva quel cantore. 

66 E come poi Rinaldo giovinetto 
Con tre fratelli a Carlo fu mandato. 

Che fu Guicciardo, Alardo e Ricciardetto, 

•+E come Carlo I’ aveva accettato ; 

E perchè spesso gli facea dispetto. 

Più volle r ebbe di corte scaccialo : 

E come e’ fe’ per arte Malagigi 
Monlalban fare a quegli angeli bigi. 

66 E disse finalmente tante cose. 

Che fece tutto il popolo stupire ; 

In sin che pur la celerà giù pose, 

E non potè di Carlo tanto dire. 

Quanto l’ opere sue son più famose. 

Or pur la storia ci convien finire, 

Chè Alcuin, poi che Lattanzio ha detto. 

La cetra ha in punto, e ’l piè già in sul palchetto. 



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418 



IL MOIIGANTE MAGGIORE. 



67 Era il popol di lagrime confuso, 

Tanto a ciascun del suo signore iucrebbe; 

E veramente a questa volta io scuso 
Ognun che piange quel che pianger debl>e : 
Quando Alcuin, secondo l’antico uso 
Salito in alto, poi che guardato ebbe 

La gente afflitta e lamentabil tanto. 

La cetra accomodò con flebil canto. 

68 E mollo commendò colui che ha detto 
Lattanzio, e disse nello esordio prima : 

Io son fra molti dicitori eletto , 

E me’ di me ognun sa dire in rima; 

Però s’ io commettessi alcun difetto. 

Popolo mio, per discrezione istima, 

Chè come Filomena a cantar vegno 
Materia, ove e’ non basta umano ingegno. 

69 Io canterò del magno imperadore 
La vita, e piangerò con voi la morte; 
Perchè pur era mio padre e signore, 

E tanto tempo m’ha nutrito in corte, 

Dove il pan de’ sospiri e del dolore 
Convien eh’ io mangi tanto duro e forte : 
Ma perch’io sono alla vita obbligalo. 

Non voglio anche alla morte esser ingrato. 

70 Pipino il padre suo famoso e degno 
Tenne prima lo scettro e il nome regio , 

E governò per quindici anni il regno, 

Però che al gran Prefetto del collegio 
Dinanzi a lui bastava il nome e ’l segno ; 
Ma la corona, e ’l reai seggio e ’l fregio 
Tenne Pipin, come disopra è detto. 

Che per successione era Prefetto. 

71^ Morto Pipin dopo il quindecimo anno 
Dalla sua promozion, rimase Carlo, 

Carlo Magno ap|iellato, e Carlo Manno 
Un suo fratel, ma del signor mio parlo; 

Chè come il regno insieme partito hanno, 
Opera mia non è di raccontarlo; 

Io dirò tanto della sua eccellenzia, 

Quant’ io ebbi oculata esperienzia. 



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Cìnto ventbsihottavo. 



419 



72 La prima guerra fu cogli Aquilani : 

Nola, leltor, che l’Aquilania è Ghienna, 
Acciò che i versi alcuna volla io spiani 
Dov’ io vedrò la discrezione accenna: 

Pipin v’ avea prima messo le mani, 

('ome scritto fu già con altra |>enna ; 

Carlo v’andò lino a guerra finita, 

E riportonnc la palma fiorita. 

73 E so che replicar non mi bisogna 
Cose tanto propinque alla memoria, 

E come Unuldo si fuggi in Guascogna, 

E come doppia fu questa vittoria. 

Da |>oi ch’egli ebbe il suo nimico in gogna; 
Però che Lupo per maggior sua gloria. 

Il duca di Guascogna, fu prudente, 

E dette Unuldo e sè liberamente. 

74 E perchè intanto il bel paese esperio 
Occupava il furor de’ Longobardi 
Sotto le insegne del re Desiderio, 

Uomini inculli, feroci e gagliardi. 

Si che quel tenne d’ Italia io imperio 
Ventiquattro anni sotto i suoi stendardi ; 
Non si poteva alla fine cacciarlo. 

Se non giugneva il soccorso di Carlo. 

75 Era venuto di verso Oceano 
Questo popolo indomito, chiamalo 
Da Narsele Eunuco capitano ; 

Onde il sommo pontefice oppressalo. 
Ch’era in quel tempo il famoso Adriano, 

A Carlo imbasciadore ebbe mandato. 

Che dovessi in Italia venir quello. 

Come Pipin già fece e ’l suo Martello. 

76 j Carlo, mosso da’ prieghi santi e giusti, 
Parli di Francia co’ suoi paladini, 

E bisognò passar per luoghi angusti. 

Onde Annibai passò co’ suoi Barchini ; 
Perchè e’ lenean que’ popoli robusti 
i passi e i gioghi degli alti Apennini: 

Ma passi o sbarre non valsone o ponti , 
t Chè finalmente e’ trapassò que’ monti. 



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420 



IL HOBGANTE HAG6I0BE. 



- 

77 E mandò prima imbasciadori a quelli , 
Là dove Desiderio era atlendalo, ' 
Che dovessin partir co’ lor drappelli, 

E come egli era in Italia chiamato. 

Per discacciar della Chiesa i ribelli; 

Che si ricordin pel tempo passato. 

Come altra volta con ispada e lancia 
Provato avevan le forze di Francia. 

78- " È finalmente alia battaglia venne. 

Dove il pian vercellese par che sia : 

Il perchè Desiderio non sostenne, 

E fu costretto fuKgirsi in Pavia, 

Dove Carlo assediato un tempo il tenne ; 
E intanto andò colla sua compagnia, 

Poi eh’ egli avea la sua superbia doma, 

A vicitare il Pontefice a Roma. 

79 Grande onor fece il sommo padre santo 
A Carlo, lieto del suo avvenimento, 
Restituite le sue terre intanto, 

E aggiunto Spoleti e Benevento ; 

E cosi in Roma dimorato alquanto, 

^ Perché molto Adrian ne fu contento, 

I E satisfatto alla sua devozione, • 

1 Si diparti con gran benedizione. 

80 E perchè Desiderio avea lasciato, 

Com’ io dissi, assediato in la sua terra. 
Come folgore indrieto ritornato. 

Tanto lo strinse finalmente e serra, 

I Che bisognò che si fossi accordato ; 

' E cosi fu terminata la guerra : 

E riportonne il trionfo e le spoglie, 

E in Francia lui co’ figliuoli e la moglie. 

81 Cosi la bella Italia liberata. 

Che da’ Gotti e da’ Vandali prima era, 

E dagli Unni e dagli Eruli, occupala, 
Gente bestiai , molto crudele e ferà ; 

E la Chiesa di Dio restaurala ; 

Si ritornò con la santa bandiera, 

E per più gloria de’ famosi gigli 
I Seco menò di Carlo Mano i figli. 



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CANTO VENTESIMOTTAVO. 



42t 



82 lo lascio molle cose egregie e degne, 
Ch’io non posso seguir colla memoria, 

E in ogni parie, ove fur le sue insegne. 
Accompagnar d’una in allra villoria; 

Ma se morie anzi tempo non ispegne 
Il vero lume a mostrar questa istoria. 

Con altro stil, con allra cetra e verso 
Sarà ancor chiara a tulio l’ universo. 

83/ Or come avvien che il generoso core 
Cose magne ricerca infin se sogna. 

Cosi inlervien che il nostro imperadore. 

Poi ch’egli ebbe Aquilania e la Guascogna, 
E liberala la Chiesa e ’l Pastore, 

Percosse nella eretica Sansogna, 

Ch’ era più eh’ allra regione allotta 
Dal cullo falso de’ demon corrotta. 

84 J. Questa guerra fu più laboriosa 



Che alcun’aura, per gli uomini strani, 
A cui molto la nostra fede esosa 
Era, ingannati dagl’idoli vani; 

Gente crudele e mollo bellicosa, 

Che dannava ogni legge de’ Cristiani ; 
Carlo n’andò coll’ esercito a furia, 

Per vendicar del suo Cristo la ingiuria. 

85 '^Si che, più volle alla fede redulti , 

Si rilornaron nello antico errore. 

Poi che gl’ Idoli van furon distrutti 
Per la virtù del nostro imperadore ; 
Pure alla fine battezzati tulli, 
Riconobbono il vero Redentore, 

E r idolatria loro essere inganni : 

E cosi combatlér Irenlatrè anni. 

86 ^-Carlo poi per istatici domanda 
diecimila di lor, come prudente. 

Ed ordinò che per lutto si spanda 
Pe’ paesi di Francia quella gente, 

E pe' liti d’ Randa e di Silanda : 

Cosi la lor perfidia finalmente, 
Diradicala come falsa legge , 

Aggiunse nuova torma alla sua gregge. 



II. 



36 



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422 



IL MOUGANTK UAGGIUKE. 



sr^ O proteltor del buon Cefas in terra, 

O defensor delle cristiane squadre, 

0 santa spada a castigar chi erra, 

O Moisò del popol di Dio Padre ; 

I O Papirio Cursor famoso in guerra, 

O Scipio amico all’ opere leggiadre ; 

O fido specchio ove ogni ben s’ è mostro, 

O fama, o pregio, o gloria al secol nostro! 

gS'^Era in quel tempo medesimo Spagna 
D’altra prava eresia più maculala. 

Quando I' alla corona tanto magna 
Apparecchiò l’ esercito e 1’ armata ; 

C passa i fiumi, i colli, ala montagna 
Con la santa bandiera dal Ciel data; 

E fa tren^r ogni lilo, ogni terra. 

Come in lli>agna è vulgata la guerra. 

S9 Furono adunque in su’ campi alle mani 
Carlo e sua gente, onde la fama suona; 

Ma non resson le forze degl’ Ispani : 
Restava Augusta solo e Pampalona 
A redurre alla fede de’ Cristiani; ' 

11 perchè il magno re v’ andò in persona ; 
E finalmente, dopo lungo tedio, 

Le conquistò con forza e con assedio. 

90 E poi che Pampalona fu aéquistala 
Dopo molte battaglie e molti omei , 

E che tutta la Spagna è battezzata, ^ 

E Macon rinnegato e i falsi Iddei ; 

Carlo tornando con la sua brigata, 

Poi che i salti rivide Pirenei, 
j Non sanza danno dell’altrui vergogna, 

I Nelle insidie percosse di Guascogna. 

91 Quivi fu la battaglia sanguinosa, 

I Dove Anseimo mori col suo nipote 
/ In Roncisvalle ancor tanto famosa ; 

I Ma tutte queste cose vi son note, i;. 

Che non fu la vittoria gloriosa, 

Però che il tradimento tutto puote: 

\E perchè Carlo il tempo e ’l modo aspetta, 
ICome sapete, fe’ crudel vendetta. i 



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423 



CANTO VBNTESIMOTTAVO. ‘ 

92 "^Cosi furon ?1’ inganni de’ Guasconi 
Puniti, e prima battezzala Spagna, 

E seguitò la guerra de’ Brettoni: 

E poi che fu ancor doma la Brettagna, 
Rivolse verso Italia i gonfaloni. 

Perchè Roma d’ Araiso'si lagna. 

Il qual di Benevento era signore, 

E minacciava la Chiesa e ’l Pastore. 

93 Carlo giunto in Italia, come io dico, 
Ridusse alle sue voglie il folle duce; 

Si che quel fece al ponteGce amico, 

E molti in Francia statici conduce. 

t Oh quante cose magne io non replico ! 

Chè come il sole in ogni parte luce, 

A conseguir famose opere e degne. 

In ogni luogo apparir le sue insegne. 

9A Si che più volte di Roma lo ’mperio 
^Restauralo, come il buon Cammillo, 

Tornalo in Francia, il gran duca Baverio 
Apparecchialo sua gente, Tassillo, 
Recordalo del suocer Desiderio, 

Congiuralo cogli Unni, a un vessillo. 

Come mal consigliato dalla moglie. 
Cercando andò le sue future doglie. 

96 Lo ’mperador, che apparato già era, i ■ 
Non aspettò del nimico la ’nsegna: 

Ma fessi incontro a lui con sua bandiera 
Insino al fiume che divide e segna 
La Magna e le provincie di Baviera ; 

E bisognò che al fin Tassillo vegna 
A consentir ciò che Carlo gli chiede, 

E giurar servitù, tributo e fede. 

96 f I Velatabi intanto, gli Abroditi 
Molestavan qual suoi confederali ; 

Ma poi che il nostro re gli ebbe puniti. 

In questo tempo gli Ungher congregati, . 
Popoli delti per l’ addietro Sciti, 

Gente da prima in Pannonia arrivati 
Dall’ estreme provincie delia terra, 
Apparecchiavan contro a Carlo guerra. 



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424 



IL morgàntb maggiore. 



97 / Questa guerra durò circa otto anni, 

Ma Carlo, al fin superati costoro, 

Non ganza grande occisione e danni. 

Ne riportò le ricchezze e ’l tesoro, 

.Ch’egli avevon con forza e con inganni 
fin molle parte predato già loro, 

In Francia bella con vittoria e fama ; 

Si che la gloria fiori in ogni rama. 

98 E poi che la gran guerra d’ Ungheria 
Sedala fu, ridotta sotto il giglio 
Di Francia e la Boemia e Normandia, 

Abballuta da Carlo primo figlio; 

Mandò |>apa Leone imbasceria, 

Perch’egli era costretto, e in gran periglio 
Cacciato di sua sede, in Francia a Carlo, 

Che dovessi tornare a liberarlo. 

99-^Cosl la terza volta ritornato 
Carlo in Italia, il pontefice santo 
Restituì dond’ egli era cacciato 
Nella sua sede col papale ammanto; 

Perchè il sommo pastor non sendo ingrato. 
Ricordato del suo precessor tanto 
Quanto di sè benemerito e giusto. 

Gli aggiunse al titol regio il nome agusto. 

iOO '^'Dunque Carlo fu magno e imperadore 
Di tutto I’ universo, e re di Roma, 

E aggiunse al suo segno per più onore 
Il grande uccel che di Giove si noma : 

E licenziato dal santo pastore, 

Poi ch’egli aveva ogni arroganza doma, 

I Nel suo tornar, per più magnificenza, 

( Rifece e rinnovò l’alma Fiorenza. 

401 E templi edificò per sua memoria, 

E dette a quella doni e privilegi ; 

E ritornò con gran trionfo e gloria 
In Francia, il nostro re degli altri regi; 

E non è questa l’ ultima vittoria. 

Onde risplenda la corona e’ fregi; 

Tante altre cose ha fatto il signor nostro, 

I Che manca il soon, la voce, e carta e ’nchiostro. 



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CANTO VENTE8IMOTTAVO. 



42S 



K2 Io non posso pianKendo cantar versi, 
Tanto contrario è I’ uno all' altro etTetto; 
E pur convien che ’l cor lacrime versi, 
Quando quell’ è da giusto duol constretto: 
Per tanti tempi e paesi diversi 
’ Ha fatto Carlo più eh’ io non ho detto, 
Per la fede di Cristo e pel Vangelo; 

Ma tutto è scritto e registrato in cielo. 

103 Quivi i meriti suoi saranno tutti. 

Quivi tutto vedrà nel santo volto. 

Quivi corrà del suo ben fare i frutti. 

Quivi sarà dal buon Gesù accolto; 

Quivi in canti fia sempre sanza lutti. 
Quivi il seggio regai mai sarà tolto. 

Quivi il pan gusterà ebe sempre piace. 
Quivi impetri per noi della sua pace. 

404 Volea più oltre dir, certo. Alenino; 

E dello acquisto del sepolcro santo, 

E com’egli andò in Grecia a Gostantino: 
Ma non potè, cbè le lagrime e ’l pianto 
Del popol, ebe piangea cosi meschino, 
Occupavan la cetera col canto : 

'E forse il braccio stanco era e l'archetto. 
Per la qual cosa sceso è del palchetto. 

105 E come e’ fu quel sapiente sceso. 

Il popol ch’era prima stato attento. 

Un pianto seguitò molto disteso : 

Come fuoco talvolta pare spento, 

E sanza fiamma si conserva acceso. 

Poi si dimostra o per esca o per vento ; 
Cosi intervenne dopo il doire canto. 

Che lutto il popol rinnovoe il pianto. 

106 Quivi eran le pulzelle scapigliate. 

Quivi avean le matrone il peplo in testa, 
Quivi piangeva tutta la ditate. 

Quivi si straccia ognun I’ oscura vesta ; 
Quivi son falle cose replicate. 

Quivi si lauda la sua vita onesta; 

Quivi si batte alcun le palme intanto, 

' Quivi si grida santo, santo, santo. 



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426 



IL MORGANTB' MAGGIORE. 



. 107 t 0 fortunato, o ben vissuto vecchio, 

O felice quel giusto che osnun ama, 

O chiaro esemplo di ben fare e specchio, 

O sanza invidia gloriosa fama ; 

O ciel, tu porgi a’ suoi merli 1* orecchio ; 

O popol, che il signor suo morto chiama, 

O buon pastor, chi ben guarda sua gregge, 

O tanto re, quanto e’ ben guida e regge ! 

408 In Aquisgrana la chiesa maggiore. 

Nella Vergine Santa titolata. 

Dallo eccelso e felice imperadoro 
Era suta già prima ediOcata : 

Quivi meritamente a grande onore 
Fu la sua sepoltura collocala, 

E sopra a questa aggiunto un arco d’ oro 
Nella santa basilica del coro. 

409 E perchè il mondo ancor possa rìlrarlo. 

Il popol verso lui fu clementissimo, 

E nel sepolcro suo fece scultarlo, 

^ fo epitadìo diceva brevissimo : 

^'j^l corpo jace qui del magno Carlo 
Imperador de’ Roman cristianissimo. 

Ma molto imporla in si breve idioma 
Cristianissimo, e Carlo, e re di Roma. 

410 L’ anno ottocento quindici correa 
Dalla salute della Incarnazione, 

Carlo seltantadue Gniti avea, 

E quaranzette dalla promozione , 

De’ quali ultimi quindici tenea 
Colla corona da papa Leone, 

Nel vigesimo quarto di spirato 

Del mese il quale a Gian fu consecrato. 

41 1 ^ E innanzi alla sua morte segni apparse : 

Che dove il bel pinaculo si bilica. 

Folgore questo rovinò e sparse : 

Un portico cascò della basilica, 

E ’l ponte cb’«ra appresa a Magonzia arse : 
Però chi queste cose ben rivilica. 

Come a Cesare il ciel fece qui segno 
D’ altro Cesare in terra assai più degno. 



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CANTO VENTBSIHOTTAVO. 



427 



4i2 Fe’ come savio prima testamento, , 
Divise in molte terre il suo tesoro ; 

Lasciò .tulli i suoi servi ognun contento, 

Che molte cose parliron fra loro: 

E tre tavole ricche d’ ariento 
Tutte intagliate, e una di puro oro. 

Condotte c falle con mirabile arte. 

Distribuì com’io trovo in tre parte. 

113 *^La prima, ov’era tutta disegnala 
La gran città che Bisanzio si noma. 

Al santo aitar di Pietro ha deputala ; 

E l’altra, ov’era scolta l’alma Roma, 

Volle che fossi a Kavenna mandata. / 

O gran presente, o ricca, o degna soma! ' 

O magnanimi don, memoria e segno, 

Che minor non conviensi a tanto uom degno! 

114 La terza fatta con maggior lavoro. 

Dove lutto descritto appare il mondo, 

E quell’ altra eh’ io dissi tutta d’ oro, 

A Lodovico suo tìgliuol giocondo 
Rimase, ultimo erede fra costoro. 

Morti Carlo e Pipin primo e secondo: 

Si che Luigi era il terzo Ggliuolo, 

Che succedette alla corona solo. 

116 Or poi che Cario è seppellito e morto, 

E fruisce quel gaudio e quel giubillo 
Che s’ aspetta ad ognun che giugno al porlo 
Di sua salute e suo stalo tranquillo, 

A me parrebbe alla istoria far torlo 
S’ io non aggiungo qualche codicillo , 

Acciò che ognun, che legge, benedica 
L’ ultimo effetto delia mia fatica. 

116 Noi possiam per la istoria intender quasi 
Come all’ unico figlio Lodovico 
{Molli regni e paesi son rimasi 
jPer virtù del suo padre, come io dico. 

Per molli tempi, effetti, e varj casi; 

Insino al re di Persia è fatto amico. 

Tanto a sé il trasse come calamita 
L’ opere degne del suo padre in vita. 



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42S 



IL morgantb maggiore. 



117 E la Francia, e la Ghienna, e la Borgogna, 
E Navarra, Aragona, colla Spagna,, 

La Fiandra, e l’ Inghilterra, e la Guascogna, 
La Dazia, e la Germania, e la Brettagna, 

E Pannonia, e Boemia, e la Sansogna, 

E tante gran provincie della Magna, 

E r Istria, e la Dalmazia, e Lombardia, 
Rimason sotto la sua monarchia. 



118 E veramente dal suo genitore 
Non é questo flgliuol degenerato; 

Ma perch’io serbo altrove a fargli onore. 
In altro libro o libel comincialo. 

Ritorno al nostro primo imperadore 
In alcun luogo che indrietò ho lasciato, 
De’ costumi e de’ modi di sua vita. 

Si che la istoria dir possiam finita. 



119 



I 



) Dicono molti autor, di sua natura. 

Della sua qnalilà, s’ i' ho ben raccolto. 
Ch’egli aveva formosa la statura. 

Largo nel petto e nelle spalle molto, 

Ne’ passi grave e nella guardatura ; 

Nel parlar grazia, e maestà nel volto; 

La barba lunga, e il naso alquanto giusto, 
L’ aspetto degno, e tutto in sé venusto. 



120 Molto affabil, placabii, tutto magno. 
Molto savio, virii, molto discreto; 
Amico, o servo, o parente, o compagno 
Parlia sempre da lui contento e lieto : 
Non si sentia : del mio signor mi lagno ; 
Molto giusto in sua legge e suo decreto : 
E perché gli uomin gli piacean modesti, 
Esemplo dava di costumi onesti. 



121 . Era al culto divin cirimouioso , 

I Edificava per ogni paese 
I Qualche magno palazzo glorioso ; 

Fece tanti spedai, badie e chiese, 

Ch’ io credo il ver di molte sia nascoso ; 
Come cor generoso all’ alte imprese , 
Restaurava e città e castella. 

Come e’ fece ancor già Fiorenza bella. 



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CANTO VENTESIMOTTAVO. 



422 Fece in snl Reno il ponte, com’ io dissi, 
Di cinquecento passi per lunghezza : 

Che mostrò segno, innanzi che morissi. 
Come e’ cadeva anche ogni gentilezza : 
Mostrava, in ogni caso che avvenissi. 
Prudenza e temperanza con fortezza : 

\ Grazie, che Iddio rade volte concede .. 

I O per nostra salute o per la fede. 

425 Dilettavasi a caccia andare spesso, 
Sempre l’ ozio dannando , come i saggi , 
Sanza temer, dagli anni pur defesso , 

Di freddo, o luoghi diflìcil selvaggi: 

Tanto eh’ essendo a quel termine presso, 
Dove più oltre ognun convien che caggi, 
Perchè non è più la natura forte. 

Sollecitò per tal cagion la morte. 

424 Pigliava spesso de’ bagni diletto, 

Quivi soleva congregar gli amici , 

Come forse dal luogo era conslrelto. 

Dove i monti son freddi e le pendici: 

0 signor giusto, o signor benedetto, 

Oh quanto furon que’tempi felici 1 

vNon sarà Francia mai si bella o lieta 
'O per corso di stelle o di pianeta. 

425 Reputavano i popoli dal cielo 
Mandato fussi in terra un tal signore 
Per carità, per giustizia, e per zelo; 

E se non fussi spento il vecchio errore. 
Adorato l’ arebbon come Belo 
Per reverenzia e per antico amore: 

Tanto che alcun forse autor non falla 
Della croce incarnata in sulla spalla. 

426 1 Ammaestrò i figlinoli e le figliuole 
D’ ogni arte liberal, d’ogni dottrina; 

Nè bisognava cercare altre scuole, 

Allor che l’Accademia parigina 
Voleva appresso tutta la sua prole; 

Se e’ cavalcava da sera o mattina. 
Talvolta per fugair le sue donne ozio, 
Ministravan lanifero negozio. 



430 



IL MORGANTB HAGOIOBE. 



127 La madre sua , eh’ era Berta chiamala , • 
Sempre la tenne con debito onore. 

Acciò che fussi la legge osservata 
Di Moisè da quel primo dottore : 

Era di Grecia, di gran sangue nata , 

Figlia di Eraclip degno ìmperadore: 

Or basti una parola, uditor mio, 

Ch’ ogni cosa ben fa chi teme Dio. 

128 Dunque giusta la vita, retta e buona, 

È stala del mio Carlo veramente; 

E tenuto ha lo imperio e la corona. 

Come magno signor felicemente ^ 

Ma perchè intanto una tuba risuona 
In altra parte, e per tutto si sente; 

Benché la istoria sia degna e famosa , 

Convien che tìne pur abbi ogni cosa. 

129 E s’ io non ho quanto conviensi a Carlo 
Satisfatto co’ versi e col mio ingegno, 

Io non posso il mio arco più sbarrarlo 
Tanto eh’ io passi il consueto segno ; 

E dicono mia colpa, e ristorarlo 
Aspetto al tempo del Ggliuol suo degno, 

( Ch’io, farò in terra più che Semideo, 

' Dove sarà CirilTo Calvaneo. 

130 r ho condotto in porto la mia barca , 

Non vo’ più tentar ora Abita e Calpe ; 

Perchè più oltre il mio nocchier non varca, 
Per non trovarsi come spesso talpe, 

O come quel eh’ entrò nella santa arca : 

Tanto cho i monti si scuoprino o l’ alpe 
Pel tempo ancor pur nebuloso e torbo, 

E aspettar che ritorni a me il cerbo. 

131 Non eh’ io pensi star surlo sempre fermo : 
Che s’io vorrò passar più là cho Ulisse , 
Donna è nel del che mi Ga sempre schermo; 
Ma non pensai che innanzi al Gn morisse. 
Questa Ga la mia stella e ’l mio SanC Ermo : 
E perchè prima in alto mar mi misse , 

Come spirto beato tutto vede, 

Bicorderassì ancor della mia fede. 



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CANTO VENTESIHOTTAVO. 



431 



132 Sare* forge materia accomodala 
Colla vita di Carlo tanto eletta 
La vita di tal donna comparata , 

Lucrezia Tornabuona , anzi pcrfella , 

Nella sedia sua antica rivocala 
Dalla Vergine eterna benedetta , 

Che riveder la sua devota applaude, 

£ canta or forse le sue sante laude. 

133 Quivi si legge or della sua Maria 

La vita, ove il suo libro é sempre aperto , 

E d’ Esdra, di Giuditta, e di Tobia ; 

Quivi si rende giusto premio e merlo , 

Quivi s’intende or l’alta fantasia 
A descriver Giovanni nel deserto; 

Quivi cantano or gli angeli i suoi versi. 

Dove il ver d’ogni cosa può vedersi. 

154 Natura intese far quel eh’ ella volle, 

Una donna famosa al secol nostro, , 

Che per sé stessa sé dall’ altre estolle 
Tanto, che manca ogni |>cnna, ogni inchiostro: 
Non la conobbe il mondo cieco e folle. 

Benché il vero valor chiaro fu mostro. 

Come il Signor che colassù la serra. 

Che adorala l’ arebbe in cielo e in terra. 

135 Quanti beni ha commessi, a quanti mali. 
Ovviato ha costei , mentre era in vita! 

Però con le sue veste nuziali 
L’anima in cielo a Dio si rimarita. 

Quel di che il santo messo aperse l’ ali 
Per la sua carità tanto infinita: 

Si che ancor prego che lassù m’ accetti* 

Tra’ servi suoi nel numer degli eletti. 

156 E s’ i’ ho satisfatto al suo desio. 

Basta a me tanto, e son di ciò contento: 

Altro premio, altro onor non domando io, 

Altro piacer che di godermi drento; 

E so eh’ egli é lassù Morgante mio: 

Però s’ alcun malivolo qui sento , 

Adatterà il battaglio ancor dal cielo , a. 

In qualche modo a scardassargli il [)elo. 



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432 



IL MOBtiANTE HAGGIOBE. 



437 Porlin certi uccellacci un sasso in bocca, 
Come queir oche al monte Taureo , 

Per non ^raccbiar, ché poi il falcon le tocca, 
Ch’ io gli farò t^irar come paleo ; 

E ho sempre la sferza iò sulla scocca , 

Perch’ io fu* prima che gigante reo : 

Non morda ignun chi ha zanne, non che denti, 
Dice il proverbio ; io non dico altrimenti. 

458 Io non domando grillanda d’ alloro , 

Di che i Greci e’ Latin chie^gon corona; 

lo non chieggo altra penna , altro stil d’ oro, 

A cantar di Aganipfie e di Elicona; 

Io me ne vo pe’ boschi puro e soro 
Con la mia zampognelta che pur suona, 

E basta a me trovar Tirsi e Dameta: 

Ch’ io non son buon pastor , non che poeta. 

459 Anzi non son prosuntuoso tanto , 

Quanto quel folle antico citarista, 

A cui tolse già Apollo il vivo ammanto ; 

Nè tanto salir, quanl’ io paio in vista: 

Altri verrà con altro stile o canto , 

Con miglior cetra, e più sovrano artista; 

10 mi starò tra faggi e tra bifulci , 

Che non disprezzin le muse del Pulci. 

440 Io me n’andrò colla barchetta mia , 

Quanto l’ acqua comporta un piccol legno ; 

£ ciò eh’ io penso colla fantasia , 

Di piacere ad ognuno è 'I mio disegno: 

Convien che varie cose al mondo sia , 

(^ome son vari volli e vario ingegno, 

E piace all’uno il bianco, all’altro il fierso, 

0 diverse materie in prosa o in verso. 

441 Forse coloro ancor che leggeranno. 

Di questa tanto piccola favilla 

La mente con poca esca accenderanno 
De’ monti o di Parnaso o di Sibilla; 

E de’ miei Qor come ape piglieranno 

1 dotti, s’ alcun dolce ne distilla: 

11 resto a molli pur darà diletto , 

£ Io autore ancor Ga benedetto. 



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é 



CANTO VENTESIHOTTAVO. 



433 



142 Ben so che spesso, come già Morganle, 
Lascialo ho forse troppo andar la mazza; 

Ma dove sia poi giudice bastante , 

Materia c’è da camera e da piazza: 

Ed avvien , che chi usa con gigante, 

Convien che se n’ appicchi qualche sprezza ; 

Si ch’io ho fatto con altro battaglio 
A mosca cicca, o talvolta a sonaglio. 

143 Non sien dati i miei versi a Varrò o Iucca, 
E’ basta il Bellincion eh’ aflermi e iodi , 

Che porge come amico, e non pilucca; 
r guarderò in sul ghiaccio ir con buon chiodi: 

Io porterò in su gli omeri la zucca. 

Nell’acqua cinto con sicuri nodi; 

E farò tanto quanto i savi fanno. 

Di perdonare a color che non sanno. 

144 Ed oltre a questo e’ ne verrà il mio Antonio , 
Per cui la nostra cetra è gloriosa 

Del dolce verso materno ausonio. 

Benché si stia là in quella valle ombrosa. 

Che fìa del vero lume testimonio: 

Ognun so che riprende qualche cosa; 

Ma io non so s’ e’ si son corvi o cigni 
l detrattori, o spirili maligni. 

145 Per tanto io non aspetto il baldacchino , 

Non aspetto co’ pifferi 1’ ombrello. 

Non traggo fuora i nomi col verzino, 

Com’ io veggo talvolta ogni libello; 

Quand’ io sarò con quel mio Serafino , 

Io gli trarrò fuor forse col cervello: 

Perchè questo Agnol vi porrà la mano, 

Nato per gloria di Montepulciano. 

146 Questo è quel divo e quel famoso Alceo, 

* A cui sol si consente il plettro d’oro. 

Che non invidia Anfione o Museo , 

Ma slassi all’ ombra d’ un famoso alloro ; 

E i monti sforza come il tracio Orfeo , 

E sempre intorno ha di Parnaso il coro, 

E Tacque ferma, e i sassi muove e glebe , 

E a sua posta può richiuder Tebe. 



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434 



IL M0RG&NT8 MAGGIORE. 



147 Io seguirò la sua famosa lira, 

Tanto dolce, soave, armonizzante. 

Che come calamita a sé mi tira, 

Tanto che insieme troverem Fallante; 
Perchè sendo ambi messi in una pira. 
Segni farà del nostro amor costante, 

D’ una morte un sepolcro, un epigramma, 
Per qualche effetto T una e 1’ altra fiamma. 

148 Noi ce n’ andrem per le famose rive 
Di Eurote, e pe’ gioghi là di Cinto, 

Dove le muse ausonie ed argive 

Gli portan chi Narciso e chi Jacintoc 
lo sentirò cose alle e magne e dive. 

Che non senti mai Pindo o Aracinto : 

Io condurrò Fallante a Delti e Deio, 

Poi se n’andrà, come Quirino, in cielo. 

149 Questo sarà quel Pollione in Roma, 
Questo sarà quel magno Mecenate, 

A cui sempre ogni musa è perizoma. 

Per tanto, spirti degni, or vi svegliate. 
Perchè Gorir farà nostro idioma. 

Tanto tìen le sue opre celebrate: 

Materia avete innanzi agli occhi degna, 
Che per sè stessa sè laudare insegna. 

lòO Veggo tutte le grazie a una a una. 

Veggo tutte le ninfe le più belle. 

Veggo che Palla con lor si rauna 
A cantar le sue laude insieme a quelle; 

E non può centra opporsi la Fortuna, 

Chò il sapiente supera le stelle ; 

, E la grazia del ciel gran segni mostra. 

Che questo è il vero onor dell’ età nostra. 

161 Surge d’ un fresco e prezioso lauro 
Certe piante gentil, certi rampolli. 

Che mi par già sentir dall’ Indo al Mauro 
Tante cetre, e Mercurj, e tanti Apolli, 

Che certo e’ sarà presto il mondo d’ auro, 
Ch’ era già presso agli ultimi suoi crolli : 

, Tornano i tempi felici, che forno 

Quando e’ regnò quel buon signor Saturno. 



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cìnto ventesimottìvo. 



135 



i52 Beoi(;DÌ secol, che già lieti Tersi, 
Tornale a modular le nostre lire, 

Chè la mia fantasia non può tenersi. 
Come ruota che mossa ancor vuol ire. 
Chi negherebbe a Gallo giammai versi ? 
Pro re, pauca dissi al mio desire. 

Or sia qui Gne al nostro ultimo canto. 
Con pace, e gaudio, e col saluto santo. 



Salve Regina, madre gloriosa. 

Vita e speranza si dolce e soave ; 

A te per colpa dell’antica sposa. 

Piangendo e sospirando, gridiamo Ave, 

In questa valle tanto lacrimosa : 

Però tu, che per noi volgi la chiave. 

Deh volgi i pietosi occhi al nostro esiglio*. 
Mostrandoci, Maria dolce, il tuo Gglio. 

Degnami, se ’l mio prego è giusto e degno, 
Ch’io possi te laudar. Virgo sacrata; 

Donami grazia, e virtù pronta, e ingegno 
Contro a’ nimici tuoi, nostra avvocata: 

E perchè in porlo hai condotto mio legno. 

Io ti ringrazio. Vergine beala ; 

Con la tua grazia cominciai la storia, 

Con la tua grazia al Gn mi darai gloria. 

Con la tua grazia. Vergine Maria, 

Conserva la devota alma e verace 
Mona Lucrezia tua, benigna e pia. 

Con carità perfetta e vera pace ; 

Anzi esaudir puoi ciò che lei desia, 

Chè sempre chiederà quel che a le piace : 

Si che lei prego per le sue virtule, 

Che per me impetri grazia di salute. 



MOTE. 



2. Perchè donna ec. Lucrezia Tor- 
«labuoni , già morta quando il Pulci 
dette fiue al suo Poema. 



5. ferxo. Forse invece di fersa, 
per comodo della rima. 

13. pattini. Spezie di scarpe, « 



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436 IL MORGANTE MAGGIORE. — CANTO VENTESIMOTTAVO. 



pianelle , colle quali ai cammina sul 
ghiaccio. 

24. aguglia. Pertica da scanda- 
gliare. 

26. D' un iuechern. £ tutto al- 
legro , e g’ è tratto fuor della mcule 
ogni pensiero. 

40. tn quelle croce sanie. Nel 
pianeta di Marte, dove Dante collocò 
coloro che son morti militando per la 
Fedo. Vedi Paradiso, Canto XIV, 
e seg. 

55. Lattanzio. Scrisse in versi 
le prime gesta di Carlo Magno. Le fa- 
volose istorie che esso racconta, e che 
il Poeta accenna nelle seguenti ottave, 
non meritano trattenervisi. 

' 65. Aon so se troppa mazza cc. 
Metter troppa mazza si dico d’ uno il 
uale in favellando entri troppo ad- 
entro, e dica cose che non ne ven- 
dano gli speziali , e in gomma che 
dispiacciano ; onde corra rischio di 
doverne esser ripreso, o gastigato. 
Cosi il Varchi nell’ Ercolano. 

74. E perchè intanto ec. Sono 
note abbastanza le guerre di Carlo 
Magno io Italia , da esso liberata del 
longobardico giogo. Però non mi in- 
trattengo a parlarne distesamente, 
avendo già nella Prefazione dichiara- 
to come di siffatte cose solamente 
quel poco toccato avrei che meno alla 
comnn portata esser mi fosse sem- 
brato. 

90. salti... Pirenei. Le selve dei 
Pirenei, dal latino sallus. 

100. Rifece e rinnovò l’alma 
Fiorenza. Àbbclli Carlo Magno Fi- 
renze, ma non la rifece, conciossiachè 
sia oramai dimostrato essere del tut- 
to favoloso, che essa da Totìla, o co- 
me altri volle da Attila, venisse di- 
strutta. 

IH. rivinca. Diligentemente ri- 
cerca. 



157. Kon morda ec. Nessuno at- 
tacchi chi è di lui più possente. 

145. Porro o Tucea. Furono i 
raccoglitori delle opere di Virgilio. 

145. vi porrà la mano. Chiaro 
apparisce anche da questo passo che 
il Poliziano aiutasse il Pulci nel com- 
porre il suo Poema. Alcuno ha cre- 
duto, ma contro il vero, che sotto 
nome del Pulci il Murgante fosse in- 
tieramente opera del Montepulcianeso. 

146. all'ombra d' un famoso 
alloro. Di Lorenzo il Magnifico. 

j 147. Perchè sendo ambi cc. Al 
contrario di quello che avvenne della 
pira su cui ardevano Etcoclo e Poli- 
nice, la quale per segno dell’odio dei 
due fratelli , da sé medesima si di- 
vise. 

149. Pollione. Colui del quale 
tanto altamente parla Virgilio nella 
Egloga VI. — è perizoma. Detto 
metaforicamente a signiDcare come 
ogni Musa, cioè ogni Poeta, si cuopri- 
va.e per cosi dire si vestiva del nome 
e del favore di Mecenate. Perizoma si 
dice propriamente quel vestimento 
che cnopre le parti vergognose del 
corpo. 

151. Surge d’ un fresco ec. Il 
lauro è al solito Lorenzo dei Medici. 
Se per i rampolli che sorgono di cotal 
pianta volle il Poeta signiBcare quei 
sommi ingegni che sotto il favore di 
lui crebbero e furon giganti , ben 
disse il vero ; ma se intese accennare 
a ciò che sarebbe addivenuta la sua 
discendenza , certo che gli falli il va- 
ticinio, conciossiachè la prole di Lo- 
renzo mal s’ agguagliasse alla eccel- 
lenza di tanto padre. 

Salve Regina. Parafrasi della 
Salve Regina. Il Poeta ha voluto fi- 
nire coni’ egli avea cominciato, e fino 
' all’ ultimo miscere sacra profanis. 









AVVERTIMENTO. 



Ultimata la stampa, m’avvidi die si sarebbe potuto darle qual* 
che altro miglioramento, corredandola di un indice ragionato: lavoro 
quanto noioso a chi lo fa, altrettanto utile per chi è fatto, massime 
in certi libri, ne’ quali per l’abbondanza dei nomi propri e degli av- 
venimenti che vi si raccontano si rende quasi di strettissima neces- 
sità, come n'erano d’avviso gli autori stessi d’una volta, che spesso 
non isdegnavano di metlervelo da loro. L’aiuto degl’indici può ras- 
somigliarsi a que’buoni uDQci che si fanno a chi giunge nuovo in una 
città grande, o viaggia per confusi luoghi, senza che porti pericolo 
di smarrirsi o di perdere il tempo. Ha io non intendevo già di far 
conoscere questa verità conosciutissima del vantaggio degl’ indici , 
bensì la mancanza che se ne aveva nelle antecedenti edizioni del Mor- 
gante da cui potessi pigliarlo. Trovasi, è vero, una così detta Tavola 
nell’ impressione del Sermartelli e nell’altra del l54o di Venezia as- 
sistita da Lodovico Domenichi; ma oltreché tutt’e due sono incom- 
piute, nè vi stanno accennati metà dei nomi che s’incontrano nel 
Morgante, difettano perfino della disposizione alfabetica e della re- 
golarità dei numeri di richiamo. Fatto adunque ricompilare un indice 
con quella maggior pienezza e diligenza dovuta in simiglianti lavori, 
io il do qui con isperanza di far cosa grata ai leggenti , e di vedere 
continuato ii lor favore alle mie edizioni. 



F. Le Monmer. 



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439 



INDICE DEI NOMI E DELIE COSE NOTABILK 



A 

Aduiako papa , che mandò a chieder 
soccorso a Carlo contro l’oppressio- 
ne de’ Longobardi, XXVIII, 75. 

Alabastro, gigante; morto da Orlan- 
do, I,' 37. 

Axaroo , fratello di Rinaldo ; uccide 
Smeriglione e Viviano da Pontieri, 
XII, 25. — abbattuto da Antea.XVII, 
61. — uccide Liombruno, XXI, 60. 

Alcuiko,XXV, 34. — scrisse delle cose 
di Carlo, XXVIl, 79. — era stato suo 
maesUo, XXVIII, 16. — canU U 
vita di Carlo, ivi, 67. 

Au>A la bella, moglie di Orlando, 1, 18. 

rivede il marito alla cotte di Carlo, 

X, 20. — spettatrice della giostra in 
Parigi, da un ricco diamante allo sco- | 
nosciuto vincitore, XI, 40. — ■ na- 
sconde in sua casa re Carlo, ivi, 114. 
— lo palesa a Orlando, iVi, 117.— - 
piange la morte del fratello Olivieri 
e del marito, XXVII, 218. 

AutlNSUlSRi, atterra Ricciardetto e Oli- 
vieri,XX, 92.— uccide il Veglio della 
Montagna, iVi,95.— combatte con Ri- 
naldo, ivi, 97. — è riconosciuto da 
Orlando e da Rinaldo, ivi, 102. ■ 

gl’ informa della sua stirpe , ivi, 105. 

. — è batteixato, e coronato di Mur- 
rocco, XXI, 13. — uccide un leone e 
un gigante al castel di Creonta , ivi, 
31. -- s6da Diliante, XXII, 93. — 
uccide Diliante , ivi, 104. — va con 
sue genti in Francia, ivi, HO. — va 
a Parigi, ivi, 115. — è ferito a morte 
da’ Maganzesi , ivi, 128. — riabbrac- 
ria suo padre, e muore, iw, 14i. 



Alfamsmoke, antico autore, che fece gli 
statuti delle donne, XIX, 153. 

Axjiansobe, arcaito, da cui ebbe il Sni- 
dano quel cavallo , cavalcato poscia 
da Antca, XV, 105. 

Almonte , già ucciso da Orlando , 
XXVIII, 56. 

Aitachiara, spada d’UUvieri, X, 4-4, 
e altrove. 

Amostante di Persia , è assediato dal 
Snidano, XII, 39. — fa triegua seco, 
ivi, 83. — perde lo stato e la vita. 
XV, 72. 

Argiolino di Bellanda, ucciso da Mar- 
garitone, XXVII, 43. 

Asgiolino di Bordea, paladino di Fran- 
cia; morto in Roncisvalle, XXVI, 7S. 

Angiolino di Guascogna; viene alle 
mani con MattafoUe, e rimane pri- 
gione, Vili, 94. — ucciso da Marsi- 
bo, XXVII, 12. 

Animali d’ ogni specie, dipinti nel pa- 
diglione di Luciana, XIV , 46. 

Anselmo, conte, che fece prodesse nella 
battaglia di Roncisvalle; e vi mori, 
XXV, 99. — per mano di MaluBrro , 
XXVII, 93; XXVIll, 91. 

Ansuigj, già lasciato a guardia del santo 
sepolcro, fu costretto a fuggirsene, e 
incontra Carlo, XXVII. 192. — si 
marita con Luciana, XXVIII, 27. 

ANTEA,6gliuola del Snidano bellissima ; 
vuol ire in Persia aRinaldo, XV ,96. — 
ordina le schiere , e giugne in Persia, 
XVI, 2. — espone l’ imbasciata di tuo * 
padre, ivi, 5. — s'innamora di Rinal- 
do; egU di lei, ivi, 20. — giostra con 
Rinaldo, ivi, 66. — giostra con Bli- 



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4fO 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



vieri, c l’ abbaile, iVi, 71. — alibattc 
Ricciardetto, wi,l ^ — > giostra tutto 
un giorno con Orlando, ivi, Ul. — 
leva il campo di Francia, ivi, Q(L — 
induce Rinaldo a cambalter il Veglio, 
XVII, Si — ordina l’esercito per 
Francia, iVi, 20. — accampasi a Mon- 
talJiano, ivi, 50. — a])])atte e fa pri- 
gioni Alardo e Cuicciardo, iVi. 59. 
fa bastonar Gano ben bene . ivi, 

— va al castel di Creonla, XXI, ^ 

— tornasene a Babillonia, ivi. Di. — 
fu coronata di Babillonia, ivi, SS. — 
prepara esercito per Francia, XXIII, 
.53. — arriva con 1* esercito in Fran- 
cia per vendicare suo padre, XXIV, 
57. — - abboccasi con Orlando , ivi , 
dl5. — giostra seco, ivi, 122. — coin- 
])alte, e resta al disotto, ivi, 113. — 
partesi di Francia con 1* esercito, ivi, 
17S. 

Ahaiso, già signore di Benerento, 
XXVIII, 92. 

Arcamda, capitanessa delle donne guer- 
riere di Saìiscaglia, XXII, ISii — ab- 
batte Guicciardo, ed c uccisa da Alar- 
do, ivi, Ì67. 

Arcaliffa di Baidarca; va con Marsilio 
in Ronrisvalle, XXV, ISO. — ferisce 
a morte UUvieri, ed c ucciso da lui, 
XXVII, sa. 

Arghilagio, tra passato in Francia col 
fratello Calavrione per vendicare il 
Veslio, XXII, l7t — sconfortasi 
dell’ arrivo d’ Orlando, ivi, ■ — 
rimena via le sue genti dopo morto 
Calavrione, ivi, 214. 

Archilesse, cugino dell’Arpalistaiè uc- 
ciso da Rinaldo, XXII, ITA. 

Aelotto, re di Soria ; va con Marsilio 
in Roncisralle, XXV, I76. — morto 
per man d’ Astolfo, X^VI, SO. 

Arnaldo di Bellanda, paladino di Fran- 
cia, XIX, -162. — scrisse di Carlo, e 
delle grand’ imprese di Rinaldo in 
Egitto, XXVII, SO, — fa strage di 
pagani, ivi, 233. 

Arpalista, giostra cqn Rinaldo, iVi, 1 Ih, 

— retta aLliatlato con la perdita 
d’una'mano, e -si olililiga a trovare 
Orlando, ivi, 132. — va in Francia , 
giostra con Gano', e lo abbatte, fot. 490. 
— ritorna Gano in grasia di re Carlo, 
ivi, 808. — è morto da Calavrione , 
iVi, 2H, 



Astarotte, diavolo, scongiuri da Ma- 
lagigi, XXV, 4 19. — porVRinaido 
e Ricciardetto in Roncisvalle. ivi. 210- 

— di molte belle cose racconta a Ri- 
naldo per via, ivi, 228. — gli si rac- 
comanda d’ una grasia, e sparisce 
co’ suoi compagni, XXVI, Sfi. 

Astolfo, cugino d’ Orlando j vuol dare 
della spada sulla testa all’ ambascia- 
tore Mattafolle, Vili, 39, — resta 
irigione di Lionfanle, sotto Montal- 
>ano , ivi, 44. — è liberalo da lui , 
ivi, 49. — partesi di Parigi, e si' fa 
assassino, XI, 19. — va alla giostra 
in Parigi, ivi, 28. — è preso da Ga- 
no, ivi, 42. — è menato alle forche, 
ivi, 12. — è liberato da Orlando, ivi, 
102. — domanda perdono a Carlo, e 
Carlo a lui, ivi, 133. — è fatto Gon- 
faloniere in soccorso d’ Orlando, XIII, 
24. — va per liberar Rinaldo da 
Creonta, XXI, h\. — è abbattuto da 
Liombruno , Ivi, 48. — arriva al ea- 
stel di Creonta, ivi,Qh ± — adirato con 
Rinaldo, si parte solo, ivi, 19. — al- 
loggia con tre romiti , dove gli fe fu- 
rato il cavallo, ivi, 83. — ritrova il ca- 
vallo, e gastiga quelli che l’avevan 
rubato, ivi, 88. — arriva a Comiglia, 
ivi, 101. — giostra con Chiaristante, 
ivi, 135. — e coronato di Comiglia, 
ivi, 149. — è ritrovato da Orlando, 
ivi, 158. — uccide Arlotto di Soria, 
XXVI, 40. — 4 morto in Roncisvalle 
dal re Balsamino, XXVII, 47. 

Atirora descrìtta, VI, 2. 

Avino, fratello di Bcrlinghieri ; com- 
batte con Mattafolle, e divicn suo pri- 
gione, Vili, 92, — piange nel vedere 
Astolfo menato alle forche, XI, 84. 

— uccide il re Balsamino in Ronci- 
svalle, XXVII, 83 — vi è morto, ivi, 
88 . 

Arotio, giostra con Mattafolle, e resta 
prigione. Vili, 93. — morto in Ron- 
cisvallé, XXVII, 82. 



Babillonia, presa da Orlando con l’aiu- 
to di Morgante, XIX, i67. 

Boiardo, cavallo di Rinaldo; dk un 
morso a un saracino che dallo spasi- 
mo ne muore , III, 4fi. — rubato da 
Malagigi a Rinaldo , V, 24. — resti- 



INDICE DEI NOUl E DELLE COSE NOTABILI. 



441 



tuitogli, iVi, S5. — scamlnatogli con 
Vegliantino dal medesimo, X, — 
si azzuffa con un cavai salvatico, XIII, 
6.Ì. — rubato al suo padrone da un 
pastore , e venduto al Snidano, XVI , 
I(>7. — ritrovato da Rinaldo, XVIII, 
•12. — desta il padrone con una zam- 
pata nello scudo , acciò non lo sor- 
prenda il nemico, ivi, SI- 

Balahte, vecchio autorevole che rac- 
conta a Rinaldo le scelleraggini di 
Vergante, re d’Arna, XIII, il ;X1V , 
21. — offre a Rinaldo , in nome de’ 
principali cittadini, quanto gli fa bi- 
sogno per la liberazione d’ Orlando , 
ivi, 27. — è sposato a Chiariella , 

XVI, aa* 

Baldovino, figliuolo di Gano, • 

fu raccomandato a Marsilio , XXV , 
■IflO. — creduto traditore da Orlan- 
do, XXVI, 4, — uccide Mazzarigi , 
XXVII, 8- — è morto da’ pagani , 
ivi, i!L 

BalsAmino, re, nell’esercito di Marsi- 
lio, XXV, 179. — uccide Astolfo , 
XXVII, li- — ucciso da Avino, ivi, 
23- 

B.alucante , va con Luciana in Levan- 
te a soccorrere Orlando, XIV, 38, — 
partesi di Persia, XVI, 94. — va con 
Marsilio in Roncisvalle, XXV, IML 
— sconfitto fugge, XXVII, 98. — 
ucciso da Carlo, iVi, 231. 

Bahtolommeo , ostiere fuori di Parigi, 
XI, 31L 

Jìattaglia in Roncisvalle, XXVI, 50- — 
fu nel 806, il dì di San ^Michele di 
maggio, XXVII, 111- 

Beatrice, madre di Rinaldo, XII, 31. 

Belfiore , castello del re Filomene) , 
presso alla riva del Milo, XIX, 9- 

Bellezze di Meridiana, VI, 17. — di 
Antea, XV, 91L 

Beltramo di Maganza ; era andato per 
prendere Montalbano, XXII, 124. — 
è ucciso da Bcrlinghieri , iVCl29. 

Beltramo, gigante , fratello di Speran- 
te. Sue crudeltà verso Florinctta da 
lui Tul>ata , XIX, 12- — ucciso da 
Margotte, ivi, 4Q, 

Berlinghieri , figliuol di Marno; valo- 
roso in armi, Vili, 43.— combatte 
con Mattafolle , e rimane prigione , 



ivi, 12- — sue qualità, ivi', 90- — 
uccide Beltramo di Maganza XXII, 
129. — fa grand', prove di valore , 
ivi, 130. — feris e Finadusso, XXVI , 
73. — 1’ amir.jzza , ivi , 136. — è 
morto da Malducco , XXVII, 58- 

Berkaroo da Pontieri , ucciso da Ri- 
naldo, IH, 22- 

Behta, figlia dell’ imperadorc Eraclio, 
e madre di Carlo Magno, XXVIII, 
127. 

Biarciardino, era ambasciador in Frau- 
cia, e ritornosscne, XXIV, 13- — al- 
loggia Gano a Siragozza, XXV, 25- 
— va con vettovaglia a Roncisvalle , 
ivi, 1S3. — dassi alla fuga , XXVII, 
98. — nella presa di Siragozza fu ri- 
trovato in un sacco di stoppa , ivi, 
260. — è fatto impiccare da Carlo, 
ivi, 285. 

Blanda , regina di Siragozza , madre 
di Luciana, XXV, 113. — è salvala 
nella rovina di Siragozza , XXVII , 
249. — è rimandata al padre nel re- 
gno di Granata , iW, 286. 

Bravieri , che abbatte tutti i paladini 
di corte , XXVIII, 64. 

Brunamonte, gigante, già morto da 
Rinaldo, XVI, 14j XVIII, 91- 

Brunetta, ottiene il vanto della bel- 
lezza , merce di Rinaldo che per 
amor di lei entrò nella giostra , e 
vinse, XXII, 224- 

Brunoro, parente di Morgante ; va alla 
badia per vendicare i suoi fratelli Ala- 
bastro e Passamonte uccisi da Orlan- 

■ do, HI, 33. — è morto da Rinaldo, 
ivi, 70. 

Brusbacca , nel campo Pagano con 
Marsilio ,-XXVI, 129. — ucciso da 
Blivieri, XXVII, 52-, 

Buiaforte , ‘figliuol del Veglio della 
Montagna. Si fuggi in Ispagna pres- 
so Marsilio, XXIV, ^ ivi, 156. 
— va con l’esercito in Roncisvalle, 
XXV, 179. — abbattuto da Orlando, 
gli si dà a conoscere , c svela il tra-^ 
dimento, XXVI, 144. — ucciso da 
Rinaldo , XXVII, 25- 

Buovo d’ Agrismonte , zio di Rinaldo, 
XXIII, 1 2. 

Burrato , voleva liberar Florinelta , 
XIX, 30- 



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442 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



c 

Calandbo , nipote del re Falcone ; c 
ucciso da Orlando, KVII, 8A. 

CALAvniONE, fratello dell’ucciso Veglio 
della Montagna; passa in Francia con 
esercito per vendicarsi, \XII, 4£. — 
alla corte di Carlo Magno, iVò 151. — 
è morto dall’ Arpalista , e l’esercito 
suo è rinienato da Arcbilagio, ù'i, 211. 

Cak di Gattaia, morto da Rinaldo, 
XXI, (L 

CAPBATOLLE,cbe faceva cbianursi Fuli- 
gatto, XXII, 2LL 

CAHADono , re ; assediato da Manfre- 
donio, II , 12. — sua parlata a Ri- 
naldo e compagni venuti a difender- 
lo, VI, 12. — accompagna dieci mi- 
gba fuori della città i paladini di 
Francia cbe da lui si partono, IX, 13- 

Cablo Magno Imperatore Romano ; si 
stava in Parigi con tutta la sua corte, 
I, 2. — mesto per l’assenza d’ Or- 
lando e degli altri paladini. III, 20. 
— provvede per la venuta in Fran- 
cia dell’ esercito d’Erminione, Vili, 
36. — sconsolato per la disfatta de’ 
suoi, (ci, 24, — bandisce di corte Ri- 
naldo perche lo menti per la gola, XI, 
15. — ordina una giostra in Pa- 
rigi, «Vi, 25. — vuol fare impiccare 
Astolfo, IVI, 60, — Oigge la furia di 
Rinaldo, (ci, 109. — ritorna in sedia, 
tei, 152. — ba in sua mano Ricciar- 
detto, e lo vuol fare impiccare, XII, 
10. — fugee di nuovo la furia di Ri- 
naldo, ivi, 2 8. — è restituito in sedia, 
XIII , 22. — rimanda Meridiana al 
padre Caradoro, XVIII, HO. — ri- 
ceve Orlando e gli altri cbe tornavano 
in sua difesa, XXII, HA. — riceve 
CalasTione, ivi, 151. — va a campo a 
Pontieri, ivi, 1 54. — perdona a Gano, 
ivi, 209. — torna cou la corte a Pa- 
rigi, ivi, 215. — entra nella battaglia 
contro Antea, XXIV, 128. — cade di 
* cavallo, ivi, 135. — resta vincitore , 

■■ ivi, 1.A2. — manda Gano in Ispa- 
gna a trattar la pace col re Marsilio, 
XXV, 3. — sente il corno d’ Orlan- 
do, e conosce il tradimento, XXVII, 
161. — fa fermare il sole, ivi, 12A, — 
s’incontra con An.viiigi, ivi. 192. — 



sii^e dove era Orlando morto, <»•/, 
202. — rompe Balugante cbe s’ era 
rifatto, ivi, 2M. — va con l’ esercito 
a Siragozza, ivi, 234. — pigliala, e la 
disfa, ivi, 239. — torna in Francia 
con l’esercito, ivi, 286. — muore in 
Aquisgrana dopo quaranitUe Anpi di 
regno, XXVIII, 49. — neM^MS.l’an- 
no 22 dell’età sua . ivi. llQ. — sìTn 
testamento, ivi, 112. — qualità di 
Carlo, ivi, 119. 

Cablotto , già morto dal Danese , 
xxvni, 64. 

Casteljalcone, castello di Creonta,XXI, 
2L — come munito , ivi, 25. 

C.ATTABHIGA , smisurato gigante; con- 
dotto in Francia da Antea, XXIV, 52- 

— è colto alla pania per l’arte di Ma- 
lagigi, iVi, 90.--e dileguasi, ivi, 102. 

Cavallo (i‘ Antea, e sue fattezze, XV, 
105. 

Chiar.amonte, abate e cugino iFOrlan- 
do , ^ 20. — liberato dalle mani di 
Brunoro per opera di Rinaldo, Dli- 
vieri e Dodone , III , 2^ — dà ad- 
dosso co’ suoi frati ai compagni di 
Brunoro, ivi, 23. — dice di se a Ri- 
naldo , e come si rendesse frate, ivi , 
77. 

CuiARiELLA , 6gliuola bellissinu del- 
l’ Amostante di Persia, XII , 40. — 
s’innamora d’Orbndo, ivi, 80. — 
ba cura d’ Orlando prigione, XUI, 2. 

— c gittata in terra da dorante , XV, 
42. — tradisce il padre, ivi, 20. — 
è coronata dello stato del padre, ivi, 
87. — è sposata da Belante, XVI, 23. 

'CuiARiELLo , gigante cbe fu ucciso da 
Rinaldo, XVI, i4; XVIII, 2L 

CiiiAHiELLO, re di Portogallo ; va con 
MarsiUo in Roncisvalle , XXV, 179. 

— ucciso da Orlando, XXVII, 19. 

CuiARioNE, ostiere in Monaca, XX, 63. 

— si battezza con una sua6glia,XXI, 
14. — è fatto governatore del regno, 
ivi , 12. 

CniARiSTANTE , re di Corniglia, signor 
crudelissimo, XXL 101. — ucciso da 
Orlando, ivi, 142. 

Chisiento, si scuopre a Orlando, 11,53. 

— sua novelletta , ivi, 55. — torna 
in corte di Carlo, recando notizie di 
Orlando, 111, 21. 

Chiroke, iiundato da Carlo a Marsilio ; 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



443 



restò morto, XXVII, 266 j XXVIII, 

64. 

CiKirro. Sotto questo nome si presenta 
Rinaldo al tiranno Vergante, come in- 
viato da Maometto, XIV, 6. 
ClBKXNZiA, sorella d’Erminione, e mo- 
glie del re Mamlirino, Vili, 45. — 

— suoi doni al messaggiero di Gano, 

wi, 21. 

Combattimento tra Lionetto e Orlando, 

II, IL — tra Orlando e Meridiana, 

III, 13. — tra Orlando e Rinaldo, XV, 
21. — tra Orlando e Antea , durato 
un giorno intero senza vantaggio d’al- 
cun di loro, XVI, 75. — tra Rinal- 
do e il gigante Salincorno, di notte- 
tempo, XVlll, S6. — tra Calavrione 
e l’Arpalista, dove tutti e due riman- 
gono morti a un tratto, XXII, 213. 

— tra Orlando e Antea, XXIV, 122. 
Consiglio che fa Carlo, XXIV, 37. 
CoPARDO, fratello di Chiariella , ardito 

e forte, XV, 45. — resta abbattuto da 
Cotante, ivi, 50. — è liberato, ivi, 62. 

— tradisce il padre, ivi, TiL — è co- 
ronato re della sua patria, ivi, 33, 

CoRARTB , gigante ; segue Rinaldo in 
aiuto d’ Orlando, XIV, 30, — ab- 
batte Cbiariella , XV, 46. — abbatte 
Copardo, ivi, 5L — è morto da 
Orlando , ivi , 54. 

CoHBANTE , te della città di Carrara , e 
padre di Forisena, IV, 41, — fa inta- 
gliare in marmo con lettere d’oro i 
nomi di Rinaldo, Dudone e Olivieri 
che avevano ucciso il serpente, ivi, 
77. — si battezza con tutto il suo re- 
gno per conforto di Rinaldo, rVi.lOO. 

— sua disperazione per la morte 
della figliuola, che alla partenza d’Cli- 
vieri si giltò da un balcone, V, 18. — 
le fa il sepolcro , scolpendovi con le 
proprie sue mani l’ epitaflfio , ivi, 21L 

Cordnha, patria d’ Avicenna e d’Aver- 
rois , XXV, 254. 

Corniglia , città dove regnava il gi- 
gante Chiaristante, XXI, 102. 
Cortona, spada d’Orlando, I, 35 ; II, 
52. — data a Olivieri, VII, 48. — 
ripresa da Orlando per contro a Ri- 
naldo, X, 25. 

CREorcTA. Suo castello incantato, XXI, 
2.5. — bruttezza di lei, ivi, 26. — è 
morta, ivi, 73. 

Crudeltà di Fnligatto, XXII, 245. 



D 

Danismarca, paese del re Erminione, 
IX, 16. — c presa da Rinaldo, e con- 
vertita alla fede di Cristo, ivi, 32. 

Descrizione di un terribile mostro, V. 
32. — del cavallo di Meridiana, IX, 
fifl. — del cavallo e padiglione di 
Marcovaldo, XII, 42.— delti fierezza 
d’un cavallo salvatico, XIII, 5L — 
del padiglione donato da Luciana a 
Rinaldo, XIV, 44. — del cavallo di 
Antea, XV, 105. — d’una tempesta 
di mare, XX, 3L — della bruttezza 
di Creonta, XXI, 26, e 46. — del pa- 
diglione d’ Antea, XXIV, 4 72. — dcl- 
1’ esercito di Marsilio, XXV, 476 ; 
XXVI, 45. — d’animali poco cono- 
sciuti, oltre a quelli eh’ erano ritratti 
nel padiglione di Luciana, ivi, 212. 

— della presa e incendio di Sira- 
gozaa, XXVII, 232. 

Desiderio, re de’ Longobardi, XXVIII, 
61. — dominò per ventiquattr’anni 
l’ Italia sino alla venuta di Carlo Ma- 
gno, ivi, 74. — assediato in Pavia , 
ivi, 73. 

Dichiarazione della forza dell’arte ma- 
gica, XXIV, 406. 

Difesa , e scusa dell’ autore, XXVIII, 
122, 

Dili.vnti, signore di Villafrancaj convita 
Rinaldo e gli altri, XXII, 39. - — gio - 
stra con Rinaldo, e se gli arrende, ii'i, 
49. — giostra conAldinghieri,e da lui 
è ammazzato, ii’i. 104. 

Dodone, uccide un pagano. III, 53. — 
c abbattuto da Morgante, c tratto al 
padiglione di Maniredonio , VI, 38. 

— sta per essere impiccato da Man- 
fredonio, e Morgante lo libera, VII, 

13. — è spedito a re Caradoro a ri- 
chiamare Morgante per l’ impresa di 
Montalbano , ove Erminione osteg- 
giava Carlo j IX, 47. — giugne in 
Corniglia dov’ erano i paladini, e gli 
avvisa della passata di Calavrione in 
Francia con 440,000 pagani, XXII,* 

14. ' • 

Doglienxe della mort^^ Aldinghieri ^ 

Dokbrvho , gigante , Ira^IIo di Salin- 
corno e messaggei^di lui al re Fai- 



444 



INDICE DEI NOMI- E DELLE COSE NOTABILI. 



cone por il Iriliuto ; è alilialtuto da 
Orlando, XVII , i)0. — olililina>i clic 
al re Falcone non sarà più domandalo 
il triliuto, ivi, 106. 

Dombl'Oso, XXVIIl, hi . 

Donchiabo, già morto da Orlando, 
XXVI, 109; XXVIl. 117; XXVIIl, 
ai 

Dormi (il). Così chiamaiasi Toste che 
fu rullato da Margotte, e arsagli l’oste- 
ria, XVIll, JJÌ2. 

Dulivakti! Filaci, morto da Fuli- 
gatto, XXlll, aiL 

Dura forte , già cavallo del Danese, 
XXVIIl, £4. 

Durlindana, spada di Orlando ; toltagli 
di mano da Olivieri perché non ucci- 
desse Oano, I, iiL — riavuta da Or- 
lando, VII, -ilL — scambiatagli da 
Malagigi con quella di Rinaldo, X, 
71). — resa da Rinaldo a Orlando , 
poiebì- si conobbe la burla di Mala- 
gigi, ivi, 1 1 1. — glifla cinse la pri- 
ma volta l’angelo Michele, e (se- 
condo altri) San Giorgio e la fata 
Morgana, XXV, Idi. — sua robu- 
steua. XXVII, lOS. — dal cadavere 
d’ Orlando consegnata a Carlo, ivi, 
lilKi. — é da questo gettata in mare, 

XXVIIl, ai. 

E 

Ecibardo , duca ; era con Orlando in 
Rnnci.svalle, XXVI, 6 i. — vi fu morto, 
XXV li, 82. 

Enigma, XXI, iS e 49. 

Epitaffio alla tomba di Orlando in Aqui- 
sgrana, XXVll, 220. — al sepolcro 
di Carlo Magno, XXVIIl, 109. 

Ehmeclina, I^ il. 

Eruiniori, fa esercito per Francia, Vili, 
2a. — giugne con l’esercito in Fran- 
cia, iVi,aiL— è assaltalo da’Crisliaiii, 
, IX, 2ÌL — combatte con Rinaldo, X, 

. ài. — libera i prigioni , ivi, 70. — 
faui cristiano, ivi, 4 17. 



Faiurro , ordina un trattato pel quale 
Rinaldo e’ compagni si fecero signori 
di Danismarcà, lX,ilÌL — va con essi 
in Francia contro a Erminione, ivi. 



£S. — giunge a Parigi , e conosce 
Carlo che gratamente loaccoglie,X, i. 
Falcone, re, XVII, S3. — narra a Or- 
lando come egli fosse per dover dare 
la propria GgliuoU in tributo ai gi- 

f ;anti, ivi, 93. — iTc liberato da Or- 
ando, ivi, 131. . 

Fallaleacchio , enorme gigante, por- 
tato in Francia da Antea, XXIV, àlL 
— è coho alla pania per l’arte di 
Malagigi, ivi, 91L — e sparisce, ivi, 
402. 

Falserone, va in Francia ambasciadore 
di Marsilio, XXIV, 142. — abbrac- 
cia Orlando, e gli perdona la morte 
del iìgliuol suo Ferraù , ivi, l.l9. — 
alloggia con Gano, ivi, 1 67. — visita 
Antea, ivi, 171. — partesi da Car- 
lo, XXV, 2. — c morto da Orlando 
in Roncisvalle, XXVI, 62. 

Favola della volpe e del gallo , rac- 
contata da Rinaldo , IX, 12. 

Ferraù, Ggliuol di Falserone ; era già 
stato morto da Orlando, XXIV, 16 ; 
ivi, 158. 

Fidasso, va con Marsilio in Roncisvalle, 
XXV, 177. — é morto da Rinaldo, 
XXVII, 26. 

Fieramokte di Balzia, nell’esercito di 
.Marsilio, XXV, 122. 

Fieramokte, fratello d’Erminione ; gio- 
strando con Rinaldo , è da lui ucciso, 
IX, 18. — sue tristizie palesate poi 
da Faburro, ivi, 28. 

Filiberta , moglie del gigante Chiari- 
stante, signor di Cornigba, XXI, 102. 
— dopo 1’ uccision del marito , era 
fuggitasi ad un castello, ivi, 155. — 
va per aiuti a Rinaldo , ivi, 161. — 
c coronata del regno del marito , 
XXII, li, 

Filisetta, regina di Sardona, XXII, 
255. — fa mata accoglienza a Rinal- 
do , ivi, 257. 

Filomf.ko, signor di BelGore, XIX, 2. 
— dopo sette anni rivede la sua 6- 
gliuola Florinetta , statagli rubata dal 
gigante Beltramo, e ricondottagli da 
Morgante, ivi, 115 

Fikadusso, Gerissimo gigante negro; 
va con Marsilio in Roncisvalle, XXV , 
177. — ferito da Berlinghieri, XXVI, 
II. — ucciso da lui, ivi, 136. 



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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



445 



•Finzione di Gano per lilieursi dall’as- 
sedio, XXII, IM. 

F 10 RBLI. 0 , re; va con Marsilio in Hon- 
cisvalle, XXV, 470. — ucciso Ha 
Malico del Monle di San Michele , 
XXVI, MIL 
Fiovo, xxrv, 23. 

Firenze, fu aldicllita da Carlo Magno, L 

7j XXVIII, IQQ. 

F 1 . 0 BINETTA, in catene , e guardata da 
un lione, XIX, 5. — • narra a Mor- 
gante 1’ esser suo, e come fu rapila, 
da un gigante, e come sia harliara- 
mente da lui trattata , ivi, 2. — c 
liberata da Morgante , u'i, 54. — ar - 
riva a casa di suo padre Filomeno , 
guidata da Morgante e da Margultr. 
XIX, 112. 

Ftono e Fabesse, due spiriti folletti, 
mandati t regalare a Carlo da Marsi- 
lio, XXV, 22. 

Fonte dove Irebbe S. Iacopo di Callizia, 
la quale libera gl’indemoniati, XXV. 
4fil. 

Fobisena, figliuola di Corbante. Sue lo- 
di, IV, li — è iimamorata d’ Olivie- 
ri, ivi, SO. — nella partila di Olivieri 
si precipita da una finestra, e muore , 
V, il. 

Fortjina di mare, XX, 31. 

Frasmonoo, maganzesc ; si prova con 
Rinaldo alla giostra di Parigi , cd è 
abbattuto, XI, 33. 

Fnisberta, spada di Rinaldo, III, 55 
e altrove. — scambiatagli da Malagigi 
con quella di Orlando, X, 12. 

Folio atto, e sue qualità, XXII, 250. — 
giostra con Rinaldo, e se gli arrende, 
XXIII, S. — c battezzato da Rinaldo, 
ivi, 2fi. — uccide Dulivante Pilagi . 
ivi, 3lì. — fu ucciso dalla fantasima, 

XXV, 121, 

G 

Galaebo , padre di Marsilio , XXV 11 , 
2 & 1 . 

Galigante, crudelissimo re di Sardo- 
na, già morto da Orlando, XXll, 
254. 

Gallebana, regina. A Rinaldo, vincitor 
della giostra di Parigi, dona un rubino. 
XI, 32. — intercede per Ricciardet- 

II. 



to , condannato da Carlo alle forche , 
XII, 15. — mena al palagio Rinaldo, 
che conquista la seconda volta Pa- 
rigi, e se ne incorona, ivi, 31. 

(rAlLEBANO , alla corte di Marsilio , 
XXV , 22. — ucciso da Rinaldo , 
XXVII , 21. 

G.U.LIANO. Nome finto di Astolfo, quan- 
do si .sfidò con (ihiaristante, c divenne 
signor di Corniglia, XXI, 125. 

Gabo, insidia Orlando, C 41 . — manda 
lina spia dietro ad Orlando, 11, IL — 
avvisa Caradoro, che Rinaldo cd altri 
sono in sua corte, VI, 50. — avvisa 
Manfredonio del medesimo, VII, 22. 

— scrive a Erminione che vada a 
.Montalbano con esercito. Vili, li. 

— oliera a tradimento Montalbano 
aLionfante,lX,12. — è imprigionato 
da lui, ivi, 77. — fu liberalo, iVi, 20. 

— giostra con Faburro, X , 4, — 
leva romore in Parigi che Carlo tra- 
disce i Cristiani , ivi, 13. — fuggesi 
per questo. iVi. 48. — avvisa Caradoro 
che Meridiana è concubina d’ Ulivieri, 
ivi, 422. — scrive a Carlo in sua scusa, 
e ritorna in corte, XI, 2. — è ab- 
battuto da Rinaldo nella giostra di 
Parigi, ivi, 37. — fa prigione Astolfo, 
c lo dà a Carlo, ivi, 4L — si dà pri- 
gione a Orlando nella fuga, dopo il 
fatto di Astolfo, ivi, 415. — ordina 
tradimento contea Rinaldo, XII , L 

— piglia in agguato Ricciardetto , 
c lo presenta a Carlo , ivi, IH — è 
ferito da Rinaldo , ivi, 22, — va cer- 
cando di Rinaldo, c capita nel cam- 
po del .Snidano in Persia, XV I,S3.. — 
opera che il Snidano levi il campo , 
ivi, SiL — consiglia che mandi Ri- 
naldo a conquistare il Veglio, XVII,’ 
fi. — e che si vada col campo aMonlal- 
liann, 101 , 20. — va con Antea a’ danni 
di Rinaldo, ici, 30. — consiglia Antea 

• che impicchi G u i cc i ardo e AÌ a rd o, tot, 
fit — è bastonato per questo da’Ma- 
iiialuccbi d’ordine d’Antea, c lo met- 
tono in prigione, iV»,2Ì.^rLè liberato 
a’prcghi di Malagigi, e va verso Paga- 
nia, XX , 4. — trova .quel pastore 
che rullò il cavai di Rinaldo, e l’ im- 
picca, ivi, 10. — uccide un gigante, 
e dagli altri è fatto prigione e me- 
nalo a Creonta, ù’i, 14. — è liberato 
da Creonta, XXI, 5L — tradisce Al- 

38 



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INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



ilinghieri a Diliante, XXII, 75. — va , 
ron esercito a Montalbano, iVi, 123. | 
— • e rotto sotto MontalUano , ivi, 
^38■ — vassene a Pontieri, e quivi è 
assediato, ivi, 153. — giostra , ed c 
abbattuto dall’ Arpalista, ivi, 191. — 
manda l’Arpalista a impetrar perdono 
da Carlo, ivi, 20 i. — chiede perdono 
a tutta la corte, ivi, 210. — chiede 
perdono a Rinaldo, ivi, 239. — torna 
in corte di Carlo, XXIV, 5, — per- 
suade il Soldano a venire con esercito 
in Francia, ivi, IIL — Olivieri gli dà 
una cefiàta, ivi, 42. — alloggia False- 
rone, ivi, 1C7. — va ambasciadnre a 
Marsilio, XXV, li. — espone l’amba- 
sciata in pubblico, ivi, 2fi. — com- 
pone con Marsilio il tradimento, ivi, 
Ói — scrive a Carlo del tributo, ivi, 
87. — partf.si daMarsilio per Francia, 
ivi. Ilo. — è fatto pigliar da Carlo , 
XXVII. ICC. — è dato in preda al 

popolo, XXVIII, 7 è attanagliato, 

ivi. 11.: — c squartato da quattro ca- 
■valli, ivi, li. 

Chebardo da Rossiglione, padre d’Al- 
dinghieri , XX, 105. — vede cader 
morto a’suoi piedi il proprio 6gliuo- 
lo , XXll, l i l. — sviene sopra di lui, 
ivi, 143. 

Giganti d’Antea, son presi alla pania. 
XXIV, aiL 

Gioiosa, spada di Carlo Magno, XXIV, 
12!4.. 

Giostra fatta in Parigi, XI, 22. 

Gis BERTO, a cui appartenne il cavai 
salvalico , che fu poi domato da Ri- 
naldo, XIII, 51. 

Gostaktino, gigante, già morto da Ri- 
naldo, XVIII, ai. 

OosTANzo, re della Bellamarina, XVI, 
32. — va COI» Orlando in soc- 
corso d’ Olivieri e di Ricciardetto, 
XVllI, 2. — ha licetiza dal Soldano di 
visitare i due prigionieri, ivi, 22. — 
è ucciso nel combattere, ivi, 25. 

GRArriGNA (il). Sotto questo nome si 
spiccia Mafgutte adun osliere,XVIII, 
172. 

Gbandokio , gigante pagano ; abbatte 
Olivieri e Chiariella, XV, Ifi. — va 
con Marsilio in Roncisvalle, XXV, 
ISO. — uccide Sansonetto, XXVII , 
10. — è ucciso da Orlando, ivi, IL 



, Greco di buona dottrina; uno de’pa- 
I droni della nave, sulla quale s’imbar- 
carono Orlando c Rinaldo, XX, 22. 
— si battezza, e sposa la figliuola di 
Chiarione, XXI, 12. — era stato 
spodestato del regno di Corniglia 
da Cfaiaristante , ivi, 143. — ne 
rimprovera la niperstite moglie del- 
r usurpatore , ivi, 162. — è ammes- 
so da Rinaldo alla successione del 
regno , moria che sia la vedova Fi- 
liberta, XXII, 3-1. 

Grifone d’AItafoglia ; si presenta il pri- 
mo alla giostra di Parigi XI, 25. — 
gittato in terra da Rinaldo, ivi, Sfi. 

Grifonetto, è accampato a Montal- 
bano con esercito di Maganzesi, XXII, 
18. — ■ è rotto , ivi, 1 38. 

Gualtieri da Mulione; combatte con 
Mattafolle, ed è fatto prigione. Vili, 
93. — morto in Roncisvalle, XXVII, 
82. 

Gu.ALTiERi, pagano ; si fa compagno di 
Rinaldo, ed entra seco in Babillonia, 

XVI, Ili. — è mandato da Rinaldo 
ad avvisare Antea del suo arrivo, 

XVII, a. 

Guicciardo, fratello d’Orlando e cu- 
gino di Rinaldo, XVII, 52. — ab- 
battuto da Antea , ivi, 52. — da Ar- 
calida, XXII, 167. — e da Archi- 
lesse, ivi , 171. 

Guottibuoffi , famoso vecchio Borgo- 
gnone; dubita di tradimento in Ron- 
cisvalle , XXVI, 5 — vi fu morto , 
XXVII, 82. 

I 

hnperator di fa esercito cen- 

tra Orlando c Rinaldo, XX, 58. — è 
ammazzato da Rinaldo, XXI, IIL 

Incantesimo guastato, XXI, 23. 

Incanto di Malagigi per fare mal capi- 
tare L due giganti venuti con Antea 
alla guerra di Francia, XXIV, 90. 

Insegna diLionfante,VIII,2L — d’Er- 
minione, ivi, 25 — di Faburro, fX, 
68. — di Luciana , XIV, 32. — di 
Dulivante Pilagi, XXIII, 40. — del- 
l’ esercito saracinesco, XXIV, fi2. — 
di Faberone, XXV, 197. — di Bian- 
ciardino, ivi. 198. — di Marsilio, ivi, 
122. — di Ansuigi, XXVII, 123. 



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INDICE DEI NOMI E DELI.E COSE NOTIBILI. 4 



Invettiva di Rinaldo al re Vergante, 
XIV, L — di Greco di buona dot- 
trina a Fililierta, XXI, — di 

A-Stolfo a Gano, XXII, 21. — d'Al- 
dingbieri a Gano, ivi, 121L 

Italia liberata da’Barbari, XXVIII, M. 

la 

Lamento di Manfredonio alla presenza 
di Meridiana, VII, IlL — di Meridia- 
na alla partita di Olivieri, IX, IL — 
della moglie di Caradoro, quando sep- 
pe che la loro Ggliuola Meridiana , 
andata in Francia, era gravida d’ Oli- 
vieri, X, I2Ó. d’ Astolfo, quando 
era alle forche, XI, 7S. — di Rinaldo 
perAnlea, XVI, 2SL — d’ Orlando per 
avere smarrito Rinaldo, XVII, 7-Ì. — 
di Fiorinetta incatenata, X IX, Sj — ^ 
Fiorinetta rapita e maltrattata da due 
giganti , ivi, 2!L — di Orlando per la 
morte del cavai Vegliantino, XXVll, 

101 di Orlando per la rotU in 

Roncisvalle, ivi, i05, — di Carlo 
quando trova Orlando morto, ivi, 2112. 
di Alda per la morte d’ Orlando, ivi, 
21 S. 

Lattanzio, cantò in Aquisgrana la vita 
di Carlo Magno , dalla nascita fino 
alla morte, XXVIIl, 

Leone, papa; mandò per soccorsi a Carlo 
Magno, XXVin, 1111. 

Leone, che guida Rinaldo , Dudonc e 
Ulivieri, IV, — s* dilegua da loro 
in un deserto, IX, 14. — porta a 
Orlando una lettera di Malagigi, X, 
112 . 

Leopante, amostante di Canaria, XX, 
SO. — morto da Orlando, ivi, S6. 

Lettera di Gano a Caradoro, VI, bl . — 
di Gano a Erminionc, Vili, UL — di 
Gano a Caradoro, della gravidanza di 
Meridiana, X, 123. — di Gano a Car- 
lo, di scusa per rientrare in sua gra- 
zia, XI, 2- — di Rinaldo a Carlo, XIII, 
2*2 . — di Gano a Marsilio, XXIV, liL 
— di Gallo a Carlo, del tributo, XXV , 

sa. 

Liombkuho, nipote di Marsilio; è morto 
da Alardo paladino, XXI, ili. 

Lionetto, figliuolo del re Caradoro; 
valoroso in armi , II, fil. — assalta 
il campo di Manfredonio, ivi, IL — 



è abbattuto da Orlando, ivi, Ul — 
ucciso dal medesimo. III, S. 

Lionfante, va a campo a Montalbano , 
Vili, 31. — battezzasi, X, 120. 

Liobgante, gigante; ucciso da Rinaldo, 
XIV, ai 

Lode di Morgante dopo la morte per 
bocca d’ Orlando , XX, 32. — d’An- 
gelo Poliziano, XXV, 169; XXVlll, 

1 i.T. — di Maria Lucrezia Tornabuo- 
ni , ivi, 132. 

Luciana, figlia del re M.irsilio; ama Ri- 
naldo, Xlll. 71L= va con esercito alla 
liberazione d’nrl3ndo.XIV, 3,T. — do - 
na a Rinaldo un padiglione di mirabii 
bellezza, ivi, 42, — ^partesi di Persia col 
suo esercito, XVI, 94. — è da Carlo 
concessa a Rinaldo, nella rovina diSi- 
ragozza, XXVII, 23L — è mandata a 
Parigi da Rinaldo, fatta cristiana, e 
data per moglie a Ansuigi, XXVlll, 

27. 

Lupo, XXVlll, 13. 

Lutto nella città del re Gostanzo per la 
supposta morte di Uliva, Ggliuola di 
lui, XVII, 433. — in Parigi per la 
morte di Aldinghieri, XXII, 144. . 

M 

Maccabio, XXVlll, 60. 

Macchidante, XXVlll, 39. 

Magagna, capitan di Gano, IX, 71;X, 
3 ; ivi, 13. — ucciso da Rinaldo , 
ivi, li. 

Mainetto, XXIV, 27_: XXV, 32_~ 
come da giovinetto s’innamorasse di 
Gallerana, ivi, 33. — con esso nome 
era chiamato Carlo Magno , quando 
stava alla corte di Gaiafro, XXVlll, 
54. 

MaI-ACIGI , negromante , III , 3L — in 
forma d’un vecchio toglie il cavallo a 
Rinaldo, V, 22. — dà un’erba a Rinal- 
do, Dodone c Ulivieri, con la quale si 
possano torre la fame e la sete, sempre 
che vogliano, ivi. 32. — rende il cavallo 
a Rinaldo, e sparisce via sopra un al- 
tro che per arte fece subito formare, 
(V»,34. — scambia la spada e destrier di 
Rinaldo con quelli d’ Orlando, X, 19. 
impetra da Antea che Gano sia libera- 
to, XX, 4^— ge^ l’arte, e vede Rinal- 
do ed altri in gran pericolo, XXI, 33. 



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448 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTÀBILI. 



— va con Astulfu, Guicciardu, Alardu 
e AnU'a al cavici di Creonta, e guastano 
il suo incanto c ’l castello, ivi, iL — 
la per arte impaniare i giganti d’Aii- 
lea, XXIV, getta l’arte per sa- 
per di Rinaldo, XXV, 1 1 X — ra- 
giona con Astarottc , e gli conianda 
che vada per Rinaldo e per Ricciar- 
detto, c li conduca in Roncisvalle , 
XXV, il!). 

Malducco di Frassc; va con Marsilio 
in Roncisvalle, XXV, i 77. — dopo 
avere ucciso Bcrlingbicri e Ottone , 
cade per inan d’Orlando, XXV 11. ftS. 

XIalprimo, re ; va con Marsilio in Ron- 
cisvalle, XXV, i 77. — ucciso da Oli- 
vieri, XXVI, ali. 

Mahbrino re, cognato d’Erniinionc;già 
morto da Rinaldo, Vili, XVIII, 
21. 

MANrHEDONio, èa Campo a Caradoro, li, 
59. — vu(d fare impiccar Dodone, VII, 
13. — Morgante lo getta per morto in 
un fiume, iVi, 22. — risentesi, ed esce 
salvo dell’ accpia, ivi, 25. — vuol co- 
me disperato giostrar con Meridiana, 
ivi, 20. — leva il campo da Caradoro 
per consiglio di Meridiana, ivi, S.S. 

Marco c Matteo, del Piano ( o del 
Monte) di San Michele ; cumhattono 
in Roncisvalle, XXVI, Ili, Mat- 
teo uccide re Fiorello , ivi, 129 — 
uccisi ambedue da Margaritone 
XXVII, A3 

Marcovaldo, gigante; venuto col gran 
Soldano ad osteggiare l’Amostante di 
Persia, della cui figliuola, Chiariella, 
era innamorato, XII, 02. — ucciso 
da Orlando, ivi, A9. — qual grazia 
chiedesse a Orlando prima di morire, 
ivi, ù!L — è veduta l’ anima sua an- 
darne in paradiso, ivi. III 

Marc.ARItoke, re;nciresercilo di Mar- 
silio, XXV , 17^ XXYl, 129, — uc- 
cide Angiolin di Bellanda e i due fra- 
telli da San MicWele, XXVII, 10.' — 
è ucciso da Rinaldo, ivi, M. 

M.vrgutte, dice della condizione e qua- 
lità sue. XVlll. 11,0. — ruba un oste, 
c arde l’osteria, ivi, 17(ì. — ammazza 
con gli sproni Bcltraniogiganle, XlX, 
AO. — scoppia per le risa, e muore, 
ivi, 1 A7. 

Mahiotto, figliuolo dcirimperadore di 



Mezza, XVIII, IL. — venuto presso 
il Snidano per assistere all’ esecu- 
cuzione della giustizia nella persona 
di Ricciardetto e Dlivieri, XVIII, 4L 
— ucciso da Spinellone, ivi, ^ 
XX, 59. 

Mar.sm.io, re di Spagna; giostra con Ri- 
naldo, e resta abbattuto, XIII, 05. 

conduce seco in Siragozza Rinaldo e. 
i compagni , ivi, A4. — manda Lu- 
ciana con esercito in soccorso d’ Or- 
lando , XIV , Ofi. — manda False- 
rone ambasciadore a Carlo , XXIV, 
449 . — riceve Gano ambasciadore 
con grande onore, XXV, Ifì. — 
rompone con Gano il tradimento, 
ivi, 50. — divide le schiere per Ron- 
cisvalle, ivi, 17A. — conforta l’eser- 
cito, ivi, 4S5. — comparisce in Ron- 
cisvalle con l’esercito, XXVI, 8. - 
qualità, costumi e natura di Marsilio, 
ivi, 1 1 8 . — uccide Angiolino di Baio- 
na, XXVII, 12. — fuggesi sconfitto di 
Roncisvalle, ivi, 28. — fe preso in Si- 
ragozza, e gittato in sulla piazza , ivi, 
245. — è impiccato, ivi, idi 

Martello , XXVIII, 25. 

alt afellone, cavallo di Gano, XI, 38 ; 
XX, 10. 

M.ATTAriRRo, feroce Pagano; nel campo 
di Marsilio , XXVI , 129. — uccide 
Anselmo, XXVII, 93 —è ucciso da 
Rinaldo, ivi, 94. 

Mattafolle, re pagano; è mandato am- 
basciatore da Lioofante a Carlo Ma- 
gno, Vili, 38. — giostra con Uggeri, 
e l’ abbatte, ivi, 52. — vince Marno , 
ivi, £2. — conquide Berbnghieri, 
ivi, i2. — abbatte e fa prigioni 
Asino , Ottone , Turpino , Gualtier 
da Mulione, Salamon di Brettagna, 
Avolio, Riccardo di Normandia e An- 
giolin di Guascogna, ivi, 20. — tor- 
na a Montalbano , e presenta a Er- 
minione i prigionieri, ivi, 25. 

Mazzarigi , re; morto da Baldovino, 
XXV li, 8. 

Meri DI A HA, giostra con Orlando, III, 
15. — vuol combatter con Orlando, 
V, 5. — comliatte con Manfredonio, 
VII, 62. — scuopre il suo amore a 
Dlivieri, Vili, 8. — è da lui battezza- 
ta , e quindi ingravidata , ivi, IL — 
va con l’esercito in soccorso di Car- 



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INDICE DEI-NOUI E DELLE COSE NOTABILI. 



449 



lo, IX, ài. — jiiiialta il campo d’Er- 
minione , X , — combatte con 

Salincomo, e le rimane ucciio il ca- 
vallo, ivi, 33. — ritornasene al pa- 
dre, XVIII, llfl. 

Miiort d’Axglante, ^ 83. 

Milusse, diavolo; scudiere d’Astarutle, 
XXV, 203. 

Monaca, città e porto dove sbarcano 
Orlando e compagni, XX, 38. — è 
presa dai paladini di Francia, XXI, 
12 . 



Montagna d’Aspracorte, dove abitava il 
Veglio, XVII, 8. 

AIoranoo , balio di Carlo Magno , 
XXVIII, 34. 

Moesante, c fatto compagno d’ Orlan- 
do, ^ 48. acquista il battaglio che 
portò sempre, 11, 10. — si azzuffa con 
un diavolo uscito d’ una sepoltura, e 
lo vince , ivi, a . — impaurito per un 
sogno fatto, si fa battezzare, iVó 33. — 
afiòga un messaggio di Gano, ivi, ifi. 

— fa prigion Dodone, VI, 38. — H - 
bera Dodone, VII, 13. — getta Man- 
fredonio in un fiume , ivi, 23. — as- 
salta solo il campo di Manfredonio, 
ivi, 37. — resta con Meridiana a istanza 
d’ Ulivieri , IX, 33. — va con Meri- 
diana in soccorso di Carlo, l'W, 32. — 
combatte con Vegurto, e l’ammazza, 
X, Ufi. — rimena Meridiana al padre, 
XVllI, HO. — ]iartesi da Caradoro, e 
trova Margotte , il quale gli narra lutti 
i suoi vizi cb’ erano infiniti, ivi, 412. 

— ammazza un liocorno, tVt.490. — 

ammazza un lionc , XIX, 3. — coin- 
l>atte col gigante Sperante, e l’am- 
mazza, ivi, 32. — ammazza un basili- 
sco e un altro liocorno, io/, fili 

mazza un elefante, ivi. Ih, — e un 
coccodrillo, ivi, 408. — rimena Flo- 
rinctta al padre, ivi, 442. — partesi 
da Fiorinetta, ivi, 439. — trova Or- 
lando sotto Babillonia, ivi, 4.3fi. — 
assalta una porta di Babillonia, ivi, 
467, — falla rovinare con le scosse, 
e piglian la terra, ivi, 474. — im- 
barcasi con Orlando ed altri , XX , 
23. — ' fecesi albero c antenna , e sal- 
vò la nave, ivi, 42. — ammazza una 
balena, 101,43. — è morso da un gran- 
chio, e muore, ivi, 30. — sue princi- 
pali geste ricordate da Orlando e da 
Rinaldo, ivi, 52. — suo corpo imbal- 



samato , e mandato in Babillonia. ivi. 
33. 

N 

^AHO, duca di Baviera ; combattendo 
con Mattafolle, c fatto prigione, Vili,* 
68. — impedisce che Ulivieri ferisca 
Vegurto, ambasciadore di Caradoro a 
re Carlo , X, 439. — consiglia lo 
sliandimento di Rinaldo dalla corte, 
XI, 13. — sdegnato della condanna 
di Ricciardetto, ne va in Baviera, XII, 
20. — torna a Parigi, ivi, 33. — in- 
sieme con Astolfo e Turpino non cre- 
dono a Gano, XXIV, 32. — mal- 
contento con Salomone ed altri, che 
Gano andasse ambasciadore a Marsi- 
lio, XXV,_^ 

Narsete, XXVIII, 23. 

Nomi romantici e favolosi, XXI, 43a 43. 

Novella della volpe e del lupo, detta da 
Lionfante , IX, 23. — di Salomone e 
di colui ch’avea sognato i buoi , nar- 
rata da Rinaldo a Marsilio, XIII, 3L — 
della badessa (che è l’ ottantaduesima 
del Boccaccio), ricordata, XVI, 39.— 
detta da MarsiUo in proposito qual 
sia la religione migliore, XXV , 42. 

o 

Oldorigi , uccisore del re Pipino , 
XXVIII, 33. 

Onor grandissimo che Marsilio fece a 
Gano, XXV, 4M. 

Orazione di Rinaldo a quelli d’Arna 
per indurli a liattczzarsi , XIV, 14. 

— d’Antea a Rinaldo, XVI, fi. — 
d’ Orlando a Dio, XVII, 78. — di 
Falserone a Carlo , XXIV, 450. — 
di Gano a Marsilio in pubblico, XXV, 
22. — di Marsilio al suo esercito, 
ivi, 183. — d’ Orlando all’ esercito in 
Roncisvalle, XXVI, 24. — d’Orlando 
a Dio dopo di essersi confessalo al- 
l’arcivescovo Turpino, XXVTI, 12fL 

— di Carlo a Dio, quando andava in 
Roncisvalle, ivi, 112. 

Orco , schiavo di Carlo. Sue ribalderie, 
XXVTI, 232. 

Orlando si parte di corlb sdegnalo, I, 
46. — capita in un diserto a una ba- 
dia, rVi,49. — uccide due giganti, tVi, 

38 * 



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450 I^DICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTÀBILI. 



30. — conqui&ta Morgante , e faiselo 
rompagno.iVj, 32.^ parlesi dalla La- 
dia, e trova un palano incantato. II, 
17. — cnmliatte con un diavolo, iVi.33. 
— batteua Morgante, ivi, 3C. — gia- 
gne nel campo di Manfredonio, ivi, 
.S9. — Gli si manifesta per nome Bru- 
noro, ivi, 62, — aliliatte LioneUo, ivi, 
76. — ammazza LioncUo, HI, &. — 
giostra con Meridiana, ivi, \S.— com- 
iiatlc con Rinaldo, VI, iL — rico- 
nosce Rinaldo c gli altri in corte del 
re Caradoro, VII, li, — va contro a 
Manfredonio, ivi, — partonsi da 
(^radoro, IX, li. — assaltano il campo 
d’Erminione, X, 23, — giostra con 
Rinaldo, e si scuopre la burla di Ma- 
lagigi, iVi, lllL — partitosi per «de- 
gno di corte, non si sapeva duv’ei 
fosse, XI, 26, — libera dalle forclie. 
Astolfo, ivi, 49. — partesi adirato con 
Orlo per la presura di Ricciardetto, 
Xll, 1 4. — capita nel campo del Sni- 
dano, ivi, 32, — ammazza Marcoval- 
do gigante, «>i, 42, — è fatto prigione 
dormendo dall’Amostantc in Pagania, 
ivi, 82. — manda Terigi in Francia 
per soccorso, XIII, 14, — è cavato 
di prigione per giostrar con Rinaldo, 
e fanno triegua, XV, 14. — torna in 
prigione , e di nuovo n’ è cavalo per 
combattere con Cosante, e l’uccide, 
ivi, 39. — ritorna in prigione, ivi, 64. 
— è liberato di prigione, ivi, lìL — 
giostra con Antea, XVI, 26. — seguila 
il campo del Snidano, ivi, 9,'i. — -am - 
mazza un gigante in un deserto, ivi. 
Idi. — libera una fanciulla , che era 
stata rubata da’ giganti al padre suo, 
re Gostanzo della Bellamarina, ii’ij 
’ lQ-4. — uccide ilnipote. del re Falcone, 
e rompe le genti che eran seco, XVII, 
83. — libera il re Falcone da un tri- 
buto, ivi, 26. — restituisce la fanciulla 
al re Gostanzo , ivi, 43‘2. — fa far 
gente in soccorso d’ Blivieri e Ric- 
ciardetto, XVIII, 3. — va con delle 
genti a Babillonia, ivi, 7. — dà una 
gotata al Snidano, ivi, 3J_. — com- 
batte con le genti del Snidano, ivi, 
52. — ritrova Rinaldo comliattendo, 
ivi, 62, — battezza Spincllone , ivi, 
76. — dichiara la visione a Spincllo- 
ne, ivi, 76,^^è ritrovato da Morgante, 
XIX, 157. — piglia Babillonia, ivi, 
175,— è coronato, ii’t.l78. — partesi 



con gli altri, e s’ imbarcano, XX, 3lL 
— smontano a Monaca. iV/, 58. — am- 
mazza Leopante , ivi, 86.— rompono 
le genti dello imperador di Mezza , 
XXI, li. — ammazza il re del Miir- 
rocco, iW, 12. — pigliano Monaca, 
«'/.—vanno al castel di'Crconta, 
ivi, 22. — amfnazza un gigante , e 
combatte con Creonla, ivi, 40. — 
va per ritrovare Astolfo, ivi, 23. — 
capita fra que’ romiti , dov’ era stato 
Astolfo, ivi, lOi. — ammazza un 
serpente, ivi, 109. — ammazza tre 
lioni, ivi, 1 H . — arriva a Corniglia , 
ivi, 116. — ammazza Chiaristantc, 
ivi , 142. — si ritrova con Astolfo , 
ivi , 1.5.3. — non conosciuto com- 
batte con Rinaldo , XXII , 11. — va 
in soccorso di Francia, ivi, 35. — 
capitano a Villafranca, e vi fa gente , 
ivi, 39. — arriva con le schiere in 
Francia, ivi, 112. — giostra con An- 
lea , XXIV, 122. — taglia una mano 
a Sicuraoro, ivi, 139. — sdegnato con 
re Carlo perchè, secondo che gli avea 
promesso , noi coronava di Spagna , 
ivi, 170. — va a Roncisvalle, XXV, 
96. — ordina le schiere, XXVI, 16, 
— parla allo esercito, ivi, 24. — uc- 
cide Falscrone, ivi, 66, — ammazza 
Chiariello,XXVll,19. — uccide Gran- 
donio, ivi , 31, — uccide Zambugeri. 
ivi, 36. — suona il corno tre volte, ivi, 
69. — va a una fonte, e VegUanlino 
muore, /W, IIM). — duulsi della rotta, 
ivi, 1114. — confessasi aU’ arcivescovo 
Turpino, ivi, 116. — orazione a Din 
dopo la confessione, ivi, 120. — gli 
apparisce l’angelo Gabriele, iV/,l32, 
— fa dipartenza con tutti, e muore, 
i'i’i,149. — -rende, cosi morto, la spa- 
da a Carlo, ivi, 205. 

Orm.vnno, scrittore delle gesle di Car- 
lo , XXVII, 78. 

Ottone, signor d’Inghilterra e padre di 

. Astolfo ; si prova con Mattafolle, ed 
è fatto prigione , Vili, 23, — si fog- 
ge di Parigi per non vedervi impic- 
care il Ggliuolu, XI, 62, — morto in 
Roncisvalle da Malducco, XX\ II, 58, 

P 

Padiglione di Luciana , XIV , 44, — 
Astarotte dice a Rinaldo quel che vi 
manca, XXV, 308. 



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^ * 

INDICE DEI NOMI E DEI.LE COSE NOTABILI. 4jt 



Paladini, prigioni, liberati da Rinaldo. 
X, 70. 

Palazzo incantato dove arrivano Orlan- 
do e Morgante, II, liL 

Paridi, presa da Rinaldo, XI, 1 10. — 
un’altra volta, XII, 2(L 

Parlamento d’Antea e Orlando, XXIV, 

1 1 .S. — ultimo d’ Orlando al suo 
esercito in Roncisv.ille, XXVI, 2S. 

Parlata dell’ amliasciadurc Kalserone a 
Carlo Magno, XXIV, d iO. 

Passamonte, gigante; morto da Orlan- 
do , ^ U. 

Pianto che fa l’ esercito di Manfredonio 
nel ritornarsene in Soria dopo la hat- 
tagUa, Vili, a. 

Pipino, re ; padre di Carlo Magno, X, 

— fu ucciso a tradimento da Oldo- 
rigi, XXVIII, ài 

Primavera descritta, I, 3_; IV, 2. 

Prodìgi, XXIII, XXV, li 

Polidoro, conte di Lusanna ; era andato 
per prendere Montalliaiio, XXII, 12 1. 

— <i ucciso dal morente Aldingliieri, 
ivi, i 30. 

« 

Quartiere (Signor del). Cosi chiamavasi 
Orlando, XI, 6^ e altrove. 

R 

* I • 

Pagionamento d’ Aslarolte con Mala- 
gigi , XXV, li!). — d’ Astarolte con 
Rinaldo, ivi , 200. — col detto , ivi , 
22.1 

He di Marrocco, venuto in aiuto dcl- 
l’ imperatore di Mezza, XX, — 
ucciso da Orlando, XXI, 12- 

Riccardo di Normandia ; combatte con , 
Mattafolle, e al primo colpo s’arren- 
de, Vili, 9t. — morto in Roncisvalle, 
XXVII, 82- 

Ricciahdetto, fratello di Rinaldo, III, 
31. — abbatte cinque campioni alla 
giostra di Parigi, XI, IL — è preso 
in agguato da Gano, e tradotto a Carlo 
che lo vuol fare impiccare , XII, 10. 

— è liberato da Rinaldo, ivi, 2L — • 
parte di Francia con Rinaldo per an- 
darne in soccorso di Orlando , incar- 
cerato dall’ Amostaiite, XllI, ^ — c 



abbattuto e fatto prigione da Antea, 
XVI, 12- — è menato alle forche, 
XVIII, 42- — è liberato, ivi, IL — è 
abbattuto da Aldinghieri, XX, 93. — è 

' portato in Roncisvalle da Farfarello, 

XXV, 2Ufi- — giugne in Roncisvalle, 

XXVI. 80.— ritorna aParigi, XXVIII, 
2S_ 

Hiccieri, XXVIII, 57. 

Rimprovero di Orlando a Rinaldo in- 
namorato di Antea, XVI, 4.5. 

Rinaldo, ammazza Maganzesi in corte. 
Ili, 27. — parte.<i con tllivieri e Do- ^ 
done dalla corte di Carlo, iVr, 32- — 
rompe le genti di Brunoro, ivi, IH, 

■ — si dà a conoscere per parente al- 
1’ abate Cbiaramonte, ivi, 18- — 
ammazza un drago, e libera un bo- 
ne, IV, là- — • ammazza un gigante, 
ivi, 31. — liberano il re Corbame da 
una vipera, ivi, élL— va in soccorso 
di Meridiana, V, Ifi- — uccide un ter- 
ribile mostro nel deserto, ivi, 37- — 
si chiama il guerrier del bone, ivi, 68. 
— giugne con Dlivieri e Dodone in 
corte del re Caradoro,VI, li. — giostra 
con Orlando, ivi, 4L — riconosce Or- 
lando in corte del re Caradoro, VII, 
*2. — partitosi da Caradoro, trova 
Lieramonte, e l’uccide, IX, 18. — 
piglia la città d’ErminioiTe, ammazza 
la moglie e’Ggliuob, ivi, 42- — va 
con esercito a soccorrere Carlo, IX, 
69. — giugne a Parigit X, I. — uc- 
cide il Magagna, ivi, H7. — uccide 
Salincorno , ivi , 52- — abbatte Er- 
minione , e bbera i paladini che 
erano prigioni , iW, liL — è ingan-^ 
nato da Malagigi , ivi , 18- — gio- 
stra con Orlando, e la burla di Mala- 
gigi si scuopre, ivi, 108. — ha parole 
*con Ubvieri, XI, 9. — fu bandito di 
corte, ivi, 16 — fassi assassino di 
strada, ivi, 12, — -per consiglio di Ma- 
lagigi va sconosciuto alla giostra di 
Parigi con Ricciardetto e Astolfo , 
ivi , 29- — ne abbatte molti , c ot- 
tiene l’onore della giostra, ivi. 34. — 
libera Astolfo dalle forche, ici, 49- — • 
bbera Ricciardetto daUe forche, XII, 
24. — ferisce Gano, iVi. 26. — caccia 
Carlo, ed è coronato in Parigi, ivi, 
31. — ripone in seggii^arlo, e va in 
soccorso d’ Orlando , *III , 27- — 
giostra con Marsilio, lo abbatte, e ne 
va seco a Siragozza, iVij 29. — s’inna- 



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452 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



mora della Ggliuola di lui, ii'i',42. — 
)>iglia e doma un cavallo sah-atico, iVi^ 
(ilL — partesi da Marsilio, e capita" 
ad Ama , ivi, US. — ammazza il 
re Vergante, XIV, 11. battez- 

za la città, ivi, 20. — fa esercito in 
soccorso d’ Orlando, ivi, 21L — ■ am- 
mazza Liorgante gigante, ivi^ 32. — 
giugne con l’esercito in Persia, XV, 
3. — conquistatore del Murrocco, e 
signore di Carrara e d’Arna, tW, ìi. 

— comlialtc con Orlando, ivi, 21. 

— figlia la terra dell’ Amostante 7* 
/W, jJ. — getta da una finestra l’ain- 
liasciadore del Soldano. ivi. !).a. — in- 
namorasi d’ Antea, XVI, 2L — gio- 
stra seco, ivi, (10, — seguita il campo 

, del Soldano, ivi, 93. — ammazza un , 
gigante, iVi, 99. — Baiardo gli è tolto 
da un pastore, ivi, 106. — ammazza 
un Saracino , e gli piglia il cavallo, 
it'i., 112. — a ricliiesta d’ Antea va a 
conquistare il Veglio^Vll, 32. — 
fa prigione il Veglio, e se lo fa com- 
pagno , ivi , AlL — ritrova Baiardo , 
XV 111, 12 — giugne a BaLillonia ' 
alla esecuzione di UUvieri e Ricciar- 
detto, e vi ritrova Orlando, ivi, àfi. 

— libera Ulivicri e Ricciardetto, H>i, 
Jil. — pugna col gigante Salincofno , 
cT uccide, ivi, 98.— abbatte e ferisce 
Aldiiighieri, non lo conoscendo, XX, 

-am mazza Can di Gattaia, XXI, 
7. —.ammazza 1’ imperador di Olez- 
za, ivi, 10. — rompe le genti di detto 
iinperadurc, ivi, 11. — pigliano Mo- 
naca, ivi, 12 — va per liberar Gano 
da Creonta , iei, 22 — uccide un 
lione e un gigante al castel di Creon- 
ta , ivi, 30. — • uccide un drago, ivi, 
71. — • accompagna Antea a Babillo- ' 
nia , ivi, 92 — si parte con gli litri ' 
paladini in cerca d’ Orlando, ivi, 92. 

— vanno a Corniglia per renderla 
Filiberta , ivi, 170. — L combatte con 
Orlando, noi conoscendo , XXII, 11. 

— si riconoscono, ivi, 13. — gio- 
stra con Diliante , ivi , 19. — am- 
mazza un lione, ivi, QQ, — partesi dai 
Diliante , ivi, 22 ^ arriva a Salisca- 
fil*». ivi, 1.S8. — combatte con don- 
ne, ivi, 164. — ammazza Arebilesse, 
ivi, 122^- combatte con Arpalista , 
e gli taglff una mano, ivi, 17.V. — ri - 
«luce Saliscaglia alla fede di Cristo, 
ivi, 215. — va a far sicura la strada 



da’-peDegrini , ivi, 217 — r acquista • 
l’onor della giostra in grazia della 
Brunetta, ivi, 230. — trova Gano in 
un diserto, ivi, 239. — entra in Sar-\ 
duna, dov’era la statua d’ Orlando, 
ed è lietamente accollo dalla regina 
Fibselta, ivi, 245. — trova Fuligat- 
to, XXIII, 2 — comliatte con Fuli- 
gatto , c se lo fa dompagno, ivi, (L — 
aimnazza Spinardo, ivi, 2 3. — liallezza 
Fuligalto, ivi, 21).- — giostra conDu- 
livante, e rompe le sue genti, ii-/. ’33. 

■ — parla con Astarotte, XXV, 2(X). — 

• è portato da lui in Roncisvalle, ivi,\ 
200. — .Astarotte per la via gli dà no- 
tizia di belle cose, ivi, 228. — invi- 
sibile bacia due volte Luciana , ivi , 
304.— giugne in Roncisvalle , XXVI,^ 
31. — licenzia i diavedi che l’ aveano 
condotto in Roncisvalle, e li ringrazia 
della loro cortesia, ivi, 34. — assalta ' 
il campo di Marsilio, ivi, 92 — con 
un solo colpo taglia venti teste , ivi , 
93. — uccide Buiaforte, XXV'II, 23. 

— uccide Margarilone, ivi, 44. — tra 
•- gli uccisi da lui, daRicciardeDo e dal 

cavallo Baiardo , furono in‘"quel solo 
giorno trentamila rporti, ivi, 2fi. — 
ammazza Gallerano, iV i, 9L — Mat- 
tafirro, ivi, 94. — e Fidasso, ivi, 93. .. 
partesi da Carlo per ire in pereerinac- ' 
gio, XXVIII, 22 

Riniesi, scudiere di Rinaldo j si battez- 
za, XXI, 13. 
nua, xxyiii, 32. 

^Risposta di Carlo a Falserone, XXIV, 
160. 

Rondella, cavai d’ Orlando, Ij 26 ; II, 
36. — è lasciato a Morgantc, ivi, 62 
..^ — Orlando il cavalca per combattere 
con Lionetto, ivi, 23. — dato a Ull- 
vieri, VII, 48. — cavalcato da Orlan- 
do per battersi con Rinaldo, X, 93. 

— vendica la morte di Ulivieri, fa- 
cendo strage di pagani, XXVII, 70. 

Rosaspin.v, madre d’ Aldinghieri, XX, 
1113. — regina in Pagania. XXII, 1-11 . 

I ^'^lmIiATTo, servo d’ Orlando, e scudicr 
compagno di Terigi ; va con Rinaldo 
a Montall>ano, X, i3. — è rimandato 
indietro per richiedere a Orlando la 
spada c il cavallo di Rinaldo, a cui 
furono scambiati da Malagigi, ivi. X2. 

— riporla a Rinaldo la spada e il ca- 
\ vallo, ivi, S9. — va con Rinaldo a di- 



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453 



INDICE DEI NOMI E DELLE COSE NOTABILI. 



porto verso Agrismonte, XII, IIL — 
ritorna col suo signore aMontalliano 
M, 16. 

s 

S.SLASION di Brettagna ; combattendo 
con Mattafolle , trovasi prigione , 

Vili, aa. 

S.VI.IKCORNO, fratello d’ Erminione ; va 
con lui all’ impresa di Montalbano 
Vili, S.*». — combatte con Meridia- 
na , e le uccide il cavallo, X , 33. — 
morto da Rinaldo, ivi, 02. 

S.SLINCORNO , gigante j combatte con 
Orlando, XVII, IIS. — promette 
non domandar più tributo al re Fal- 
cone, ivi, 131. — va in aiuto del 
Soldano, XVIII, S. — uccide il re 
Goslanzo e Spinellone, ivi, 13. — 
combatte con Rinaldo, ed è ucciso 
ivi, aiL 

Salisca/ilia, città dove regnava il feroce 
Arpalisla, XXll, l-SS. — descritta , 
ivi, 161. — convertita al cristiane- 
simo da Rinaldo, ivi, 215. 

S.AHSONETTO, Ggliuolo del Soldano. Era- 
si fatto cristiano per amore d’ Or- 
lando, XXV, ISl ; XX Vili, 31L — 
fa prodezze nella battaglia di Roncis- 
valle, XXVI, 134. — morto da Graii- 
donio, XXVll, liL 

Sardona, città, dove p'uligalto commet- 
teva tante barbarie, e dov’ era la sta- 
tua d’ Orlando, XXII, 215. 

Scirocco, uno de’ padroni della nave 
sulla quale s’ imbarcarono Orlando e 
Rinaldo, XX, 22. — gettato in mare 
da Rinaldo, ivi, -il . 

Scusa dell’autore circa la morte de’gi- 
ganti c l’incanto di Malagigi,XXIV, 
101. — per Garin d’aver creduto a 
Gano, XXVIII, ià. 

Sentenza di Rinaldo contro Brunoro in 
favore dell’abate Gbiaramonte, IV,fii, 

Sera descritta, IX, 2j XIX, IfljXXII, 
^ XXIII, 2. 

Serpentino, già morto da Orlando, 
XXV, lOi XXVIII, 33. 

SicusioRo, capitano dell’esercito saraci- 
nesco, XXIV, 62. — rincora i suoi, 
ivi, 133. — Orlando gli taglia una 
mano, ivi, 139. 

Similitudine della vacca che ha smar- 



rito il vitellino, XXll, 36. — del cane 
percosso, ivi, 2110. — del cane e della 
cornacchia, XXIV, 95. — delle biade 
investite dal vento, ivi, 131. — del 
lione alla vista dell’ armento, ivi, 13S. 

.SisioNE (Don), amico di Rinaldo, d’Astol- 
fo e di Ricciardetto, XI, 30. 

Siragozza, città di .Spagna dov’ era 
Marsilio, XXIV, 29.— messa a sacco 
e a fuoco da Carlo, XXVII, 231. 

SiRiONE, re ; va con Marsilio in Roncis- 
valle, XXV, 179; XXVI, 129. 

Smanie amorose di Rinaldo per Autea, . 

XVI, 29. 

Smeriglione di Maganza , morto da 
Alardo, XII, 25. 

Soldano (il), è a campo all’ Amostan-- 
te, della cui figliuola, chiamata Chia- 
riella , era fieramente innamorato , 

XII, i£L — avvisa l’ Amostante che 
Orlando è in sua corte, e fa pace se- 
co , ivi, 33. — ordina con l’Amo- 
«taole il modo d’imprigionare Or- 
lando, ivi, 37. — ■ ritorna in Persia con 
l’esercito, e protesta a Rinaldo, 

XV, 91. — leva il campo, XVI, 33. 

— manda Rinaldo a conquistare il 
V’eglio, XVll. 1.1. — . manda la figliuo- 
la con esercito a Montalbano , ivi , 

23. — riceve una gotata da Orlando, • 
XVIII, 31. — vuol fare impiccare Ulia 
vieri e Ricciardetto, XVIII, i2. — è 
morto dal Veglio, come gli era stato 
prognosticato, ivi, 65. 

Sperante, gigante ; ucciso da Morgante, 

XIX, 3L i 

Spinardo, centauro, XXIII, 16. — è 

ucciso da Rinaldo, ivi, 23. 4 

Spinellone, barone alla corte del re Go- 
stanzo.XV111. 21. — uccide Mariotto, 
ivi, 52. — è ferito a morte dal gi- 
gante Salincorno , ivi, 25. — è bat- 
tezzato in punto di morte da Orlan- 
do, iVi. — sua visione innanzi di 
morire, ivi, 76. — il suo corpo è fatto 
onorevolmente imbalsamare da Or- 
lando, e rimandato in patria, XX, 5. 

Spiriti folletti, vanno per l’ aria come 
ucccl vagando, XXIV, 109. 

SguARCiAPERRO, demonio ; Volle ingan- 
nare Astarotte suo compagno, XXV, 

269 . 

Statua d’ Orlando tu Sardona, XXII, 

253. 



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S54 IMDICÉ DEI NOMI E DELLE COSE NOTADILl. 



.Storia (li Milon d’Anglante, dipinta 
nella badia dell’ aliate Chiaranionle, 
SS. — pietosa di Florinelta, XIX, à, 

T 

Tassillo, XXVIII, ili. —nià domato 
da Carlo, ivi, ilA. 

Tebigi, scudiero di Orlando, X, ~<i ; 
XI, 51L — va con Orlando in Paga- 
nia, XII, lìl- — ammana un saraci- 
no , ivi , ih, — vede l’anima del 
gigante Marcovaldo, stato ucciso e 
battezzato da Orlando, volarsene in pa- 
radiso. rVi, 21L= va in Francia a chie- 
der soccorso per Orlando, imprigio- 

^ nato dall’ Alnostante , XIII, là, — 
porta a Carlo la novella della morte 
d’ Orlando, XXVll, liìlL — muore 
a piè di Carlo, ivi, I S.a. 

Tesohet T o, valletto di Rinaldo ; è man- 
dato per un’ imhaseiata a -Orlando ,• 
X, S9. - — torno con la risposta, a Mon- 
talbano, ivi, 93. 

Tol/elo, ciuk di Spagna, ov’era studio 
di negromanzia e d’altre scienze og- 
gidi vietate, XXV, 259. 

Tradimento fatto a Orlando dal Solda- 

^ no e dall’, Amostante , XII . àX, — di 
Gano.pel quale mori Orlando con gli 
altri paladini in Roncisvalle , XXVI , 

ài 

Trattato tra Marsilio e Gano, XXV, ài 
— • di Gano con Uiliante contro Al- 
dinghieri e’ paladini, XXII, là. 

Tregua fra il campo di re Carlo e l’eser- 
cito della fegina Antea, XXIV, 14à. 

Trtiffa che Margotte fa all’oste, XVIII, 
1 7 lì. 

Tubchione, va con Marsilio in Roncis- 
vallc, XXV, 177. — ucciso da Tur- 
pino, XXVI, 

Tarpino, arcivescovo ; combattendo con 
Mattafolle , resta prigione , Vili, 93. 

— pugna con la spada e col pastorale 
contro l’esercito d’Antea. XXIV, 230. 

— segna con la croce, e benedice tutti 
i Cristiani adunati in Ronci.svalle , 
XXVI, 16 ; ivi, 4£L — ammazza Tur- 
chione, ivi, 62. — fa da boia a Marsi- 
lio e Bianciardino, XXVll, 26S. — 
morto, XXVII1,2Ì 



V 

tlcoiEBI , il Danese; valoroso in armi. 
Vili, A3. — è vinto da Mattafollc , 
ivi, hjL • 

IJ00NE,XXV11I, à2. 

IJl-iVA, figliuola del re GosLinzo, e pa- 
rente di Diliante , XXII, 62. 

Uliv IERI, cognato d’ Orlando e marchese 
di Vienna;s’innamora di Forisena, IV, 
79. —trova mille scuse a Rinaldo per 
indugiare a partirsi da lei, V, 3. — 
innamorasi di Meridiana, VI, 9. — 
è abbattuto da Manfredonio sotto gli 
orchi di Meridiana, VII, hi, — di- 
viene amico di Meridiana, Vili, 12. 
partendosi da Meridiana, la lascia 
gravida di lui, IX, 12. — dà a co- 
noscerla a Carlo, X, 9. — • vuol am- 
mazzare l’ amliasciadore Vegurto, 
ivi, i 39. — ha parole con Rinaldo, 
XI, 9. — va con Rinaldo per soc- 
correre Orlando, XIII, 2à. — uc- 
cide l’ Amostante. XV, li. — giostra 
con Antea , e riman suo prigione, 
XVI, 22. — è menato alle forche, 
XVTII, 42. — è liberato, ivi, 21. — ■ 
è abbattuto da Aldinghicri, XX, 94. 

— ammazza uno de’ giganti, Bgliuoli 
di tireonta, XXI, 39. - dà una go- 
lata a Gano, che fu causa del trattato 
di Roncisvalle, XXIV, 42. — va in- 
contro ad Antea, ivi, 67. — uccide 
Alalprimo, XXVI, àS. — uccide 
Rriisbacca, ed è morto dall’ArcaliBa, 
XXVll, à9. 

UkÙldo, XXVIII, 23. 

V 

Tegliantino, cavallo d’Orlando; passa a 
Rinaldo per opera di Malagigi , X, 6U. 

— restituito a Orlando, scopertasi 
la burla di Malagigi, ivi, IH. — era 
stato già di Almontc saracino, XXIV, 
13.— muore a una fonte appiè d’Or- 
lando, XXVll, 101. 

ì 'cpfio delia Montagna ; combatte con 
Rinaldo, XVII, 31). — arrendesi a Ri- 
naldo, e diviene suo compagno, ivi, 
A7. — ammazza il mastro giustiziere, 
XV11I, 13.— -giuj;ne a Babillonia alla 
esecuzione di Dlivieri c di Ricciar- 



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INDICE DEI NOMI E DEI.LE COSE NOTABILI. 



Hello, ii'i, àL — ammana il Solila- 
no, iVi, 65. — creato Arcailo in Soria 
da Orlando dopo la presa di Balrillo- 
nia , XJX. -1 7 » . — è morlo da Aldin- 
ghieri, XX, 2A- 

Vkourto, gigante, amljasciadorc di Ca- 
radoro a Carlo ;c morlo da Morgaote, 

■ ..X, 130. 

Vebgantb, re d’Arna, osccnanieulc cru- 
dele, XI li, 13. — gellalo d’uu bal- 
cone in piazza da Rinaldo, XIV, il. 

Villafranca, cillà dove regnava Di- 
liante , XXII , 32. 

Visione di Morganle, ^ 32. ■ — di Spi- 
nellone, XVIII, Ifi. 



4iiii 

Vita e falli d’ Orlando, XVII, i3!i : 
XXVII, I3.V. — c lode di Carlo Ma- 
gno, XXVIII, M. 

VlviAWO da Pontieri, morto da Alar- 
do, XII, 22. 

Vizi di Margutle , XVIII, 115, 

» 

z 



/ambugf.ri, figliuolo del re Marsilio ; , 
valoroso in anni, XXV, àfì- — è nel 
campo a Ronrisvallc, XXVI, 
morto da Orlando, XXVII, 



* ♦ 

FINE DEL SECONDO VOLUME * 

KD ULTIMO. 



♦ ^ 



* 



i xi - 



Fot. L. yog. 445, itanza ^ verta L 



Dicendo: E in ciità difooderemo, Dicendo: cittk diTenderomu * 

N " V . ‘ 

»/. 71, pflir. l20,V(a^5a 70, 7. * \ 

, E ctrti caratleri'ec. ^ 

- pti. IT2, jlanio'i.W, verso 8. rorlicri teegasi Pontieri. * 

^ • «1 . 



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